Conferenza di Don Flavio Pelososo su cenni storici e metodologia della solidarietà di Don Orione nel Dopoterremoto.
REGGIO CALABRIA DOPO IL TERREMOTO DEL 1908
DON ORIONE RICOSTRUTTORE DELLA SPERANZA
Don Flavio Peloso
Nel telegramma inviato in occasione della morte di Don Orione, Pio XII lo definisce: “Padre dei poveri, insigne benefattore dell’umanità dolorante e abbandonata”.
Dall’esemplarità della vicenda storica di Don Orione vorrei cercare di appuntare alcune indicazioni per chi vuole essere, come lui, “costruttore di speranza” oggi impegnandosi in cammini di solidarietà e di “carità che sola salverà il mondo”.
“Ogni agire serio e retto è speranza in atto… Dal nostro operare scaturisce speranza per noi e per gli altri ; però è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire”, ha ricordato Benedetto XVI nell’Enciclica Spe Salvi, n.35.
Il verbo sperare si coniuga con il verbo ausiliare agire. Don Orione ci offre molti chiari esempi di creatività e tempestività nell’attenzione ai più poveri e bisognosi del suo tempo e di modalità concrete perché l’aiuto, oltre a soddisfare un bisogno, trasmetta la speranza.
Tra le tante pagine di vita dello “stratega della carità”, l’opera di soccorso in occasione dei terremoti di Reggio e Messina offre molte notizie sull’agire di Don Orione, con indicazioni ricche di stimoli e pensieri per il nostro agire oggi.[1]
DON ORIONE SUI LUOGHI DEL TERREMOTO
Il terremoto calabro-siculo del 1908 causò con la sua forza distruttrice circa 80.000 morti nella città di Messina e 15.000 a Reggio Calabria.
Don Orione appena avuta la notizia dai giornali, partì subito da Tortona, lasciando le sue fragili istituzioni nelle mani dei collaboratori.
Partì da Tortona il 4 gennaio alla volta di Roma. Fu in Vaticano, per avere indicazioni, e lo stesso giorno ripartì per la Calabria ove giunse al mattino del 6 gennaio. Andò prima di tutto a Cassano Ionio per predisporre con il Vescovo Mons. Pietro La Fontaine l’accoglienza dei primi orfani e per farsi rilasciare delle lettere commendatizie per le Autorità civili ed ecclesiastiche di Reggio e di Messina.
La mattina del 7 è a Catanzaro Marina. Da lì si dirige a Reggio, ma dopo una sessantina di chilometri il treno ferma a Roccella Jonica. Di qui percorre 4 ore di cammino per raggiungere la prima stazione in cui i treni funzionassero, dopo una settantina di chilometri, il treno si ferma a Bova Marina e il viaggio è nuovamente interrotto. Gli ultimi 45 Km., da Bova a Reggio, furono i più problematici e solo dopo un giorno e una notte, Don Orione poté giungere a Reggio, il 9 gennaio mattino.
Si dirige immediatamente al palazzo arcivescovile che trova crollato. Come sappiamo, la Diocesi era senza Vescovo – era morto da qualche mese l’arcivescovo Portanova - e tutto fa riferimento al Vicario Mons. Dattola che lo accoglie con l’entusiastica esclamazione: “Lode alla Provvidenza di Dio!”.
Don Orione si commosse nel vedere l’impressionante scenario della città distrutta. Non c’erano più né strade e né edifici in piedi. La gente vagava inebetita e inerte di fronte allo choc e al dolore. Scrive a Don Sterpi: “Qui tutte le chiese distrutte. Il SS. Sacramento non fu ancora estratto di sotto alle macerie né della Cattedrale, né di alcuna altra chiesa. Qui non è giunto finora nessun soccorso, eccetto quello dei soldati... Oggi pioggia dirotta. Cadono muri e tuona. Continuano scosse. Stanotte partirò per Gioia Tauro. Lunedì in giornata sarò di nuovo a Reggio. Pregate”.[2]
Don Orione inizia subito l’attività frenetica in soccorso delle popolazioni della Calabria e poi, secondo l’indicazione della Santa Sede, più stabilmente a Messina, ove verrà nominato Vicario generale della Diocesi. A Reggio Calabria, sarà invece Mons. Emilio Cottafavi a capo della Delegazione Pontificia, che aveva la sua sede nel rione Trabocchetto. Tra i due nacque un’amicizia e una collaborazione preziosa e benefica.
Don Orione, giunto sui luoghi del disastro, si prodigò per raccogliere, assistere e salvare più orfani possibili; collocò inizialmente 400 bambini affidandoli alla Santa Sede, da 600 a 1000 li indirizzerà tra vari istituti in collaborazione con il Patronato “Regina Elena”, altri 600 in istituti di sua fiducia, altri ancora tra le sue case di Tortona, Sanremo, Cuneo, Bra, Roma, Noto e Cassano Jonio.
Fondamentale fu la sua azione di collegamento tra le opere di soccorso laico, in particolare del Patronato “Regina Elena”, e la Santa Sede, per conto di Pio X.
Del “Patronato Regina Elena”, un’istituzione umanitaria laica sotto l’egida della Casa reale e con Presidente la contessa Gabriella Spalletti Rasponi, Don Orione fu nominato Vice-presidente per il coordinamento dei soccorsi di Messina.
Papa Pio X volle che Don Orione restasse sui luoghi del cataclisma anche dopo l’epopea eroica dei primi soccorsi per coordinare la ricostruzione e lo nominò Vicario generale della diocesi di Messina. Fu una croce più che una gloria. “Non datemi il titolo di Monsignore, ché non lo sono, e non lo fui mai: era una sciocchezza voluta ad ogni costo darmi dai Messinesi, forse per timore, che senza quel titolo, sarebbe stata disonorata la loro Curia”.[3]
A Messina rimase per più di tre anni, fino all’aprile del 1912. Sapendo in quale situazione di difficoltà e avversità si trovava Don Orione, Pio X disse di lui “E’ un martire! E’ un martire!”.
A riconoscimento della sua instancabile attività, il Ministro Segretario di Stato per gli Affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, gli conferiva con Regio Decreto del 5 giugno 1910 la Medaglia d’argento ed il diploma per “l’opera da esso data nell’occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 in Calabria e in Sicilia”.
Come è noto, simile prontezza, carità ed efficienza di soccorso furono dispiegate da Don Orione in occasione di un altro terribile terremoto, del 13 gennaio 1915, che devastò tutta la regione della Marsica e dove i morti rappresentarono l’80% della popolazione e furono circa 30.000.
Possono bene essere riferite anche alla gente di Reggio e Messina le parole che Giovanni Paolo II disse durante la sua visita nella Marsica, il 24 marzo 1984, ricordando le gesta del santo della carità: “Il pensiero va ad una delle figure più luminose che restano nella vostra memoria dai tempi del terremoto di 70 anni fa: il Beato Luigi Orione. Questo umile e povero prete, intrepido ed instancabile, divenne per voi testimonianza viva dell'amore che Dio ha nei vostri confronti”.
Lasciando ad altri la ricostruzione più direttamente storica dell’epopea dei soccorsi di Don Orione ai terremotati,[4] desidero avvicinare questa pagina di storia con un interrogativo ben preciso: quali indicazioni possiamo ricavare per il nostro modo di vivere la solidarietà oggi?
Quali lezioni possiamo prendere da Don Orione per essere costruttori di speranza oggi, in una società che ostenta solidità e sicurezza ma anche tanti segni di crolli, macerie, frammentazione e desolazione?
AUTONOMIA DI INIZIATIVA E LIBERTÀ DI AZIONE
Per l’enorme impresa di soccorso e assistenza attuata dopo il terremoto calabro-siculo, Don Orione non poté contare subito su risorse istituzionali assicurate previamente, né civili e né ecclesiastiche. Non è che agì perché aveva. Agì perché aveva cuore, cominciò umilmente, concretamente. Poi smosse la solidarietà di altri che misero a disposizione molte risorse personali, economiche e di strutture.
Coinvolse innanzitutto la sua piccola e traballante congregazione ancora agli inizi (“un baraccone”, la chiamava), un grande numero di congregazioni religiose e di ecclesiastici (tra tutti, ricordiamo il Catanoso, il canonico De Lorenzo, padre Annibale Di Francia), associazioni e istituzioni laiche ed ecclesiastiche, ottenne aiuti consistenti da innumerevoli benefattori “nel nome della santa carità”. Anche il Vescovo di Cassano Ionio, card. Pietro La Fontaine mise a disposizione parte dell’episcopio per accogliere gli orfani.
L’autonomia di iniziativa, che ha la sua condizione nell’autonomia di finanziamento, resta un fattore di speranza e di progresso sociale imprescindibile. Lo fu al tempo di Don Orione e lo è oggi. Poi vennero anche aiuti pubblici, doverosi e di giustizia, ma la speranza si accese prima dalla carità che dà del proprio, in termini di risorse personali, intellettuali, spirituali, relazionali, operative e anche economiche.
Don Orione arrivò a Reggio e poi a Messina nelle condizioni di Pietro di fronte allo storpio che gli chiedeva aiuto: “Egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò e quello, balzato in piedi, camminava ed entrò con loro nel tempio, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare… e fuor di sé per lo stupore accorse…” (Atti 3, 1-11).
Apro una parentesi di attualità. La Chiesa oggi è ritornata in questa condizione di Pietro e di Don Orione. Dalla fine del 1700, con la nazionalizzazione del patrimonio ecclesiastico, la soppressione degli Ordini religiosi, la nazionalizzazione degli ospedali, la Chiesa perdeva in Francia e successivamente in Europa gli strumenti che per secoli le erano serviti per fare carità. Dal 1700, e oggi con nuove forme, la base normale della sua economia non sono più le sovvenzioni messe a disposizione dei poveri dallo Stato e gestite dalla Chiesa, ma sono le offerte dei cristiani date alla Chiesa perché essa le usi a favore dei bisognosi.[5]
Oggi è cresciuto il protagonismo statale nel campo dell’assistenza e del welfare: fatto di cui rallegrarsi perché è una espressione di giustizia sociale. La Chiesa ne guadagna in libertà, anche se con difficoltà di reperimento di risorse. Gestire i servizi per conto dello Stato – questo fanno oggi molte opere cattoliche in Italia - cercando almeno di mettervi “qualità umana e religiosa” è impresa sempre più difficile perché l’assistenza statale è fortemente ideologizzata culturalmente (secondo obiettivi, valori e spesso persone dominanti) ed economicamente (aiuto economico subordinato agli obiettivi dominanti).
Dunque, la iniziativa personale e la ricerca di solidarietà sempre più ampia (compresa quella dello Stato) è la prima lezione data da Don Orione nel suo agire nel soccorso ai terremotati.
COMINCIARE SEMPRE DAI PIÙ POVERI
E’ un’altra caratteristica dell’opera di solidarietà in Don Orione. Significa privilegiare anzitutto i più deboli, gli ultimi, i più abbandonati, e privilegia l’aiuto nei bisogni primari quando questi manchino (la vita, il pane, un tetto, la salute, la famiglia, ecc.)
Giungendo sulle zone del terremoto è interessante vedere le prime mosse di Don Orione. Le prime tribolatissime giornate e settimane furono di “pronto soccorso”: feriti, moribondi, gente impazzita dal dolore, orfani, affamati, gente al freddo e senza rifugio, indifesi dagli “sciacalli” che rubavano beni e orfani (anche questo c’è stato) e indifesi dai lupi che scendevano affamati nei paesi.
In un primo momento, non si mosse da ispettore o da organizzatore della solidarietà; chissà quanti altri sarebbero morti o impazziti nel frattempo!
E’ una chiara indicazione per la solidarietà cristiana: “partire dagli ultimi”, “opzione preferenziale dei poveri”, come leggiamo spesso oggi in un linguaggio entrato nel vocabolario comune. “I più abbandonati e sbandati”, insistevano il Cottolengo, don Bosco e il Murialdo a Torino. “I più necessitosi”, ripetevano Don Mazza e Comboni a Verona e poi in Africa. Per “quelli che nessuno vuole e tutti rifiutano, Chiesa compresa”[6] aprì le sue case Don Orione. «Ai poveri fra i più poveri, andranno le nostre sorelle e i nostri fratelli», scrive nelle costituzioni madre Teresa di Calcutta.[7]
Servire i più poveri è una scelta permanente e da rinnovare con continue “ri-partenze”. “Quelli che hanno protezione da altra parte, per loro v’è già la provvidenza degli uomini, noi siamo della Provvidenza divina, cioè non siamo che per sopperire a chi manca ed ha esaurito ogni provvidenza umana”.[8]
PROMOZIONE DEI PIÙ POVERI E SPECIALIZZAZIONE DELLA CARITÀ
Trascorse le prime settimane di emergenza, nell’opera di soccorso a Messina e nella Marsica, don Orione passa dall’opera di primo e pronto soccorso dei beni primari in favore dei più poveri e deboli ad un’opera di promozione dei poveri. Egli si mette in contatto con altri organismi; promuove sensibilizzazione tramite i giornali, si occupa dei diritti di proprietà e delle case dei terremotati; pensa al futuro degli orfani provvedendo scuola, educazione, lavoro; riorganizza chiese e strutture della Chiesa locale, ecc. Apre chiese, collegi, istituzioni caritative. Dalle baracche di San Prospero e di Tre Mulini, lasciate da Mons. Cottafavi a Don Orione, si passò a quella che diverrà l’Opera Antoniana delle Calabrie e le altre iniziative benefiche di Reggio.
Egli seppe unire alla carità come “pronto soccorso” la carità “promozione dei poveri”, come studio dei problemi, socializzazione e organizzazione delle soluzioni, promozione della giustizia, educazione all’autonomia delle persone, ecc. Valorizza tutto ciò che la scienza e il progresso possono offrire. Citando il Pasteur, Don Orione afferma: “La salvezza, non solo degli ospedali ma del mondo, sta sotto le due grandi ali: carità e scienza”.[9] Coniò l’espressione “scienza caritativa”[10] per dire la compenetrazione nei contenuti e nelle finalità tra scienza e carità. Don Orione ama una “carità illuminata che nulla rigetterà di ciò che è scienza, di ciò che è progresso, di ciò che è libertà, di ciò che è bello, che è grande e che segnò l’elevazione delle umane generazioni”.[11]
Sono due dinamiche diverse e interdipendenti. Il partire dai bisogni primari dei più poveri, assicura l’ancoraggio esistenziale alla necessaria “specializzazione nella carità”. Di fatto non c’è problema sociale della società dell’Otto e del Novecento nella quale non sia entrata la carità della Chiesa, e spesso impiegando molti dei suoi membri nello studio e nella soluzione anche scientifica dei problemi. Per lo storico tedesco Erwin Gatz, non solo i religiosi dei diversi ordini hanno compreso la necessità di questa evoluzione, «ma hanno contribuito ad imporla in modo decisivo alle nazioni industriali»[12].
Anche l’impegno della solidarietà nei tempi attuali deve tenere contemporaneamente presenti e in relazione carità di “pronto soccorso” e carità di “promozione specializzata”. La nostra Congregazione cerca di tenere in equilibrio le due forme di “carità” con nuove partenze dai bisogni primari dei più poveri e con la loro promozione specializzata.
SECOLARIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA
Durante l’aiuto alle popolazioni del terremoto calabro-siculo, Don Orione si avvide che la solidarietà e l’assistenza non erano un campo di attività riservato alla Chiesa o prevalentemente svolto da istituzioni religiose. Alla secolarizzazione della società iniziata diffusamente con la rivoluzione francese era seguita, sia pure con un certo ritardo, la secolarizzazione o la laicizzazione dell’assistenza sociale. A questo fenomeno reagì la Chiesa italiana con atteggiamento di intransigente contrapposizione, “protestando – come ci riferiscono Pietro Borzomati e Maria Mariotti per quanto riguarda la Calabria – contro il mutamento politico che sottraeva all’influenza della Chiesa istituzioni e ambiti attraverso cui in passato maggiormente essa aveva fatto sentire la sua presenza nella società: istruzione, educazione, assistenza a poveri, malati, carcerati, ecc.”.[13]
Sulle macerie delle città distrutte incontrò le attività del Patronato “Regina Elena”, un’istituzione umanitaria laica sotto l’egida della Casa reale e con presidente la contessa Gabriella Spalletti Rasponi. Il Ministero degli Interni aveva i propri funzionari quali incaricati statale dei soccorsi. A portare aiuti giunsero organismi laici del tutto estranei – e qualche volta in militante contrasto – con le motivazioni religiose. Entrò in contatto con l’Associazione Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia che raccoglieva il fior fiore delle personalità della cultura italiana (Zanotti-Bianco, Gallarati Scotti, Von Hughel, Franchetti [“se tutti i preti fossero come Don Orione, mi farei cristiano anch’io”[14]], associazioni protestanti e massoniche. Non pochi di questi protagonisti laici della solidarietà finiranno per entrare non solo nell’orbita caritativa di Don Orione ma anche in quella della fede cattolica.
Don Orione trovò una realtà di assistenza molto laica e diversificata, dove quella religiosa era una tra le tante. Pio X gli disse: “Ti farai due volte il segno della croce, e poi va dalla Spalletti e portagli via gli orfani”[15].
Don Orione non solo prese a collaborare alacremente e “da sacerdote” con tutte le persone in campo, ma divenne il loro riferimento morale. Divenne il primo collaboratore della Spalletti tanto che poi Pio X fece i complimenti a Don Orione: “Lei è diventato il primo santo del calendario della Spalletti”. E Don Orione commentò: “L’espressione mi fece tremare perché la Spalletti ha pochi santi cattolici nel suo calendario”.[16]
Del laicissimo Patronato Regina Elena fu addirittura nominato Vice-Presidente sia a Messina che nella Marsica. Strinse con lo Stato una collaborazione intensa. A Messina, si attirò non pochi guai e opposti sospetti per la sua frequentazione con esponenti del pensiero modernistico. Divenne il coordinatore del soccorso proveniente dal mondo ecclesiale, fu il referente della carità del Papa, mobilitò numerose congregazioni religiose nell’aiuto a chi aveva perso tutto, nell’assistenza a feriti, nell’educazione di orfani. Pio X lo nominò Vicario generale di Messina ove rimase per ben 3 anni.
Ebbene, quanto avvenuto in quel contesto di Reggio e Messina ha qualcosa da dire anche oggi. L’assistenza, rispetto a quei tempi, è andata sempre più secolarizzandosi: l’assistenza statale ha avuto un grande sviluppo legislativo e pratico; sono oggi innumerevoli le organizzazioni laiche pubbliche e private, con molti mezzi e persone.
A CONCLUSIONE
Vorrei concludere con un ricordo e una parola di Don Orione.
Certamente la Provvidenza volle e la storia documenta che durante gli anni della ricostruzione dopo il terremoto, Don Orione si dedicasse di più a Messina rispetto a Reggio e alla Caloria. Avrebbe voluto moltiplicarsi. “Io pure vorrei venire – scrisse il 10 0ttobre 1909 a Mons.. Cottafavi che lo invitava a Reggio -. Ma che vuole? Alla mattina è già sera, e alla sera è già mattino, e la mia vita è una ruota. Ho però molta salute e una volontà di ferro: sento Dio che mi assiste quasi in modo visibile. Ora cercherò di centuplicarmi: preghi per me!”.
E intanto si accontentava di arrivarvi con il desiderio, con i progetti: “Sa che metterò i miei a Reggio? Così a Reggio vorrei metterci l’oratorio festivo e una scuola di religione con palestra, ma che la scuola di religione fosse seriamente fatta pei giovanotti studenti. È la sua città; che me ne dice? È contenta? Vede che non abbandono la Calabria, e che sono anch’io calabrese?”.[18]
Di fatto Don Orione si dedicò a Reggio e vi fu presente negli anni successivi, dopo la prima emergenza, stringendo una santa e fruttuosa amicizia con P. Gaetano Catanoso e Salvatore De Lorenzo. Il frutto più duraturo e benemerito è l’Opera Antoniana delle Calabrie, iscritta profondamente nel cuore e nella storia di Reggio. In essa continua ancor oggi la presenza dei suoi Religiosi, come a Tre Mulini continua la presenza delle Suore.
Giustamente, ai Calabresi di oggi, Don Orione ripete: “Vedete? non abbandono la Calabria, e sono anch’io calabrese”.
[1] Notizie e documenti in Aa.Vv., Don Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza (citato con sigla DOPO), Roma, il vol. V dedicato al terremoto calabro-siculo e il vol. VI dedicato al terremoto della Marsica. Cfr. G. Papasogli, p.180-228; I. Terzi, Don Luigi Orione e l'opera svolta a Reggio dopo il terremoto del 1908, Rivista Storica Calabrese, 15(1994), 25-38; P. Borzomati, L'esperienza calabro-sicula e il terremoto del 1908 in AA.VV. La figura e l’opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell’incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990, Vita e Pensiero, Milano 1994, p.169-180; G. Caruso, La costellazione “Orione” a Reggio. 1908-1996: un viaggio nella storia, Jason editrice, Reggio Calabria, 1996.
[2] Scritti 10, 212.
[3] Scritti 59, 78.
[4] Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909-1912, a cura di Giovanni Venturelli, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1989. In realtà il volume inizia con il 28 dicembre 1908; presenta e ordina la documentazione dei quattro anni di Don Orione a Messina e sullo scenario della ricostruzione dopo il terremoto.
[5] Cfr. Giuseppe Butturini, Breve storia della carità. La Chiesa e i poveri. Gregoriana, Editrice, Padova, 1989.
[6] “Noi siamo per i poveri, - anzi per i più poveri e più abbandonati”, Scritti 62, 32; “Devo ben chiarire che noi siamo i preti dei poveri, e siamo per i poveri più infelici e abbandonati: per quelli cioè che sono i così detti rottami, il rifiuto della società”, 75, 123; “Non poniamo alcun limite nell’accettare quelli che sono veramente miseri: è la Provvidenza che ce li manda, e sono nostri fratelli. Teneteveli cari: li riceverete alla porta, scoprendovi il capo, e li accoglierete con i segni più affettuosi della carità di Gesù Cristo, e d’in ginocchio bacerete loro le mani e i piedi” (97, 251).
[7] Questa carità di “pronto soccorso” è nota primaria in Don Orione, anche se non esaustiva. Don Bosco e il Murialdo erano coscienti dei limiti delle loro scelte di prima risposta, ma erano altrettanto convinti che esse erano necessarie: i ragazzi non possono aspettare, se non li raccolgo oggi, domani finiranno in prigione. Simile scelta è stata rifatta oggi in modo radicale da madre Teresa di Calcutta: «Nel mondo c’è chi lotta per la giustizia e per i diritti dell’uomo. Noi non abbiamo tempo, perché siamo in contatto quotidiano con uomini che continuano a morire di fame o a causa di malattie facilmente guaribili. Se io mi mettessi a lottare per la giustizia i più bisognosi che oggi verranno a casa mia morirebbero per non aver un bicchiere di latte da bere. Per me la cosa più importante sono i bisognosi di oggi; nella Chiesa alcuni hanno una vocazione, altri un’altra. Quello che conta è essere uniti nel Signore nell’obbedienza al Papa di Roma». Per don Bosco, cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia…, II, 382-386; per don Murialdo: Castellani, Il beato Leonardo Murialdo…, II, 237-241; per madre Teresa: Gonzalez-Balado, My life…, 124.).
[8] Scritti 97, 251.
[9] Scritti 61, 169. Parlando del principale istituto di carità di Genova, destinato a disabili gravi mentali e psichici, scrive: “Io vorrei fare di Paverano un Istituto di cui la Provincia e Genova abbiano sempre più ad onorarsi: carità e scienza!” (47, 245).
[10] Scritti 57, 169.
[11] Scritti 111, 125.
[12] E. Gatz, Attività caritativa, in Storia della Chiesa (Jedin, a cura di) X/1,394.
[13] Maria Mariotti, La Chiesa a Reggio Calabria fra Ottocento e Novecento, p.13, in Aa.Vv., La figura e l’opera del canonico Salvatore De Lorenzo, Reggio Calabria 1993; cfr Pietro Borzomati, Aspetti religiosi e storia del Movimento Cattolico in Calabria (1860-1919), Rubbettino, Soveria Mannelli 1992.
[14] DOPO,VI, 425.
[15] Processo Apostolico di Pio X, XVIII, p. 648.
[16] DOPO, V, 77.
[17] Scritti 20, 97b.
[18] Scritti 48, 166.