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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Beato Francesco Drzewiecki
Pubblicato in: Il Notes è pubblicato in F. Peloso - Jan Borowiec, Francesco Drezewiecki. N. 22666: un prete nel lager, 2da ed., Borla 2008, p.105-135.

Si tratta di una agenda alfabetica (cm.17x11), scritta con penna ad inchiostro in 35 fitte paginette, con note di diario personale dal 1939 fino all'agosto 1940.

Francesco Drzewiecki

IL  N O T E S

 

                NOTA INTRODUTTIVA

              Don Franciszek (Francesco) Drzewiecki è stato riconosciuto "martire" e proclamato "beato" da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999.
                    In occasione della ricerca di documentazione e di testimonianze per la causa di beatificazione, la famiglia di don Francesco Drzewiecki ha gentilmente fornito notizie e materiale prezioso. Fra i ricordi, si trovava anche un
Notes di Don Francesco, un diario abbracciante il periodo di tempo che va dai primi giorni di luglio del 1939 al 20 agosto del 1940.
                Molto probabilmente, Don Francesco cominciò a scrivere questo
Notes durante la sua prigionia a Lad, nel convento dei Salesiani, nel marzo del 1940, dove i reclusi godevano di una certa autonomia interna. Infatti, prima di questo mese le notizie sono riassunte, mentre poi si trasformano quasi in diario, riportate nel giorno preciso.

                Si tratta di una agenda alfabetica (cm.17x11), scritta con penna ad inchiostro in 35 fitte paginette. Probabilmente fu lasciata da Don Francesco a qualche altro sacerdote rimasto nel carcere, prima del suo trasferimento dalla prigione di Lad verso Dachau , avvenuto il 26 agosto 1940. 
                Il Notes è scritto in gran parte in italiano, con molte abbreviazioni e l'opera di decifrazione (di B. Majdak e P. Ciaponi) ha comportato notevoli difficoltà.

                 Il Notes nelle nostre mani è un documento di grande valore storico e costituisce uno specchio fedele del servo di Dio don Francesco Drzewiecki, del suo cuore sacerdotale, pienamente consacrato a Dio e al pros­simo. La lettura di questo documento, provvidenzialmente scritto e conservato, ci permette di conoscere un frammento di vita di grande interesse umano e spirituale e fa intravedere il dramma e l'eroismo consumatisi nel tremendo periodo invasione tedesca della Polonia.

                      L'orionino Francesco Drzewiecki e 107 Compagni martiri sono stati beatificati da Papa Papa Giovanni Paolo II, il 13 giugno 1999.

 

 

Anno Domini 1939

 

               Dopo l'anno scolastico 1938/39, a Zdunska Wola ho ricevuto l'ordine di recarmi a Wloclawek, in parrocchia, per aiutare giacché Don Florczak stava poco bene. Sono arrivato a Wloclawek nei primi di luglio del 1939. Ho tro­vato Don Florczak già in stato di convalescenza; è stato molto contento della mia venuta.  C'era lì an­che Don Burzyinski come vicario.

                Mi trovai bene; il tempo passava presto, special­mente in compagnia del Canonico Nowicki, bravo sacerdote che dimorava al Cottolengo come in pensione. Andavo con il Canonico a far delle passeg­giate nel bosco che si trovava in vicinanza della nostra parrocchia. Il Canonico conduceva con sé due cani: uno chiamato Remis, l'altro, piccolo e bianco, Szampus.  A questi cani lui era molto affezionato.  Per lunghe ore parlava di essi, tanto che persino ci annoiava; in una parola: amava le bestie.

                Io intanto mi accingevo al lavoro.  La prima cosa principale erano le  prediche che dovevo fare nelle feste e nelle domeniche, due o tre.  Mi mancavano i libri.  I miei soci, cari, avevano poca volontà di prestarmeli.  Per fortuna che ho portato con me i quaderni con le prediche da Zdunska Wola.

             Le Messe nei giorni feriali le dicevo nella cappella delle suore Niepokalanki (dell'Immacolata ndr.) alle ore 6.00; nelle domeniche e nelle feste dovevo binare.  Ordinariamente cantavo l'ultima messa solenne in parrocchia alle ore 11.00; dopo capitava qualche battesimo, o qualche malato da visitare, oppure l'adunanza di qualche Associazione Cattolica alle 3:00 pomeridiane.  La Benedizione del Santissimo alle suore Niepokalanki, e il Santo Rosario.

                Alle ore 4:00 il Vespro in parrocchia, dopo il Vespro: adunanza di qualche Associazione.  Nelle domeniche poi bisognava stare in confessionale lunghe ore, cosicché alla sera e tutto il giorno seguente, mi sentivo stanco ma allegro perché ho potuto fare qualche cosa per le anime e per la gloria di Dio: lavoravo sempre volentieri tutto per Iddio. Pensavo e ripensavo ai poveri della parrocchia, special­mente a quelli di Grzywno, per portare loro almeno una parola di con­forto.

                   Povera gente! Mi sono molto commosso per la loro situazio­ne: per esempio, in una stanzetta bassa bassa, vedo il padre che giace nel letto paralizzato già da 6 settimane, intorno 6 bambi­ni dei quali la maggiore, una ragazza di 12 anni, aveva mal di occhi e non poteva guardare alla luce; piangeva in continuazione; gli altri bambini erano mezzi nudi, magri, affama­ti, pieni di  vermi. La madre non c'era, essendo uscita tre settimane prima in cerca di lavoro e pa­ne. Mi son commosso molto. I casi come questo sono molti; povera gente! Famiglie numerose senza lavoro e pane.  La fame é cattivo consigliere.

                Se si potesse aiutare questa gente, come sarebbero con­tenti e bravi, e a quanti mali si potrebbe rimediare. Per esempio, le ragazze si danno alla vita cattiva e si scu­sano dicendo che sono costrette.  Oltre alla brava gente ci sono anche persone cattive, comunisti. Quando tornavo da Grzywno, piangevo per la strada e pregavo il Signore.  Ho applicato anche parecchie SS. Messe per questa intenzione.   

 

Agosto

Nei primi giorni è arrivata una lettera da Don Nowicki, 'ispettore',  con la  notizia che  Don Brzynski e Don Florczak dovevano recarsi a Zdunska Wola per fare i Santi Spirituali Esercizi.. Io dovevo restare in parrocchia. Sono rimasto solo per 10 giorni. Dopo è tornato solo Don Florczak, ma è peggiorato di salute.  Il 13 agosto è andato in duomo per assi­stere alle funzioni della consacrazione del nuovo Vescovo ausiliare Mons. Michal Kozal.

 

                Il 15 agosto, nella festa dell'Assunta, ho fatto in parrocchia la predica: è riuscita bene. Era un po' patriottica, la gente piangeva.

                Sul finire dell'agosto si sentiva parlare della guerra vicina; c’era dappertutto mobilizzazione di soldati e cavalli.

                E' venuto a visitarmi mio fratello Jasiek; eravamo contenti parlando del­la nostra famiglia.

                Dalle suore Niepokalanki avevo un po' di compagnia: c'erano alcune per­sone da Warszawa e Lòdz: la sorella di Sr. Lidia, la signora Kfatanska e Ligus, un piccolo ragazzo. Ho fatto qualche foto.

       

Settembre

                Il 1° settembre del 39 scoppiò la guerra.  C'era speranza? no!  C'è stata una preparazione contro; maschere anti-gas.  E' stato fatto tutto in poco giorni, cosicché il nemico che è forte, in pochi giorni passerà per tutta la Polonia. Nei primi giorni vedevo i soldati polacchi che scappavano da quella lotta spaventosa. Soffrivano di fame; ai feriti davamo aiuto noi. Anche tutte le suore erano occupate nei soccorsi.  La gente dalla Pomerania spaventata scappava portando con se pacchi, bestiame e tutto ciò che fecero in tempo a prendere e depositarono nella nostra casa. Sotto la chiesa erano ospitate cento persone.  Si sentiva dappertutto grida e pianto di bambini che soffrivano disagi e fame.

                Io confessavo ovunque, in chiesa, in città e, nel bosco, i soldati. I nostri, al­cuni del Cottolengo, volevano scappare per sfuggire al pericolo; anzi c'era il comando di evacuazione, ma era già passata tanta gente e tanta ancora si accumulava vicino alla no­stra casa, nel cortile, cosicché era impossibile fuggire; tant'è vero che c'era bisogno di venire in aiuto portando conforto. Servivo i malati e feriti.

                Molta gente della città fuggì. Fuggirono perfino i preti, tutti, meno cinque o sei, più coraggiosi, rimasti insieme con Mons. Kozal, nascondendosi dalle pallottole nelle cantine forti del Seminario.

                Ogni tanto, a distanza di alcune ore, passavano sopra Wloclawek aeroplani nemici bombardando, dappertutto seminando il panico, gettando bombe, cagionando incendi in diverse parti.  Per molti giorni, in città ci furono incendi, tanti feri­ti e morti. Io aiutavo preparandoli alla morte, giacché anche i preti rimasti in città, dal seminario non potevano muoversi. Mi sono fatto coraggio e, in bicicletta, giravo dappertutto non pensando al pericolo per servire i poveri moribondi. Una volta, di sera, in bicicletta partii senza cappello, perché mancava il tempo, e c'era stato un incidente e molte vittime causate dallo scoppio di bombe. La gente che mi vedeva correre per strada velocemente si spaventò  pensando che io fuggissi... Ma come erano contenti vedendomi dopo tornare! Dovevo servire i malati nelle due parrocchie, dove non c'erano preti, specialmente nella parrocchia di San Giovanni.

                Di giorno andavo nel bosco, dove confessavo i soldati sotto la protezione di un pino. E questo per parecchi giorni.

                Una volta, capitò un fatto tremendo: mentre confessavo, apparvero degli aeroplani che cominciarono a bombardare il luogo dove eravamo. I nostri cannoni cominciarono a difendere.  Tutti i soldati - ed erano almeno un reggimento - erano molto spaventati, e maggiormente io. Mi sono messo sotto un albero e, steso a terra, alzai con la mano il quadro della Madonna Ssma, raccomandandomi sotto la protezione di Essa.  I soldati recitavano l'atto di dolore, pronti a morire. Io stavo già per dare a tutti l'as­soluzione generale, ma dopo un breve momento di bombardamento tutti furono salvi, senza nessun danno; fu per la protezione della Madonna che siamo usciti salvi da questo pericolo.

                Questo quadro era di mio fratello Giovanni il quale fuggendo ha portato tutta la sua roba da me, ed anche quel quadro della Madonna Santissima. Portavo sempre con me questo quadro quando andavo a confessare i soldati. Lo mettevo sulle mie ginocchia, dicevo ad ogni soldato di baciarlo dopo l'assoluzione sacramentale come atto di penitenza... io li confortavo dicendo qualche parola e abbracciavo e baciavo la loro testa. Poveri soldati s'intenerivano e piangevano!  Poveri soldati erano stanchissimi, avevano fatto a piedi 60 km al giorno e ciò per parecchi giorni.  Erano senza cappellano ed avevano bisogno di cura spirituale

                L'esercito si accampò nei boschi, in vicinanza della nostra parrocchia, giacché li ci doveva essere la terza linea della difesa, cioè dovevano far opposizione al nemico proveniente da oltre la Vistola. Ma siccome non c'era nessuna speranza di opporsi, poiché l'esercito del nemico era molto forte e armato ed avanzava sempre più velocemente, il nostro esercito si è ritirato andando verso Kutno, e forse meglio se si è fatto così, giacché i tedeschi avrebbero aggredito dall'altra par­te, cioè da Kowal, come veramente accadde, e allora i nostri si sarebbero trovati tra l'in­cudine e martello.  Per esempio ritirandosi hanno rotto il passaggio attraverso la Vistola facendo saltare con la dinamite il ponte di ferro appena inaugurato l'anno scorso.

                I tedeschi cominciarono a sparare con i cannoni pesanti dall'altra parte della Vistola. I nostri non fecero in tempo a fuggire, ma anzi cambiando le posizioni, si allontanarono dalla nostra casa. A qualcuno risposero con i cannoni: doveva essere una grande battaglia. I nostri soldati pensarono bene di dare l'ordine alla gente di evacuare, si può immaginare allora, lo spavento della gente: dove scappare, e del resto non c'era il tempo, poiché i cannoni non cessavano la mu­sica.  Chi poteva e chi era pauroso fuggiva, ma la metà della gente era rimasta ripa­randosi dai proiettili nelle cantine o nei boschi.

                Nella nostra casa, sotto il Cottolengo e sotto la chiesa, luogo un po' sicuro, si è rifugiata tanta gente della città, da Grzywno, rifugiati anche dalla Pomera­nia i quali, dopo il viaggio con i bambini, erano stanchissimi e non volevano andare più a­vanti.  Era pieno dappertutto e c'erano alcuni sprovvisti del vitto, poiché scappando da casa non avevano fatto in tempo a prenderne, oppure era già tutto esaurito e quindi il provvidenziale Cottolengo doveva pensarci e provvedere a tutti. Almeno davamo quello che c'era, cioè le patate, il pane, il tè, e lo zucchero. Di zucchero ne avevamo in ab­bondanza, parecchi quintali, dal momento che prima che scoppiasse la guerra si poteva andare al porto a prenderne gratis, altrimenti doveva essere gettato in acqua.

                Come era contenta questa gente, avendo un tetto e un di pezzo di pane.  Le nostre suore hanno dato prova di sé. Io giravo fra loro e confortavo come potevo e mi sentivo contento di poter fare qualche cosa per le anime e per Iddio.  Tutta questa gente aveva vissuto la paura della guerra ed abbisognava quindi di un conforto, di una pa­rola di incoraggiamento.

                Il 3 di settembre si sentiva già il rimbombo dei cannoni. Era il primo venerdì del mese e la chiesa era piena di gente (era domenica. Ndr). Tanti si sono confessati; c'ero solo io a confessare.

                Il 4 di settembre la Madre generale Walterowa mi ha telefonato e mi ha chiesto di in­cominciare i Santi Spirituali Esercizi dalle suore del noviziato, perché il predica­tore, un camilliano, era impedito. Io accettai.  Mi son recato alla sera, ho parlato un po'; ma come si poteva parlare o fare i Santi Spirituali Esercizi, mentre tuonavano i cannoni e gli aeroplani bombardavano? Ad ogni modo ho incoraggiato in breve. I Santi Spirituali Esercizi dovevo farli perché dovevano fare i Santi Voti e altre candidate dovevano essere accettate al noviziato.

                Il giorno 8, la Santa Festa della Natività della Madonna Ss.ma,  Don Florczak, al­quanto malato, ha ricevuto i voti delle suore dell'Immacolata e ha detto l'ultima Messa della sua vita.  Dopo si ammalò gravemente.

                Dall'8 di settembre cominciò il bombardamento di Wloclawek. Era la guerra vera, ossia l'aggressione dei tedeschi, da oltre la Vistola e dalla parte di Torun. Fu un grande spavento. Molta  gente veniva da noi per ripararsi dalle bombe.

                Noi abbiamo nascosto la roba nei buchi, perché non fosse presa dal fuoco. Molta roba l'abbiamo messa sotto le scale.

                Sono venuti i nostri soldati e ci hanno dato l'ordine di fuggire, perché in Wloclawek presto ci sarebbero state ceneri e macerie. Anche qui ogni tanto fischiavano le bombe.

                Il signor canonico Nowicki si è deciso a fuggire con un suo cane e la "perpetua". Don Florczak, che stava a letto, si aggravò.

                Io ero chiamato ogni qualche ora da un malato, perché nelle parrocchie i preti erano tutti fuggiti, ma io ho deciso di fermarmi.

                Bisognava ancora rinforzare il luogo di riparo, il così detto schron (rifugio) che si trovava sotto la casa del Cottolengo e poteva contenere circa due­cento persone. Le finestrelle dello schron dunque, le abbiamo chiuse; l'abbiamo co­perto con i pali di legno.  Dopo venivano i mattoni e la sabbia.  Così eravamo al sicuro al­meno dalle pallottole piccole. Lavoravamo tutti. Venivano ad aiutare anche le suore dell'Immacolata.  Era pericoloso lavorare, ma cosa si poteva fare?

                Il giorno 9 di settembre, alle ore 9.00 di sera, ricominciò per bene la battaglia. Le bombe venivano da oltre la Vistola e il rimbombo era così fracassante che dava l'impressione che la casa cadesse giù o almeno ca­scassero giù i vetri delle finestre. Era un vero spavento, mi sono spaventato davvero anch'io.

                La gente si mise a correre giù nello schron e pregavano tutti ardentemen­te. Scese giù anche il malato Don Florczak. Io dovevo riparare anche il Santissimo, perché essendo la chiesa molto esposta, le mura potevano cadere giù. Sono corso dunque in chiesa malgrado il fischio dei cannoni. Ho preso solo la stola che per fortuna era lì sopra, e così senza cotta ho preso tutto il tabernacolo con il Santissimo. Non c'era tempo per cercare le chia­vi, ma poiché il tabernacolo era un po' fissato all'altare, l'ho stac­cato con la forza che in quel momento non mi mancò, e mi misi a correre con il Santissimo. L'ho portato giù nello schron. La gente vedendo ciò si tranquillizzò un po' e si fece corag­gio. Là abbiamo fatto un altarino e abbiamo deposto Nostro Signore.

                Ma bisogna­va anche riparare il Santissimo della cappella delle suore Niepokalanki, dove facevo da cappellano. Anche là era pericoloso lasciare il Santissimo, perché essendo la casa in alto, era esposta al bombardamento, ma il peggio era che era distante circa 200 metri e i proiettili di cannoni non cessavano di fischiare, e se cessavano, era pericoloso lo stesso uscire, perché in quei momenti i tedeschi mandavano fasci di luce per vedere cosa c'era e dove sparare. Ad ogni modo mi sono raccomandato al Signore: sono uscito dallo schron, ho visto in città, a Wloclawek, il fuoco in parecchi posti. C'era il fuoco delle fucilate; c'era buio e quindi, il vedere questo fuoco faceva brutta im­pressione. Erano le ore 9.30; dopo mezz'ora di quest'ansia mi sono avvicinato al cancello della casa delle suore, cominciai a bussare. Il cancello era chiuso. Ho tirato il campanello quanto ho potuto, ma inutilmente. Le suore essendo nascoste, non sentivano, e vicino al cancello le pallottole fischiavano. Mi son riparato dietro il palo che era vicino al cancello. Ho suonato ancora, ho provato a saltare il muro, inutilmente. Finalmente se ne è accor­to il custode ed è venuto ad aprirmi.

                Grande gioia delle suore per la mia venuta; erano spaventate perché il loro schron era pericoloso. Volevano venire da noi. Io ho detto: 'va bene'. Correndo, ho pigliato sol­tanto la stola.  Ho portato il Santissimo al nostro schron.  Dietro di me vennero anche le suore.  Da noi erano più sicure. Il rimbombo non cessava, era tremendo.

                Lo schron era pieno di gente; si soffocava. Pregavamo tutti quanti. Io di tanto in tanto prendevo il Santissimo e benedicevo tutti. Questo portava incoraggiamento. Confessavo, distribuivo la comunione. Ero stanco ma contento perché avevamo il Signore con noi. Si pregava, si faceva l'adorazione ogni notte. Io confessavo perché chiedevano, non c'era il confessore.  C'era soltanto una sedia, non si poteva dormire. Dopo mezzanotte, alla domenica, ho celebrato nello schron la Santa Messa e ho distribuito la Santa Comunione alle suore ed ai fedeli; es­si stessi hanno chiesto: 'Ci dia, Padre, il Signore Gesù, così se ci ammazzano o cade la casa, almeno avremo nei cuori il Signore Gesù'.

                La Comunione veramente era come se fosse il Santo Viatico.  Eravamo pronti alla morte, ma dall'altra parte c'era nel cuore di tutti una certa speran­za che non ci sarebbe stata nessuna morte, perché eravamo nella casa del Cottolengo, e perché la Madonna Santissima ci proteggeva. 

                Alla mattina c'era un po' di quiete. Gli spari erano rari, chi era più coraggioso uscì anche dallo schron. Anch'io mi sono fatto co­raggio e ho celebrato un'altra Santa Messa in chiesa parrocchiale, alle ore 9.00. In quel momento si era tranquillizzato tutto, ma c'era piuttosto pericolo per gli aeropla­ni che giravano ogni momento e bombardavano.  In chiesa c'era un po' di gente.  Appena finita la Santa Messa, la 'musica' cominciò di nuovo. Bisognava fuggire e rifugiarsi per qualche ora nello schron.

                Devo notare che in quella domenica non si celebrò la Santa Messa in nessuna chiesa di Wloclawek, tranne che nella chiesa della parrocchia dei Riformati Francescani.  C'era davvero pericolo. 

                Di giorno non era così terribile come di notte. La sera della domenica fu terribile.  Ci siamo radunati tutti ai piedi del Signore. Io credevo che non saremmo usciti vivi da quello schron. Dopo qual­che momento, mi è venuto un salutare pensiero che ho subito messo in pratica, cioè feci il voto pubblico: se usciremo salvi da questo  pericolo, se queste case non saranno distrutte, sarà per la protezione della Madonna SS.ma della Guardia e di San Giuseppe Cottolengo; allora sopra il tetto della casa metteremo una bella statua della Madonna della Guardia e cercheremo di onorare di più la Madonna Santissima e San Giuseppe Cottolengo. 

                Dopo parecchi giorni mi venne alla mente che sarebbe bene portare in Italia, al Santuario della Madonna della Guardia in Tortona, un segno "ex voto" per la grazia ricevuta, questo desidererei fare alla prima occasione che avrò di andare in Italia.

        In quei giorni memorabili mi sentivo stanchissimo eppure non avevo voglia di andare in terrazza, perché non ce n'era il tempo ed era pericolosissimo. Ogni tanto dovevo andare dai malati e dai feriti di guerra e anche nelle altre parrocchie, dove non c'erano i preti; capitava spesso qualche funerale; al cimitero non si andava, perché era pericoloso andare in gruppo, in quei casi i tedeschi sparavano dagli aeroplani, malgrado che non avessero dovuto farlo essendoci tutta gente civile.

        Ogni tanto capitava uno sposalizio, spesso senza una preparazione cattolica, giacché tutti quelli che si erano sposati senza un regolare matrimonio prima della guerra, volevano unir­si, sia perché la prole fosse legittima, sia perché dovevano fare il servizio militare e allora spesso, in questo caso, ricevevano dal governo una ricompensa; di solito gli sposi non erano tenuti ad alcuna denunzia.  Il vescovo scusava da questo obbligo, però bisognava chiedere ai novelli sposi il giuramento di stato libero.  Capitava che dopo lo sposalizio il novello sposo si recasse subito in ca­serma, oppure alla stazione per raggiungere il suo reggimento. Quanto riguardava questi sposalizi si faceva prima che cominciassero le operazioni.

        'Quan­do c'é spavento, subito si ricorre al Signore Dio', dice un nostro proverbio.  Bisognava battezzare i bambini, anche i bambini di quei fuggiaschi.  Povere madri, molti figli sono rimasti morti lungo la strada,  si dovevano seppellire laddove erano morti, sotto gli alberi.  Poveri fuggiaschi hanno sofferto molto, tanti sono mor­ti...

        La pesante sparatoria durò dal 9 settembre, sabato, alle 9 di sera, fino al 13 settembre. Il 13 settembre era diminuita; i tedeschi erano vicini, quasi entrati e incitavano il popolo a sottomettersi.

        Il 14 settembre 1939 entrarono in Ladislavia (= Wlo­clawek) chiamando, perché si andasse alla stazione a dare il benvenuto all'esercito inglese e francese.  Erano tutte bugie dei tedeschi. Alcuni, tra la gente, ci credettero e raccogliendo i fiori andarono alla stazione, ma invece dell'esercito inglese hanno trovato gli altri, tedeschi che entravano e occupavano la città.

        Alla mattina, in quello stesso giorno, mi venne in mente di andare da un ammala­to della parrocchia di San Giovanni, lontano in un villaggio.  Sono andato a cavallo at­traverso i boschi. Al pomeriggio di quel giorno sono venute tre guardie tedesche nel cortile del Cottolengo. Uscendo di casa li incontrai; rimasi abba­stanza spaventato, ma andai loro incontro, perché non conveniva tirarmi indietro.  Mi han­no domandato: 'che edificio è questo?'. Io ho risposto con la stessa lingua tedesca: 'La casa dei malati e la chiesa'. Li ho invitati in casa, ma ringraziando sono andati via.

        Subito dopo i tedeschi hanno chiesto di restituire, o piuttosto consegnare, tutte le armi, qualsiasi, che noi avessimo in casa; avevamo solo una vecchia rivoltella già da buttare via. L'abbiamo consegnata.  Dopo parecchi giorni ordinarono di consegnare tutti gli appa­recchi radio e le coperte di lana. La radio l'abbiamo consegnata, ma non avevamo coperte.

        Io intanto cominciai a fare provviste per la casa del Cottolengo.  Volevo provvedere tutto, perché minacciava la fame e tempi duri. C'era tanta diffi­coltà con il combustibile. Il carbone era preziosissimo, però ho comprato piú legna.  Da Zagrodnica hanno portato un po' di frumento, farina e altra roba.

        Bisognava cercare di avere un per­messo e mandare persone per la questua nelle campagne.  C'erano molte diffi­coltà; non avevamo nessun carro, poiché il nostro era stato portato via dall'eser­cito.  Tuttavia, dove potevano, ci prestavano qualche carro.  La casa di Zagrodnica ci ha dato due vacche.  La Guardia Cittadina di Wloclawek 400 zl., un po' di pi­selli e farina, cosicché si fece già una certa provvista.

        Ero molto desideroso di sapere cosa avvenisse nelle nostre case. Èra giunta noti­zia da Zdunska Wola che tutti erano scappati di fronte alle bombe. Primo a scappare era stato Don Novicki che ha fatto molto male, fuggendo e lasciando tutti e tutto senza nessuna tutela.  E' scappato anche Don Zanatta. Io però non sapevo nulla di es­si, se erano vivi o morti.  Dopo sono venuto a sapere che Don Zanatta è tornato.  Di Don Nowicki per lungo tempo non si seppe nulla. Dopo si è trovato a Lazniew.

        Il primo che mi ha portato notizie è stato il chierico Nazdrowicz che è venuto in bicicletta. Zdunska Wola è stata bombardata; la nostra casa fu vittima di furti.  La casa di Varsavia era a posto e così le altre case.

                Da ogni parte giungevano notizie di devastazione di paesi e città. Varsavia si difese più a lungo, un mese.  Sono venuto a sapere che è stata mol­to distrutta.

         

Ottobre

Ad ottobre, si sentiva che qua e là, specialmente in Pomerania, i tedeschi mettevano i preti in prigione, oppure li portavano via chiudendo le chiese. Ordinavano che anche in Wladislavia le funzioni in chiesa fossero soltanto nelle domeniche dalle 9 alle 11 del mattino; fuori di questi orari, niente.  Le sante Messe  nei giorni feriali erano proibite, ma questa disposizione non è entrata in vigore per lo speciale intervento del vescovo ausiliare Mons. Kozal.

                Però c'era sempre pericolo. La processione al cimitero nel giorno dei Santi era stata proibita. Ciascuno sentiva che era davvero una brutta situazione.

                Di fatto, nel mese d'ottobre recitavo il rosario solenne prima in parrocchia, dopo dalle suore Niepokalanki e lo facevo ben volentieri.

                Nelle feste e domeniche dovevo binare e fare due prediche alle 7, 9 o 11; dopo, alla sera, vespro oppure il rosario.  Mi sentivo stanchissimo, ma contento.  Il Signore mi aiutava sostenendo le mie piccole forze e confortandomi sempre.

                Una volta, ho ricevuto un avvertimento di fiducia di non fare più prediche, perché era pericoloso. Mi minacciavano. Dopo essermi inteso col Vescovo (Mons.Kozal), non l'ho fatto, e così continuavo a confessare e predicare.  Questo avvertimento me lo portò il mio bravo fratello Jasiek che ogni tanto veniva a trovarmi. C'era anche il pensiero che io potevo essere preso ogni momento. Io gli con­sigliai di nascondersi, ma lui temendo conseguenze piú gravi non mi ascol­tò, cosicché aspettavamo. Ciò avveniva alla fine di ottobre.

        Arrivò la notizia che Janek si trovava, insieme con altri professori e pre­lati, in carcere; mi fece compassione! Tanto più che non potevo né andarlo a trovare, né venirgli in aiuto.  La povera Bronka era disperata; dopo parecchi giorni di detenzione in Ladislavia, Jasiek e gli altri compagni, sono stati portati via sotto Kròlewiec [og­gi: Kaliningrad].  Là erano addetti ai vari lavori speciali presso la costruzione della strada e della ferrovia. Aveva fame, etc.

        Sulla fine del mese d'ottobre, è tornato da Roma Don Demrych, mio carissi­mo amico. Io lo stimavo sempre molto ed apprezzavo la sua grande intelligenza e la­voro, quindi mi sono molto rallegrato della sua venuta.

      

Novembre

            Il giorno 6 novembre siamo stati chiamati, con don Demrych, dal Vescovo Mons. Kozal, il quale mi amava tanto e si interessava di me. Quante volte sono stato in precedenza da lui. Domandava come potevo io arrangiarmi da solo con tutto il lavoro della Parrocchia; mi chiedeva come andava il Cottolengo, se bastava il vitto, ecc.

                Questa volta voleva anche aiutarci riguardo alla parte materiale per il Cottolengo, cioè ci suggeriva l'idea che i tedeschi sarebbero stati pronti ad aiutare purché il medico avesse approvato o presentato una lista al Landrat.  Noi altri lo abbiamo rin­graziato tanto, ma rifiutando, perché accettando ciò avremmo dovuto accettare un certo obbligo verso i tedeschi. Del resto c'è la Divina Provvidenza, di Essa ci fi­diamo.

                Il 7 novembre 19339, alla mattina presto, mi sono recato a Zagrodnica per chiedere in prestito un po' di soldi.  Don Zanatta mi ha accolto come al solito bene, contento.  Lì ho celebrato la ultima Messa in libertà. Dopo la S.Messa don Zanatta insisteva perché mi fermassi là, giacché lui voleva andare via per due giorni; voleva andare a Zdunska Wola per trovare suor Monica che era malata. Io dovendo andare all'indoma­ni, cioè l'8 di novembre, a Varsavia, non potevo accettare la sua proposta.  Il mio viaggio a Zagrodnica era stato inutile, giacché non portai i soldi: Don Zanatta non ne aveva.

                Sono ritornato il giorno stesso, alla sera. Il trenino andava lento per la raccolta della barbabietola da zucchero. Quin­di, partendo da Zagrodnica alle 4 del pomeriggio, sono arrivato a Wloclawek alle 8; a quell'ora era proibito uscire di casa, ma io trovando alla stazione i fratelli Bo­chenek e Zygmunt mi sono deciso di andare furtivamente a casa. Siamo giunti a casa con tranquillità.

                   Don Demrych era contento. Ho cenato e raccontato le notizie da Zagrodnica. Dopo cena abbiamo chiacchierato di diverse cose e messo in ordine le intenzioni delle Messe per l'indomani, cioè l'8 novembre. Io ho detto: E se per caso queste Messe già fissate non le diremo? Avevo preveduto giustamente. Dopo abbiamo ascoltato le notizie della radio e, finalmente, abbastanza tardi, ci siamo decisi ad andare a letto.

                In quella indimenticabile notte, cioè dal 7 all'8 novembre 39, alle ore 3 mattino, abbiamo sentito chiasso. Mi sveglio. Guardo dalla finestra della mia stanza e vedo i fari delle macchine ... era una lu­ce molto forte.  Poi sento parlare, qualcuno domandava qualcosa. Ho sentito di cosa si trattava, mi faceva impressione il fatto che erano tedeschi e che parlavano con il custode.

                Subito dopo sento bussare alla porta, ma così forte da spaventare. Bussavano con il calcio dei fucili e facevano luce con le lampade elettriche puntando la luce sulle finestre della casa. Il fatto era previsto. Ho mandato subito la "perpetua" del canonico Nowicki, perché aprisse le porte. Io in­tanto mi sono ritirato in camera e, spenta la luce, stavo aspettando cosa avvenisse. Sento domandare dei preti. Si recano da don Demrych, dopo dal can. Nowicki.  Infine, do­mandano di me, dove mi trovavo.  Quindi bussano alla porta. Io apro la porta della mia stanza. Ero svestito, poiché non c'era tempo di mettere la veste.

                   - Lei come si chiama? Don Franciszek Drzewiecki?

                - Le diamo 10 minuti di tempo.

 - Lei deve prepararsi subito, in questi 10 minuti, per venire con noi per un corso speciale di scuola. Deve prendere i soldi, un po' di vitto, perché Lei sarà a suo mantenimento. La "scuola" durerà cinque o sei giorni.  Lei ha qualche cosa da dire?

  - Mi sottopongo alla disposizione della legge, però chie­do di darmi un po' più di tempo per prepararmi. In 10 minuti é impossibile prepararmi, tanto vero che qui non c'è la biancheria, la cucina è chiusa... 

               Non mi hanno voluto concedere questo. Tremavo tutto, ma andavo volentieri. Ero contento di poter sof­frire un po' per Gesù e la Santa Chiesa. Ho sentito già prima che tanti preti erano stati porta­ti via e che avevano sofferto tante persecuzioni.

                Si ritirarono dalla mia camera al corridoio. Io intanto chiudevo la stanza a chiave, perché volevo cambiarmi la biancheria, ma uno bussò subito e disse: "non bi­sogna chiudere; lasci aperto".  Si vede che temeva che io saltassi dalla finestra.

                Dopo 10 minuti eravamo pronti. Abbiamo preso con noi un po' di soldi. Io avevo 130 zl., Don Enrico 200 zl.; un po' di pane.  Ci hanno caricato in macchina e via. Non sapevamo niente. Dove ci avrebbero portato? Ci venivano vari pensieri: forse alla stazione, forse in carcere, forse a fucilarci.  Tuttavia eravamo abbastanza calmi e pregavamo raccomandandoci specialmente alla Madonna Ss.ma.  Dopo alcu­ni minuti ci trovammo giunti in via Karnkowski, davanti al carcere.  Ci dicono di scendere e ci accompagnano in carcere.  In corridoio abbiamo dovuto aspet­tare l'arrivo dei custodi del carcere.  Allora il povero canonico Nowicki colle lacrime disse: "in alveare!" (in carcere). Veramente era così.

                   Che impressione brutta in questo momento: vedere questi custodi ed essere sotto di loro. Ci accompagnano alla cella a noi destinata che era la cappella del carcere, al secondo piano.  Entriamo e vediamo dentro già i preti, i pro­fessori e i chierici di Wloclaweck.  Erano circa una quarantina, presi qualche ora prima di noi; alcuni alla verso le 10. Erano distesi per terra, uno vicino ad altro, ma non dormivano.  Ci siamo salutati e anche confortati di non essere soli.  Alcuni avevano le lacrime agli occhi. Non so dire: ma credo che non fossero quelle della gioia.

           Tra i preti arrestati erano i seguenti:

          Vescovo Kozal, suffraganeo

                ks.        Adamecki Jan,

                ks.        Andrzejewski Leon,

                ks.        Bekier Jerzy,

                ks.        Biskupski Stefan,

                ks.        Borowski Antoni,

                ks.        Broniarczyk Jan,

                ks.        Brzuski Henryk,

                ks.        Dembczyk Sylwan, proboszcz par. Sw. Jana,

                ks.        Demrych Henryk,

                ks.        Drzewiecki Franciszek,

                ks.        Jedrychowski,

                ks.        Kaczorowski Henryk,

                ks.        Korszynski Franciszek, rettore del Seminario,

                ks.        Kunka Boleslaw, cancelliere,

                ks.        Maternowski,

                ks.        Maczynski Franciszek, professore in Seminario,

                ks.        Nowicki Józef,

                ks.        Skowronek,

                ks.        Straszewski Józef, proboszcz Sw.  Stanislawa,

                ks.        Szymak,

                ks.        Wesolowski Edmund,

       Tra i chierici c'erano:

           VI corso:

                Grzesitowski Stanislaw, Dankowski Leon, Majda Marian, Majdanski Kazimierz, Rudzki Jan, Samik Wladyslaw, Warmuz Antoni.

               V corso:

                Chwilczynski Marian, Dabrowski Stanislaw, Dulny Tadeusz, Kurzaiwa Bole­slaw, Librowski Stanislaw, Olczyk Franciszek, Sniechowski Adam, Swiniarski Jó­zef

               IV corso:

                Bednarski M., Chebowski Wl., Kostarczyk Z., Kostkowski Bronislaw, Pawlak W., Perz Franciszek.

               III corso:

                Bukowiecki R.

     

        Il primo momento in carcere fu indimenticabile. Io ero un po' stanco do­po il viaggio, ero andato a letto tardi e poi svegliato quando dormivo ormai be­ne. Mi son messo a star sveglio per forza e ho cominciato un po' a pregare, ma ero di­stratto.  Mi sarei messo piuttosto a dormire, ma come, non c'era posto per niente.  Quel poco che c'era, era tutto occupato. La cappella era piccola ed eravamo in tanti.  C'era anche l'altare, l'organo, la balaustra che occupavano un po' di spazio.  Poi il centro del pavimento era pieno di acqua, pioveva e il tetto era rotto, buca­to dalle bombe, cosicché quando pioveva, un vero diluvio, dovevamo, per ripararci, mettervi sotto tutte le nostre scodelle e questo un po' aiutava.

        In cappella poi non abbiamo trovato niente per sederci, nessun pagliericcio.  Ciascuno, dunque, doveva stare seduto sopra il suo pacchetto portato da casa. Io ho preso soltanto la cartel­la di cuoio e la pelliccia di mio fratello, perché la mia l'avevo lasciata a Zdunska Wola, dove è andata persa.  Alcuni hanno preso con sé almeno una coperta. Erano fortu­nati.  Potevano stenderla in terra per dormire.  Gli altri dovevano dormire sulla nuda terra senza svestirsi. Non ci si levava neanche le scarpe, perché faceva freddo. C'erano parecchi che non potevano dormire sulla nuda terra, quindi, poveretti, stavano seduti tutta la notte, come il can. Nowicki, oppure pregavano per lunghe ore stando in ginocchio, come Don Kaczorowski che era molto sereno.

                   Alla mattina abbiamo pregato tutti insieme recitando il breviario.  Don Borowski presiedeva; pregavamo con tutto l'ardore, lentamente e de­votamente; faceva impressione.

                 Subito ci hanno portato il caffè; se si può veramente chiamare con quel nome. Era piuttosto acqua un po' calda e amara, ed un pezzo di pane nero che doveva bastare per tutta la giornata. Riguar­do al pane, non era tanto male, perché avevamo portato il nostro da casa. Veramente non tutti l'avevano portato, perché non avevano fatto in tempo, ­ma quelli che l'avevamo portato, lo dividevano fra noi, tutto in comune.

                La sfortuna unisce più strettamente ... Mai ci siamo sentiti così vicini come qui.  Che amore, benevolenza, cortesia! Don Maczynski ha offerto a Don Demrych ed a me dei dolci. Mi ha fatto una bella impressione e qui l'ho proprio conosciuto, come del resto gli altri sacerdoti.  Qui ci siamo cono­sciuti tutti raccontando ciascuno la sua cattura e storia.  Ci confortavamo a vi­cenda, però era una brutta impressione vedere il sole a scacchi! Ogni tanto guardavamo attraverso la finestra che era un po' grandicella perché era quella della cappella.  Dalla finestra potevamo vedere un pezzo di cortile del carce­re, parecchie case mezzo rovinate dalle bombe, la ferrovia, un pezzo di strada, il mulino e poi la chiesa di San Stanislao,  parrocchia di Don Straszewski.

                   Dopo mezzogiorno, verso le 2 del pomeriggio, ci hanno portato per pranzo zuppa, per riscaldarci e per provare ciascuno.  Ne ho preso un po', non era saporita, ma se si sentiva fame, a questo non si guardava.  Abbiamo domandato, se avremmo po­tuto ricevere il vitto da casa, ciascuno il suo.  Risposero di sì, però una volta al giorno e tutto quanto secondo la legge del nazismo sociale.  Si doveva distribuire tra tutti i carcerati, e così facevamo specialmente nei primi giorni.  Dopo un certo tem­po si riceveva il vitto regolarmente dalle case, ciascuno il suo, però una volta al giorno, cioè solo a pranzo.  Noi due, con Don Demrych e mons. can. Nowi­cki, lo ricevevamo dalla nostra parrocchia.  Le suore del Seminario ne portavano pure. Questa era una fortuna.

                Peggio era col dormire.  C'era pochissimo spazio, non ci hanno dato nessun pagliericcio.  Ci hanno messi, dunque, sulla nuda terra. Dovevamo metterci uno vi­cino all'altro.  Alcuni, come il can. Nowicki, stavano seduti per tutta la notte e così per almeno una decina di giorni.  Dopo lui si ammalò e per l'interessamento del medico, che era molto bravo, andò all'ospedale, però doveva pagare anticipata­mente 8 zl. al giorno per due settimane.

                   L'orario era il seguente.

                La levata alle ore 6. Un quarto d'ora per lavarsi tutti, ma c'erano solo 9 rubinet­ti.

                Bisognava sbrigarsi molto per l'appello, e dunque mettersi due a due in fila; entrava Wachmeister oppure un altro "Y" (Lange) e riceveva l'appello.  Ap­pena entrato, uno di noi diceva sempre: 'Attenzione: la cella conta tante persone:  40' e lui allora verificava, contava e prendeva nota su un libro, formulava una relazione.  Si poteva dire ciò di cui c'e­ra bisogno.  Tuttavia raramente fu concesso quello che era richiesto. Quest'appello si ripeteva due volte al giorno: al mattino e alla sera.

                Dopo l'appello recitavamo le preghiere.  Dopo, ciascuno per conto suo faceva la meditazione.  Verso le 7.30 veniva il caffè; il pane non lo davano perché dove­vamo riceverlo ciascuno da casa sua.  Così quando ci portavano il pranzo, aggiungevano un po' di pane che doveva bastare anche per la cena e la colazione. 

                Dopo il caffè, recitavamo il breviario, un po' di studio della lingua tedesca, e la lettura di qualche libro.

        Verso le undici la lettura spirituale; all'inizio leggevamo un libro dal titolo: Sì, Padre! Il libro era molto adatto per noi.  Diceva come e perché bi­sogna sempre sottomettersi alla volontà di Dio. 

                Dopo recitavamo le litanie del Sacro Cuore e una speciale preghiera. Tutto era presieduto dal can. Korszynski.

                Dopo, ciascuno guardava se arrivava il pranzo.  Prima arrivava dal Seminario, perché era più vicino. Io ricevevo quasi sempre per ultimo essendo un po' lontano [Grzywno]; lo portava sempre il fratello Zygmunt, un ragazzo bravo che era venuto pochi giorni prima da Zagrodnica. Il pranzo veniva consegnato al porti­naio del carcere.  Poi veniva una commissione per esaminare i cestini.  Infine ce li portavano per mezzo degli ebrei, anche loro prigionieri. Questi portando i cestini, alla cella di ognuno, chiamavano secondo il nome, che era attaccato al cestino.  Allora si rideva un po' perché questi portatori ebrei storpiavano i nostri nomi.  Per esempio il mio nome lo leggevano Gogolengo così  che questo soprannome poi mi è rimasto per sempre. I miei compagni mi chiamavano Gogolengo.  Spesse volte questi pranzi erano freddi, ma buoni; potevamo mangiare vera pasta.

           I primi giorni ci sembravano lunghissimi: ciascuno aveva la speranza che dopo l'1 di dicembre ci avrebbero lasciati uscire in libertà, ma fu invano.

        Dopo un po' di tempo, le giornate passavano più veloci.  Mi sono messo a studiare la lingua tedesca e a leggere libri che chiedevo; dopo c'erano le conversazioni tenute dal prelato Borowski, discussioni teologiche, ecc.

        Peggiori erano le notti, dure e fredde. Abbiamo chiesto alle nostre autori­tà se potevamo far venire delle coperte per coprirci, poiché faceva freddo; ce l'hanno concesso in via di eccezione.  Ci hanno concesso pure la biancheria, perché alcuni di noi non si erano cambiati.  Dopo parecchie settimane potemmo ottenere da casa nostra le coperte e la biancheria. C'era grande gioia. quando ci si cambiava la biancheria e si stendeva una coperta per terra, per dormire.  Lo svestirsi era impossibile, perché faceva freddo.  Non si levavano neanche le scarpe.  Sotto la testa si metteva la valigetta, almeno chi l'aveva.  Gli altri appoggiavano la testa sui gradini dell'altare, giacché eravamo in cappella, ma questi erano solo i privilegiati, i sacerdoti più vecchi. Don Denuych, che era malato di lombaggine,  ha soffer­to molto durante le notti.

        I soldati ubriachi, durante la notte, gridavano: Wstawac! (Alzarsi!).

           Dopo 18 giorni, per la prima volta, ci hanno fatto scendere in cortile per un'ora di passeggiata. Abbiamo respirato!

        Dopo 26 giorni, abbiamo ricevuto pagliericci per i vecchi: che contentezza!

        Sulla fine di novembre ci hanno trasportato ad un'altra cella, perché là dove erava­mo, sono venuti ad asciugare le pareti dall'umidità.  Siamo poi ritornati al posto di prima umido, tutto fresco. C'era acqua sulle pareti. Continuava il freddo: il vestito si attaccava al muro, almeno ci confortava il pensiero che tutto sarebbe finito.

       

Dicembre

                A dicembre, cambiarono le vigilanze del carcere. C'erano visite ogni giorno, alle 10 la mia.

                Nelle domeniche era lecito celebrare una Messa. I Vespri erano impediti. I vigili interrompevano il vescovo. Dormire e basta! 

                Avevamo tante speranze di uscire: invano.

         

        Il Natale

        Vigilia morta, veramente lacrimosa; ci siamo divisi l'ostia facendoci gli auguri con il vescovo che ha detto la Santa Messa. Era domenica. C'è stata un po' di confessione.

        Natale. Il vescovo dice la Santa Messa, però in colore violaceo, per­ché altro non c'è. Hanno buttato via tutte le cose dell'altare.  Abbiamo tenuto soltanto questa pianeta viola, eppure eravamo contenti. Il Signore ci ha con­fortato; mai ci siamo sentiti vicini al Signore come in quel giorno.  Alla sera abbiamo cantato sottovoce qualche Koleda (canto di Natale).

        Don Bekier, direttore dell'Azione Cattolica ha composto parecchi canti natalizi, come pure altri. In seguito, aspettavamo la fi­ne. Avevamo un po' di speranza che ci avrebbero portato via, io intanto studiavo la lingua tede­sca e leggevo il Sienkiewicz: "Ogniem i mieczem" e "Pana Wolodyjowskiego".

            

Annus Domini  1940

Gennaio

       L'1 gennaio 1940, come al solito ci giunsero voci che si restava fino al 14. Ci misero a posto, probabilmente ci avrebbero portato via.  Abbiamo aspettato.  E' venuto il 14 gennaio.  Il capo annunziò che bisognava essere pronti.  Si poteva partire da un momento all’altro.  Ciascuno si pre­parò ed aspettò fino al 16 gennaio.

        Il 16 gennaio, al pomeriggio alle  2.00, i 'Gestapo' entrarono nella nostra sala, dando l'ordine di prendere i pacchetti e venire giù, montare sull'automobile e partire.  Dove? Non ce lo dissero. C'era un po' di speranza che fosse nel Protettorato, ma an­che un po' di timore, perché poteva essere anche nel Reich.

        Partiti, ci dissero che il viaggio sarebbe durato tre giorni.  Eravamo un po' spaven­tati, ma quantunque il camion fosse coperto ed era proibito guardare, tuttavia noi altri, curiosi di sapere dove ci portavano, per i buchi della copertura guardavamo quale via prendesse il camion.  Abbiamo  attraversato il foro, bene.  Poi ha preso via Ko­wal, bene.  Sorge la speranza: andiamo nel Protettorato. Dopo aver attraversato Lubien, ha voltato verso Poznan e viaggiato per tutto il giorno dopo. Passato Poznan, noi altri eravamo nella paura. Pregavamo.

                Intanto, si sentiva un freddo terribile, c'erano 26 gradi sotto zero, nevicava. Il viaggio si protrasse, giacché la neve impediva di andare veloci. In alcuni posti, come per esempio vicino a Slupca, dovevamo smontare e spazzare via la neve, cumuli di neve abbastanza grandi; inoltre tirava un vento forte.  Quello che veniva spazzato, il vento lo ammassava di nuovo.  Io, che ero ancora sul camion con il rettore ed alcuni sacerdoti, scesi perché gridavano.  Scendendo, abbiamo preso colpi dalla Gestapo; li accettai. Quanti anni hai?

        Abbiamo spazzato e spinto il camion; ci hanno maltrattato non risparmiando neppure il vescovo.  Ma che freddo terribile! In quel po­sto avevamo le mani e i piedi congelati. Più tardi si sono aperte delle ferite.

        A Slupca l'autista chiese della strada per Lad: che gioia entrò in noi!  Finalmente, circa alle 9.00 di sera, abbiamo raggiunto Lad. Mentre scendevamo ci conteggiavano per nome. 

        Al convento dei salesiani ci trattarono come internati.  La cura di noi era stata affidata al direttore locale: il sacerdote  Miska Fr., uomo buono. I sacerdoti salesiani ci hanno accolto in una maniera veramente cordiale.

                Già ci aspettavano essendo stati avvisati prima.

                Dopo tanto tempo per la prima volta ci siamo seduti a una tavola coperta.  Dopo la cena, che gioia ed allo stesso tempo gratitudine a Dio! Andammo a riposare; faceva freddo a letto, c’era solo paglia, ma eravamo contenti di poter dormire in un letto dopo tanto tempo.  L'indomani, 17 gennaio 1940, è stato un giorno indimenticabile: ho avuto oc­casione di dir una Messa davanti al quadro della Madonna di Czestochowa, da­vanti ad un altare privilegiato.  L'ho detta come fosse la prima, pur facendo un tale freddo da dare fastidio.  Dopo dieci settimane di prigionia la prima Messa fu di gratitudine, pro me ipso. 

                La città di Lad mi ha fatto una bella impressione. Grazie di tutto a Dio. Mi dedicai al lavoro intellettuale, studiavo il tedesco e leggevo. Un po' anche d'italiano: Le mie prigioni. Ho pensato di elaborare un ciclo di esercizi spirituali, a cui piano piano mi sono messo approfittando di un manuale italiano di Mortarione e Carmagnoli.

       

   Marzo

        Nel mese di marzo mi visitò don Zanatta e a volte il fratello Lewandowski; generalmente si ricordavano poco di me. ­Don Biagio mi ha mandato le Messe arretrate da Wloclawek: n. 54.  Mi son messo ad applicarle; ricevetti anche 30 intenzioni dal guardiano di Wloclawek, per una Messa 5 zl.  Deo gratias.

        Il 28 di marzo, nell'aula dell'abate, alla sera, ricevetti dal ret­tore Korszynski una notizia triste: Don Orione era morto. Mi ha colpito questa noti­zia; non ci credevo, chiedevo: 'dove, come?'.  Mi ha scritto il chierico Dabrowski da War­szawa. Don Michalski ha aggiunto pure una cartolina con la notizia. Ho sentito con dolore questa perdita, perché ho amato ed amerò sempre Don Orione, gli sarò sempre grato. Poco fa è morto don Florczak.  Mi dispiaceva il fatto che nessuno si fosse premurato di avvisarmi prima della morte di Don Orione, mentre altri l'avevano saputo già all'indomani.

        Il 28 di marzo è arrivato dall'ospedale di Wloclawek don Demrych insieme con gli altri sacerdoti malati che erano con lui.

        Il tempo correva velocemente, hanno organizzato qualche conferenza.  Su di­versi temi; uno di questi fu dedicato dal professor Borowski (sacerdote) ai sistemi morali; certamente è il tempo di archiviare tutti i sistemi ed al loro posto mettere la prudenza.

 

Aprile

 

              Nel mese d'aprile da Poznan è arrivata la Gestapo informandoci che quelli che hanno un posto nel Protettorato avranno possibilità di andare via; sarebbero venuti anche loro. Aspettiamo di giorno in giorno la partenza anche se a malincuore.

  

Maggio

        Maggio: un bel mese, abbiamo cele­brato delle funzioni. Sto preparando un ciclo di prediche per gli esercizi Spiri­tuali ai giovani.  Mi fa male la testa.

        Il 5 maggio è arrivata suor Loreta.  Ci siamo rallegrati.

        Il 9 ho pregato tanto a Dio per la nostra Congregazione.  Don Brzuski mi ha dato un buon pensiero: Dov'è carità ... se non c'è il cuore, non si fa niente e chiunque sia, diventa peggiore, anche se esternamente forse non lo dimostri per paura. Tanto più uno è malato, più ha ferite dolorose e più occorre conservare delicatezza con lui (anima malata) per non infiammare le ferite; quindi delicatezza, amore molto gran­de: è una osservazione esatta, bisogna  introdurla nella vita.

        Il 10 maggio don Brzuski ha tenuto il suo discorso sull'af­fresco della chiesa di Lad, piuttosto sulla policromia.  Un'apoteosi della sapienza di Dio con le sue contraddizioni.  Il pittore, Retke, ha corretto un famoso francese, Swach del 1711. Il barocco non evidenzia le figure, se sono uomini, li mostra come giganti. Esempio: san Giovanni Battista nel refettorio di Lad, le stolte e fatue vergini nella chiesa di Nowy Kosciòl, il roccocò,  il coro non sopporta la superficie che è breve e ondulata.

        L'11, sabato, Vigilia della Pentecoste, abbiamo fatto in chiesa la funzione delle 40 ore di adorazione.

        Il 12, la Pentecoste, c'è la sagra; da Zdunska Wola arriva il sig. Papryc.

        Il 31, don Szwarc e Zie­ciak sono mandati dalla Gestapo a Wloclawek come pastori d'anime, allo stesso tempo la Gestapo fa sapere che d'ora innanzi ci si può iscrivere nella lista di partenza per il Protettorato. Ho dei dubbi al riguardo, perché il Vescovo sconsiglia, almeno alle congregazioni religiose che sono legate con la diocesi mediante la pastorale. Do­po aver riflettuto a lungo, e su consiglio dei confratelli più anziani, mi sono iscritto nella lista di partenza per Warszawa. L'indomani comincia la partenza due a due, ogni due giorni.

        Ho tuttavia  voglia che mi prendano e mi portino via in Germania ai lavori, dove potrei fare qualche cosa per i prigionieri. Allora, durante la notte della festa del Sacro Cuore di Gesù ho pregato per questa intenzione.

 

Giugno

             Il 1° giugno: il mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù, così dolce per me.

        Il 5 alla sera, sono arrivati a Lad don Marabotto e don Ligenza, all'inizio gioia. Dopo, Don Marabotto parlò pochissimo e non ci ha dato la soddisfazione che a­spettavamo, forse perché era stanco avendo fatto un lungo viaggio per Izbica Kujawska a cavallo. All'indomani, in mattinata, è ripartito senza conge­darsi.

        L'8  partono per Warszawa due resurrezionisti: don Prochaczek e don Pflaum.

        L'11 parte don Formanski (...) e don Kuska.  Sono debole, mi sento subito stanco anche se il lavoro è specialmente intellettuale; spesso ho mal di testa.  Sto studiando le lingue tedesca e francese.  Leggo e sfoglio le prediche: vorrei partire per il Protettorato al più presto.  Spesso penso a mia madre e alla famiglia, specie a Jasiek.  Ho diverse supposizioni a suo riguardo.  Tuttavia qui c'è la volontà di Dio, o piuttosto la grazia di Dio.  Jas con il fratello vivevano un po' liberamente, lontani da Dio: la sofferenza avvicina a Dio.

        Il 16, partono per il Protettorato il padre superiore Pawolek e il provinciale Wilkowski. Arriva la notizia della presa, da parte dei tedeschi, di Verdun, Parigi. Tutta la Francia depone le armi. Calamità un po' pesante.

        In tutto riconosco la volontà di Dio, o piuttosto il castigo divino. L'umanità si è allontanata troppo da Dio.  Tutti sono presi dal materialismo, consumismo, una brama evidentemente immorale, ecc.  Occorre adesso dal profondo del cuore dire: Davanti agli occhi Tuoi poniamo le nostre colpe.

        Il I7, parte don Geneja.  Io pure aspetto con impazienza la partenza. Voglio vedere Jasiek e mia madre.

        Il 25, martedì ­parte don Kloniecki con don Jankowski.

        Il 26, partono don prof. Borowski e don Niemir.

        Il 25, è arrivata suor Loreta con la perpetua di don Nowicki.

        Il 27, al matti­no, partono per il Cottolengo in ordine, un segno che Dio ci benedice. Oggi ho celebrato la quarta Messa per Don Orione.  Prego per la sua canonizzazione e per tutta la Congregazione. 

                Oggi, i chierici finiscono il loro anno accademico.  Il retto­re Korszynski ha un discorso abbastanza scientifico.  Un breve rendiconto: chi, che cosa si è insegnato, la percentuale dei promossi, gratitudine, difficoltà, la loro divi­sione in tre parti: 1) in Seminario, 2) la prigione, 3) Lad.  Il decano, il chierico Maj­danski diviene portavoce di tutti i chierici. Ringrazia tutti gli educatori, i professo­ri, il rettore. La gratitudine vuole dimostrarla con una vita sacerdotale santa nel futuro.

        Il 28 la Messa celebrata per i defunti martirizzati, sacerdoti della diocesi, circa 30.  Di questa cifra i pastori parrocchiali sono circa 15.  Il giorno è pio­voso, piove e  fa freddo.

        Il 29, santi Pietro e Paolo.  Dopo la pioggia una bella gior­nata.  Celebro la Messa davanti all'altare maggiore per il defunto don Matuszew­ski ucciso.  Prego per la Chiesa e per il clero.

       

       Luglio

        Luglio: sto studiando il tedesco e il francese.  Aspetto una nuo­va lista di partenza per il Protettorato.  Constato di aver troppo confidato le mie prove a persone poco serie.  D'ora in avanti, rimane questo principio: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

        Il 14, Domenica IX dopo la Pentecoste. I bambini a Lad fanno la I Comunione. Auguri onomastici a don Kaczorowski e don Demrych.

        Il 25, san Giacomo. Con la mente mi tra­sferisco a Zduny, lì quest'oggi c'è la sagra. Speravo di parteciparvi. E' il giubileo di 25 anni di sacerdozio del rettore Korszynski.  Facciamo gli auguri, ci raduniamo nella sala vla­dislaviense di san G.Bosco. E' presente il vescovo, che ha parlato molto bene.

         

Agosto

        Il 2 Agosto, festa della Madonna degli Angeli alla Porziuncola.  Chiedo alla Madon­na la grazia di poter divulgare questa sua lode. Al  pomeriggio arriva la gestapo da Inow­roclaw; 4 sacerdoti sono stati liberati, don can. Nowicki, don Jedrychowski, don Skowronek e don Wesolowski, che hanno firmato un documento di non celebrare alcuna funzione.

        Il 7, alle 4.30 del pomeriggio, si è an­negato nel fiume Warta, vicino alla casa salesiana il mio caro amico don Gasio­rowski, parroco di Koszuiy, amico pure di don Cieslak. Ultimamente, don Gasiorowski era nervoso a causa degli avvenimenti nella sua parrocchia.  Cercava di sfogarsi.  Lo avvertivano di non andare vicino al fiume Warta. Lo avvertii an­ch'io persuadendolo a fermarsi almeno per il pranzo, ma invano.  Ha fatto su di me e sugli altri una grande impressione.

        Lo stesso giorno è arrivata qui suor Loreta e la superiora di Zagrodnica (Izbica Kujawska).

        Il 15 agosto, festa dell'Assunta. Dopo pomeriggio è arrivata la Gestapo da Poznan e ha portato via 4 sacerdoti salesiani e un chie­rico: Lagosz, Padurka, Dabski, Barton e il ch. Olecki.

        Prima della partenza hanno tolto loro soldi e orologi, probabilmente li hanno portati a Dachau, brutta impressione. Io, durante questa notte, non ho potuto dormire. All'indomani mi sono tranquillizzato raccomandando tutto nelle mani di Dio.

        Il diacono Katarzynski è ordinato sacerdote a Lad.

        Il 17, è arrivato in bicicletta il fratello Lewan­dowski. E' partito all'indomani, cioè la domenica: niente di speciale.

        Il 20, Don Katarzynski dice la prima Messa in cappella in terzo, dà la benedizione, presente anche il vescovo. Una funzione assai semplice. Alla sera ci siamo radunati tutti in sala.  Il rettore Korszynski parla della gioia, frutto della fatica dei professori; gioia, perché arriva un nuovo operaio nella Chiesa, con la quale sentiamo di fargli auguri di un copioso apostolato. In queste occasioni di solito si augura una felicità, ma se c'è qualche felicità, essa si trova nel sacerdozio, ma solo se si vive da  sacerdoti.

                Don Katarzynski risponde commosso:  "Sono grato anzitutto a Dio che mi ha condotto al Suo altare.  Sono grato alla Vergine Santissima. Iddio però si è degnato di servirsi di qualcuno nel condurmi all'altare, qui penso ai miei superiori. Sarò sempre grato... Cercherò di essere sacerdote secondo il Santissimo Cuore di Gesù".

  

              NOTA CONCLUSIVA

              Le ultime notizie del Notes di don Francesco Drzewiecki si fermano al 20 agosto 1940. Cosa avvenne?

                Lo sappiamo da Mons. Korszynski: "Il 26 agosto, vennero le SS con i ben noti autocarri. Dopo averci riuniti nel cortile, uno degli hitleriani lesse a voce alta nome e cognome di ciascuno di noi, ed un secondo hitleriano, via via che i chiamati uscivano, si prendeva cura di aggregarli a due gruppi distinti. Al più numeroso poi fu ordinato di prepararsi a partire, al minore, composto da sette sacerdoti e dal Vescovo, di tornare nelle loro celle" (Un Vescovo polacco a Dachau (1963) p.15).

                I prigionieri in partenza furono spogliati di tutti gli oggetti personali. Probabilmente don Drzewiecki fece in tempo a consegnare a qualcuno di fiducia il suo Notes che pervenne poi alla famiglia.

                Dal 26 agosto iniziano anche le notizie raccontate a voce da un altro eccezionale protagonista, l’Orionino don Jozef Kubicki nel suo Memoriale. Egli, ancora chierico di 24 anni, fu arrestato in quel 26 agosto 1940, con il parroco don Rysztok, mentre si trovava nella Casa orionina di Izbica Kujaska. "Lo stesso giorno fummo portati a Szczyglin (Poznan) dove ho incontrato don Drzewiecki che era già lì. Non abbiamo potuto neanche parlarci perché era severamente vietato. Abbiamo passato tre giorni e tre notti in questo luogo di concentramento prima di essere trasportati a Sachsenhausen e a Dachau".

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Buonanotte del 18 aprile 2024