E' una pagina di storia poco conosciuta e della quale non è facile parlare: l'aiuto ai sacerdoti e religiosi che hanno avuto comportamenti indegni o in situazioni di grave difficoltà.
Una pagina di storia poco conosciuta
È un capitolo di vita di Don Orione, ma anche una pagina di storia della Chiesa poco conosciuta, perché giustamente tenuta nella discrezione anche storica. Ma, in un contesto come quello del Serra Club e degli Amici di Don Orione di Genova se ne può parlare, per confortarci su una linea dell’amore alla Chiesa – quello dell’aiuto ai sacerdoti in difficoltà - difficile da realizzare, a volte evitata, a volte incompresa. Intendo riferirmi alle relazioni e iniziative personali e di congregazione promosse da Don Orione in favore di fratelli nel sacerdozio bisognosi di aiuto per due tipi di problemi: 1. problemi di comunione con la Chiesa, di tipo dottrinale o di tipo disciplinare; 2. problemi di tipo morale ed esistenziale, quali gravi infedeltà ai doveri sacerdotali, problemi psichici, problemi sociali ed economici.
È già abbastanza nota la vicinanza di Don Orione con non pochi sacerdoti coinvolti nei difficili rapporti con l’autorità della Chiesa durante il periodo della controversia modernista. Don Orione tese una rete di relazioni personali, di dialogo e di recupero; andò incontro con franchezza e carità ai diversi Buonaiuti, Genocchi, Murri, Ghignoni, Gallarati Scotti, Alfieri, Semeria, Casciola, Galbiati ed altri ancora. Nel bel volume “Don Orione negli anni del modernismo” (Jaca Book, Milano, 2002) se ne parla ampiamente e con grande ricchezza di documentazione. Di questo capitolo della solidarietà sacerdotale di Don Orione se ne parla oggi, a distanza di tempo, anche volentieri perché se ne ebbe grossi fastidi e problemi nel passato – con qualche fraintendimento storico che continua fino ad oggi – oggi risultano vicende gloriose, di grande onore per Don Orione e per la Chiesa “magistra” a volte severa, ma anche “mater” che viene incontro anche dopo il giudizio e la sanzione da lei stessa imposti ai suoi figli.
Meno conosciuta, almeno fuori del mondo orionino, è l’opera preziosa e nascosta di Don Orione verso quei sacerdoti che nel linguaggio del tempo venivano spesso chiamati “lapsi”. Erano fratelli caduti, appunto, lungo il cammino; spesso feriti profondamente. A volte, erano guardati con qualche sufficienza o anche ostilità da molti che passavano accanto frettolosi e insensibili spostandosi dall’altro lato della strada per non incrociarli. Erano sacerdoti a volte senza speranza e senza dignità, in attesa di qualche “buon samaritano” che avesse il tempo e il cuore per una sosta, una parola, un aiuto.
Questo titolo lo troviamo in una lettera nella quale Ernesto Buonaiuti affida a Don Orione un amico: “Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. E’ un boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. Non aggiungo una parola: tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io... sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e ricordami. E.Buonaiuti”.
Fa bene conoscere Don Orione capace di chinarsi con carità e fermezza sui confratelli caduti lungo la via… Ritengo che anche in questo campo, il nostro Padre fondatore abbia anticipato quanto nelle attuali circostanze, grazie a Dio, si sta facendo nella Chiesa per aiutare i sacerdoti che si trovano a vivere momenti difficili e dunque necessitano di maggiore attenzione.
Mons. Montini e Don Orione negli anni Trenta
Il giovane e promettente Don Giovanni Battista Montini, il 10 novembre 1920, giunse a Roma dalla sua diocesi di Brescia per obbedienza al suo Vescovo Giacinto Gaggia che lo voleva studente nelle Facoltà romane. “Anche Cristo ha fatto il falegname e potrò fare anch’io il garzone d’ufficio”,[1]commentò quell’imprevisto cambio di vita che lo tolse dalla parrocchia di S. Giovanni Battista, a Brescia, dove stava spendendo le primizie sacerdotali. Già nel 1923, entrò negli uffici della Segreteria di Stato e fu subito inviato alla Nunziatura di Varsavia. Poi, nel 1925, fu nominato Assistente ecclesiastico nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Mons. Montini conservò una attitudine pastorale molto viva nei diversi compiti, sempre più ad alto livello, disimpegnati nel servizio alla Chiesa.
Nel 1927, mons. Franco Costa[2] chiamò a Genova l’Assistente nazionale della Fuci, mons. Montini, per la Pasqua degli universitari. Era il 18 marzo[3]e, avendo un poco di tempo a disposizione, propose al giovane Monsignore di partecipare all’annuale incontro di Don Orione con gli amici del Piccolo Cottolengo Genovese.[4]
Quell’incontro lasciò in Montini una grande impressione, tanto da dire al suo giovane amico: “Vedi, don Franco, ora mi trovo quasi a disagio pensando a quel che dovrò dire agli universitari, perché noi diciamo delle parole, mentre quando si ascolta Don Orione ogni parola è una semente di vita…”.[5]
Fu questo il primo contatto di mons. Montini con Don Luigi Orione. Da Cardinale di Milano e poi da Papa, egli raccontò più volte del suo primo incontro con Don Orione avvenuto al Piccolo Cottolengo genovese: “parlò con un candore così semplice, così disadorno, ma così sincero, così affettuoso, così spirituale che toccò anche il mio cuore, e rimasi meravigliato di quella trasparenza spirituale che emanava quest'uomo così semplice e umile”.[6]
A due anni da quell’incontro, cominciò la relazione tra il giovane Monsignore della Segreteria di Stato e il noto Fondatore di tante opere di carità. Si instaurò una stima e una collaborazione che è venuta in luce solo recentemente, grazie alla scoperta di un significativo carteggio autografo conservato nell’Archivio Don Orione di Roma. Una dozzina di lettere di Montini indirizzate al Don Luigi Orione, a partire dall’anno 1928, hanno per argomento l’aiuto a sacerdoti in difficoltà – lapsi, come erano chiamati allora – da sovvenire e da indirizzare al bene.
E’ del 27 dicembre 1928 la prima lettera con cui mons. Montini tratta con Don Orione dell’aiuto a un sacerdote in difficoltà.“La prego per la carità di Nostro Signore di far accogliere in qualche Sua casa di Roma l’ex Sacerdote ***. Egli aveva lasciato l’abito e la vita sacerdotale, dopo sedici anni di buon ministero parrocchiale”.[7]
La lettera adduce due titoli di accreditamento personale in questa iniziativa. Il primo è la carità sacerdotale: “Non ne ho alcun incarico, né alcuna autorità, salvo quella di chi prega per un confratello, incontrato casualmente. Questi è ancora abbastanza giovane, ha buone doti di attività, e sembra disposto a tutto pur di togliersi dalla penosa situazione in cui da alcuni giorni si trova: era presso un Istituto che, stanco di averlo a carico, nonostante le preghiere di Mons. Canali e del Vicariato, lo ha messo con i Carabinieri alla porta. Ora sta in albergo tentato dalla miseria e dall’abbandono con disperati pensieri”.
Il secondo titolo di credito è la fiducia nella bontà di Don Orione: “Non so se Ella mi ricorda: io La conobbi a Genova, quando Lei or son quasi due anni tenne una riunione per la Sua opera: io stavo con Franco Costa. Ma certo io ricordo la Sua bontà, ed è questa che mi lascia sperare di non esser ricorso indarno ad un amico dei poveri come Lei”.
Don Orione comunicò subito, il 29 dicembre, a mons. Montini la propria disponibilità a soddisfare la sua richiesta. Si indirizza a lui chiamandolo “Caro Fratello in Gesù Cristo” e gli dice: “Ricevo la vostra gradita del 27 corr., che si riferisce all’ex Sacerdote ***. Sono disposto ad accoglierlo, ma non in Roma, e semprechè non vi siano state in lui debolezze con ragazzi e dia garanzie non dubbie di vita veramente cristiana e sacerdotale. Non dovrà vestire abito da prete, né altri, fuori del suo Confessore, dovrà sapere”.[8]
Chiese ulteriori informazioni e garanzie sul conto del sacerdote da aiutare. “Veneratissimo D. Orione, Mons. Canali La ringrazia della carità che Ella dimostra per il Sig. Devoti[9]– scrive nuovamente mons. Montini il 4 gennaio 1929 -. Mi pare di poterLa assicurare con tranquilla coscienza circa le clausole poste da Lei per l’accettazione; e cioè del contegno corretto del Sig. Devoti, della sua volontà di rimettersi a lavorare bene per la causa del Signore, e della sua disposizione a tenere il segreto circa la sua condizione di Sacerdote finché non sia (se potrà essere) riabilitato. Non mi risulta che sia stato mai nelle Marche: egli accetta di andarvi sebbene preferisse restare a Roma per poter spingere in avanti la sua causa presso il S. Uffizio: ma fiducioso che Lei, occorrendo, gli sarà anche in questo buon avvocato, partirà volentieri appena Ella gli darà disposizioni precise.
Non Le dico quanto bene abbia fatto anche a me la lettera Sua: l’esasperazione di questo poverino e l’impossibilità di poterlo trarre d’impaccio mi faceva assai pena. Speriamo che la Sua opera sia la prima a risentire buoni vantaggi da questa opera di carità. (…) E’ uno che ha bisogno d’essere trattato con forza e con amore e messo a lavorare molto, così egli desidera”.[10]
E Don Devoti fu accolto nella casa dei Figli della Divina Provvidenza di San Severino Marche. A distanza di pochi giorni, mons. Montini manifestò subito la propria gratitudine a Don Orione: “La ringrazio della bontà che Ella ha usato a quel poverino e che spero gli riuscirà di balsamo all’anima prima fuorviata, ora inasprita”.[11] Anche le sorelle del sacerdote, Emilia e Maria, scrissero una lettera commovente a Don Orione, il 9 maggio successivo, rallegrandosi per la ripresa del fratello: “Ella non può credere quanto sollievo ci abbiano dato le sue parole, dopo un’attesa e un silenzio che durava da più di tre mesi e che ci teneva preoccupatissime non tanto per quello che potesse riguardare la sua salute corporale, quanto e soprattutto per quella dell’anima, dopo una scossa che l’aveva tenuta in rovina per tanto tempo”.[12]
Il signor *** fu poi inserito all’Istituto San Filippo di Roma[13] e la sua vicenda fu a lieto fine, da quanto i documenti lasciano intendere.
Questo episodio di soccorso a un sacerdote in difficoltà non dovette essere un fatto isolato nella vita del giovane Montini, minutante della Segreteria di Stato, se, il 2 agosto successivo, egli ricorre nuovamente a Don Orione per presentare un altro caso. “Voglia nella Sua bontà dare un’occhiata anche a questa miseria e mi dica se la Madonna non Gli ha suggerito il modo per recarvi qualche soccorso”.[14] Dal seguito della lettera, si evince che mons. Montini curava questi contatti non come semplici “pratiche” di ufficio, ma con il coinvolgimento personale. Infatti, dichiara: “Se Ella crede che si possa e si debba fare qualche cosa in proposito da parte mia (veramente non saprei a che sia capace la mia pochezza, specialmente in questo campo) me ne faccia cortesemente avvertito”.[15]
L’aiuto ai sacerdoti in difficoltà, per mons. Montini, era diventato un personale e nascosto campo di apostolato. Confida a Don Orione nell’agosto 1929: “Mons. Canali ha di nuovo mandato a me simili casi con la preghiera di trovare qualche rimedio o almeno di dare qualche conforto”.[16] Audace per la giovane età ma concreto per l’esperienza già acquisita, mons. Montini nella medesima lettera fa una proposta al Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza: “Ho fatto una discreta esperienza sulla necessità che sorga un’opera di assistenza per questi infelici, a cui più nessuno vuol porgere la mano… Oh, se il Signore Le ispirasse di fondare anche questa opera, D. Orione, come anch’io ne lo benedirei!”.
Non si sapeva, prima che venissero alla luce queste lettere, che una proposta in tal senso fosse venuta a Don Orione dal giovane mons. Montini. Di fatto, nel 1932, Don Orione ebbe in donazione Villa Eremo, in un ambiente isolato, presso Varallo Sesia (VC), e la destinòper questi sacerdoti, per favorire la loro ripresa umana e spirituale.[17]
“Per togliere dai centri questi sacerdoti - scrisse a mons. Amleto Giovanni Cicognani che gli chiedeva aiuto in favore di un sacerdote -, che sono un po’ vaghi, e sempre spine, nei fianchi nelle diocesi e delle Congregazioni, ho aperto da poco una apposita casa a Varallo Sesia (prov. di Vercelli), è una villa di dive; questa estate ci fu anche per un mese sua Eminenza rev.ma il Card. La Fontaine, patriarca di Venezia. Vi è già un beneficiato di S. Pietro, inviato da sua Eccell. rev.ma Mg.r Vicentini e dall’Eminent.mo il Card. Pacelli e qualche altro”.[18]
Nella collaborazione tra mons. Montini e Don Orione, il balsamo della carità congiunto all’azione giuridica portò alla redenzione di vari sacerdoti lapsi. Se ne accenna in una lettera dell’11 settembre 1929. “Veneratissimo D. Orione, l’ottimo Dott. Costa, di Genova, mi ha portato i Suoi saluti, con immenso mio piacere, per sapermi da Lei ricordato, e, spero, nel ricordo della preghiera e della carità. La ringrazio sentitamente. Tempo fa Le scrissi circa la riabilitazione d’un Sacerdote: ha ricevuto la lettera? Mi potrà favorire un cenno di riscontro? In Domino. Dev.mo Sac. G.B. Montini”.[19]
Non sempre, però, l’interessamento verso i sacerdoti in difficoltà portava i frutti sperati. E’ il caso di Don Raffaele Ferrelli[20] cui si riferisce un’altra serie di lettere di Don Montini a Don Orione del novembre 1929. “Veneratissimo D. Orione, mesi fa mi permisi segnalarLe il caso pietoso di un sacerdote apostata da salvare, e nella lettera mettevo un Pro-memoria con i dati precisi. (…) Magari Ella potesse, Deo adiuvante, stender la mano al poveretto!”. Poi, però, mons. Montini deve concludere: “Se non è possibile far qualcosa per lui, gradirei riavere le note di “Pro-memoria”, che accompagnavano la lettera. Ho passato, nel settembre, qualche giorno con Franco Costa, ed insieme abbiamo parlato di Lei: ci vuole ricordare entrambi nella Sua caritatevole preghiera?”.[21]
La corrispondenza autografa di mons. Montini conservata nell’Archivio Don Orione lascia intendere che egli abbia continuato questo tipo di carità nascosta anche nelle successive tappe della sua vita. Ad esempio, è del 23 febbraio 1952 una sua lettera all’orionino Don Gaetano Piccinini, amico e angelo custode di Don Brizio Casciola, con la quale gli trasmette un assegno di 16.000 lire destinato all’illustre letterato, in difficoltà di vario tipo, per “N.50 intenzioni di SS. Messe, all’elemosina di L. 320 ciascuna”, “pregandola di far avere il tutto all’interessato”.[22]
La carità di mons. Montini, che dal 13 dicembre 1937 divenne Sostituto della Segreteria di Stato,[23] si espresse con Don Orione e la sua Congregazione anche nel suo interessamento e aiuto durante la seconda guerra mondiale e, in particolare, in relazione alla Polonia.
Mons. Montini scrisse a Don Orione il 26 ottobre 1939[24] per informarlo sulla situazione dei suoi religiosi in Polonia: “Mi affretto a renderLe noto che, secondo recentissime notizie pervenutemi, tutte le persone ospitate negli Istituti della Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza in Polonia sono salve. Mi è stata anche recapitata una lettera indirizzataLe da un Suo figlio;[25] dandomi premura di rimettergliela qui acclusa, La prego di non far pubblicare, nemmeno sui bollettini riservati alla Congregazione, notizie contenute nella medesima lettera – come in altre che potranno in avvenire giungerLe – riguardanti nomi di persone o località, per evitare ogni pericolo di possibili rappresaglie”.
Don Gaetano Piccinini ha testimoniato di avere “ricevuto varie volte, per il tramite di mons. Montini, somme di denaro della bontà del Papa da consegnare a Don Marabotto e da portare in Polo”.[26] L’orionino Don Biagio Marabotto fungeva da “corriere” di notizie e di aiuti concreti tra Vaticano e la Polonia durante l’occupazione nazista, avendo il passaporto italiano e tedesco.
Risultò determinante l’azione di mons. Montini nella composizione della delicata vertenza riguardante l’uso del nome Piccolo Cottolengo, dato da Don Orione alle sue case di carità e contestato successivamente da parte della Famiglia Cottolenghina di Torino.[27] Fu mons. Montini che, interessatosi personalmente del tema, poté poi comunicare in data 14 giugno 1949 al Prefetto della Congregazione dei Religiosi che “Sua Santità, tutto considerato, ritiene che la dizione ‘Piccolo Cottolengo di Don Orione’ vada bene e che possa evitare gli inconvenienti lamentati”. Così fu chiusa la controversia con soddisfazione di tutti.[28]
Avendo scoperto il tessuto di stima e di collaborazione tra il giovane monsignore del Vaticano e il maturo sacerdote, tuttofare della carità, piace considerare, ancora una volta, come la santità crea simpatia, comunione di intenti e collaborazione indipendentemente dai ruoli, dall’età e dalle specifiche competenze.
Don Orione diede attuazione ai desideri di bene del giovane Monsignore aiutando i sacerdoti in difficoltà e aprendo per loro, su suo suggerimento, una casa di accoglienza e di redenzione.
Da parte sua, Montini, officiale della Segreteria di Stato dal gesto garbato, dalla penna precisa e dall’animo nobile, riconobbe in Don Orione un uomo di Dio, tanto da ricordarlo a 40 anni di distanza con accenti di incontenibile ammirazione: “Lo vidi più di una volta quando venne a trovarmi in Segreteria di Stato, e non avrei mai finito di discorrere con lui perché sentivo proprio in lui un’anima speciale, uno spirito singolare, un santo e speriamo un giorno di poterlo proclamare tale da questa basilica”.[29]
L’ammirazione e la devozione di Montini verso Don Orione costituisce il filo di molti suoi discorsi e di molti suoi gesti di benevolenza durante il suo ministero episcopale a Milano, prima, e quello pontificio poi.
Un’attività consistente
La voce di questa attività si sparse in Vaticano e si sparse tra i Vescovi, come veniamo a sapere da una lettera di Don Orione, nella quale, quasi scherzando su cosa che trattava con tanta serietà, confida “si è sparsa fra i Vescovi la voce che io prendo a raddrizzare le gambe di quelli”.[30] Egli dei sacerdoti in difficoltà non solo cercava di “raddrizzarne le gambe” – cioè la condotta - ma ne illuminava le menti e ne riscaldava i cuori con la sua carità.
Quale consistenza avesse preso questo impegno lo ricaviamo da altra lettera di Don Orione. Quasi a difendersi di fronte alle tante richieste, Don Orione confida a un Vescovo: “Le dirò che ne ho un po’ da per tutto, riabilitati e non ancora riabilitati, già in abito talare e chi ancora in borghese: ne ho che fanno da sacrista, da portinaio, da tipografo, da infermiere, da professore; ne ho che lavorano e altri che non ne vogliono sapere, e solo pensano alla mensa e a sfuggirsela in bicicletta, chi studia e prega e chi non parla che di politica e di sport; chi ha olio nella lampada e chi ne ha molto poco, forse alcuni non ne hanno mai avuto, e penso mancassero di vera vocazione”.[31]
Svolgendo questa attività, emerse il bisogno di avere una casa adatta all’accompagnamento di alcuni casi di sacerdoti. Fu mons. Montini a proporre al Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza tale opportunità: “Ho fatto una discreta esperienza sulla necessità che sorga un’opera di assistenza per questi infelici, a cui più nessuno vuol porgere la mano… Oh, se il Signore Le ispirasse di fondare anche questa opera, D. Orione, come anch’io ne lo benedirei!”. [32] Di fatto, proprio negli anni ’30, Don Orione destinò per l’aiuto a questi sacerdoti un ambiente riservato e capace di favorire la loro ripresa umana e spirituale. “Per raccogliere i preti caduti – scrisse a un ecclesiastico che gli chiedeva aiuto in favore di un sacerdote - la Divina Provvidenza mi fece acquistare una casa adatta a Varallo Sesia, e anche là circa L. 200.000, e ho fatto un passo che ora sento fu troppo lungo”.[33]
Nella collaborazione tra mons. Montini e Don Orione, il balsamo della carità congiunto all’azione giuridica portò alla redenzione di vari sacerdoti lapsi. Si può ben capire la speciale stima e devozione che poi mons. Montini, da cardinale di Milano e poi da Papa, sempre manifestò verso Don Orione. Davvero un’amicizia singolare legava i due “buoni samaritani” dei sacerdoti in difficoltà. Ricordando questo periodo, a 40 anni di distanza, Paolo VI ne rivivrà ancora l’incanto: “Lo vidi più di una volta quando venne a trovarmi in Segreteria di Stato, e non avrei mai finito di discorrere con lui perché sentivo proprio in lui un’anima speciale, uno spirito singolare, un santo e speriamo un giorno di poterlo proclamare tale da questa basilica”.[34]
Questa missione di Don Orione in aiuto a sacerdoti in difficoltà, a prescindere del rapporto con mons. Montini, crebbe di rilevanza. La congregazione era ancora di modeste proporzioni. A Don Orione piangeva il cuore nel non poter fare di più. Scrive a un suo sacerdote, Don Parodi, che l’aiutava in quest’opera: “Quanto all'ex di Imola, Dio, che mi vede nel cuore, sa con quanto slancio lo prenderei, ma io non so più dove metterli; al Dante ne ho due, a Novi anche, qui, a Voghera, ad Alessandria a Venezia, da per tutto ne abbiamo: dove metterlo?”.[35]
Tale impresa misericordiosa non fu scevra di grandi difficoltà e sacrifici anche economici; c’erano inoltre rischi di scandali; non mancavano anche grandi delusioni. Ne accenna, per esempio, a un buon sacerdote che gli indirizza un sacerdote molto problematico: “Ella comprende che tutto il fattibile lo farò; però non le devo nascondere che alcuni, i quali non corrisposero, mi crearono, anche di recente, dei dispiaceri non pochi e richiami anche dall’alto, benché poi sono essi, Quelli che stanno in alto, che all’occorrenza me li affidano. Ma sia tutto per amor di Dio!”.[36]
Ma poi Don Orione, grande cuore della Chiesa, aveva altre consolazioni, come riferisce in un riunione con i suoi confratelli quasi a giustificarsi di quest’opera: “Alcuni ci furono raccomandati dal Santo Padre. Di quante debolezze Iddio ci userà misericordia se la useremo agli altri. C’è il desiderio e la volontà esplicita del Papa. Vi dico che forse è l’opera più cara al Cuore di Gesù. Leviamo le spine dai cuori dei Vescovi, rendiamo un grande servizio alla Chiesa. Quante volte dico al Signore: “Signore, perdona le mie miserie per la grande misericordia, per la grande carità che voglio usare a questi fratelli. Se il Signore mi leva la mano dalla testa potrei fare peggio”.[37]
Anche nei lapsi vedeva sempre «la fronte segnata da un segno sacro» e dava ad essi dimostrazioni di rispetto. So per testimonianza dei chierici presenti al fatto che, venuto il povero Buonaiuti a cercarlo alle Sette Sale - Roma -, egli chiamò i chierici, che stavano ricreandosi, perché gli baciassero la mano: Buonaiuti si schermiva. In seguito Don Orione spiegò che aveva fatto quel gesto anche per incoraggiare, con un atto di stima, quella povera anima desolata.
2. Atteggiamento di umiltà: “Io forse avrei fatto peggio di lui, poveretto!”
Don Orione sta per accettare una persona raccomandatagli da un sacerdote salesiano, *** di Torino. La manderà a Cuneo, nella colonia agricola aperta in quella città per ragazzi poveri da avviare ad un lavoro onesto e onorato. La delicatezza di Don Orione si esprime anche nell’indicare all’interessato perfino la filovia che deve prendere per raggiungere la casa. Delicatezza e sapienza di un Padre esperto delle grandezze e povertà degli uomini. Anche degli uomini di Chiesa. E accenna a cose gravi, senza dimenticare alcuni aspetti positivi. E conclude con parole sapienti sull’umana debolezza,“Omnes fragiles sumus…”, e commoventi per la sua vera umiltà: “ io forse avrei fatto peggio di lui, poveretto!”
Tortona, 8 febbraio 1927
Caro don Bistolfi, (…) A te, in confidenza, dirò che ha pure già uccisa una donna, fece la sua galera, etc.
Mi fu raccomandato tanto dal Vescovo e da una Congregazione romana; potei ottenere che fosse riabilitato per la S. Messa e tra non molto potrò rimetterlo al suo o ad altro Vescovo.
Non ti scandalizzare sai, caro mio don Bistolfi; che vuoi? Omnes fragiles sumus, ed io forse avrei fatto peggio di lui poveretto! Del resto ha anche buone qualità. Poi vedremo in Domino. E se farà bene come spero, la Divina Provvidenza mi aiuterà ad aprire a lui un avvenire… di ché si troverà contento, qui o in America.[38]
3. Atteggiamento di discrezione: “Non gli chiedere nulla”
Una lettera breve, discreta e delicata per chiedere a un confratello di accogliere il sacerdote e di trattarlo con le stesse delicatezze con cui accoglierebbe Don Orione in persona; “e ancora più.” Viene in mente la lettera di S. Paolo a Filemone: “Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso”. E raccomanda la carità fraterna che si esprime in questo caso anche nella generosità e nel non fare domande indiscrete che possano riaprire ferite: “Non gli chiedere nulla”.
[Roma, il] 15 nov.bre 1932
Caro don Canavese,
La grazia di nostro Signore Gesù Cristo e la sua pace siano sempre con noi!
Ti accompagno e presento il mio buon amico don *** , che vorrai ricevere come se ti giungessi lì io e ancora più.
Pregate insieme, amate e servite Dio insieme, ed edificatevi da buoni sacerdoti, fraternamente: frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma!
Tutto quello che farai per lui, lo avrò come fatto a me, e Gesù sarà con voi.
Non gli chiedere nulla. Pregate per me.
4. Atteggiamento di prudenza
Caso per caso. Don Orione si trova a Buenos Aires, completamente preso dalle attività caritative che stanno sorgendo sui suoi passi. Ma non per questo dimentica la Congregazione in Italia e l’importanza di dare una formazione seria ai giovani religiosi. Insiste con Don Sterpi sulla necessità di “scrollare la pianta”, come ha fatto lui in Argentina. Per quanto riguarda i fratelli lapsi ribadisce: “andiamo adagio”. Comunque, non bisogna generalizzare. La delicatezza del tema lo richiede. Bisogna esaminare “caso per caso”.
“Non si possono lasciare soli”. Un’altra lettera ispirata alla prudenza. A Don Angelo Cristiani scrive che di sacerdoti caduti lui ne ha tanti. Li prende perché vuole tentare di rialzarli… ma per la loro debolezza in tanti campi non è consigliabile “lasciarli fuori e soli”.
“[Roma] 28 / 2 / [1]933. Caro don Angelo, ricevo qui la gradita tua del 24 corr., sono qui da circa un mese. Vedi, caro don Angelo, parecchi sacerdoti che stanno con noi, sono già dei lapsi, che io prendo per vedere di rialzare qualche nostro fratello caduto; ma, o per l'ubriachezza o peggio, non c'è da fidarsene a lasciarli fuori e soli; me le fanno quando sono nelle nostre Case, vigilati e, direi, rinchiusi immaginati cosa va a succedere quando si trovassero liberi!”.[39]
In una lunga lettera a Don Sterpi riguardante un sacerdote che dà qualche problema e vuole cambiare casa, consiglia di non accondiscendere “non tutte le Case possono ricevere certi elementi”. Tutto questo va comunicato al suo Vescovo. Ma sempre “in bel modo”.[40]
E infine un’ultima severa raccomandazione: certi soggetti che sono stati allontanati da una casa religiosa non vanno assolutamente raccomandati ad altri seminari o congregazioni religiose, se si vuole bene alla Chiesa e si vuole evitarle dei dolori! “Credo bene avvertirti che non puoi in coscienza appoggiare in nessun Seminario o Istituto religioso quello che fu allontanato dalla Moffa. A voce ti dirò di più”.[41]
5. Atteggiamento pedagogico
Don Orione aveva accettato un sacerdote inviato dal Vescovo di Portogruaro. Don Orione, per potergli assicurare maggiori possibilità di ripresa, chiede aiuto a tante persone di fiducia: a Don Sterpi perché lo accolga, a Don Cremaschi perché provveda a fargli fare gli esercizi spirituali e infine a “quell’anima buona di Don Perduca” perché lo segua personalmente. E dà indicazioni precise sul modo di aiutarlo:
- fornirgli uno scopo alto di vita: “amare e servire Iddio e le anime”
- dargli precisi aiuti spirituali: “che possa attendere bene alla sua vita spirituali”
- e anche qualcosa di concreto da fare: “Gli darete da fare qualche cosa, così che santifichi la sua vita pure con il lavoro”.
Don Orione scrive a Don Ferretti, accludendo un pensiero personale per ognuno dei due sacerdoti che stanno con Lui e che hanno bisogno di particolari attenzioni a motivo della loro situazione. Si preoccupa che venga assicurato loro un ambiente religioso che li aiuti nella vita spirituale. Ma d’altra parte, a motivo delle passate debolezze, bisognerà essere molto decisi e fermi su alcuni punti. Con questi soggetti occorre essere sobri e sostanziosi.
“Amerei che il breviario ed ogni altra pratica di pietà, cominciando dalla meditazione, la faceste insieme tutti e tre, e sempre, e anche un po' di lettura a tavola.
Don *** può accostarsi e deve con devota frequenza accostarsi ai Sacramenti e alla SS. Eucaristia, possibilmente ogni mattina. Gli scrivo rassicurandolo. È assolutamente necessario che il paese sappia niente del suo essere né del suo passato. Non lasciare che vada fuori, né che bazzichi con altri, mai. Aiutali molto nello spirito, e tu svegliati di più, per l'amore di Dio”.[43]
Simili pagine di storia, che certamente continuano ad essere scritte anche oggi, oltre ad onorare i protagonisti, gettano un’importante luce sulla vita della Chiesa. Nel suo mistero di Corpo vivente, da una parte, la Chiesa denuncia situazioni indegne e sanziona con severità chi è venuto meno al dono e agli obblighi sacerdotali. “Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio… che ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali”.[44]
Se da una parte è importante coltivare forte il senso spirituale di “indignazione” di fronte a quanto e a chi si rende indegno della santità personale, del sacerdozio e della Chiesa, dall’altra questa dignità viene custodita e, in diverso modo, promossa dalla misericordia che scaturisce dalla fede nella superiore e indefettibile dignità conferita dalla Grazia.
Questa è la lezione di Don Orione, “grande cuore della Chiesa”.
[1] Lettera del 29 ottobre 1921; Giovanni Battista Montini, Lettere a casa, 1915-1943, a cura di Nello Vian, Milano 1987, p. 65 (Roma, 29 ottobre 1921).
[2] Don Franco Costa, sacerdote genovese, diverrà Vescovo e Assistente generale dell’Azione Cattolica. Aa.Vv. Don Franco Costa. Per la storia di un sacerdote attivo nel laicato cattolico e italiano. Studi e testimonianze, Ed. AVE, Roma, 1992; F. Costa, Don Orione e i Genovesi in M. Macciò, Don Luigi Orione. I Genovesi raccontano, Quaderni del Chiostro, Roma 1998, p.19-20.
[3] Sia Mons. Costa e sia Montini - Paolo VI ricordano con precisione la circostanza e anche i sentimenti provati nell’incontro con Don Orione a Genova, però lo collocano in anni diversi. Nella lettera di Mons. Montini a Don Orione, datata 27 dicembre 1928, è detto: “Io La conobbi a Genova, quando Lei or son quasi due anni tenne una riunione per la Sua opera: io stavo con Franco Costa”. Orbene, Don Orione scrive in una sua lettera del 14 marzo 1927: “Venerdì 18 corr. facilmente sarò a Genova per la solita conferenza sul Piccolo Cottolengo”; Scritti 31, 127. D’altra parte, Mons. Costa dice di avere invitato Mons. Montini “per la Pasqua degli universitari”. Dunque, tutto fa pensare che fu il 18 marzo 1927 - quasi due anni prima rispetto al dicembre 1928 e vicino alla Pasqua - la data dell’incontro dei due con Don Orione.
[4] Le parole furono ricordate dallo stesso Franco Costa; vedi Giuseppe Zambarbieri, Ricordando Paolo VI, “Don Orione”, 1978, n.1, p.7-8.
[5] Giuseppe Zambarbieri, Ricordando Paolo VI, “Don Orione”, cit.
[6] Discorso a un gruppo di religiosi orionini all’udienza del 12 gennaio 1978.
[7] Tutti i documenti citati, salvo diversa indicazione, sono presenti nell’Archivio generale Don Orione, citato ADO.
[8] ADO, Lettera del 29 dicembre 1929; Scritti 69, 96.
[9] Il cognome è cambiato per discrezione.
[10] ADO, cart. Montini, lettera del 4 gennaio 1929.
[11] ADO, cart. Montini, lettera del 12 gennaio 1929.
[12] ADO, cart. Montini, lettera del 9 maggio 1929.
[13] Da San Severino Marche, Don Orione scrive al confratello don Fiori: “Ti accompagno in ispirito e ti presento questo mio buon amico il sig.r. Eugenio Devoti, che ti prego di accogliere a San Filippo per qualche mese. Egli ti aiuterà per l'assistenza dei giovani, ma tu gli lascerai qualche mezza giornata libera, perché tiene qualche interesse che deve sbrigare personalmente. Ti ringrazio del favore che fai a lui come e più che fosse a me fatto”; Scritti 24, 65.
[14] ADO, cart. Montini, lettera del 2 agosto 1929.
[15] Ibidem.
[16] ADO, cart. Montini, lettera del 2 agosto 1929.
[17] “Questa istituzione - informò Don Orione - si deve al vivo interessamento del Rev.mo Mgr. Marco De Dionigi, Can.co della Cattedrale di Cremona; ma, e in modo poi decisivo, alla generosità, veramente munifica, di una distinta Signora genovese, che si è fatta Madre dei poveri del Piccolo Cottolengo di Genova”. Si tratta della signora Angela Queirolo che acquistò e donò a Don Orione quella proprietà “a tramandare in benedizione il ricordo di un suo figlio carissimo, Luigi Queirolo, mortole qualche anno fa. Essa sorge in posizione bellissima, con parco, laghetto e boschi, fornita di tutte le comodità, vi è pure l'auto a disposizione. E, poiché il nome del caro giovane, che si vuole ricordare, era Luigi, così la istituzione ha preso nome di Villa Eremo - Opera San Luigi assistenziale pro Clero”; Scritti 70, 81.
[18] Lettera del 1 dicembre 1932; Scritti 48, 123. Al card. Eugenio Tisserant scrive: “È Istituto apposito per sacerdoti, che però non ha nulla dell’Eremo, poiché è una magnifica Villa costata qualche milione, raccolta, ma soleggiata, amenissima, con giardini, orti, boschi; laghetto, etc. Agli occhi della gente passa come Casa assistenziale pro clero; in realtà si tratta sopra tutto di una cura di redenzione e di assistenza spirituale”; Scritti 58, 129. Vedi anche Lettera ad altro ecclesiastico del 25 novembre 1932; Scritti 42, 187.
[19] ADO, cart. Montini, lettera dell’11 settembre 1929.
[20] Il nome è cambiato per discrezione.
[21] ADO, cart. Montini, lettera del novembre 1929, senza giorno.
[22] ADO, cart. Montini, lettera del 23 febbraio 1952.
[23]Mons. Montini collaborò a stretto contatto con il card. Eugenio Pacelli, prima Segretario di Stato e poi Papa Pio XII. Sono sue le storiche parole «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra» del radiomessaggio di Papa Pacelli del 24 agosto 1939 per scongiurare lo scoppio della guerra. Durante il difficile periodo della guerra fu responsabile dell'Ufficio informazioni del Vaticano occupandosi dello scambio di informazioni sui prigionieri di guerra sia civili che militari.
[24] Lettera dell’11 settembre 1939, ADO, cart. Montini. L’invasione tedesca della Polonia avvenne il 1° settembre 1939 e determinò l’inizio della seconda guerra mondiale. Don Orione aveva in Polonia un nutrito gruppo di religiosi, suore e case, 12 chierici Polacchi erano a Tortona, alcuni dei quali tornarono in Polonia. Dopo il 1° settembre non ebbe più alcuna notizia di essi.
[25] Quasi certamente si tratta della lettera di don Biagio Marabotto, segnata con data del 26 ottobre, la prima giunta a Don Orione dopo l’occupazione nazista; ADO, cart. Marabotto. Sul tema si veda la biografia di Flavio Peloso e J. Borowiec, Francesco Drzewiecki, n.22666: un prete nel Lager, Borla, Roma 1999, e in particolare il capitolo “L’invasione della Polonia: cronaca in diretta”, p. 58-63.
[26] Cfr. Carlo Matricardi, Un apostolo generoso “vittima” della carità, in L’Osservatore Romano, 25.7.1995, p.5.
[27] Una prima soluzione, che prevedeva la specifica “Piccolo Cottolengo di Don Orione”, non fu accettata da parte della Famiglia Cottolenghina. Un successivo Decreto della Congregazione dei Religiosi, datato 11 giugno 1946, proibiva del tutto l’uso del nome “Piccolo Cottolengo” non fu accettato dalla Congregazione orionina che fece ricorso il 27 gennaio 1948.
[28] Quasi a conferma della felice conclusione del problema, ancora per iniziativa dello stesso Mons. Montini, fu fatta pervenire al Superiore Generale della Piccola Opera, don Carlo Pensa, una lettera di benedizione del Santo Padre Pio XII, in data 3 ottobre 1949, in occasione del XXV di fondazione del Piccolo Cottolengo di Don Orione di Genova.
[29] Discorso all’udienza del 31 maggio 1972. Di quegli incontri parlò anche nell’udienza ai religiosi di Don Orione dell’11 gennaio 1978: “Venne lui stesso a trovarci quando noi eravamo in Segreteria di Stato e con grande bonarietà e con grande effusione della sua personalità spirituale, ci parlò e ci fece partecipi in quel momento, della sua conversazione e della sua effusione di personalità. L’ammirazione e la devozione di Montini verso Don Orione costituisce un filo di molti suoi discorsi qui di seguito pubblicati; cfr anche Giovanni Battista Montini, Nove discorsi agli Amici di Don Orione, in La c'è la Provvidenza, Piccolo Cottolengo Don Orione, Milano 1964, p. 3-82; Giovanni Battista Montini, Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), Ed. Studium, Roma 1997; Paolo VI, Messaggi di Don Orione 30(1998) n.97, 49-52; Gianfranco Poli – Pietro Crespi, Giovanni Battista Montini. Il magistero sulla vita religiosa (1953-1963), Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Giuseppe Archetti, L’arcivescovo Montini e il Piccolo Cottolengo Milanese, in Messaggi di Don Orione 45(2013) n.142, 67-85.
[30] Scritti 7, 304.
[31] Scritti 84, 9.
[32] ADO, cart. Montini, lettera del 2 agosto 1929.
[33] Lettera del 25.11.1932, Scritti 42, 187.
[34] Discorso all’udienza del 31 maggio 1972.
[35] Scritti 8, 113.
[36] Scritti 38, 146.
[37] Discorso del 3.7.1937, Riunioni 147.
[38] Scritti 38, 204.
[39] Lettera del 28.2.1933; Scritti 25, 35.
[40] Scritti 24, 74.
[41] Scritti 24, 72.
[42] Scritti 13, 156.
[43] Scritti 24, 72.
[44] Lettera Pastorale di Benedetto XVI ai Cattolici d'Irlanda, 19 marzo 2010, n.7.