GENNAIO 1915, ORE 7.55: TERREMOTO, 28.000 MORTI.
Don Orione fu tra i primi soccorritori. E' ricordato come personaggio mitico. Fu martire dei soccorsi.
13 GENNAIO 1915, ORE 7.55: TERREMOTO, 28.000 MORTI
Ricordo l’anniversario del terribile terremoto della Marsica con una lettera di Don Roberto Risi, principale collaboratore di Don Orione a Roma.
Egli, da Roma. informa Don Sterpi a Tortona dell’attività di Don Orione subito dopo il terremoto. La lettera è datata 22 gennaio 1915. Il terremoto era avvenuto il 13 gennaio precedente.
Leggiamola.
"22-1-1915. Oggi col Direttore siamo stati ad ossequiare il Vescovo di Tortona Mgr. Grassi. Non l’abbiamo trovato e ci hanno inviati dal Cardinale Della Volpe. Lo abbiamo incontrato sulle scale, che usciva accompagnato da due altri Vescovi. Quando sentì D. Orione si levò il cappello dicendo: tocca a me levarmi il cappello.
Uno dei Vescovi conobbe il Direttore, era mgr. Gavotti, l’Arcivescovo di Genova, il quale disse: D. Orione è l’uomo della carità e colla carità ci va fino alla fine del mondo ricordandogli che gli aveva accolto, credo a Cuneo, un orfanello di Casale. Il Direttore fu assai contento.
Il Direttore (cioè Don Orione) è partito alle 7 per Avezzano, dove va, ufficialmente incaricato dal Patronato, a stabilirsi in una baracca per organizzare la raccolta degli orfani di tutti i luoghi terremotati.
Forse domani parte anche Mgr. Bianchi ad aiutarlo per qualche giorno. Dice che può spedirgli ad Avezzano fermo posta telegrammi e lettere.
Qui in questi giorni è stata una baraonda: tutte le ore arrivavano orfani. Una sera alle 10 ½ ne giunsero ben 24. Stesi quattro materassi e poi 12 di qua e 12 di là col tappeto dell’altare sopra feci loro passare la notte, alla bene meglio, contenti però, che da 4 giorni dormivano per le campagne.
Ne abbiamo uno che che venne estratto sabato alle 3 ½ dalle macerie.
A S. Giovanni sono 64; altri 17 alla Colonia; 81 in tutto. Però il Direttore ne vuole accettare altri 15.
L’altro ieri salì coll’automobile a metri 1300 per raccogliere orfani negli Abbruzzi. Vide parecchi lupi. L’automobile per il gelo slittò, e non potevano più proseguire con 6 orfani quasi morti e gelati: per fortuna sopraggiunsero altre 2 automobili e così poté ritornare ad Avezzano, di dove con 40 orfani ritornò a Roma col treno reale in poche ore.
Ora è felice perché tutti gli orfani devono passare per le mie mani. Farebbero pietà ai sassi, solo al vederli.
Speriamo che Dio, padre degli orfani ci vorrà sempre più benedire per il bene che si fa a questi infelici nel nome santo suo".
È molto interessante questa lettera perché vi troviamo descritti, "in diretta" epistolare, quegli eventi che formarono l’epopea eroica dei soccorsi portati nella Marsica da Don Orione.
Vi troviamo la baracca-direzione di Don Orione, l’accoglienza degli Orfani ad Ognissanti e alla Colonia Santa Maria, l’episodio dei lupi attorno all’automobile di Don Orione con gli orfani bloccata nella neve. Vi si dice che 40 orfani tornarono a Roma con Don Orione nel “treno reale”; probabilmente non fu concessa l’auto che Don Orione voleva requisire al seguito del Re, ma ottenne di portarli a Roma con il treno riservato al Re in poche ore.
Invece, da un altro documento, veniamo a sapere che un camion fu veramente destinato il giorno dopo ad uso di Don Orione dal Ministero degli Interni, come risulta dal Telegramma – datato 23 gennaio 1915 (doc. 3120) - che legalizza il dono dell’autoveicolo… che era stato requisito durante la visita del Re ai terremotati.
Ecco il telegramma:
“SR – Avezzano – 660 0 23 13.35 – MR INT UFF TERR RM.
Assicuro aver messo a disposizione Don Orione un camion per raccogliere orfani patronato Regina Elena. PR Commiss Palliccia”.
Un'altra testimonianza interessante è quella data da Ernesto Campese, Segretario di Prefettura del Ministero degli Interni, personaggio eminente, che andò a incontrare Don Orione nella "baracca-direzione" dell'opera di soccorso:
"Dov’è Don Orione? Mi indicano un vasto tendone. Mi avvicino. Vagiti di bimbi. Entro. Don Orione è lì. Non vedo gli altri; vedo Lui. Seduto su di uno sgabello; ciascun braccio sostiene un bimbetto; li ballonzola sulle ginocchia, li acqueta con la ninna-nanna e chiede i biberon; chiede, insiste: «datemi i biberon!».
Questi è Don Orione. Un piccolo prete striminzito; una tonaca frusta e impillaccherata; e due piedoni grossi così, in scarpacce ingobbite e scalcagnate. Ma quella sua testa piegata sul collo magro, e quegli occhi – gli occhi di Don Orione – che ti guardano tristi e mansueti!".
E un altro episodio, raccontò Ernesto Campese.
"Ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano, e fui colpito da questo prete in così cattivo arnese, che correva qua e là, ovunque portando fiducia. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave fra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano!, mi guardava come quando da ragazzo, quando ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre.
Poi mi chiese: «A che punto siamo in fatto di religione?».
Io gli risposi: «Tabula rasa».
E lui: «Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?».
Ed io: «Eh! Se mi si mostra!».
E Don Orione: «Vedi ogni giorno di fare un pochino di bene».
Prima di diventare poesia la vita è amore e sacrificio.