Nel 1902, Don Orione ricorse a Padre Semeria per avere aiuto nella formulazione delle Costituzioni.
Antonio Lanza
La prova più grande di stima e di considerazione per l’amico Padre Giovanni Semeria, Don Orione la diede quando dovendo stendere le Costituzioni della Congregazione da poco fondata, giudicò che nessuno avrebbe potuto interpretare i suoi sentimenti nel compilarle meglio di lui. A Padre Semeria appunto ricorse per avere “non solo un abbozzo (delle Regole)”, ma “tutta la sua carità” stendendogliele per intero[1].
Ciò avvenne nella primavera del 1902, dopo che nell’udienza del 10 gennaio, Don Orione aveva ricevuto da Papa Leone XIII un grande incoraggiamento a continuare nella sua opera. In quella stessa primavera aveva dato l’avvio in Castelnuovo Scrivia ad un suo Ricreatorio femminile, coadiuvato nell’impresa dalle signore Adele e Maria De Angelis[2]. Quest’ultima, avendo casa anche a Genova[3], conosceva le virtù oratorie del Padre e desiderando che questi tenesse una conferenza al Ricreatorio, ne aveva fissato la possibile data per il 13 aprile. Quando però la cognata Adele andò a chiedere il permesso al Vescovo di Tortona, Mons. Bandi, non lo trovò in sede. Si rivolse allora a Don Orione perché si interessasse lui della faccenda[4].
Don Orione portò a buon termine il mandato e comunicò alla De Angelis:
“Insista pure perché P. Semeria venga a Castelnuovo; il Vescovo ne è contentissimo.
Quando il Padre abbia stabilito il giorno, ne parlerò al Prevosto e a Don Cabella, e farò di trovarmi qui alla stazione a riceverlo.
Venga, venga il nostro buon Padre; venga a scaldare il cuore di questa buona gente, a fare il bene proprio per N. Signore senza tante fandonie, e farà tanto bene”[5].
Don Orione aveva interesse che Padre Semeria venisse a Castelnuovo per due motivi: chiedergli in visione le regole dei PP. Barnabiti, e sollecitare l’aiuto per la stesura delle Costituzioni. Il Padre però non si fece vedere per il 13 aprile e Don Orione, cui urgevano molto i problemi dei quali voleva interessarlo, confidò i suoi desideri alla Maria De Angelis, che a sua volta, li comunicò al Padre.
A questo punto avvenne un accavallamento di corrispondenza. Il Padre, che non può andare subito a Castelnuovo e non vuole d’altro canto lasciare Don Orione in lunga attesa – notiamo questa sua delicatezza! – gli scrive chiedendo conferma del desiderio – tanto considerava delicato e di grande responsabilità il favore richiesto! – ed esponendo già qualche idea in proposito. Nel contempo Don Orione, non vedendo né Padre né sua corrispondenza, si decide a fargli conoscere le sue richieste per lettera:
“Mio buon Padre,
sto leggendo la vita del loro beato Padre S. Antonio Zaccaria, scritta da Francesco Moltedo, che è pure barnabita. Sento che mi si accende nel cuore un grande amore verso questo caro Padre che, morto così giovane, pure ha sparso tanto amore di Dio.
Amerei, se fosse possibile, avere le Regole del Santo, non le glosse o le Costituzioni aggiunte, che possono essere state fatte dopo, ma le Regole primitive.
Se a Voi, o mio buon Padre, non fosse possibile usarmi questa carità grande, vorreste almeno pregare per me qualche superiore, e ottenermele?
Io non intendo servirmene che per profitto spirituale di me e dei miei e per conoscere meglio il Santo Padre vostro.
E poi un’altra cosa: mi è venuta una forte lagnanza perché non faccio mai le Regole, ed io non so come fare: voi, o buon Padre, mi potreste aiutare?
Vorrei vivere secondo il Santo Evangelo, di una carità grande che non veda[6] confini, e con una misericordia grande verso di tutti senza confine: vorrei amare dolcissimamente e morire d’amore per le anime, il prossimo, specialmente per i piccoli e per i poveri e per tutti gli afflitti.
Una cosa che abbracciasse il cielo e la terra, la vita interiore e il miglioramento di questa vita. Io lo sento, ma non mi so spiegare.
I Vescovi vogliono norme stabili di leggi. Ella, Padre, mi aiuti a fare una legge che sia grande come la santa carità, perché è questo che io non so fare ed è la mia grande difficoltà. Guardi, o caro Padre, una cosa che non sia nulla di umano e tutto carità soavissima e grande grande senza confine.: che sia spirito di Gesù ed Evangelo per fermare il mondo che fugge.
O buon Padre, mi aiuti un po’ Lei: mi pare che il Signore mi abbia fatto incontrare in Lei perché Ella mi abbia da aiutare e menare per mano come si mena un bambino.
Io pregherò e farò pregare tanto. Ella conosce il popolo e i suoi bisogni: conosce i poveri di ogni classe e i poveri piccoli delle officine e delle campagne. È in mezzo a questi che vorrei poter gettare tanto amore[7].
Faccia dunque, per l’amore di Dio e dei piccoli e dei poveri di Dio, piccole Regole e poche poche: ma tutta carità di Cristo e del prossimo e adattate agli uomini che le ho detto e che Ella conosce bene per l’esperienza che Ella ha della vita. Siano dolcissime di amore da indurre questi miei fratelli ad osservarle perché dolcissime della soavissima carità di Gesù N. Signore. Non mi dica di no, che il Signore gliene darà la ricompensa Lui, ché solo Lui sa ricompensare quello che Ella farà.
Anche il suo beato Padre vedo che si è rivolto ad un religioso domenicano perché gli mettesse giù almeno un abbozzo, ma di tutta la sua carità. E ora La saluto e la abbraccio soavissimamente nell’amore di Dio.
Ella mi perdoni di tanta libertà, e sia tutto per N. Signore. Amen, Amen. Suo povero servitore e aff.mo fratello in Gesù.
Don Orione”[8]
Questa è la risposta che il Padre gli aveva mandato in antecedenza, ma che Don Orione non aveva ricevuto in tempo:
“P.X. Mio carissimo fratello in X.to,
Oggi arriva il mio Prov. e vedrò cosa mi dirà per le Costituzioni.
La Sig.na De Angelis mi ha parlato di un vostro desiderio che io scriva qualcosa in proposito. È vero? Nel caso lo farei con molta semplicità, purché non abbiate premura. Più che altro esporrei certe idee fondamentali.
Forse il buon Dio vi destina a fare un Ordine religioso moderno – una frase che scandalizza fuori di proposito certuni – perché i fondatori tutti furono moderni al loro tempo – i figli hanno cessato qualche volta di esserlo.
Eccovi alcune mie idee:
Sono idee alla meglio, ma mi paiono molto importanti. Ditemi se vi piacciono. E facciamo di vederci un poco una volta! Io valgo poco, ma amo molto la vostra iniziativa santa, e prego Dio ad aiutarvi. Abbiamo così bisogno.
Vostro aff.mo G. Semeria B.ta.[9].
A riscontro poi della lettera di Don Orione che, per disguido postale od altro, gli era giunta in ritardo, il Padre risponde:
“Pax Christi – Car.mo D. Orione,
profitto della Sig.na De Angelis per rispondere, un po’ in ritardo – del che mi scuserete – alla vostra buona e cara lettera.
Oggi stesso scrivo al Vice Prov. Pregandolo di mandarvi le Costituzioni nostre. Dovendo però voi fondare o iniziare, cercate di rafforzare molto contro la lettera, che uccide lo spirito che vivifica. – Poche regole e quelle poche adatte ai tempi e ben osservate.
Io spero poi che anche per gli studi darete un impulso serio ai vostri giovani – ci vuole anche quello insieme con la pietà. E soprattutto che siano caritatevoli, perché i frati qualche volta diventano egoisti et quidem, sotto l’usbergo delle regole che considerano non come un minimum, ma come il non plus ultra.
Vogliate bene nel Signore a questo povero fratello vostro che ne vuole molto a voi. Gradite anche una copia del mio ultimo volume.
Vostro in X.to come fratello G. Semeria B.[10].
Consigli per l’indirizzo della Congregazione
Più che stendere testi per le Costituzioni, Padre Semeria nelle due lettere aveva esposto delle “idee fondamentali” sullo spirito che avrebbe dovuto animare la nuova Congregazione e le attività che da questa avrebbero dovuto essere svolte. Fra le attività, consigliava – dopo l’educazione della gioventù e l’istituzione delle Colonie agricole – il “servizio dei carcerati”.
Era un servizio che Don Orione aveva forse sognato fin da quando, ancora chierico, si recava alle carceri di Tortona, ma che tuttavia fino allora non gli era apparso come un’attività qualificante della Congregazione. Padre Semeria la poneva invece come uno dei tre “scopi” principali[11], e forse aveva già fatto il nome dell’Opera orionina a qualcuno che si interessava appunto dell’assistenza ad istituti carcerari.
Tra le minute di quegli anni troviamo un frammento di lettera ad un “caro rettore” (di qualche casa di pena?) nel quale Don Orione accenna alla “cura dei carcerati” e al fine di “andare a gettare l’amore di Gesù nelle carceri e negli ospedali”, ma con una visione non ancora ben chiara. Il frammento termina infatti con una preghiera al destinatario: “Fatemi la carità di andare da Padre Semeria per avere lumi e consiglio, e sapere quello che è conveniente al riguardo” .[12]
Don Orione teneva dunque in conto i consigli del Padre e questi glieli dava mostrando di voler partecipare alla crescita dell’opera che stava sorgendo quasi si trattasse di istituzione che attendeva qualcosa anche da lui. Per questo non trascura il problema della formazione culturale.
Nel settore dell’educazione cattolica stavano maturando delle spiacevoli novità. Proprio in quei mesi un decreto del ministro della Pubblica Istruzione esonerava gli studenti delle scuole statali dagli esami di licenza, lasciando '‘obbligo di sostenerli solo per gli alunni delle scuole private. Prevedendo che tale disposizione avrebbe potuto spopolare le scuole cattoliche, Padre Semeria a compensare la diminuzione di afflusso di allievi – o addirittura alla chiusura degli istituti cattolici di istruzione – pensa alla possibilità di formare dei professori cattolici che andassero ad insegnare nelle scuole statali. Comunica questo suo disegno a Don Orione:
“P. X. Carissimo D. Orione.
Sono con voi certo in debito epistolare, ma anche fuori di questo vorrei scrivervi per una idea che in gran parte voi avete già avuta, ma che ora più che mai mi sembra opportuna.
I decreti del M.ro Nasi che voi certo conoscete hanno dato un colpo terribile alle scuole private cioè cattoliche, e questo colpo nn sarà l’ultimo.
I governi dappertutto si mostrano ognora più gelosi di avere in mano l’educazione della gioventù. Eppure tutto non è perduto.
Invece di ostinarci noi a tenere aperte scuole nostre a dispetto del governo possiamo invadere le scuole sue. E ciò in due modi:
Questi futuri maestri, nella mia idea, dovrebbero formare una specie di Terz’Ordine insegnante, con i consiglio (non l’obbligo) del celibato, e con una unione fra i membri che li assicurasse un poco anche dal punto di vista economico (ciò per garantire di più la loro indipendenza). Ma ci vuol una formazione ad hoc. Si piglino dei giovani di povera famiglia, di buono e forte ingegno, di buona indole e che abbiano una vocazione all’apostolato sotto forma di insegnamento. Man mano che non appariscano forniti di quest’ultima dote, si licenziano inesorabilmente.
Si fanno far loro buoni, forti studi fino a tutta l’Università – e magari qualcuno lo si mandi a perfezionarsi all’estero. Quando in ogni Ginnasio e Liceo e Università avremo collocato qualche buon cattolico, se ne vedranno i risultati. Non vi sembra?
Dunque da bravo – voi che avete già avuta la prima di queste due idee, sposate anche la seconda, che è il compimento logico della prima. Cominciate in qualche bel luogo dove possano venir su sani e forti… e vi possano anche studiare. Ci vuole un posto vicino a qualche piccola città con ginnasio e liceo.
Dio vi aiuterà.
Scusate la lunga chiacchierata. Pregate per il vostro aff.mo fratello e amico in X.to G. Semeria B.”[13].
La proposta non riuscì peregrina per Don Orione. Nonostante i suoi Istituti, essendo per i poveri, non preventivassero spopolamenti, fece un pensierino anche nella direzione proposta dal Padre, al quale risponde:
“È il Signore che vi ha mosso a scrivermi per attuare la cosa che è proprio un bisogno nuovo.
Non so ancora dove posare il piede, ma sono pronto: pregate che Dio mi aiuti, ed io cercherò di aprirmi la via.
Sapete che ne tengo già alcuni a Torino all’Università”[14].
Proprio nei primi mesi del 1902, il Gaspare Goggi, laureatosi il 18 luglio precedente, era tonato a Torino a dirigere “i chierici più avanti negli studi” ed alcuni giovani che frequentavano l’Università[15]; il che poteva essere considerato come un modesto inizio del progetto semeriano.
[1] Cfr. Scritti 97, 2.
[2] DOPO III, pag. 113, nota 24.
[3] Cart. Semeria 1.,
[4] Cart. Semeria 2.
[5] Scritti 69, 404. In un frammento di minuta della stessa lettera leggiamo, dopo l’assicurazione che il Vescovo è contento per la venuta del Padre: “Ora perché anch’io possa avere il piacere di trovarmi un po’ con lui, Ella favorisca farmi sapere…” (Scritti 69, 54).
[6] Scritti 102, 44.
[7] Scritti 112, 43.
[8] Scritti 97,2. Anche le minute di questa lettera sono state collocate in tre posizioni diverse. Nella minuta 97,2 c’è pure la data: 1 maggio 1902; ma la lettera deve essere stata spedita oltre un mese dopo; P. Semeria non l’ha ancora ricevuta quando, l’11 giugno, scrive la sua.
[9] Cart. Semeria I, 1. La lettera è datata: Genova 11 giugno 1902. Questo e i seguenti autografi semeriani esigono una paziente lettura. In proposito Don Orione diceva: ”Le lettere di Padre Semeria vanno “tradotte” (Cart. Semeria 1b). Di egual parere è a prof.ssa Margherita Tesio di Bra, che ci racconta: “Quando giungevano le lettere del buon padre, scritte in quella terribile caligrafia, ed in quella carta sottile che egli usava, mia madre doveva accingersi alla ‘traduzione’ o ‘interpretazione’. Prendeva una grossa lente, penna e carta, e si poneva coraggiosamente alla fatica, non contenta sinché non ne fosse giunta vittoriosamente al termine” (Cart. Semeria 15b).
[10] Cart. Semeria I, 2.
[11] Cfr. Cart. Semeria I, 1.
[12] Scritti 86, 164.
[13] Cart. Semeria I, 3.
[14] Scritti 75, 221.
[15] Don Gaspare Goggi. Primo Figlio della Divina Provvidenza, 2020, p. 115-18 e 146-149.