La capacità religiosa è iscritta nel genoma umano. In molti resta solo una potenzialità che, essendo presente ma non educata, spesso si esprime in modalità ingenue, anonime o anche aberranti.
Don Flavio Peloso
Ho sempre trovato interessanti i dati provenienti dalla fenomenologia della religione e dalle scienze che studiano la manifestazione della religiosità nella storia dell’umanità.
La mia attenzione è stata attratta recentemente da un articolo, apparso su “La Civiltà Cattolica” (n. 4088, p.132-139), di Joahn Verschueren, dal titolo Il sorgere della religione nella evoluzione umana. Vi si presentano le conclusioni di due importanti studiosi di antropologia e delle neuroscienze, M. Boone Rappaport e C. J. Corbally, condensate nel loro libro The emergence of Religion in Human Evolution (2019).
Comprendo che già l’inizio di questo Editoriale può scoraggiare non pochi, ma vi invito a proseguire perché ci sono notizie che sarete contenti di conoscere.
La capacità religiosa
I due autori affermano che l’Homo erectus (1,9 milioni di anni fa), da cui hanno avuto origine le specie umane più recenti, non sembra avere avuto una capacità religiosa, mentre questa è presente nell’Homo sapiens (circa 300.000 anni fa) che ha capacità neurocognitive molto più sviluppate.
Già la capacità morale segna una fase molto avanzata dell’evoluzione, perché essa è possibile quando vi siano due tipi di capacità neurocognitive: la prima è la capacità di fare riferimento al passato e di avere proiezione progettuale nel tempo futuro; la seconda è la capacità di interrogarsi e di dare spiegazioni a fenomeni ed eventi.
Ebbene, la capacità religiosa è a uno stadio successivo e superiore rispetto alla capacità morale, perché richiede ulteriori sviluppi, tra cui la presenza del gene FOXP2, di cui era in possesso l’Homo sapiens. Così dicono gli scienziati.
È importante venire a sapere che la capacità religiosa è basata su una caratteristica neurocognitiva del genoma, perché viene riconosciuto che c’è un fondamento biologico del fenomeno della capacità religiosa. Per i biologi, ogni attività dell’essere umano, anche il suo pensiero e la sua azione, non sono soltanto un’espressione culturale, cioè una elaborazione sociale, ma anche una caratteristica biologica. Insomma, è qualcosa nel nostro cervello che ci consente di comportarci religiosamente, di pensare religiosamente, di avere un’esperienza religiosa, di riconoscere altre espressioni religiose.
L’uomo è naturalmente religioso? No, l’uomo è naturalmente capace di religiosità. Quanto è importante sapere questo.
L’esperienza religiosa è ragionevole
Il libro ha linguaggio e contenuti scientifici, per noi profani difficili da collocare. Ma, come dicono gli autori, la tesi centrale afferma che il cervello e le capacità neurali che hanno permesso una nicchia economica e socio-cognitiva per i primi Homo sapiens sono gli stessi organi e le stesse capacità che hanno permesso l’emergere del pensiero religioso e dell’azione (p.192). Le prove archeologiche più antiche in tal senso si possono datare a circa 190.000 anni fa e sono relative solo alla linea evolutiva dell’Homo sapiens (cioè la nostra).
Evidentemente, i due scienziati, al termine delle loro ricerche, non intendono dare una spiegazione del fenomeno religioso, ma aiutano a capire che l’esperienza religiosa è ragionevole ed ha le sue origini nell’evoluzione della nostra specie; pertanto, il pensiero religioso non è “strano“, né un segno di debolezza, né un sintomo di “un modo di essere arretrato”.
Alla domanda: Perché la religione è tanto importante per così tante persone in tutto il mondo, durante tutta la storia conosciuta?, i due scienziati rispondono: “Perché è il nostro patrimonio biologico”. Indipendentemente dalle differenze culturali, l’esperienza religiosa è universale.
Capacità nativa
C’è anche un altro risultato dello studio di grande importanza per la comprensione della religiosità: “La capacità religiosa non viene insegnata o acquisita nel corso della crescita dall’infanzia all’età adulta, ma è un tratto cognitivo che varia da individuo a individuo, e permette a ciascun individuo di decidere se esprimerla o no” (Prefazione, p. XI).
Il senso religioso è nativo nella persona, ma è educabile come è educabile la capacità di apprendimento o la disposizione ad amare. Lo sviluppo del senso religioso avviene mediante simboli, gesti, esperienze, narrazioni, pensieri. Oggi, non è venuta meno la capacità religiosa nell’uomo moderno, ma la sua e-ducazione e la sua espressione. In molti resta solo una potenzialità che, essendo presente ma non educata, spesso si esprime in modalità ingenue, anonime o anche aberranti.
Il comportamento religioso e la capacità religiosa sono una possibilità biologica costitutiva che aiuta e identifica la nostra specie. Non è una creazione culturale ma un patrimonio naturale. Questo è importante ricordarlo di fronte ai “sospetti” che la religiosità sia una sovrastruttura umana spuria, frutto di patologia affettiva (Freud) o di alienazione sociale (Marx) o di frustrazione della volontà di potenza (Nietzsche).
Capaci di capire Dio
Bisogna comunque avere presente che il nostro parlare di Dio si svolge in una conoscenza imperfetta (cfr 1Cor 13, 9). Siamo inadeguati ma non incapaci di capire Dio. Noi continuiamo a cercare di avvicinarci al grande mistero di Dio con parole imperfette eppure sempre nuove, perché la conoscenza è in continua trasformazione.
Queste nuove scoperte delle neuroscienze, ad esempio, ci fanno pensare a come Dio creatore ci abbia disposto geneticamente con la capacità religiosa. Egli ha così messo l’uomo, ogni uomo e di tutte le epoche, nella condizione di intuire l’Oltre, Dio, di entrare in relazione con Dio “come a tentoni” (At 17, 27), prima, e, “ultimamente”, di poterlo riconoscere quando “nella sua benevolenza, nella pienezza dei tempi” (Ef 1, 10) ha deciso di manifestarsi nel “Figlio, irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1, 1).