Dopo una prima breve presenza nel 1900-1901, gli Eremiti della Divina Provvidenza sono all'eremo di Sant'Alberto dal luglio 1920.
GLI EREMITI DELLA DIVINA PROVVIDENZA
DA CENTO ANNI A SANT’ALBERTO DI BUTRIO (PAVIA)
1920 – 2020
Don Flavio Peloso
L’eremo di Sant’Alberto di Butrio (Pavia) prende il nome da un santo che qui, poco dopo il 1000, abbandonato il mondo, si ritirò a pregare e a fare penitenza. Alberto, romito solitario, venne scoperto, durante una battuta di caccia, da un signore del castello di Casalasco in Val di Nizza, il quale in segno di gratitudine verso di lui, che aveva guarito un suo ragazzo nato muto, gli edificò la chiesetta di Santa Maria, vicino alla sua grotta nel “butrio”, burrone.
La fama del santo si diffuse e cominciarono ad accorrere a lui numerosi discepoli. E così sorse l’eremo di Butrio che poi divenne una abbazia celebre e potente. Sant’Alberto abate morì il 5 settembre 1073. La sua tomba divenne meta di devozione e di pellegrinaggi. Il movimento eremitico e cenobitico da lui iniziato conobbe grandi splendori di santità e di diffusione. Dopo quattro secoli, all’epoca degli Abati commendatari, ebbe un rapido declino e scomparve del tutto nel secolo XV. Dell’antico cenobio, restò la sola chiesa, con gli affreschi antichi, come sede di una piccola Parrocchia ed altri pochi resti.
Si dovette attendere fino all’inizio del ‘900 per rivedere questi luoghi rifiorire.
Nei giorni 8-10 luglio 1900, mons. Igino Bandi, vescovo di Tortona volle fare la ricognizione delle reliquie del corpo di Sant’Alberto per metterle in onore. Della Commissione faceva parte pure Don Orione.[1] Questo evento fece venire al Vescovo e a Don Orione il desiderio di ripopolare quell’austero e sacro ambiente con i suoi originari abitatori: gli eremiti. Il Vescovo volle che si fondasse a Butrio la Casa centrale per gli Eremiti della Divina Provvidenza, “giovani forze di un Ordine nascente ed ammaestrarle alle guerre del Signore con le armi del lavoro e della carità. Deputava a compiere i suoi voleri lo zelantissimo D. Luigi Orione”[2]. A conferma dell’interesse per la comunità in arrivo, con una lettera il Vescovo permise agli eremiti di questuare nella diocesi di Tortona.[3]
I primi tre Eremiti della Divina Provvidenza avevano ricevuto l’abito e il nome - fra Colombano, fra Vincenzo, fra Gaetano – dal Vescovo di Tortona, solo un anno prima, il 30 luglio dell’anno 1899.
Già nel mese di luglio 1900 arrivavano all’eremo alcuni eremiti e un gruppetto di aspiranti[4]. Infatti, quando nella prima settimana dell’agosto seguente vi giunse Don Orione con Gaspare Goggi e due suoi colleghi universitari di Torino - Alessandro Volante e Alberto Falchetti - per un breve periodo di riflessione, in una foto è ritratto anche fra Igino. Tutti rimasero estasiati dalla “pace solenne e misteriosa” dell’ambiente, dalle “mura antiche e antichi dipinti” e dagli eremiti “segregati dal mondo”. Goggi lasciò le sue impressioni in un articolo pubblicato sul Bollettino dell’Opera[5] e Falchetti pubblicò un pregevole saggio sulla rivista Derthona Sacra, firmandosi Un Eremita della Divina Provvidenza”[6].
Non avendo Don Orione un sacerdote da destinare quale parroco a Sant’Alberto, venne designato come “Economo spirituale di Sant’Alberto” don Paolo Cassola[7], conosciuto e stimato da don Orione per avere egli collaborato all’inizio dell’Opera.[8]
A Sant’Alberto di Butrio, Don Orione raccolse i primi aspiranti eremiti. Dopo una prima sommaria formazione ed esperienza di comune, il 1° settembre 1900, fra Basilio e altri tre eremiti partirono per la Colonia agricola di Bagnoregio di Orvieto. Nella corrispondenza di Don Orione con Don Paolo Cassola si trovano i nomi di vari eremiti. Qui vennero raccolti anche giovinetti ai quali Don Orione impose l’abito; li chiamavano eremitini.[9] Da un elenco steso dal Fondatore e datato 17 luglio 1901, risulta che gli eremiti erano già quattordici,[10] distribuiti nelle case di Sant’Alberto, Bagnoregio e Roma.
Dopo solo un anno e mezzo di permanenza, però, gli eremiti dovettero lasciare l’eremo di Sant’Alberto. La dolorosa decisione fu presa a motivo del comportamento di don Paolo Cassola che, “Fatto parroco intuitu Congregationis - scriveva Don Orione - e perché là, in quell’antica Badia risorgesse la vita eremitica”[11], non rispettò quelle condizioni. Si occupò più dei campi e degli affari che degli eremiti, facendo “molte spese di cui non si riconosce in alcun modo la necessità od il bisogno, a mia insaputa e anche contro la mia espressa proibizione”.[12]
Gli ultimi presenti all’eremo nel gennaio 1902 furono fra Igino e alcuni eremitini.[13] Nonostante i “voti” per una ripresa di vita dell’abbazia, manifestati da mons. Bandi nel marzo del 1902, ben presto l’eremo di Sant’Alberto fu lasciato del tutto. Restò il sogno e il progetto, condiviso dal vescovo mons. Bandi e da Don Orione, di farne la sede degli Eremiti della Divina Provvidenza e luogo di preghiera.
Il soffio della Divina Provvidenza gira le pagine della storia e così avvenne che, nel 1920, don Paolo Cassola divenne parroco a Verretto di Voghera[14], lasciando vacante la parrocchia di Sant’Alberto. Don Orione subito ripropose al vescovo di Tortona, mons. Simon Pietro Grassi, l’opportunità di riportarvi lassù gli Eremiti: “Ora che la parrocchia di Sant’Alberto è vacante, non converrebbe rimetterli? La parrocchia di Sant’Alberto poi è la più piccola, credo, di tutte le parrocchie della diocesi, perché non ha che 78 parrocchiani, almeno così era qualche anno fa. Si avrebbe il vantaggio si salvare così un monumento nazionale di importanza religiosa e per la storia dell’arte cristiana e forse più, per quella della diocesi. È parrocchia povera assai e la casa canonica fu lasciata andare, tanto che non è quasi più abitabile (...). A Sant’Alberto tutto ora è una ruina che fa piangere”. [15]
Il Vescovo acconsentì alla richiesta di Don Orione di ridare vita all’eremo,[16] e ottenne dalla Santa Sede che fosse “incardinata alla Congregazione” anche la parrocchia.[17]
Il 4 giugno1920, giorno di festa all’eremo per il convegno dei fanciulli, Don Orione annunciò alla popolazione di Sant’Alberto di aver ottenuto in assegnazione la Parrocchia con la presenza dei suoi religiosi. A don Biagio Marabotto comunicò, il 5 agosto 1920: “Ora apro una Casa, un Noviziato apposta per gli aspiranti eremiti sulla tomba di Sant’Alberto di Butrio”.[18]
La presa di possesso ufficiale della parrocchia di S. Alberto avvenne il 16 gennaio 1921.[19] Primo parroco fu nominato don Giuseppe Zanocchi. Di fatto, poi, dal 1921, gli subentrò don Domenico Draghi, che Don Orione presentò a mons. Grassi come “una specie di Curato d’Ars della nostra Diocesi”, e tale si dimostrò durante i 15 anni in cui fu reggente della parrocchia e superiore degli eremiti.
La ripresa della vita nell’antica abbazia di Sant’Alberto, ricca di storia e povera di tutto il resto, fu completata quando, il 13 maggio 1923, vi giunse Cesare Pisano, un giovane cieco, che prese il nome di Frate Ave Maria. Egli fu una perla di santità e fu proclamato “venerabile” nel 1997. Con la sua concentrazione nella vita di Dio diede anima e unità al cammino della comunità degli eremiti che divenne nuovamente un riferimento di fede e di consolazione per la gente del territorio circostante.
Oggi, le mura dell’antico cenobio di Sant’Alberto accolgono ancora la comunità degli Eremiti della Divina Provvidenza di Don Orione. Sono essi che fanno di Sant’Alberto un luogo sacro, un segno di Dio, e non solo un museo e luogo di turismo.
Don Orione fu un'anima altamente contemplativa, un mistico nell’azione, innamorato di silenzio e di contatto con Dio, francescanamente affascinato dalla natura, affamato di assoluto, di preghiera, di olocausto d'amore. Sapeva bene, lui “facchino della Divina Provvidenza”, che l’attività ha la vista corta e le gambe fiacche se non è sostenuta dalla preghiera e dal respiro di Dio. E così, al suo “esercito della carità” impegnato nelle mille battaglie della vita accanto ai più poveri, Don Orione, in vista di una efficacia che non sta nell’intelligenza e nelle mani dell’uomo, affiancò la preghiera e il sacrificio dei “nostri Mosè sul monte”, come definì gli eremiti.
[1] Fra le 15 persone che, dopo il Vescovo, firmarono il verbale della riposizione delle reliquie in una cassetta di legno, figura anche il “Sac. Luigi Orione”; Vincenzo Legé, Sant’Alberto Abate fondatore del Monastero di Butrio, Tipografia Rossi, Tortona, 1901, pag. 103.
[2] Placido Lugano, Sull’Abbazia di Sant’Alberto di Butrio, appunti di storia e d’arte in Derthona sacra, Tortona, 1901, pag. 45.
[3] Archivio Don Orione, Annali, 1900, 4.
[4] Don Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza (citato DOPO), vol. III, p.13.
[5] “Multa renascentur!”, “L’Opera della Divina Provvidenza”, 14 settembre 1900, pag. 2s.
[6] “I dipinti di S. Alberto di Butrio” in Derthona sacra, 1901, p. 46-50. Che il saggio sia del Falchetti lo deduciamo da Legé, o.c., p. 62, che lo attribuisce “ad un giovane e valente pittore torinese”, mentre in DOPO III, 757, nell’indice per persone, leggiamo: “Falchetti Alberto, pittore: a S. Alberto”.
[7] Cfr. Legé, o. c., p. 103.
[8] Cfr. Lettera di Don Orione a Don Paolo Cassola del 6 settembre 1893; Scritti 35, 75.
[9] Cfr. DOPO III, 108, nota 10.
[10] Nell’ordine in cui sono scritti da Don Orione: Fra Gaetano, fra Colombano, fra Gerolamo, fra Alberto, fra Guglielmo, fra Benedetto, fra Saba, fra Basilio, fra Bernardino, fra Romualdo, fra Corrado, fra Pietro, fra Vincenzo e fra Igino; Scritti 69, 149.
[11] Scritti 77, 22.
[12] Scritti 74, 183.
[13] Cfr. lettera di don Guffanti in DOPO, III, 103, n.10.
[14] Cfr. Scritti 35, 99.
[15] Lettera del 1° luglio 1920; Scritti 45, 158-159.
[16] Così ne dà notizia in Lettera a don Risi del 4 luglio 1920: “Mgr. Vescovo mi chiamò l’altro ieri e volle di nuovo affidare alla nostra Congregazione l’Eremitaggio di Sant’Alberto”; Scritti 6, 156.
[17] Scritti 44, 50.
[18] Scritti 32, 16.
[19] Notizie da Giulio Florian, Cronache del XX secolo, Edizioni Don Orio-ne, Tortona, 1992.