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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi, n.3, marzo 2021

Vita dura per chi ha delle idee, delle verità, dei principi e voglia resistere all’onda liquida del pensiero e dei costumi! Passa per fondamentalista o per rompiscatole. Eppure...

LA VERITÀ NELLA CARITÀ

La testimonianza cristiana e la sindrome del rompiscatole

 

Don Flavio Peloso

Ricordando il dies natalis di Don Orione – la sua morte avvenne a Sanremo il 12 marzo 1940 – desidero accennare ad uno degli aspetti che lo caratterizzano: la grande capacità di conciliare l’amore alla verità con la capacità di dialogo, l’ortodossia con l’apertura a persone e a idee.

Fondati o fondamentalisti?

In questo nostro tempo, caratterizzato non più solo dalla tolleranza ma dall’indifferenza verso idee e costumi altrui a prescindere da un giudizio di valore, l’equilibrio tra identità e dialogo è ricercato da sempre più pochi. Nella cultura dominante chi poggia su basi solide spesso è sospettato di fondamentalismo; chi afferma (tiene ferme) delle «verità» è considerato un portatore di instabilità e di intolleranza nella convivenza sociale liquida, in continua evoluzione, senza identità.

La convivenza pacifica - in famiglia, nella società e tra i popoli - non è più ricercata come frutto del dialogo e del progresso – che portano sempre qualche tensione –, quanto piuttosto come risultato dell’indifferenza verso qualunque idea e costume (vivi e lascia vivere). Avendo rinunciato a dei criteri comuni di vero, di buono, di giusto, conta solo l’adeguarsi al “così fan tutti”, alla maggioranza del “mi piace”, con un conformismo che evita i problemi.

Vita dura, oggi, per chi ha delle idee, delle verità, dei principi e voglia resistere all’onda liquida del pensiero e dei costumi! Molti preferiscono la tranquillità del lasciarsi trasportare in una inclusione senza comunione, senza più l’assillo di verità razionali o di fede che criticano comportamenti inadeguati e indegni ed educano al bene dell’uomo.

Don Orione, “un cuore senza confini”, uomo di comunione e di progresso, ebbe una capacità straordinaria di dialogo e di simpatia e non trovò ostacolo, piuttosto fondamento ed energia, nelle verità attinte dalla ragione e confermate dalla fede cristiana. Non deviò mai dai principi del dogma e della morale per poter dialogare ed entrare in comunione con le persone, anzi avvicinò e affascinò tutti alla verità, al bene, alla vita cristiana. La sua era una fede illuminata, solida e calda di amore.

«Più fede, ci vuole più fede”, diceva Don Orione. «Di fede dobbiamo riempire tutte le arterie umane, tutte le vie del mondo. Senza fede avremo il gelo, la decadenza, la morte: senza fede è sterile, è nulla, è vuota la scienza e la vita». La fede è «non solo una forza religiosa, una forza di carità, ma anche una forza dottrinale, una forza di sana e purissima e forte dottrina filosofica e teologica».

La crisi della civiltà moderna è una crisi di verità, e dunque di realismo, attuata in nome di una emancipazione smisurata del soggettivismo che svuota di contenuto il bene e la vita.

Rompiscatole o benefattori?

Noi cristiani, con i nostri principi e valori, con i nostri dogmi e tradizioni, non siamo dei “rompiscatole” della paciosità dominante. Siamo piuttosto degli antibiotici e benefattori della salute umana e sociale minacciata dall’ignoranza e dalla depressione del male. Per esserlo è sufficiente vivere la vita buona e i semi di futuro della comunione in Cristo. Non occorre contraddire; è la vita il segno di contraddizione, il lievito, il sale.

Don Giuseppe De Luca, tracciando un profilo del Papa Pio X e di Don Orione, ha detto che furono «non nemici del loro tempo, ma nemmeno entusiasti, intelligentissimi di natura». Così dobbiamo essere anche noi oggi, “simpatici” con il nostro tempo, cioè partecipi dei guai e portatori di speranza con quello che siamo e viviamo. La simpatia per essere autentica ed efficace deve essere fondata sulla verità, custodita dall’umiltà e attuata nella carità. Diversamente, e direi inevitabilmente, la simpatia viene ingannata e travolta dalle proprie passioni umane o da quelle indotte dall’ambiente e ancor più, oggi, dall’influenza della comunicazione.

Come sacerdote, in parrocchia, mi è chiesto spesso di svolgere un semplice servizio di conferma dei fratelli e sorelle di fede che si trovano smarriti in questo mondo dove tutto è ridotto a opinione, dove è escluso ogni giudizio di valore, dove “nella notte nera tutte le vacche sono nere” (Hegel), dove tutto è indistinto. Essere fondati sulle verità di natura, di ragione o di fede, non è un difetto che nuoce alle relazioni umane, non disturba la convivenza in famiglia e in società. La natura, la ragione e la fede sono “di tutti”, sono ecumeniche, sono il fondamento più profondo della comunione personale e della coesione sociale.

La prova di Don Orione

Don Orione ha vissuto e trasmesso la convinzione che «la verità non nuocerà alla carità, ma la alimenterà». La sua vita fu tutta una prova di come la verità sia il cemento della carità e della comunione, “carità sì, sempre, ma mai disgiunta dalla verità: «facientes veritatem in charitate».

«Vidi all’Università Cattolica – così racconta Carla Cavazzoni – inginocchiarsi davanti a lui un professore dell’Università di Padova, ateo convintissimo, che non si era mai inginocchiato prima di allora. Questo professore, che precedentemente aveva inutilmente discusso con teologi e filosofi delle più illustri Congregazioni cattoliche, restando sulle sue posizioni ideologiche, dopo due mesi si confessava da Don Orione. A chi gli domandava come mai quel povero prete di campagna l’avesse convertito, rispondeva: «Ma Don Orione è un santo. Non può esser che vera una fede che eleva l’uomo a tanta altezza».

Don Ernesto Buonaiuti, personaggio di spicco del modernismo in Italia e scomunicato vitando, conosceva bene la piena “ortodossia papale” di Don Orione eppure l’ebbe caro amico: “Il ricordo delle parole ch’ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio”. Trovò in Don Orione la simpatia della verità e della carità. Come quando, all’Istituto di Via delle Sette Sale, a Roma, invitò i suoi chierici a salutare lui, già in abiti civili, e a baciargli la mano. Don Orione spiegò quel gesto come un atto di stima verso di lui e di fede nella “fronte segnata dal segno sacro” indelebilmente anche se scomunicato.

Papa Pio X gettò Don Orione nella mischia liberale e anticlericale del Patronato Regina Elena che si occupava degli orfani dopo il terremoto di Messina del 1908: “Ti farai due volte il segno della Croce, e poi va’ dalla Spalletti, e vedi di portarle via tutti gli orfani”. E così fu, anzi fu nominato Vicepresidente di quel Patronato. “Sei mesi dopo circa, all’onorevole Chimirri (massone), stupito che la Spalletti avesse messo nelle mani di un prete gli orfani del disastro di Messina, gli uscì detto: ‘Lei è diventato il primo santo del calendario della Spalletti’, espressione che mi fece tremare – commentò Don Orione -, perché la Spalletti ha pochi santi cattolici nel suo calendario”.

Tomaso Gallarati Scotti riferì: “Io parlai con uomini che allora erano molto lontani dallo spirito di don Orione, dalla fede di don Orione, rappresentavano il polo opposto di don Orione. Parlo di Sonnino, di cui tutti sanno qual era lo spirito nettamente anticlericale; parlo di Leopoldo Franchetti, altissima anima, generosissima nel comprendere i bisogni del Mezzogiorno, ma che, oltre tutto, era israelita. Questi confidò: “se tutti i preti fossero come Don Orione, mi farei cristiano anch’io”. Erano affascinati da don Orione come da chi avesse dentro di sé qualcosa da dire al mondo, non solo all'Italia. Erano commossi quando parlavano con don Orione, erano umili di fronte a don Orione”.

L’esempio di san Luigi Orione ci dia fiducia nel vivere la nostra testimonianza cristiana, facientes veritatem in charitate”.

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