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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi, giugno 2021, p.3-4.

Morì il 5 maggio 1821, solo e lontano dai fasti della sua gloria. Di lui Don Orione ricordò mito e fragilità e additò qualche buon insegnamento.

"EI FU", 5 MAGGIO 1821.

NAPOLEONE VISTO DA DON ORIONE

Don Flavio Peloso

 

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro…

Anch’io, a suo tempo, ho imparato a memoria questa ode di Alessandro Manzoni, scritta nel 1821, in occasione della morte di Napoleone Bonaparte, il 5 maggio 1821, esule nella lontana isola-prigione di Sant'Elena, uno scoglio sperduto nell'oceano Atlantico, a 1.900 km dalla costa africana. La notizia della morte si diffuse in Europa solo due mesi dopo. Il Manzoni ne fu informato dalla “Gazzetta di Milano” del 16 luglio, in un articolo che riferiva anche della conversione di Napoleone prima della morte. La notizia di una simile morte, solitaria e redenta, di un simile uomo, potente e glorioso, colpì l’animo di Manzoni e lo fece pensare e scrivere l’ode di getto, il giorno dopo.

“Così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale”.

Nei suoi versi, Manzoni mise in risalto le battaglie e le glorie di Napoleone, ma anche la sua fragilità umana e la misericordia di Dio.

 

Dal Manzoni a Don Orione

Sono passati 200 anni dalla morte di Napoleone, consegnato al mito per le sue imprese belliche e per il suo potere.
 “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, osservò il Manzoni.

Se quella morte fece pensare e riflettere Alessandro Manzoni, può ancora portare qualche buon pensiero e utile insegnamento anche a noi, oggi. Così la pensava anche Don Orione che visse a metà strada tra il 1821 e il nostro 2021. Napoleone è personaggio che ritorna più volte nella parola e nella penna di Don Orione, del quale metteva in luce potenza e fragilità, grandezza e miseria.

Dell’illustre stratega e imperatore è stato tramandato un mito e un’icona di forza e di autoaffermazione. Però, “Napoleone e mille altri che desolarono la terra e sulle cui orme lasciarono infamie, delitti e larghe strisce di sangue!”,[1] osservava Don Orione che dalla sua vicenda evidenziava la fugacità della gloria e della potenza terrena. “Ricordiamoci di Napoleone Bonaparte, il quale, benché fosse il terrore dei sovrani d’Europa e avesse innalzato il suo soglio potente e splendido sui troni dei re da lui umiliati, nulla meno… andò a finire i suoi giorni, schiavo degli inglesi, relegato sullo scoglio di S. Elena”.[2]

 

La reggia e il tristo esiglio

L’epopea di Napoleone, dominatore dell’Europa “dall’uno all’altro mar”, è così sintetizzata dal Manzoni:

“tutto ei provò: la gloria,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio:
due volte nella polvere,
due volte sull’altar”,

Don Orione medita: “Vanitas est honores ambire et in altum statum se extollere: Alessandro il Macedone e Carlo V, sui cui stati non tramontava il sole, Napoleone, Saladino… Dante diceva: che cosa è la fama, un po’ di vento che or vien quinci ed or va quindi, e muta nome per mutar di lato”.[3]

Comparando la grandezza di Napoleone a quella di Gesù e di altri grandi della storia della Chiesa, il nostro Santo osservava: “Napoleone fu salutato l'arbitro di due secoli. Se non che la cometa di Napoleone aveva una coda stillante sangue”.[4] “Nel campo civile, gli artefici delle rivoluzioni lasciarono ruine, sciagure dell’umanità, tutti anche Napoleone. Per questo il Manzoni si chiede «fu vera gloria?» e lascia a posteri l’ardua sentenza!”.[5]

Indubbiamente, Napoleone fu uomo di doti elevate e vincenti. Don Orione ne esaltava l’intraprendenza e la rapidità di azione che fecero parte del suo successo. Sappiamo come queste virtù eccelsero anche nello “stratega della carità” e furono da lui coltivate. Lamentandosi con i confratelli: “Abbiamo fatto poco, abbiamo perduto molto tempo in ciancie”, citava proprio le parole di Napoleone ai suoi soldati: “Una battaglia è perduta, ma sono le cinque e abbiamo tempo di guadagnarne un'altra: parole vespertine, che però a Napoleone valsero la gloria di Marengo”.[6] Alludeva alla sconfitta subita di primo mattino e alla vittoria riportata alla sera dello stesso giorno a Marengo, uno degli eventi più importanti della leggenda napoleonica.

Spronando a maggiore dinamismo apostolico, Don Orione ricordava: “Senza le nostre macchine Giulio Cesare girava l'Italia, le Gallie, la Britagna, la Spagna, l'Asia e l'Africa. Napoleone dalla Senna correva alle piramidi e vi piantava il vessillo imperiale! L’uomo si muove!”.[7]  E concludeva: “Non vi perdete in ciancie, non vi perdete in leggerezze, cari figlioli, è troppo prezioso il breve tempo della vita”. Napoleone diceva di sé: “Posso perdere una battaglia, ma non perderò mai un minuto”.

Quello che forse ha aggiunto al mito di Napoleone la nota di eccezionalità gloriosa e tragica è il contrasto tra la sua vita travolgente di successi e la sua morte avvenuta nella normalità più umana e desolata. Don Orione, non abbagliato dalla fama di Napoleone, puntò molto l’attenzione proprio su quest’ultima fase del declino della sua vita scorgendovi importanti luci di grandezza.

 

Fede ai trionfi avvezza

Per esempio, ricordava come Napoleone, sconfitto e relegato all’isola di Sant’Elena, ebbe un’apertura alla fede cristiana e andava ripetendo “Ho un’anima sola! Ho un’anima sola!”.[8] Richiamò alcuni aspetti religiosi della sua vita. “Quanto al Pater noster, chi non conosce il giudizio che ne diede il Napoleone? «Volete qualche cosa di sublime? Recitate il Pater noster»”.[9]

Napoleone ebbe in grande stima la Messa, come racconta Don Orione. “Esule a Sant’Elena, scrisse più volte al Governatore inglese e a Roma per avere un Sacerdote, raccomandando, diceva, la scelta di questo «medico dell'anima», che richiede una confidenza ben più grande che quello del corpo. Finalmente fu esaudito, e i sacerdoti Buonavita e Vignali, nel settembre del 1819, arrivarono a Sant’Elena. Napoleone diede subito ordini perché, al mattino seguente, vi fosse la Santa Messa. Qualcuno gli fece osservare che non si doveva avere troppo fretta. «Come! - disse Napoleone - è tanto tempo che sono privo di sì grande fortuna, e non dovrei goderne subito, ora che posso averla?»”.[10]

Sempre a riguardo della stima verso la Messa, Don Orione riferisce: “Napoleone esaminava un giorno il regolamento interno del celebre Conservatorio di Ecouen, e visto un articolo che prescriveva alle giovanette educande di assistere alla Messa le domeniche e i giovedì, si fece portare una penna e corresse di sua mano: ogni giorno!”.[11]

“Napoleone morì di crepacuore sul nudo scoglio di S. Elena; tutti i potenti lasciarono dietro sé lo sfacelo e la desolazione”.[12] Era il 5 maggio 1821. Nel pomeriggio del 3 maggio, l'abate Vignali gli aveva amministrato l'estrema unzione.

Bella immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

 

[1] Scritti 64, 267b

[2] Scritti 74, 38   

[3] Scritti 55, 70.

[4] Scritti 79, 255.

[5] Scritti 111, 71.

[6] Scritti 94, 188.

[7] Scritti 79, 10.

[8] Scritti 104, 271.

[9] Scritti 61, 34.

[10] Scritti 79, 161.

[11] Ibidem.

[12] Scritti 108, 86.

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