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Messaggi Don Orione
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Pubblicato in: Pubblicato in MESSAGGI DI DON ORIONE, n. 130, anno 41(2009), p.3-72.

Fatti, parole e documenti della relazione tra Pio XI e san Luigi Orione.

PIO XI E DON ORIONE

L’incontro di due uomini che vissero per la Chiesa

Pio XI  e Don Luigi Orione con la loro personalità e la loro azione hanno segnato la storia del secolo scorso.
In più occasioni, si incontrarono manifestandosi reciproca stima
.[1]

Don Aurelio Fusi


Achille Ratti, nato a Desio (Milano) il 31 maggio 1857, dopo il periodo della formazione nei seminari milanesi, trascorse quasi quattro decenni della sua vita tra la Biblioteca Ambrosiana e quella Vaticana. Fu, senza dubbio, un uomo erudito ma conosciuto quasi esclusivamente nell’ambito degli studiosi e della diocesi. La svolta della sua vita si verificò con la nomina a visitatore apostolico della Polonia e della Lituania nel 1918 e con la nomina, l’anno successivo, a nunzio apostolico. Per pochi mesi fu arcivescovo di Milano e il 6 febbraio 1922 venne eletto Successore di Pietro con il nome di Pio XI.[2]

Luigi Orione, nato a Pontecurone (Alessandria) il 23 giugno 1872, a soli vent’anni, quando era ancora chierico, fondò l’oratorio san Luigi Gonzaga, il germe della futura Congregazione, e l’anno successivo il collegio Santa Chiara.[3] Balzò alle cronache nazionali in occasione del terremoto del 1908 che rase al suolo le città di Reggio Calabria e Messina.[4] In quella occasione profuse le sue forze a salvezza di tanta gente, degli orfani soprattutto, di cui divenne e padre e madre. Collaborò con il Patronato Regina Elena – una sorta di protezione civile di allora – per la ricostruzione delle zone terremotate e nel 1909, inaspettatamente, venne nominato vicario generale di Messina fino al 1912. Quando morì Benedetto XV e venne eletto Pio XI, Don Orione si trovava in America Latina per le prime fondazioni in Brasile, Argentina e Uruguay, dove sarebbe tornato una seconda volta a metà degli anni Trenta. Era partito su invito della Madre Michel di Alessandria[5] il 4 agosto 1921 e tornò in Italia il 4 luglio 1922.

La lontananza da Roma e dall’Italia e le fatiche di quei mesi, non diminuirono il suo amore verso il Papa, anzi lo accrebbero, come dimostrano alcune brevi confidenze  rivolte ai suoi più stretti collaboratori ed espresse pochi giorni dopo l’elezione del nuovo Papa. Scriveva a Don Mario Ghiglione il 27 gennaio 1922: “Domenica ho predicato in Buenos Aires sul Papa Pio XI e fu la prima predica che si facesse sul Papa in Buenos Aires, subito dopo il solenne Te Deum in cattedrale. Io predicai, però, nella chiesa degli italiani, e sono stato contentissimo”.[6] Ricordava anche che mons. Ratti conosceva bene gli orionini perché, quando era Prefetto della Biblioteca Vaticana, spesso si recava a celebrare la Messa nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, allora retta dai figli di Don Orione: “Egli ci conosce personalmente, perché veniva a dire la Messa a Sant’Anna, e sarà la continuazione di Pio X, di cui ha voluto assumere il nome. Gli scriverò in questi giorni, e chiederò una benedizione per tutti voi, ma la risposta la andrò a prendere ai suoi piedi”.[7]

Nonostante la diversità delle loro personalità e del ministero a cui per lungo tempo si dedicarono, i due erano accomunati da un temperamento forte, schietto e totalmente orientato al bene della Chiesa. E fu proprio quest’ultimo aspetto che li fece incontrare e stimare vicendevolmente. Nelle pagine di seguito, quindi, potremo constatare come tra Pio XI e Don Orione vi sia stata collaborazione per quanto riguarda importanti questioni civili ed ecclesiali - Conciliazione tra Stato e Chiesa, sopravvivenza dell’Azione Cattolica sotto il regime fascista, la questione del modernista Romolo Murri - e una sensibilità comune nell’operare a bene della Chiesa pur in ambiti e ruoli tanto diversi.

Questo studio, il cui scopo è di analizzare i rapporti tra i due, si limita al ventennio del Pontificato di Papa Ratti (solo poche pagine sono dedicate agli anni precedenti) che corrisponde al periodo dell’espansione della Congregazione orionina dopo la fase fondazionale sotto il Pontificato di San Pio X. E’ anche il periodo dell’ascesa in Italia e del consolidamento del fascismo e del suo capo Benito Mussolini.

E’ un periodo storicamente complesso, fatto di luci e di ombre e che si conclude alla vigilia del secondo conflitto mondiale con la morte, piuttosto ravvicinata, dei due protagonisti. Pio XI, infatti, scomparve il 10 febbraio 1939 alla vigilia di un importante discorso preparato da mesi, dove con ogni probabilità avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del regime fascista, le persecuzioni razziali ed i preparativi bellici in Germania;[8] Don Orione, invece, si spense il 12 marzo dell’anno successivo, a Sanremo (IM) dopo aver speso la vita a servizio degli ultimi.[9]
 

Le coordinate principali del pontificato di Pio XI e lo sviluppo della Piccola Opera della Divina Provvidenza

E’ impossibile riassumere in pochi capoversi un pontificato denso di avvenimenti sia per la storia civile come per quella ecclesiastica. Mi limito solo ad alcuni accenni per delimitare l’ambito di questo studio e per poterne comprendere meglio alcuni importanti riferimenti.

Come sopra già accennato, Achille Ratti fu eletto Papa il 6 febbraio 1922 alla quattordicesima votazione. Il conclave era stato in effetti contrastato: da un lato i conservatori, detti intransigenti, puntavano sul Cardinale Merry del Val, Segretario di Stato di Papa Pio X, mentre i più liberali sostenevano il Cardinale Segretario di Stato in carica, Pietro Gasparri. Ratti, uomo di studio, con un profilo smarcato rispetto alle contese di inizio secolo, accontentò gli uni e gli altri, anche se la scelta del nome, Pio, significò probabilmente l’intenzione di porsi in continuità con Pio X, il Papa che lo aveva chiamato a Roma.

La prima enciclica di Papa Ratti Ubi arcano Dei consilio, del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del pontificato, peraltro ben riassunto nel motto pax Christi in regno Christi, la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Dopo le emorragie della Chiesa Cattolica che da decenni perdeva il consenso popolare a vantaggio delle ideologie socialiste, Pio XI pensava che i cattolici avrebbero dovuto operare attivamente per creare una società cristiana, nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Egli intendeva costruire una nuova cristianità che, rinunciando alle forme istituzionali dell'Ancien Régime, si sforzasse di muoversi nel seno della società contemporanea. Questo programma fu completato dalle encicliche Quas primas, dell’11 dicembre 1925, con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re e Miserentissimus Redemptor, dell’8 maggio 1928, sul culto del Sacro Cuore.

Il suo principale impegno fu la lotta contro ogni forma di nazionalismo, razzismo e totalitarismo in quanto minacce alla dignità dell'uomo.[10] Per richiamare i laici ad un maggiore coinvolgimento religioso, nel 1923 venne riorganizzata l'Azione Cattolica, di cui disse: “questa è la pupilla degli occhi nostri”.[11]

Don Orione, in sintonia con il Papa e con la storia del suo tempo, era convinto della necessità di essere presenti in prima persona, come Chiesa, nella società e dimostrare a un popolo dilaniato dalla povertà e dalle sofferenze della Prima Guerra Mondiale, la credibilità del Vangelo attraverso le opere di carità. In stretta sintonia con il messaggio di Pio XI, Don Orione così si esprimeva: “Vogliamo portare Cristo al cuore degli umili e dei piccoli, del popolo e portare il popolo ad amare ognora più Cristo, la famiglia e la patria. Instaurare omnia in Christo: è necessario fare cristiano l'uomo e il popolo, è necessaria una restaurazione cristiana e sociale dell’umanità”.[12]

Dopo il grande conflitto (1914-1918), la Congregazione iniziò a svilupparsi acquisendo una dimensione internazionale; si moltiplicarono scuole, collegi, colonie agricole, opere caritative e assistenziali. In particolare, Don Orione fece sorgere nelle periferie delle grandi città i Piccoli Cottolengo: fu così a Genova e a Milano; fu così a Buenos Aires, a São Paulo del Brasile, a Santiago del Cile. Tali istituzioni, destinate ad accogliere i più sofferenti e bisognosi, erano da lui intese come nuovi pulpiti per diffondere il vangelo, fari di fede e di civiltà.

Mentre Pio XI fu estremamente critico con il ruolo passivo tenuto in campo sociale dal capitalismo e nell’enciclica Quadragesimo Anno del 1931 richiamò l'urgenza delle riforme sociali già indicate quaranta anni prima da Papa Leone XIII, Don Orione, sensibile alla gravità della situazione sociale, non solo accolse nei suoi Istituti gli orfani e i poveri più poveri, ma anche diede precise linee di azione cattolica sociale e delineò una nuova figura di religioso e di sacerdote capace di condividere la vita delle classi più umili. La sua fu, diciamo pure così, una politica superiore, non legata a questo o a quel partito o a qualsiasi ideologia, convinto com’era che i consacrati a Dio non dovessero fare della politica. Don Orione sosteneva che per religiosi e sacerdoti le opere politiche più consone ed efficaci fossero le opere di carità: “La nostra politica è la carità grande e divina, che fa del bene a tutti”.[13]

Queste parole non sono un invito all’intimismo religioso o all’assistenzialismo privo di orizzonte e di progetto sociale. Per rendersi conto di quanto le parole di Don Orione siano piene di verità e di concretezza anche “politica” occorre conoscere la sua vita, le sue tante azioni e relazioni che influirono sulla società, determinarono nuove mentalità, provocarono cambiamenti anche politici in favore del popolo. Egli certamente intendeva escludere per se stesso e per i suoi figli spirituali ogni impegno attivo nei partiti politici e nella guida di associazioni sindacali, ma non certamente il dovere di esprimere democraticamente con il voto il proprio orientamento politico per favorire l’elezione di esponenti cattolici nelle cariche pubbliche, come mostra la lettera che scrisse al Cardinale Merry del Val a nome di mons. Bandi, vescovo di Tortona, in occasione delle elezioni del 1904, quando ancora erano valide le tassative disposizioni del Non expedit di Pio IX: “A questo mio veneratissimo mons. Vescovo si fanno premurose ed autorevoli istanze perché in un importante collegio elettorale di questa Diocesi, si permetta che i cattolici prendano parte alle elezioni politiche, e ciò allo scopo di escludere il candidato socialista del luogo, la cui rielezione sarebbe molto dannosa. Ora, a nome di mons. Vescovo, domando umilmente a vostra Eminenza se, in questo caso, almeno possa tollerarsi - passive se habere - l’intervento dei cattolici alle urne politiche…”.[14] E, sempre in un contesto simile,  il 2 marzo 1909, rivolgendosi a Don Sterpi gli scriveva: “Urgente mandare certificati elettorali per espresso a Montagna e ad Adaglio, e agli altri, ovunque siano, con ordine di venire giù, se sono del Collegio politico di Tortona”.[15]

Tra le iniziative di Don Orione vi fu anche una lettera del 1933, diretta al ministro delle Finanze Guido Jung, ben argomentata, per sostenere e incoraggiare una politica economica che può “offrire una soluzione alla crisi sempre incalzante” e “una parola di conforto e di pace all’umanità, oggi tanto dolorante e sfiduciata”.[16]

In campo missionario, Pio XI si batté per l’integrazione con le culture locali invece dell'imposizione di una cultura occidentale e nell'enciclica Rerum Orientalium del 1928 richiamò i cattolici dell'Est ad una maggiore comprensione della religione Ortodossa. In sintonia con lui, lo zelo missionario di Don Orione, che già si era espresso con l'invio in Brasile nel 1913 dei primi suoi religiosi, si estese poi in Argentina e Uruguay (1921), in Palestina (1921), in Polonia (1923), a Rodi (1925), negli Stati Uniti d'America (1934), in Inghilterra (1935), in Albania (1936). Egli stesso, nel 1921-1922 e nel 1934-1937, compì due viaggi missionari nell'America Latina, in Argentina, Brasile, Uruguay, spingendosi fino al Cile. [17]

Sotto il governo di Pio XI, la Piccola Opera si consolidò e si diffuse in patria e all’estero, nella molteplicità delle istituzioni di carità, di apostolato missionario, di educazione e insegnamento. Furono gli anni del più intenso lavoro, rivolto all’organizzazione e alla estensione dell’Opera, e gli anni in cui il Fondatore, malgrado non gli mancassero grandi dolori e profonde amarezze, fu oggetto di ammirata venerazione, nei suoi continui viaggi in Italia e negli anni di permanenza in America.

 

La presenza di Don Ratti all’oratorio di Valdocco: 1887

L’orionino Don Orlandi riporta un episodio raccontato dallo stesso Don Orione, avvenuto a Valdocco proprio negli anni in cui egli si trovava all’oratorio salesiano vicino a Don Bosco di cui ebbe sempre un venerato ricordo. Non possiamo sapere se in quell’occasione Luigi e Don Ratti si siano incontrati e si siano scambiati una parola - Ratti era già sacerdote mentre Orione era solo un adolescente - ma senz’altro l’episodio si diffuse nell’oratorio a tal punto che Don Orione, ormai adulto, lo ricordava ancora con piacere.  

Don Achille Ratti, si trovava a Milano al Cenacolo e fu incaricato da due signore di recarsi a Torino per notizie su due figli loro, di cui non si sapeva più niente. Egli si recò a Torino, trovò i due figli, acquietò le due signore e per dei giorni fu ospite di Don Bosco all’oratorio. Don Bosco lo trattò con ogni riguardo con grande deferenza tanto che lo stesso Don Ratti se ne meravigliò.

Fu proprio in quella occasione che il giovane sacerdote osservò da vicino con curiosità intelligente e con senso pratico ambrosiano le giornate di Don Bosco: preghiera e lavoro, lavoro, lavoro e preghiera... ma aveva fatto una scoperta: in qualunque momento della sua giornata Don Bosco era assorto in Dio, era sempre “altrove”.

Ecco il racconto di Don Orione: “Molti Direttori ed Ispettori salesiani, si trovavano a Torino per il resoconto delle loro case. Un giorno Don Bosco si trovava in camera con Don Achille Ratti ed un Direttore venne per parlargli. Don Achille si alza e fa per uscire, Don Bosco lo ferma dolcemente e gli dice: Si fermi sig. Teologo, che questo sarà [utile] a Lei e anche a me. Don Achille si fermò.

Venne poi il Direttore della Casa di Catania il quale nel resoconto raccontò qualche scandalo di un religioso salesiano. Don Ratti, comprendendo che si trattava di cose delicate, si alza per uscire, ma Don Bosco con dolce insistenza: Si fermi Sig. Teologo, che questo sarà [utile]  a Lei e anche a me.

Passarono parecchi anni… Don Bosco morì e Don Achille Ratti continuamente ripensava a quello che gli era stato detto: “Sarà utile a lei e anche a me. A me è stato utile perchè ho imparato come Don Bosco sapesse disbrigare gli affari, ma a Lui come sarà utile?”. Quando però il Cardinale Ratti fu eletto Papa, nel medesimo istante in cui dava il suo consenso, vestito ancora da Cardinale, si ricordò delle parole di Don Bosco e disse: “Se Iddio mi aiuta, prima di morire voglio canonizzarlo”. Ed infatti con l’aiuto di Dio vi riuscì”.[18] Il 2 giugno 1929  Pio XI lo beatificò, dichiarandolo, poi, santo il 1 aprile 1934, giorno di Pasqua.

 

Un affetto comune per  la Polonia

Sempre a Valdocco, Luigi incontrò un gruppo di ragazzi polacchi che si preparavano a far parte della Società salesiana. Erano ragazzi coraggiosi, capaci, profondamente religiosi e ferventi di amor patrio. Il polacco che più di tutti lo impressionò fu il principe Augustyn Czartoryski il quale, nonostante le proteste della famiglia, seguì la vocazione alla vita religiosa e al sacerdozio; edificava tutti con la sua profonda umiltà e per la fervorosa pietà.[19] Il giovane Luigi partecipò alla sua vestizione religiosa.

A contatto con questi giovani, nacque in Orione una stima particolare per i polacchi al punto che, come è noto, pochi giorni prima della morte, era l’8 marzo 1940, parlando ai chierici nella cappella del Paterno disse: “Io amo tanto i polacchi! Li ho amati fin da ragazzo, li ho sempre amati”.[20] Era, dunque, un amore antico perché: “dalla stessa scuola di Don Bosco ho imparato ad amare la Polonia…”.[21]

Don Orione riportava anche un altro ricordo di quel periodo: “Quand’ero all’Oratorio di Torino ci conducevano a passeggio e ci dicevano: Là vive un Generale polacco, che è venuto ad offrire il suo sangue per l’Italia. Io sempre, quando passavo davanti a quel palazzo, alzavo gli occhi a quella finestra e il cuore al Signore e pregavo per quel Generale. Sentivo un amore particolare per lui, che aveva offerto la sua vita per la nostra cara Italia”.[22]

Questi particolari, apparentemente secondari, rivelano una sintonia tra Pio XI e Don Orione che si rivelò soprattutto nella maturità della loro vita: ambedue vennero colpiti dalla sincera fedeltà alla Chiesa del popolo polacco, soprattutto in un contesto di dolore come quello della Prima Guerra Mondiale e degli anni immediatamente successivi. E in questo delicato contesto prestarono la loro opera; mons. Ratti nel 1918 venne nominato da Benedetto XV visitatore apostolico per la Polonia e la Lituania e successivamente, nel 1919, nunzio apostolico, elevato alla dignità di arcivescovo con il titolo in partibus infidelium di Lepanto, mentre alcuni anni dopo, nel 1923, Don Orione realizzò un desiderio a lungo coltivato, l’apertura della sua prima casa in Polonia.

Nell’approfondire meglio questo contesto storico dobbiamo ricordare che mons. Ratti dovette affrontare la difficile situazione verificatasi con l'invasione sovietica nell'agosto del 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini dopo la Prima Guerra Mondiale. Egli chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all'assedio, ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio, cosa che fece solamente dopo che si erano ritirate tutte le altre postazioni diplomatiche. Fu in seguito nominato Alto Commissario Ecclesiastico per il plebiscito nell'Alta Slesia, plebiscito che si doveva svolgere tra la popolazione per scegliere se aderire alla Polonia o alla Germania. Nella regione era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall'arcivescovo di Breslavia Cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l'imparzialità in occasione del plebiscito.

Il compito specifico di Ratti fu quello di richiamare alla concordia il clero tedesco e quello polacco e, tramite costoro, la popolazione tutta. Avvenne però che l'arcivescovo Bertram vietò ai sacerdoti stranieri della sua diocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Inoltre Bertram fece sapere di avere avuto l'appoggio della Santa Sede. In verità, il Segretario di Stato, il Cardinale Gasparri, aveva dato l'appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informare mons. Ratti che non solo dovette subire quello sgarbo ma che venne addirittura accusato dalla stampa polacca di essere filotedesco. Fu pertanto richiamato a Roma e il 4 giugno 1921 dovette lasciare la Polonia.

L’opera del nunzio, pur breve, fu importantissima per la nascente nazione e per la Chiesa che, dopo secoli di occupazione, aveva bisogno di ricostruire quelle strutture civili ed ecclesiastiche necessarie per la vita sociale del popolo e che solo in seguito vennero meglio organizzate. I legami tra Ratti e la Polonia non vennero recisi dagli eventi sopra ricordati; lo dimostra il fatto che nell'ottobre 1921, una volta divenuto arcivescovo di Milano, Ratti ricevette la laurea honoris causa in teologia dall'Università di Varsavia.

In quegli stessi anni si andava delineando nella mente e nel cuore di Don Orione l’apertura della Congregazione verso l’Oriente e specialmente verso la Polonia che vedeva come un avamposto per poter entrare successivamente in Russia. Il primo polacco, con ogni probabilità, che seguì Don Orione fu Don Marcin Bak e, dopo di lui, Don Robert Szulczewski. Ne seguirono altri: Don Aleksander Chwilowicz, Don Franciszek Ligenza, Don Ludwig Szczygiel, Don Wladyslaw Skoczek e molti altri. Non tutti si fermarono in Congregazione.

Piantare le tende della Congregazione in Polonia, non fu facile, soprattutto a causa del frazionamento politico e della Prima Guerra Mondiale. Si dovette attendere la Seconda Repubblica e quindi il recupero dell’indipendenza, grazie anche all’azione diplomatica del nunzio Ratti; le condizioni socio politiche ormai migliorate permisero di “trapiantare” la nuova Congregazione.[23] Nel 1923 Don Orione riuscì a mandare Don Aleksander Chwilowicz ad aprire la prima casa a Zdunska Wola.

 

Don Orione in più occasioni incontrò Pio XI: frammenti di ricordi

Papa Ratti vide molte volte ai suoi piedi, solo od insieme ai suoi figli spirituali, Don Orione. Vi accorreva, per quel bisogno che sentiva di una più intima consacrazione di sé alla Chiesa per le mani stesse del Papa e bramava che i suoi missionari, prima di lasciare la Patria, ne invocassero la benedizione confortatrice. Il Papa si rallegrava che l’Opera fiorisse ed allargasse le proprie tende, e gli piaceva esprimere sentimenti di apprezzamento. Con calore tutto particolare lo fece durante un’Udienza concessa ai religiosi quando disse: “Piccola Opera sì, ma grande per i servigi resi alla Chiesa…”.[24]

In occasione dei giubilei sacerdotali o di vita religiosa, le Udienze, specialmente quelle collettive, furono frequenti. Erano l’occasione più adatta per dare incremento e vigore alla devozione verso il Papa e per diffonderla specialmente fra i poveri: “Siamo venuti a Roma - diceva Don Orione - per mirare e venerare in Voi Pietro! In Voi vediamo Pietro, in Voi vediamo Gesù Cristo, o Beatissimo Padre, Cristo redentore del Genere Umano, che per Voi continua visibilmente la sua opera e va dilatando il suo regno di carità e di pace”.[25]

Nel 1925, al termine di un corso di Esercizi spirituali, i Direttori della Piccola Opera vennero  ricevuti in Udienza da Pio XI; sia al corso, come all’Udienza, partecipò anche il canonico Gaetano Catanoso, particolarmente vicino all’Opera orionina di Reggio Calabria. Il canonico rimase impressionato dalla grande benevolenza del Papa verso Don Orione e dalla devozione di questi nei confronti del Pontefice: il Santo Padre gli aveva consegnato una medaglia del Pontificato e Don Orione l’aveva ricevuta “prostrato per terra fino quasi a toccare il pavimento”, ricordava il canonico, che non poté che accrescere la stima e la venerazione per l’amico.[26]

Nel 1929, Pio XI concesse un’Udienza agli armeni che si trovavano in Roma, in occasione della beatificazione del martire armeno Der Comid Das Cornugian. Vi partecipò anche Don Orione che aveva assunto l’educazione di alcuni orfani armeni in Turchia, aveva inviato a Costantinopoli Don Gatti a prelevarli, e aveva provveduto a quei poveri figli di martiri anche aprendo una casa a Rodi; alcuni divennero orionini. All’Udienza, Don Orione s’era messo in ginocchio, in gruppo, con la testa china, e avrebbe desiderato di non essere notato. Il Papa invece lo vide, e: “Don Orione, anche Voi qui!”. E a mons. Caccia Dominioni che gli spiegava le ragioni della presenza: “Omnibus omnia factusArmeno con gli Armeni!”.[27]

Nello stesso anno Don Orione venne ricevuto in Udienza privata a motivo della causa di beatificazione di Pio IX, il “Pontefice dell’Immacolata”, deceduto il 7 febbraio 1878. Quando Papa Mastai Ferretti morì, Orione era un bambino di pochi anni, ma i meriti del grande Papa e le calunnie riversate su di lui furono appassionati argomenti durante il periodo della formazione del chierico Orione al seminario di Tortona. A 22 anni pensò ad una pubblicazione apologetica su Pio IX: “Il titolo del nuovo opuscoletto sarebbe questo: Il Martire d’Italia”, scrisse all’amico Don Vincenzo Guido.[28]. Don Orione, poi, fu certamente tra i primi a scrivere a Pio X, nel 1903, incoraggiandolo ad iniziare la causa: “Beatissimo Padre… Vi supplico di degnarVi dare mano alla causa del S. Padre Pio IX e Vi conforto a volerlo glorificare”.[29] Vi era, dunque, verso quel Papa una venerazione di vecchia data.

Nel 1927 Don Orione fu chiamato ad affiancare l’anziano mons. Antonio Cani come vice postulatore. Alla morte di quest’ultimo, però, non fu nominato postulatore, come molti si aspettavano. Infatti, per questioni legate al Concordato, per un certo periodo la causa venne messa da parte, ma Don Orione, malgrado tutto, sperava ancora e pur comprendendo le ragioni di tale decisione era intervenuto presso Pio XI: “Dobbiamo onorare in lui, oltre il santo, anche il Papa, anzi il Papato, cui sono legate le definizioni del dogma dell’Immacolata e dell’Infallibilità pontificia”.[30]

Raccolti gli incartamenti in suo possesso, chiese Udienza al Santo Padre, attendendosi una parola che lo rassicurasse sul proseguo della causa. Ma quando domandò: “A chi devo consegnare?” si sentì rispondere senza un cenno di più: “bene, dia pure al tale”.[31] Don Orione non proferì sillaba e accettò tutta per sé la grande pena facendo come il Papa gli aveva detto. Il motivo che lo addolorò non fu tanto la schiettezza di Papa Ratti, quanto piuttosto la consapevolezza che la causa veniva arrestata per ragioni politiche. In effetti, il processo, pieno di intoppi, si concluse solamente il 3 settembre 2000, più di 120 anni dopo la morte di Pio IX.[32]

Questo episodio non scalfì minimamente la stima tra i due che continuarono ad incontrarsi e a collaborare. Un altro attestato di stima avvenne in occasione del dono, da parte di Papa Ratti, di un arazzo con dipinta la Madonna del Buon Consiglio in favore del nuovo santuario votivo della Madonna della Guardia di Tortona. Con queste parole piene di gratitudine si rivolse Don Orione al monsignore, di cui non conosciamo il nome, che fece da tramite per il dono: “Ora vengo a pregarla, caro monsignore, di voler compiacersi deporre ai piedi del nostro Santo Padre, con i più sentiti miei ringraziamenti, l’umile e filiale espressione della mia gratitudine e devozione filiale. Posdomani è la festa della Madonna della Guardia (…) ebbene, tutti pregheremo per sua santità il Santo Padre, che Iddio ce lo conservi felicemente”.[33]

Il 29 agosto 1934 scrisse a Pio XI per chiedere “La grazia insigne di voler benignamente disporre per l’introduzione dei Processi apostolici per la glorificazione e beatificazione del Servo di Dio Don Guanella” che Don Orione aveva conosciuto in occasione del terremoto del 1908. Il santo sacerdote fondatore dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza morì a Como il 24 ottobre 1915.[34] Lo stesso fece, l’11 novembre successivo, dall’Argentina: dopo aver commemorato P. Giocondo Pio Lorgna, inviò una supplica a Papa Pio XI per la canonizzazione della Beata Imelda Lambertini, la piccola di Gesù Sacramentato - come la definiva Don Orione - ; e conchiudeva la petizione così: “Voi, o Padre Santo, siete il dolce Cristo in terra; voi, con Gesù, siete tutto il mio amore e il palpito della mia vita. Beneditemi, o Padre Santo, di una benedizione forte e grande”.[35]

Durante il Pontificato di Papa Ratti, Don Orione e gli orionini parteciparono volentieri alle Udienze pontificie, durante le quali il Papa ripeté più volte paterne parole d’interesse, stima, affetto, non nascondendo quanto riuscisse di consolazione al suo cuore il continuo sviluppo della Congregazione e il bene che essa andava facendo nel mondo. All’ultimo gruppo di missionari orionini, ricevuto in Udienza il 7 maggio 1938 a Castel Gandolfo, il Papa diede una paterna benedizione e in quell’occasione indicò lo stesso Don Orione come modello sicuro da imitare: “… essi non hanno che da imitare gli esempi del loro Padre Spirituale, il dilettissimo Don Orione, dedicandosi con ogni generosità e grandezza d’animo alla sublime missione alla quale Dio li ha chiamati”.[36]

Don Orione, per parte sua, protestava la sua pochezza davanti a Dio; si riteneva d’intralcio a ciò che la Divina Provvidenza avrebbe voluto compiere e sminuiva le sue fatiche, e con piena convinzione si umiliava. In un’Udienza concessa ai religiosi dopo gli Esercizi spirituali, Pio XI a un certo punto domandò: “Quanti siete? Quanti religiosi avete?”. E Don Orione: “Quattro noci in un sacco, Santità”.[37]

E il 6 febbraio 1939, pochi giorni prima della morte di Pio XI, Don Orione inviò questo telegramma pieno di amore e di fedeltà al successore di Pietro: “Beatissimo Padre, siamo i vostri Figli più piccoli, più poveri, i Figli della Divina Provvidenza. Ci stringiamo cor unum et anima una ai Vostri augusti piedi come a quelli di Gesù. Vi gridiamo tutto il nostro amore dolcissimo di figlioli, preghiamo umilmente Iddio di consolarVi tanto tanto. Vorremmo poter dare la vita per conservarVi lunghi, felici anni o Padre Santo. DegnateVi benedirci, perché seguiamo sempre in tutto la Vostra voce”.[38]

L’affetto di Don Orione per Pio XI si manifestò anche in questo episodio raccontato da Don G. Zambarbieri e avvenuto quasi un anno dopo la morte del Papa: “Nel gennaio 1940 accompagnai Don Orione a Seregno… Al ritorno a Milano, si passò anziché da Monza, dall’autostrada che tocca anche Desio. Il ven. Fondatore ne fu molto contento, fece deviare la macchina dinanzi alla Basilica, restaurata in omaggio a Pio XI di s.m. e mi condusse a visitare il tempio; sostammo un poco in preghiera e poi mi fece ammirare la Chiesa che tanto doveva alla munificenza del grande Pontefice lombardo e quindi il bel monumento a Pio XI eretto sul piazzale”.[39] Erano tutte cose del Papa e Don Orione godeva nel farle vedere, quasi fossero suoi tesori.

 

Ogni tentativo per stare vicino a Ernesto Buonaiuti: 1926-1928

Già da questi primi resoconti, possiamo constatare come Don Orione godette della stima personale di Pio XI - così come già era avvenuto con i predecessori - e delle Autorità della Santa Sede che gli affidarono molti delicati incarichi per risolvere problemi e sanare ferite sia all'interno della Chiesa che nei rapporti con il mondo civile. Si prodigò con prudenza e carità anche in questioni legate al modernismo, come avvenne con Ernesto Buonaiuti. [40]

Non ci è dato di sapere l’origine esatta del loro rapporto. Senz’altro avvenne negli anni Venti quando Don Orione era personaggio che godeva di grande fama di uomo santo, di grande zelo, di predicatore e geniale nelle iniziative di bene. Pio XI chiese a questo umile sacerdote di interessarsi di Buonaiuti, non tanto del “caso Buonaiuti” ma della sua persona. Gli fu chiesto di fare da ponte di comunione fraterna, dal momento che quello della comunione ecclesiastica sembrava irrimediabilmente crollato. Infatti, il grande studioso si era rifiutato di sottoscrivere la formula canonica dell’abiura delle sue idee e, il 25 gennaio 1926, giunse la maggiore scomunica “vitando”. Don Orione continuò a sperare e a cercare la riconciliazione del “fratello separato” con la Madre Chiesa.

Egli stesso accennò dell’incarico avuto durante una riunione con i suoi confratelli: “Fui incaricato di avvicinare Ernesto Buonaiuti. Si è buttato su tutti quei libracci che gli hanno avvelenato il sangue. Se Buonaiuti verrà di nuovo all’ovile per mezzo di questo ponte sarà un vero miracolo”.[41] Se così non fosse stato, Don Orione, sempre obbediente agli ordini e ai desideri del Papa, non avrebbe potuto frequentare il Buonaiuti scomunicato.

Adele Costa Gnocchi, professoressa di Montefalco (PG), amica di Buonaiuti che viveva a Roma, conferma questo fatto. “Don Orione, per mandato del Santo Padre, avvicinò più volte il famoso Don Ernesto Buonaiuti. E, come questi medesimo ebbe a dirmi, gli fece del bene. Io ho fatto da tramite in queste relazioni, munita dei dovuti permessi”.[42]

Il 1926 sembrò essere un momento favorevole per il ritorno di Buonaiuti nel seno della Chiesa, ma purtroppo le speranze risultarono vane. In quell’anno Don Orione lo incontrò più volte, anche alla clinica Bastianelli dove era stato ricoverato per un’ulcera intestinale e dove, alla presenza del Cardinale Gasparri, aveva rilasciato una dichiarazione di fede; ma dopo la guarigione, Buonaiuti tornò sulle sue idee, sia in ambito dottrinale come in quello politico.

Altre speranze si accesero tra ottobre e dicembre 1928 dove si giunse “ad un passo dalla pace”.[43]

E’del 23 ottobre di quell’anno una lettera di Buonaiuti a Pio XI,  consegnata in Vaticano il 1 novembre successivo, forse dallo stesso Don Orione, frutto di un periodo di conversazioni, con Don Orione e con il gesuita P. Felice Cappello. Non si tratta di una “abiura” formale, ma di una aperta adesione all’insegnamento della Chiesa. E’ una professione di fedeltà e una supplica molto ‘simile’ all’abiura. Questo fatto ed altre espressioni del testo, tipiche della penna di Don Orione, fanno pensare che esso sia stato scritto a due mani o, comunque, concordato tra i due. Vi leggiamo: “Un nuovo irresistibile impulso della coscienza mi induce a ribadire ancora una volta l’espressione della mia tenace e piena adesione all’insegnamento infallibile della Chiesa cattolica, del mio immutabile vincolo di fedeltà ai suoi eterni valori, del mio proposito inconcusso di uniformarmi ai doveri infrangibili della mia professione religiosa”.[44] Altro fatto che determina l’iniziativa del Buonaiuti è la ricorrenza del suo 25° di sacerdozio che - scrive nella medesima lettera - “non potrei lasciar trascorrere senza compiere l’estremo tentativo di recuperare, attraverso la proclamazione del mio indelebile carattere e della mia indistruttibile vocazione, quella pienezza di mansioni sacerdotali, la cui privazione costituisce (...) l’appannaggio doloroso del mio duro ostracismo”.

Nella lunga lettera si coglie il dramma di Buonaiuti che da una parte rimase fedele e coerente al suo sacerdozio e, dall’altra, non se la sentì di rinunciare alle sue idee e ai suoi scritti giudicati in contrasto con la dottrina cattolica. Le speranze di Don Orione, purtroppo, vennero deluse. Infatti Buonaiuti non venne reintegrato nella Chiesa; anzi, nel febbraio del 1929 gli venne ingiunto di deporre l’abito ecclesiastico.

Se da una parte il braccio disciplinare della Chiesa calò pesantemente e separò il Buonaiuti con ripetute scomuniche, dall’altra, Pio XI stese la mano ferma e amorosa – attraverso Don Orione – per aiutarlo e, se possibile, riavvicinarlo.  Pio XI mise Don Orione sulle tracce del “modernista ribelle” per assicurare con la carità fraterna quella comunione che il dovere della verità negava. E Buonaiuti fu sempre riconoscente verso il suo benefattore, come dimostrano alcuni biglietti di augurio per il compleanno di Don Orione, dai quali trapelano stima e affetto. “Anche il lebbroso spirituale – quegli che è nell’ostracismo – sapendo di quale carità primeggi il cuore del festeggiato, vuole essere, ultimo tra gli ultimi, presente, sulla soglia della casa benedetta, a dire tutto l’impeto della sua devota riconoscenza e del suo ardente voto bene augurante”.[45] Nel biglietto scritto l’anno successivo, sempre per la stessa circostanza, emerge ancor più chiaramente la stima di Buonaiuti verso Don Orione: “Amico santo e venerato, auguri, auguri, auguri dal proscritto e dalla sua madre sempre addoloratissima. Il ricordo delle parole ch’Ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio. Attendo l’ora del Signore. Sento l’azione della preghiera che Ella innalza per me. Dio la benedica nel suo grande lavoro, sempre…”.[46]

Dopo la morte di Don Orione, a Buonaiuti restò la nostalgia consolatrice di un fratello che gli aveva voluto veramente bene.

 

L’attività in favore dei preti lapsi

Quanto detto fin ora apre uno spiraglio sulla benemerita attività di Don Orione nei confronti dei sacerdoti in difficoltà che, con il linguaggio dell’epoca, venivano chiamati lapsi. Fu una forma di carità iniziata in sordina e che con il trascorrere del tempo si allargò, occupando sempre di più la mente e il cuore di Don Orione. Egli faceva di tutto per limitarla a un fatto personale, che coinvolgesse il meno possibile la nascente Congregazione, come precisava in una lettera del 21 luglio 1921 scritta pochi giorni prima di partire per il Brasile: “pel giorno che io parto, e cesso dal governo diretto degli Istituti, che sono in Italia, vi dovete cercare altra destinazione, perché l’opera della redenzione e ajuto agli ex preti era opera personale, che esula dai fini della piccola nostra Congregazione, né posso addossarla ad essa. Io pregherò sempre per voi con affetto di fratello…”.[47] Di fatto diversi religiosi vennero implicati in questo apostolato nascosto.

Don Orione, in più occasioni, sempre con quella delicatezza che lo distingueva, accennò all’apostolato verso i lapsi; in una missiva del 18 agosto 1927 indirizzata a Don Risi, parroco di Ognissanti in Roma, ricordava come molti vescovi ricorressero a lui per essere aiutati e, sul finire dello scritto, con linguaggio pittoresco diceva che il suo lavoro consisteva nel raddrizzare le gambe di sacerdoti traviati.[48] Egli dei sacerdoti in difficoltà non solo cercava di raddrizzarne le gambe ma ne illuminava le menti e ne riscaldava i cuori con la sua continua carità.

Su questo tema, e sul coinvolgimento diretto dello stesso Pio XI,  ritornò anche in una lettera scritta alcuni giorni dopo l’Udienza privata del 26 agosto 1932 e indirizzata a mons. De Dionigi. Con meraviglia, Don Orione riferiva all’amico che “il Papa ha una memoria prodigiosa. Le dirò che nel corso dell’Udienza uscì lui a parlarmi di Villa Eremo, con non poca mia meraviglia”.[49] Come mai questo interesse da parte del Papa?

In verità l’interesse di Pio XI, apparentemente inspiegabile, era accompagnato da sofferenza e speranza perché Villa Eremo a Varallo Sesia - costata circa £ 200.000 - era una casa nella quale Don Orione accoglieva i sacerdoti in difficoltà, alcuni dei quali provenivano dall’arcidiocesi di Milano di cui Papa Ratti era stato pastore per pochi mesi. Era una casa adatta per “raccogliere i preti caduti… e che mano mano ritornano pentiti”.[50] Dietro alla domanda del Papa, quindi, si deve leggere un interesse particolare per quei sacerdoti e una sincera stima verso Don Orione il cui grande cuore si allargava a soccorrere anche questi figli della Chiesa.[51]

Anche in una lettera del 3 luglio1934 Don Orione ritorna sull’argomento precisando che alcuni sacerdoti “ci furono raccomandati dal Santo Padre. Di quante debolezze Iddio ci userà misericordia se la useremo agli altri. C’è il desiderio e la volontà esplicita del Papa”.[52] E ancora, due giorni prima della morte, il 10 marzo 1940, con una certa amarezza costatava che “tolto il Santo Padre [intende Papa Ratti, anche se nel marzo 1940 il Papa, da un anno, era Pio XII] e, per alcuni, il S. Officio in genere, gli altri, dopo che se ne sono liberati e me li hanno buttati sulle braccia, non se ne ricordano più… Il Santo Padre mi ha confortato per quest’opera e mi ha dato consigli pieni di illuminata saggezza…, e col divino aiuto, parecchi si sono riabilitati, e fanno bene”.[53]

Quanti furono i sacerdoti che Don Orione ha aiutato? Con precisione non lo sappiamo, ma certamente un numero considerevole come risulta sempre dalla lettera del 10 marzo dove, rispondendo ad un’ennesima richiesta, precisava che in quel momento nelle case della Congregazione ve ne erano circa una cinquantina. Era un numero davvero alto, specie se rapportato alla ancora limitata diffusione della Congregazione.

Con ogni probabilità in questo numero erano racchiusi non solo i sacerdoti che per varie ragioni si erano resi indegni del loro ministero e per i quali era necessario un recupero umano oltre che spirituale, ma anche altri che, pur degnissimi, per varie ragioni si trovavano in situazioni bisognose di attenzione e di cura, come avvenne per Don Benedetto Galbiati. [54] Anche per questo sacerdote ambrosiano, grande oratore apprezzato in tutta Milano e nell’intera arcidiocesi, non mancarono né la premura di Don Orione, né l’interessamento paterno di Pio XI che, vedendolo nella Basilica Vaticana, durante un pellegrinaggio, gli si avvicinò, gli pose la mano sul capo, e disse: “Oh, Don Benedetto, dux verbi!”.

Ma anch’egli, pur famoso e stimato, dovette superare momenti di acuta prova quando, a motivo di alcune imprudenze verbali contro il fascismo, gli venne tolta dal Cardinale Schuster la facoltà di predicare.[55] In verità già in precedenza vi erano state delle restrizioni che impedirono a Don Galbiati di  predicare i quaresimali in Milano. Lo raccontò egli stesso: “… a Milano, improvvisamente - per non dispiacere a qualche gerarca - mi fu vietata la predicazione della Quaresima. Don Orione venne fino ad Asti per prepararmi a ricevere la notizia, che temeva mi dovesse umiliare e affliggere. Quando mi vide ridere, mi abbracciò piangendo di gioia…”.[56] Ma la proibizione totale a predicare fu un colpo tremendo per l'irruente sacerdote che si vide privato della sua facoltà più congeniale. Don Benedetto, che aveva fatto di Don Orione il suo confidente, si trovò solo perché l’amico fraterno nel frattempo era partito per l'Argentina.

A prova di questo duro periodo, nell’Archivio generale della Congregazione, vi sono due lettere che il santo dei poveri scrisse al famoso predicatore. La prima è del 2 ottobre 1935 nella quale Don Orione non solo conferma a Don Galbiati stima e amicizia, ma anche gli rinnova il legame triennale con la Congregazione come oblato. Anche in questo caso sono associate la premura di Don Orione e l’interesse paterno del Papa: “Dopo che il nostro Santo Padre Pio XI mi ha parlato con tanto interessamento e amore di te… ti accolgo nel nome di Dio e con grande letizia per un secondo triennio quale sacerdote oblato della Piccola Opera della Divina Provvidenza”.[57]

La seconda lettera è scritta da Tortona, il 6 dicembre 1937. Tornato dall'Argentina, Don Orione aveva trovato l'amico gravemente depresso. E si era dato subito da fare per consolarlo. Nella lettera gli riferisce di essere stato in udienza dal Cardinale Schuster. “A Sua Eminenza, dunque ho parlato di te, mio caro Don Benedetto, a cui tutti vogliamo un gran bene, come tutti da anni soffriamo con te”. E più avanti: “Sappi che egli, il Cardinale Schuster, ti ama tanto, e deve avervi sofferto la sua parte, e ti ama proprio con il cuore di Sant'Ambrogio, di San Carlo e del Cardinal Ferrari. Ora tu, mio caro Galbiati, scrivigli una buona lettera da figlio a padre, si, e come parlassi con il tuo Cardinale Ferrari e al Signore. E prima di predicare in diocesi di Milano, va da lui, e digli che ti dia una bella paterna benedizione”.[58] La lettera continua, ricca di consigli spirituali e di conforto, infiammata d'amore per Dio e per le anime.

L'intervento di Don Orione ottenne per l'afflitto confratello la facoltà di predicare ancora a Milano.[59]

 

Pio XI, Don Orione e la Conciliazione: 1929

Il primo segno di apertura verso lo Stato italiano, Pio XI lo aveva manifestato immediatamente dopo l'elezione, benedicendo la folla dalla loggia esterna della Basilica di San Pietro, come non accadeva più dai tempi della Breccia di Porta Pia. Mentre i suoi immediati predecessori - Leone XIII, Pio X e Benedetto XV – in segno di protesta e volendo sottolineare che il Papa si trovava in Vaticano in situazione di prigionia, si erano astenuti da questo gesto e L’Osservatore Romano usciva bordato a lutto, Pio XI, invece, in segno di distensione, decise di affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana, cioè su Piazza San Pietro, sia pur senza nulla dire. I fedeli di Roma gli risposero con applausi e grida di gioia. Il gesto, seppure dovuto, si verificava dopo i fatti del 20 settembre 1870 ed era da considerarsi di portata storica; ciò accadeva perché Pio XI era convinto che la fine del potere temporale, sia pure in maniera violenta era, per la missione della Chiesa, la liberazione dalle catene delle questioni temporali.

Nel 1929 il Papa fu l'artefice della firma dei Patti Lateranensi con i quali veniva data alla Santa Sede la sovranità sullo stato della Città del Vaticano, in cambio dell'abbandono di pretese territoriali sul precedente Stato Pontificio. Veniva restituita alla Santa Sede la piena dignità di soggetto internazionale. In compensazione delle perdite territoriali e come supporto nel periodo transitorio, il governo garantiva un trasferimento di denaro che, investito da Bernadino Nogara sia in immobili che in attività produttive, pose le basi dell'attuale struttura economica del Vaticano. In segno di riconciliazione il Papa uscì, in processione solenne, in piazza San Pietro.

Secondo gli antifascisti, l'accordo costituì una grande vittoria morale del fascismo perchè diede legittimazione politica al regime e permise di ampliarne il consenso. Secondo gli intellettuali liberali e segnatamente Benedetto Croce, Luigi Albertini e il senatore fascista Scialoja - che ne avversarono in Senato l'approvazione - con i Patti Lateranensi lo Stato rinunciava al principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Secondo i democratici cristiani e piccoli nuclei cattolici, i Patti costituirono un forte momento di crisi, in quanto questi esponenti politici ritenevano inconcepibile un accordo tra la Chiesa Cattolica e un regime incompatibile con i principi cristiani. Comunque, la firma dei Patti fu un indiscusso successo di Pio XI, ammesso anche da coloro i quali, come De Gasperi e Don Sturzo, lo vissero, soggettivamente, come uno schizzo di fango che sporcava proprio il miglior cattolicesimo antifascista.

Un evento così importante che ha cambiato il corso della storia non poteva se non provocare ampli consensi e, contemporaneamente, dubbi e critiche di cui il Papa fu pienamente cosciente. “Ci affrettiamo a soggiungere – precisava Pio XI – che per quel che ci riguarda personalmente, Ci lasciano e lasceranno sempre molto tranquilli, benché, a dir il vero, quei dubbi e quelle critiche si riferiscono principalmente, per non dire unicamente, a Noi, perché principalmente, per non dire unicamente e totalmente, Nostra è la responsabilità, grave e formidabile invero, di quanto è avvenuto e potrà avvenire in conseguenza”.[60]

 

Il contributo di Don Orione

Quale fu la posizione di san Luigi Orione su questa questione tanto importante per il futuro della Chiesa? Come sappiamo da studi già pubblicati, anche Don Orione, sacerdote dallo zelo pastorale altissimo, intelligente e duttile nell’indirizzarsi su ogni sentiero percorribile, si fece protagonista nel trovare una soluzione alla questione che risultasse dignitosa sia per la Chiesa sia per lo Stato italiano.[61]È un grande dolore per noi cattolici e italiani - scriveva - che questa benedetta questione della libertà della Santa Sede non venga finalmente risolta. Bisogna che la Santa Sede sia libera, e tale appaia agli occhi del mondo cristiano, in modo evidente e indiscutibile”.[62]

Egli scrisse al Capo del Governo Benito Mussolini invitandolo a “stendere nobilmente la mano al vinto”. L’iniziativa di Don Orione non fu un fatto estemporaneo, ma un tassello di un quadro più ampio di pensieri, relazioni che presero forma concreta soprattutto quando venne costituito un gruppo di studio di cui fece parte insieme ad altri eminenti ecclesiastici, tra cui Padre Giovanni Genocchi, Don Giovanni Minozzi e Padre Giovanni Semeria. Quest'ultimo riferì che proprio in casa di suoi parenti si riunirono per discutere e studiare la possibilità di trovare una via di uscita per riallacciare le relazioni tra Stato e Chiesa. Alla prima riunione preparatoria erano presenti Padre Genocchi, Don Orione e Don Minozzi. La Commissione, che non aveva mandato ufficiale, continuò il suo studio fino al 1926, giungendo anche ad una ipotesi di soluzione.

A questo punto, si colloca la famosa lettera di Don Orione a Mussolini del 22 settembre 1926. Perché scrisse quella lettera? Don Luigi Orlandi, un confratello fidato che aveva battuto a macchina la lettera, qualche anno dopo lasciò la seguente dichiarazione scritta: “Don Orione mi spiegò che era stato in Vaticano, che aveva parlato con il Cardinale Pietro Gasparri e, non ricordo bene, ma mi pare che mi abbia detto che era stato anche in Udienza da Papa Ratti. Certo è che mi disse le testuali parole: “Il Papa vuole addivenire ad un trattato con il Governo di Mussolini per sciogliere la cosiddetta Questione Romana, ed il Santo Padre desidera che io scriva a Mussolini sull’argomento”. Ecco lo scritto che Don Orione inviò al Capo del Governo:

Eccellenza, è da tempo che non mi posso liberare da un pensiero;  e più prego, più mi torna, sì che mi sembra la voce del dovere. Sono sacerdote, umile figlio della Chiesa, disciplinato e obbediente ai Vescovi e al Papa senza reticenze. E sento di essere italiano e cittadino non vile. Scrivo sentendo di non volere, di non cercare altro che il bene delle anime, della religione e della mia Patria. Perdoni quindi, Eccellenza, la libertà. Iddio le ha messo in mano un potere che, forse, nessuno ebbe l’uguale in Italia. E vostra Eccellenza ha fatto molto. Il cielo la conservi a compiere la provvidenziale missione che Le ha dato. Penso che v. Eccellenza, se vuole, può, col divino aiuto,  finire l’amaro e funesto dissidio che è tra la Chiesa e lo Stato. E umilmente la prego, e come sacerdote e come italiano. Trovi una base ragionevole, e proponga una soluzione.  Spetta al Governo italiano stendere nobilmente la mano al vinto. Il Santo Padre, che ama di sviscerato amore la nostra, la sua stessa Patria, assicurata la piena e manifesta libertà e indipendenza della S. Sede,  sarà certo ben lieto che gli si offra di potere addivenire ad un componimento. E quale forza, quali vantaggi ritrarrebbe l’Italia da una conciliazione! Lo faccia, Eccellenza, e la seguiranno tutte le benedizioni di Dio e le benedizioni e il plauso del mondo cristiano e civile.  E avrà scritto una delle pagine più belle della storia. Con profondo ossequio di Vostra Eccellenza dev.mo servitore”.[63]

La lettera, pur nella sua brevità, contiene un preciso e autorevole messaggio, ossia la chiara volontà del Papa di addivenire a un componimento della Questione Romana. Per questa ragione la stesura venne affidata ad un sacerdote di fiducia e di riconosciuto valore morale nell’opinione pubblica, quale era, appunto, Don Orione.

Finalmente, dopo queste iniziative del 1926 qualcosa cominciò a muoversi. Il Cardinale Gasparri ebbe un incontro con Benito Mussolini e, successivamente, l’on. Fulvio Milani, sottosegretario alla Giustizia, prese contatto con gli ambienti vaticani per iniziare le trattative della Conciliazione.

Ma nel 1927, i colloqui si arenarono. Punto d'attrito fu la questione giovanile, già affiorata con la nascita dell'Opera Nazionale Balilla e riacutizzata con lo scioglimento dei gruppi sportivi e degli esploratori cattolici (Scouts). I fascisti dissero chiaro e tondo che erano disposti a riconoscere l'Azione Cattolica Giovanile (forte di 200.00 iscritti) quale associazione di fatto, ma di non poter ammettere la concorrenza degli Scouts ai Balilla. Il contrasto coinvolse la stampa, che ignorando le delicate trattative per la Questione Romana, si buttò a capofitto nello scambiare con i giornali cattolici frecciate e articoli polemici.

Nonostante queste difficoltà, seguirono con un fitto calendario molti incontri, finché due anni dopo, l'11 febbraio 1929, nel Palazzo di San Giovanni in Laterano,[64] i Patti vennero siglati in maniera soddisfacente per le parti in causa. Così affermò lo stesso Pio XI durante l’Udienza concessa a professori e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 13 febbraio successivo: “Forse a risolvere la questione - disse Pio XI - ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale… Il Concordato, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”.[65]

Il 23 aprile 1929 iniziò il dibattito in Senato per la ratifica che si concluse favorevolmente il 25 maggio successivo, al termine di vivaci discussioni e polemiche anche all'esterno del Senato stesso. Sei senatori votarono contro l'approvazione, fra cui Benedetto Croce. Anche la Camera dei deputati votò l'approvazione dei Patti; il risultato, anch’esso a favore, ebbe due dissenzienti.

Lo scambio delle ratifiche avvenne in una sala dei Palazzi apostolici: era il 7 giugno 1929. L’anno successivo, l'anziano Cardinale Gasparri si dimise e fu sostituito dal nuovo Segretario di Stato, il Cardinale Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII.

 

Le perplessità di Don Orione

Don Orione continuò a seguire con sollecitudine la Questione Romana, ma alla firma dei Patti Lateranensi, pur soddisfatto, non nascose qualche perplessità. Come racconta il senatore Boggiano Pico, a lui molto vicino, baciò la foto di Pio XI pubblicata da un giornale che dava la notizia della fine delle ostilità esclamando: “Povero Papa, quanti dolori ne avrà! La Conciliazione si doveva fare, ma non in questo modo. Non mi pare una saldatura che tenga. Io vorrei sbagliarmi, ma temo che vedremo brutti giorni”.[66]

Le testimonianze rese da alcuni religiosi in occasione del processo di beatificazione riportano alcune frasi del Fondatore piuttosto amare per come si era concluso il Concordato. “Meglio una Chiesa perseguitata ma libera che una Chiesa rispettata ma schiava… La concordia degli animi si avrà sotto un Papa straniero, per nostra maggiore umiliazione, e non è lontano questo Papa…”.[67]

Anche questa testimonianza di Don Candido Di Stefano è rivelatrice dello stato d’animo di Don Orione: “Nel febbraio del 1929 mi trovavo assistente dei probandi a Tortona. Ero in istudio con essi, quando il chierico Giulio Zuffardi mi portò il giornale. Lessi il primo ed unico articolo che occupava tutta la prima pagina e proseguiva poi in altra. Mi alzai in piedi e dissi: E’ avvenuta la Conciliazione tra l’Italia e la Santa Sede. Diciamo un Salva Regina di ringraziamento alla Madonna. Detta la Salve Regina e gridato: Viva il Papa! Viva l’Italia!, riprendemmo tranquillamente a studiare. Con mia meraviglia il pomeriggio di quello stesso giorno (12 febbraio 1929) fui chiamato da Don Sterpi che mi disse che il Direttore non era rimasto contento della mia iniziativa. Don Orione né allora, né immediatamente dopo commentò con noi quell’avvenimento di eccezionale importanza”.[68]

Non fu pienamente soddisfatto di come si concluse la Conciliazione,[69] pur apprezzandone il bene che ne poteva derivare all’Italia, temendo che non fosse sufficientemente garantita la libertà del Santo Padre. La frase di Mussolini: “Volentieri la striscia di terra fino al mare, purché si paghi una lira di affitto”, gli spiacque, però accettò con disciplina le decisioni della Santa Sede, e dovendo in pubblica manifestazione alludere al Capo del Governo lo fece con la perifrasi: “Benedite, o Santa Madonna, l’uomo col quale la Provvidenza ha fatto incontrare il Papa”.[70] Per le Autorità prescrisse che si pregasse quotidianamente per ben due volte.

I punti deboli dell’accordo secondo Don Orione, riguardavano il tema della territorialità e quello della salvaguardia dell’educazione religiosa nelle scuole e nelle associazioni. Temeva che Mussolini approfittasse del suo accresciuto prestigio per promuovere interventi a danno della Chiesa. Cosa che accadde, come sopra già accennato, con la sua politica vessatoria nei confronti delle organizzazioni cattoliche. E non a caso, pochi giorni dopo la firma dei Patti, Don Orione manifestò le sue ansie ai suoi sacerdoti, lenite, come sempre, dal fervore della fede: “Quando i fascisti entreranno negli Istituti per prenderci i giovani il Signore ci ispirerà quello che si dovrà fare”.[71]

In verità il pensiero di Don Orione era diffuso presso molti cattolici e sacerdoti, come precisò lo stesso Pio XI che soffermandosi sulle critiche al Concordato diceva nel già citato discorso del 13 febbraio: “Le critiche si divideranno in due grandi categorie. Gli uni diranno che abbiamo chiesto troppo, gli altri troppo poco. Forse alcuni troveranno troppo poco il territorio, di temporale. Possiamo dire, senza entrare in particolari e precisioni intempestive, che è veramente poco, pochissimo, il meno possibile, quello che abbiamo chiesto in questo campo: e deliberatamente, dopo aver molto riflettuto, meditato e pregato”.[72]

Don Orione osservava che il Santo Padre, accontentandosi di un territorio ridottissimo, appena sufficiente affinché l’anima restasse unita al corpo, aveva dato prova della sua grande carità, dimostrando che la Chiesa mai si rifiuta di stringere la mano che viene tesa per mettere fine ad una situazione di discordia.

Il trascorrere degli anni rivelò la saggezza della Conciliazione, raggiunta nel modo che le persone e le circostanze del tempo avevano permesso, e sarebbe stato fuori della realtà attendersi soluzioni migliori. La soluzione della Questione Romana, oltre a superare un grave problema di coscienza dei cattolici italiani, sancì finalmente la libertà della Santa Sede, dandole un volto giuridico nelle relazioni internazionali.

 

Preti più papisti del Papa

In più occasioni Don Orione si era fatto conoscere per le sue posizioni di fedeltà alla Chiesa. Ciò avvenne soprattutto dopo il discorso di Mussolini alla Camera (13 maggio 1929) nel quale negò la divinità della Chiesa con l’intenzione di vincere le ostilità che la Conciliazione aveva provocato in qualche membro del Parlamento e quindi con l’intenzione di sminuire in parte il valore e lo spirito della Conciliazione. Don Orione gli scrisse, d’impeto e di getto, una lettera di protesta.[73] Nel successivo discorso al Senato (25 maggio 1929), il Duce accennò a “preti più papisti del Papa” che avrebbe voluto conoscere “perché dovevano essere d’una natura tutta affatto particolare”, e cui “le punte polemiche erano giunte al segno, perché ne hanno accusato ricevuta”.

Don Orione rimase mortificato che in quell’occasione l’episcopato italiano non reagì al discorso di Mussolini; così si confidava durante il pranzo del 3 giugno 1929: “Mi veniva da piangere quando, dopo aver letto il discorso di Mussolini, dove si negava la Divinità della Chiesa, e nessun Vescovo d’Italia alzava la voce. Nei 280 Vescovi che ha l’Italia e il Papa, veder negata la Divinità della Chiesa e starsene zitti, per paura di una bottiglia di olio di ricino o di una manganellata”.[74]

In seguito a quella lettera, Don Orione prima fu per qualche tempo pedinato dalla Questura e poi venne privato del biglietto ferroviario permanente e gratuito che gli era stato rilasciato per l’opera umanitaria che svolgeva in favore dei poveri e degli orfani. Così avvenne il fatto: essendogli stata rubata a Napoli la valigia contenente il biglietto, Don Orione fece la domanda che gli venisse rinnovato. Per interposta persona gli si fece capire che il biglietto gli sarebbe stato rinnovato, se egli si fosse mostrato più arrendevole nei riguardi del regime. Don Orione si mantenne fermo nei suoi principi, pur dovendo rinunciare al beneficio del biglietto gratuito, che non gli venne più rinnovato. A chi gli chiedeva il perché di quel gesto delle Autorità, egli rispose: “Ho peccato contro l’Olimpo…volevano che facessi atto di adesione al fascismo”.[75]

Per comprendere la tenacia con la quale Don Orione in ogni circostanza difendeva la Chiesa e il Papa, anche contro il disprezzo delle Autorità, è opportuno conoscere quanto accadde nella sacrestia della Basilica di Santa Maria sopra Minerva in Roma. E’ ancora Don Cesaro a riferire le parole di Don Orione pronunciate sempre il 3 giugno 1929: “Erano i tempi delle giornate di Romagna.[76] Uscivo per celebrare la S. Messa all’Altare di S. Caterina. Ho visto entrare Mons. Masera che era stato allora levato dalla diocesi di Biella. Ho pensato subito come dovergliela far capire a Mons. Masera per la vergogna che aveva avuto di non difendere i diritti della S. Sede, quando in sua presenza, lui vescovo, ed in presenza di ambasciatori di altre nazioni veniva schernita nei modi più crudeli, chiamandola barcaccia la Santa Chiesa, e coi titoli più sconci che immaginar si possa (e questo era un sovrano che parlava). Fu quella davvero una Messa di S. Caterina. Finalmente mi venne un’idea. Mons. Masera aveva lasciato il breviario lì, sulla panca della sacrestia. Finita la S. Messa (la sacrestia era deserta) prendo un pezzo di carta e scrivo in fretta poche parole, di cui il senso: ‘Vostra Eccellenza ha assistito qualche anno fa a un circolo in cui un sovrano, davanti agli ambasciatori di tutti gli stati, parlava male della barcaccia di S. Pietro, barcaccia che stava per finire, che stava per affondare; e Vostra Eccellenza, benché Vescovo non ha avuto il coraggio di alzare la sua voce in difesa di questa barcaccia. Spero che Vostra Eccellenza vorrà ora rimediare. Scriva a quel Sovrano: “Maestà…, ora che la Vostra barca sta per cadere, dopo aver navigato per solo pochi anni, se vuol salvarsi faccia ora un salto nella barcaccia, sulla barcaccia di S. Pietro, che da 19 secoli non è ancora affondata. Misi il biglietto fra le pagine di quel Breviario e me ne uscii”.[77]

Verso il fascismo Don Orione fu rispettoso,[78] ma sempre attento a tenersi anche ad una certa distanza, garanzia di libertà. A volte per incitare i suoi religiosi utilizzò alcune espressioni messe in auge dal fascismo: “Adesso – lanciava la provocazione nella Buona notte del 2 gennaio 1938 – hanno messo in Italia il “passo romano” e noi con che passo andremo? Bisogna che ciascuno capisca che noi andremo con passo apostolico”.[79]

Mussolini fece sapere ripetutamente a Don Orione, attraverso il prefetto di Alessandria, del suo desiderio di riceverlo. Don Orione rifiutò sempre, anche di fronte ai consigli di amici che gli prospettavano aiuti per le sue opere; ad essi rispondeva dicendo di appartenere solo a Dio e Dio avrebbe pensato anche a lui.[80]

 

La persecuzione fascista contro l’Azione Cattolica: 1931

Le relazioni tra il Vaticano e il fascismo durante il pontificato di Pio XI furono contrassegnate da molti alti e bassi. Il Papa assistette alla fine dell'Italia liberale e alla scomparsa dei partiti fra i quali pure il Partito Popolare Italiano di Don Luigi Sturzo di ispirazione cattolica e si trovò - non più di due anni dopo la firma dei Patti Lateranensi - già in rotta di collisione con il Duce che voleva sempre di più ridurre il ruolo della Chiesa nell'educazione dei giovani. Il conflitto raggiunse il picco massimo quando nel 1931 Mussolini ordinò la chiusura dei circoli della gioventù cattolica, delle federazioni universitarie e delle sedi dell'Azione Cattolica, spesso oggetto di violenze e devastazioni. A questa prepotenza il Papa reagì con la pubblicazione dell'enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale si affermava l'impossibilità di essere allo stesso tempo cattolici e fascisti.

Pio XI, pur soffrendo per le prepotenze orchestrate dal regime nei confronti della Chiesa, con il suo carattere battagliero non si scoraggiò di fronte a questo ennesimo confronto; per appianare le tensioni con il governo italiano si servì, tra i molti, anche di Don Orione. Alcuni religiosi confermarono che in quell’anno egli andò sovente a Roma fermandosi a lungo e in colloqui con Cardinali e Prelati della Curia romana. Addirittura - così testimoniò suor Maria Pazienza delle Piccole Suore Missionarie della Carità - Don Orione offrì a Dio la stessa Congregazione pur di ottenere la pace tra il Governo italiano e la Santa Sede.[81]

In un testo del 4 febbraio 1931, Don Orione presentò l’Azione Cattolica con precisi tratti essenziali: “È azione organizzata dei cattolici per la maggiore santificazione, sotto la direzione della Gerarchia aiutando validamente, efficacemente a dilatare nelle nazioni diverse il Regno di Cristo. Il fine dell'Azione Cattolica è il fine stesso della Chiesa: Instaurare omnia in Cristo, S. Paolo. L'Azione Cattolica non fa politica, e deve essere aliena dalle divisioni dei partiti, ma con questo non si nega affatto che i cattolici intervengano negli interessi pubblici; essi anzi devono procurare con tutte le loro forze che la vita della Nazione sia avvivata dai principi cristiani” .[82]

Il 10 luglio successivo Mons. Boncompagni scrisse a Don Orione che, in seguito alla pubblicazione dell'enciclica Non abbiamo bisogno, “pare imminente la denuncia del Concordato” e invoca un suo intervento. Don Orione, il 12 luglio, gli rispose: “Durante le ultime settimane ben due volte sono stato a Roma, e per parecchi giorni. Quod potui, feci. Eccellenza, che potrei mai ora più fare? Se sapessi di riuscire a qualche cosa, non verrei, ma volerei [a Roma]. Sì, il tempo è più che burrascoso, ma la preghiera ci conforta sperare un avvenire in tutto più degno della bontà divina”.[83] Parlando ai suoi confratelli, il 27 agosto successivo, Don Orione riferisce di questi avvenimenti e conclude: “Voglio sperare che le proteste del Santo Padre abbiano ottenuto il loro scopo, che era di impedire il progetto di chiusura di tutte le istituzioni facenti capo all'Azione Cattolica” .[84]

Don Orione ovunque e con continuità favorì la costituzione dell'Azione Cattolica presso le sue opere e attività. Come scrisse nella lettera del 13 aprile 1936, volle che la parrocchia di San Michele, a Tortona, realizzasse “tutto quanto è voluto dal Santo Padre circa l'Azione Cattolica: uomini e giovani; donne e gioventù femminile, beniamine; tutto ci sia e siano tutti curati i quattro rami principali dell'Azione Cattolica: Associazione degli Uomini di Azione Cattolica, Associazione delle Donne di azione cattolica, Gioventù maschile e femminile di Azione Cattolica”.[85] In alcuni appunti per una conferenza del 22 giugno successivo, tracciando brevemente la storia di questa gloriosa associazione, scrisse: “Pio X, salvando l'Azione Cattolica da pericolosi deviamenti ha sapientemente preparato il terreno agli statuti di Pio XI. Pio X poi, aprendo prudentemente ai cattolici italiani il terreno politico per la difesa sociale, ha preparato quella Conciliazione che era nei voti ardenti del suo cuore e che l'undecimo Pio, coi nuovi tempi e i nuovi indirizzi, poteva realizzare, «restituendo Dio all'Italia e l'Italia a Dio”.[86]

In un altro appunto del 1939 affermava: “L'azione cattolica è la milizia dei laici a servizio della Chiesa e in aiuto del Clero per far rifiorire la vita parrocchiale”.[87] Poi, ad una riunione di confratelli, del 16 luglio dello stesso anno, disse: “Per l'Azione Cattolica si va voltando pagina. Sentiremo le norme che usciranno e aderiremo con tutto il cuore alle norme che ci verranno date. (…) Attenersi alle norme che darà la Commissione stabilita dal Santo Padre” .[88]

In questo periodo di tensione per l’Azione Cattolica, Don Orione fu pedinato dalla Questura.

 

La questione del milione promesso e non più donato: 1932

Non vi furono momenti in cui Don Orione non tenne alto l’amore e la fedeltà al Papa e alla Chiesa, suoi grandi ideali; lo fece anche quando la sua devozione venne messa alla prova da circostanze dolorose. Qualcosa accadde anche con Papa Ratti ma, nonostante questo, come testimoniò Don Zambarbieri al processo di beatificazione “nel tempo in cui sono stato vicino al Servo di Dio non ho mai sentito giudizi meno che favorevoli all’indirizzo di Pio XI”.[89]

Il fatto che vi possano essere delle diversità di vedute tra persone ragguardevoli, non depone a loro sfavore ma anzi conferma il fatto che quando si agisce in coerenza di intenti, la libertà viene assicurata e con essa anche la diversità di giudizio su singole questioni. Fu la verità amata e condivisa che permise a Pio XI e a san Luigi Orione di agire in sintonia anche in momenti difficili, perché “la verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia”.[90]

Ecco come avvennero i fatti. Il 14 settembre 1932, a Villa Moffa di Bra (Cuneo), mentre si osservava una eclissi di luna, Don Orione confidò ad alcuni suoi religiosi, tra cui Don Cremaschi, Don Zambarbieri e il chierico Scoccia, che Pio XI gli aveva promesso un milione per costruire in Roma, presso la parrocchia di Ognissanti,[91] un nuovo istituto: la scuola San Filippo Neri. Se non si fosse costruita entro un determinato tempo, si rischiava di perdere un largo appezzamento di terreno a fianco della parrocchia.

L’idea di edificare questa nuova opera era stata dello stesso Pio XI che, ricevendo in Udienza Don Orione, gli disse: “perché non fate qui a Roma contro i Protestanti quello che avete fatto a San Remo?”.[92] Don Orione rispose: “Santità, noi ora non ci troviamo nella possibilità di far tanto; se però Vostra Santità volesse prestarci un milione con un discreto interresse (due o tre percento) noi ci accingeremo subito all’opera”. Siccome Don Orione si dichiarava disposto a restituire la somma, prontamente il Papa gli rispose: “Il Papa non presta, ma dona! Vada pure oggi, domani sarà sempre pronto un milione dal momento che la Provvidenza ci è venuta in aiuto”.[93]

Qualche giorno dopo, Don Orione si portò di nuovo in Vaticano per mostrare al Santo Padre il progetto massimo e minimo necessario per riuscire all’intento. Il Papa considerati i due progetti voleva, senza aspettare ancora, dar a Don Orione quel milione e gli disse: “Vado a prendere il milione!”. Questi rispose: “Non è necessario che io lo prenda subito: inoltre ho altre opere di carità da mantenere e non vorrei che questo denaro fosse usato per altri scopi. Basta che ci sia possibile averlo volta per volta per far fronte alle spese dei lavori”.[94] Don Orione ritornò a casa consolatissimo facendo iniziare subito i lavori. Ma, passato del tempo, il milione non venne.

Una domenica, alle sei del mattino telefonò mons. Caccia riferendo che il Santo Padre voleva sapere se Don Orione era a Roma. Alle undici una seconda telefonata, sempre di mons. Caccia: “Il Santo Padre desidera parlare con Don Orione. Favorisca venire”. Ancora alle quattro pomeridiane telefonò nello stesso senso. Don Orione andò dal Papa verso sera. C’era la nipote di Pio XI che già aspettava di essere introdotta, però gli fecero largo e Don Orione fu in Udienza per primo. Il Santo Padre uscì in queste parole: “Parlai con due Cardinali i quali mi dissero che si poteva impiegare più utilmente quel denaro. Quindi abbiamo pensato che quei soldi possono essere più utilmente impiegati”. A quelle parole Don Orione che in vista della costruzione aveva già fatto fare dei rilievi, spendendovi alcune migliaia di lire, rispose: “Santità, in Giobbe si leggono queste parole: Dominus dedit, Dominus abstulit, sicut Domino placuit…ita factum est. Sit nomen Domini benedictum”.[95]

 Allora il Santo Padre gli scoprì l’altarino riferendo che i Cardinali Basilio Pompili e Carlo Perosi, tortonese, l’avevano distolto dal disegno concepito fino a fargli ritirare la parola. Dopo ciò Don Orione chiese la Benedizione al Santo Padre ed ebbe così fine l’Udienza. “Mai io mi sarei creduto che il Papa ritirasse la parola”, confidò sconsolato ai suoi religiosi. Poi però con i confratelli commentò: “Per noi il Papa fa sempre bene”.[96]

La questione non finì così, ma ebbe un epilogo di maggior dolore per Don Orione che qualche giorno dopo andò a trovare il Cardinale Pompili. Tra le parole che Sua Eminenza pronunciò, queste particolarmente gli procurarono una sofferenza indescrivibile: “presto ritornerà il Cardinal Cerretti dal Congresso Eucaristico tenutosi in Australia. Se porterà tanti milioni che non si sappia dove metterli, ce ne sarà uno anche per te”. Don Orione ripensando all’accaduto disse: “Quanto mi fecero male quelle parole! Questo non è Vangelo, questo non è spirito di Cristo. Il mio martirio… bisogna pregare, tacere, adorare la volontà  di  Dio”.[97]

Tempo dopo Don Orione passò di nuovo a Roma per diverse incombenze e tra l’altro  per avvisare il Cardinale Pompili che di lì a poco sarebbe morto e che se aveva ancora “qualche negozio da mettere a posto” lo facesse quanto prima.[98] In quel periodo di malattia sua Eminenza era assistito dal nostro religioso Don Risi che gli chiese se voleva parlare con Don Orione; gli rispose: “Mi commuoverebbe troppo, preghi per me”. Don Orione, invece, andò lo stesso a visitarlo e gli chiese la benedizione per sé e per l’intera Congregazione. “E’ Lei che deve benedirmi, precisò il Cardinale, cerchi di ricavare grande profitto dalla meditazione, dalla Comunione, dalla Confessione”.[99] Dagli altri, concluse Don Orione, noi dobbiamo prendere solo ciò che hanno di buono.

Nonostante queste difficoltà, la costruzione dell’istituto San Filippo Neri continuò e venne affidata all’architetto Filippo Sneider e alla ditta edile Castelli, la stessa che aveva già edificato la chiesa di Ognissanti. I lavori terminarono nel 1937 e, dopo l’inaugurazione, prese il via il primo anno scolastico. Anche il Papa, che nel frattempo aveva concesso all’istituto il titolo di pontificio, si fece presente in quella felice circostanza con un telegramma a firma del Segretario di Stato Cardinale Pacelli: “Rev.mo Don Orione, l’istituto “San Filippo Neri” di cui la Divina Provvidenza ha voluto la S. V., come di tante altre buone istituzioni, coraggioso iniziatore, è opera di alta carità spirituale, destinata evidentemente a recar frutti copiosi e preziosi nell’interesse della vita cristiana, quindi della più degna civiltà. Il Santo Padre non può che ringraziare con Lei il Signore ed augurare – come augura di cuore – che la carità illuminata dei buoni, penetrandone l’alto valore sociale e religioso, porti largo e volenteroso il suo contributo ad assicurarne la più redditizia vitalità. Intanto la Santità Sua invoca sull’Istituto nascente la perenne divina assistenza; e mentre non dubita che il caro Apostolo di Roma, da cui prende il nome, ne propizierà gl’incrementi e gli concilierà anche sulla terra simpatie e favori, invia di cuore a Lei, caro Don Orione, ai suoi benemeriti Figli, ai benefattori delle sue opere, a tutti gli alunni dell’Istituto Apostolica Benedizione. Lieto io stesso dell’augusto messaggio, doppiamente godrei se i doveri del mio ufficio mi consentissero di accogliere l’invito che ella mi rivolge e di darle anche di presenza il cordiale attestato del mio plauso  e della mia simpatia. L’una e l’altra cosa le esprimo qui con la promessa delle mie preghiere, mentre con sincera stima mi professo della S. V. Rev.ma dev.mo nel Signore”.[100]

 

L’Udienza dell’Anno Santo: 1933

Ogni incontro con il Papa era un avvenimento per Don Orione e per i religiosi che vi partecipavano. Certamente una risonanza tutta particolare ebbe l’Udienza dell’Anno Santo, 14 luglio 1933, sia per la felice ricorrenza e sia per la significativa presenza dei religiosi in quell’occasione: una sessantina di sacerdoti a cui si erano aggiunti quaranta chierici studenti di filosofia e di teologia nelle diverse facoltà romane.  Ci fu prima un’Udienza privata al solo Don Orione e poi una seconda al gruppo di religiosi.

Durante l’Udienza privata, contravvenendo al protocollo, il Papa non volle che Don Orione gli baciasse la mano e il piede. Il colloquio prese subito un tono familiare che aiutò Don Orione ad aprirsi con fiducia al Santo Padre per raccontargli dello sviluppo della Congregazione sia in Italia come all’estero. Gli diede, quindi, diverse informazioni: anzitutto gli riferì delle case che stava per aprire o che aveva appena fondate: l’acquisto del Paverano di Genova e la prossima apertura del Piccolo Cottolengo di Milano. “Gli ho detto - aggiunse Don Orione - che il Cardinale di Milano vuole anche che apriamo una chiesa che poi farà parrocchia. Questo mi fa piacere - precisò Pio XI - perché è segno che il Cardinale vi stima”.[101] Gli riferì anche che l’arcivescovo di Buenos Aires aveva chiesto la presenza delle suore come econome di una casa di carità nella diocesi. Infine diede anche alcune informazioni sulla formazione culturale e spirituale dei chierici per le quali il Papa espresse il suo compiacimento, specie sul fatto che la formazione fosse oculata: “fu contento che si stringano i freni  coi chierici quando gli ho detto che stiamo crivellando molto”.[102]

Don Orione aggiornò il Papa anche sulla situazione economica: “Non abbiamo, Padre Santo, una casa con una tegola ipotecata. Debiti li abbiamo, ma anche il modo di pagarli. Basterebbe che mi rivolgessi a qualche persona, perché sono più pronti essi a dare che io a domandare. Quando vado sul pulpito, se ho soldi non posso parlare, e quando non ho soldi, divento eloquente. Abbiamo alcuni [sacerdoti] secolari che ci stimano assai… Il clero non può dire che Don Orione sia andato a seccare”.[103]

Per incoraggiare i suoi religiosi, Don Orione raccontò, poi, molti particolari dell’incontro. Il Papa mi ha detto: “non c’è stato neppure un Vescovo che non mi abbia parlato bene dei Figli della Divina Provvidenza e delle Piccole Suore Missionarie della Carità, non solo dei Vescovi d’Italia, ma anche dell’estero. E aggiunse il Papa: Sono molto contento di voi perché so che cercate di essere buoni religiosi e di fare del bene ai poveri e fino a tanto che voi farete del bene il Signore sarà con voi…”. “Padre Santo - rispose Don Orione - malgrado la crisi stiamo in piedi. Non solo so che state in piedi - concluse Pio XI - ma so che camminate e che vi allargate, e vi dico che siamo contenti di voi”.[104]

Don Orione profittava di questi augusti consensi per incoraggiare i religiosi alla santità della vita ed alla dedizione alla Chiesa, al Papa, ai poveri: “Contento, non di me, ma di noi tutti; quindi di voi e di me, di tutti noi. Come sono contento che ritornando alle vostre case portiate questa gioia nell’animo. Vale più questa consolazione che tutto l’oro del mondo. Il Papa disse: Sono molto contento di voi, perché so che cercate di essere buoni religiosi e di fare del bene ai poveri, e fino a tanto che farete del bene ai poveri il Signore sarà con voi… Si vedeva che era contento, e nel venire via mi ha detto: Ci rivedremo ancora”.[105]

Durante l’Udienza pubblica, nella Sala del Cantone, al gruppo di circa cento orionini che, come sopra detto, seguì l’incontro privato con Don Orione, il Papa disse: “Dire Piccola Opera della Divina Provvidenza, è parlare di cosa che non è più piccola, ma di già consolante. Sta bene che nel nome stesso quelli che di tale opera fanno parte conservino l’espressione del sentimento dell’umiltà che sempre li accompagna, e anzi, tutti deve accompagnare nelle opere da compiere. Grande, avevamo poco prima detto con Don Orione, è la Provvidenza di Dio! Grande in tutte le opere sue, grande pure nella Piccola Opera se piccola essa si può ancora dire! E veramente è bene però che ci accompagni il sentimento della nostra pochezza, del nostro nulla espresso nel termine Piccola Opera. Dio basta a tutto, sovrabbondantemente, noi non bastiamo a niente: sine me nihil potestis facere . Ed è per questo che il Signore si serve qualche volta di noi per cosa mirabile, perché ci vede consapevoli di nulla potere”.[106]

Ricordando l’Udienza durante la Buona notte del 20 luglio successivo, Don Orione insistette sull’atteggiamento paterno del Papa e sull’accoglienza riservata al gruppo dei religiosi orionini, cercando di comunicare a tutti i sentimenti di affetto che egli stesso provava per il Papa, affinché risultassero di incoraggiamento. “Che accoglienza abbiamo avuto! Ci siamo seduti spiritualmente presso di Lui. Come Egli ci vuole bene! Il Papa ci fece un bellissimo discorso, incoraggiandoci e confortandoci nel nostro lavoro. I nostri sacerdoti sono usciti tutti pieni di commozione e di soddisfazione con le lacrime agli occhi e non si aspettavano una così buona accoglienza. Ciò che hanno riportato i giornali non è altro che un piccolo spunto di quanto ci ha detto il Santo Padre!”.[107]

 

Pio XI, Don Orione e la guerra civile di Spagna

In Spagna il Fronte popolare di ispirazione marxista-leninista aveva apertamente coinvolto le sue forze anche contro la Chiesa Cattolica. Pio XI non poté, fino ad una fase avanzata del conflitto, riconoscere i franchisti e il loro governo, nonostante il Fronte popolare avesse promosso una violenta persecuzione con devastazioni di chiese, uccisioni e torture di religiosi e addirittura saccheggi di tombe degli ecclesiastici. Questo riconoscimento era ostacolato anche dal fatto che il Fronte popolare era ancora l'unico ufficialmente riconosciuto a livello internazionale.

Essendo parte in conflitto in quanto attaccata dal Fronte popolare, la Chiesa Cattolica non poté condannare le violenze effettuate dalla opposta fazione dei repubblicani, e cioè da parte franchista (il bombardamento di Guernica in primis). Dopo l'abolizione della legislazione anticlericale dei repubblicani ad opera di Franco ad inizio 1938, i rapporti tuttavia migliorarono e il successore di Pio XI, Papa Pacelli ricevette in udienza particolare i combattenti Falangisti. Vi è da precisare che nei documenti vaticani inerenti i rapporti tra Pio XI e la Spagna franchista emerge chiaramente sia un atteggiamento negativo nei confronti delle pesanti violenze comuniste del Fronte popolare contro la Chiesa, sia l'ostilità del Papa nei confronti di Francisco Franco.

Si vedano a questo proposito le pubblicazioni dello storico spagnolo Vicente Cárcel Ortí,[108] che ha studiato e portato alla luce documenti inediti degli Archivi Segreti del Vaticano, dimostrando non solo che la gerarchia cattolica manifestò chiaramente ostilità nei confronti di Francisco Franco, ma anche riuscì - nelle persone di Papa Pio XI e di alcuni vescovi spagnoli - a convincerlo a risparmiare la vita di migliaia di repubblicani condannati a morte. Il 16 maggio 1938 avvenne il riconoscimento ufficiale del governo di Franco tramite l'invio del nunzio apostolico a Madrid nella persona del monsignor Gaetano Cicognani.

Anche Don Orione condivise, come ogni cattolico, la preoccupazione della Chiesa per gli eventi sanguinosi che stavano succedendo in Spagna, sia per le informazioni dirette avute da alte personalità ecclesiastiche e sia per la risonanza che esse avevano in Argentina, ove egli si trovò quasi ininterrottamente dal 1934 al 1937, cioè nel momento culminante della persecuzione religiosa.

Il suo interessamento per le dolorose vicende della Spagna, però, era iniziato prima del viaggio in America Latina e con i suoi più fidati religiosi ne parlava da tempo con preoccupazione e cercando di suscitare nei cuori sentimenti di amore e attaccamento alla persona del Papa. Durante la Buona notte del 18 dicembre 1932, come intuendo le atrocità che si sarebbero verificate specie nel 1936, con chiaroveggenza disse: “Dobbiamo amare il Papa, dobbiamo obbedirlo, dobbiamo lavorare per il Papa, dobbiamo morire per i Papa: sì, morire per il Papa. Oggi, che la Questione Romana è compiuta, oggi il Papa torna ad essere insultato, oggi, o miei cari figli e fratelli, per voi è giunta l’ora di un nuovo lavoro; oggi al vostro cammino si apre un nuovo orizzonte. Oggi, nella cattolica Spagna i rossi bestemmiano il Papa, nel Messico è bestemmiato, e così pure in Russia. Oggi che il Papa è così bestemmiato da gran parte dell’umanità e oltraggiato, deve essere uno stimolo sommamente per voi potente per attaccarvi sempre più con amore al Papa”.[109]

La stessa preoccupazione emerge ancora sempre in colloqui confidenziali con i confratelli; sono del 25 ottobre 1933 queste chiare espressioni sul futuro delle ideologie che si erano diffuse in Europa: “fra 10 anni, se Dio non volterà pagina, attorno alla Chiesa si farà il deserto… Tra fascismo e socialismo vi è parità di dottrina. Tra 10 anni o loro ammazzeranno noi o noi ammazzeremo loro”.[110]

 

Ogni sforzo per salvare gli orfani di guerra

In sintonia con Pio XI che nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937 aveva denunciato fortemente l’ideologia marxista che “mira a capovolgere l’ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana”,[111] Don Orione esprimeva la sua convinzione che solo il cristianesimo è capace di aprire, non solo le singole persone ma la società e le nazioni, ad una convivenza fruttuosa e giusta. Le ideologie, invece, sono intrinsecamente negative e portano ad un’umiliazione dell’uomo. Così scriveva in una minuta senza data: “Le nazioni vivono per il cristianesimo vivono in esso; è aria cristiana l’aria che respirano, e quando quest’aria cristiana loro manca, quando l’ossigeno evangelico, lo spirito di Cristo scompare, allora avete il Messico, avete la Spagna rossa, avete la Russia; avete i senza Dio, ma anche i senza Patria; il Comunismo, il Nihilismo, la barbarie: Essi parlano di libertà, ma esercitano la tirannia: parlano di fratellanza, ma basta che trovino indosso una medaglia e squartano i loro stessi fratelli di sangue e di nazionalità come buoi, li impiccano alle piante, o li bruciano vivi o massacrano nel modo più barbaro”.[112]

Con la guerra civile di Spagna, in Don Orione erano sorti fondati timori che in Argentina si formassero contraccolpi altrettanto violenti a motivo dell’affinità culturale tra i due Paesi e le lunghe relazioni storiche. Lo testimonia la lettera scritta da Buenos Aires il 7 ottobre 1936: “Caro Don Sterpi (…), se le cose di Spagna fossero andate male, tutti ritenevano che anche qui sarebbe scoppiato un movimento in senso comunista, e, come fecero altre Comunità Religiose, anche noi si era pronti a vestire in borghese; ma il pericolo va scomparendo mano mano che in Ispagna vincono i nazionalisti. Qualche provincia qui è in mano dei comunisti, come Cordoba, ed Entre Rios; a Cordoba hanno fatto dei desfilé le stesse guardie civiche col pugno alzato e vi sono due Collegi con la scritta esterna “Collegio Comunista”. A Buenos Aires vi sono almeno 15 tra giornali e riviste comuniste; se non si farà un forte age contra, ciò che ora non sta avvenendo, avverrà tra non molto. Però qui si teme che la Russia, da un momento all'altro, faccia cadere dalla parte comunista la bilancia spagnola”.[113]

Le preoccupanti notizie che giungevano dall’Europa fecero nascere nell’animo di Don Orione l’idea di portare in Argentina gli orfani della guerra civile spagnola per sottrarli da ogni condizionamento ateo e marxista e per dare loro una formazione cattolica da buoni cittadini e da ferventi cristiani, come gli aveva insegnato il suo maestro Don Bosco. Questo anelito era simile a quello già manifestato da Don Orione in occasione del terremoto di Reggio Calabria – Messina perché anche in quella circostanza si era speso per raccogliere giovani da condurre nei suoi istituti, per dare loro una formazione cattolica e sottrarli dall’influsso protestante.[114]

Scrisse, dunque, al Cardinale Copello arcivescovo di Buenos Aires per presentare un progetto, condiviso con un gruppo di laici e benefattori argentini e discendenti di spagnoli. “Eminenza Rev.ma… Quando ho letto che molti orfani erano avulsi dalla Spagna e mandati in Russia, mi sono sentito una grande pena e parlandone col Dr. Bourdien, pensavo se non fosse il caso di salvarne quanti più possibile, magari portandoli in Argentina e in altre Nazioni del Sud America lati di lingua spagnuola; e così alla Madre Spagna, che diede la fede e la civiltà a tanta parte del Sud America, si sarebbe data in quest’ora così dolorosa un’altra testimonianza di gratitudine salvando la fede di tanta gioventù esposta alla estrema rovina… Vennero anche alcune signore spagnuole o di origine spagnuola, e parlai anche a loro come al Presidente dei Vicentini, dichiarandomi disposto a dare il personale occorrente per aprire un Asilo, una Casa e a dare a quei fanciulli una istruzione elementare e poi ad avviarli ad un’arte, sì da poterli restituire poi alla Spagna verso i 18 anni, educati con la fede dei padri al timore di Dio e con in mano un’arte remunerativa che desse loro un pane onorato per la vita”.[115]

Nonostante le intenzioni di Don Orione, non giunsero orfani spagnoli nelle case orionine di Argentina o di altre nazioni dell’America Latina; di fatto, però, il suo interesse per i giovani si concretizzò con l’edificazione di scuole di ogni ordine e grado sia in Argentina come in Uruguay e in Cile.

 

Una festa per celebrare la fede, le virtù cristiane, l’eroismo di tutte le vittime

Dopo il 1 aprile 1939, giorno del termine della terribile guerra civile spagnola, Don Orione scrisse a un Cardinale, probabilmente il Segretario di Stato Maglione, una lettera sorprendente per chiaroveggenza e per tempestività. Gli propose di valorizzare la memoria dei moltissimi “Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Cattolici, messi a morte in odio alla fede” sia come impulso alla fede del popolo spagnolo e sia come ricostituente di unità sociale e civile.[116]

Ecco, dunque, il contenuto della lettera: “Eminenza Rev.ma, Bacio con profonda venerazione la Sacra Porpora e oso umiliare a Vostra Eminenza Rev.ma un voto del mio cuore. Durante il periodo, così anticristiano e inumano della guerra di Spagna, da ogni parte si pregava per i Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Cattolici che venivano barbaramente trucidati. Moltissimi di essi, è pacifico, vennero messi a morte in odio alla Fede. E la Madre Chiesa, se piacerà al Signore, quando sia l’ora, non lascerà di glorificarne parecchi. Ma la cosa di necessità dovrà andare per le lunghe e quanti, pur essendo caduti da eroi cristiani e per la Fede, resteranno per sempre ignorati!

In questi giorni tante volte ho pensato: che bella cosa sarebbe se - ora che il calvario della Spagna, almeno sotto certo aspetto, è finito -, che bella cosa sarebbe se il Sommo Pontefice istituisse in quella ancora tanto travagliata Nazione una festa rivolta a celebrare in blocco la fede, le virtù cristiane, l’eroismo di tutte le vittime[117] massacrate in quasi tre anni di guerra, in odio a Gesù Cristo e alla Sua Chiesa.

Non sarebbe questo - nell’ora in cui il popolo spagnolo esalta i suoi caduti e liberatori, con grandi festeggiamenti civili; mentre tutti auspichiamo ad una vera rinascita cattolica di quella Spagna che ha dato tanti Santi - il suggello, dirò così, al trionfo della Chiesa sul bolscevismo, della civiltà cristiana su tanta barbarie? Ancora gioverebbe, tale festa, non solo a far scomparire le funeste divisioni e a cementare nella Fede e Carità, che sempre unificano e affratellano in Cristo; non solo a dare il debito onore a tanti prodi - ciò che la Chiesa tacitamente certo desidera nel cuore dei suoi fedeli - ma ancora varrebbe a tener deste nello spirito di quel popolo tante belle, sante e grandi memorie; a riaccendere su quella terra, passata attraverso il battesimo di tanto sangue cristiano, il fervore e lo zelo, a consolare, finalmente, i buoni che tanto hanno dolorato.

E così, mentre questa festa, solennemente istituita, chiamerebbe a raccolta intorno agli altari l’intera Nazione spagnola per giurar fede alle sue millenarie religiose tradizioni, riaffermerebbe insieme altri sani principi di vita onesta e civile, getterebbe pur anche una grande luce sulla fausta aurora del nuovo Pontificato: luce pur alta i cui riflessi non si limiterebbero ai confini della Spagna, ma giungerebbero senza dubbio e sommamente benefici, alle nazioni ispano-americane che con essa hanno vincoli secolari.
Perdoni, Eminentissimo, se ho osato esporLe umilmente questo pensiero e voglia, nella Sua grande bontà farne quel conto che crederà in Domino; e si degni raccomandarmi al Signore
”.[118]

Questa lettera era accompagnata da luci di speranza per un mondo migliore e da sofferenza per la morte di migliaia di innocenti, tra cui due orionini – un religioso e un aspirante – uccisi in odio alla fede il 3 agosto 1936, durante le persecuzioni di Valencia. Con la morte di P. Ricardo Gil Barcelón e di Antonio Arrué Peiró, la Congregazione in Spagna veniva colpita nel suo nascere.[119]

 

Pio XI, Don Orione e la Germania nazista

Nel 1933, pochi mesi dopo l'ascesa di Adolf Hitler al potere, fu concluso un Concordato tra la Santa Sede e la Germania dopo anni di trattative, seguite soprattutto dal Cardinale Segretario di Stato Pacelli, il quale era stato nunzio in quella nazione. Negli anni successivi, i nazisti impedirono in tutti i modi che le clausole del Concordato di garanzia per la Chiesa fossero realmente rispettate. Nel 1937, a seguito delle continue interferenze del nazismo sulla vita dei cattolici e per il sempre più evidente carattere neopagano dell'ideologia nazista, il Papa promulgò l'enciclica Mit Brennender Sorge (Con viva ansia), scritta eccezionalmente in tedesco e non in latino, con la quale condannava fermamente l'ideologia nazista.

Nel maggio del 1938, quando Hitler visitò Roma, il Papa si rifiutò di riceverlo, se questi non avesse condannato gli atti di violenza in corso contro la Chiesa in Germania. Siccome Hitler mai si sarebbe piegato a tale richiesta, il Papa si trasferì momentaneamente a Castel Gandolfo dopo aver fatto chiudere i Musei Vaticani. Sostenne che la visita del Furer era un evento triste per Roma, sopra la quale si ergeva una croce che non è la Croce di Cristo, riferendosi alle numerose svastiche che Mussolini fece esporre in omaggio al dittatore tedesco.

Egli aveva inoltre previsto la pubblicazione di un'altra enciclica, probabilmente dal titolo Societatis Unio, sull'unità della razza umana, che condannava in modo ancora più diretto l'ideologia nazista della razza superiore. Il Papa aveva incaricato per la redazione dell'enciclica il tedesco Gustav Gundlach e altri due gesuiti. Purtroppo il Papa morì prima che essa fosse conclusa e corretta. Alcuni concetti dell'enciclica furono tuttavia ripresi da Pio XII nell'enciclica Summi Pontificatus.

Dopo alcuni anni di relativa calma, il progressivo avvicinarsi dell'Italia fascista alla Germania nazista con - fra l'altro - la copiatura delle dottrine e delle politiche razziste, raffreddò nuovamente i rapporti tra Santa Sede e il Regime. Su questi temi Pio XI non fece in tempo ad esprimere la sua protesta perché, come già sopra ricordato, morì alla vigilia del giorno decennale della Conciliazione, senza poter pronunciare un importante discorso all'assemblea dei vescovi italiani riuniti per l'occasione. Tale discorso, del quale conosciamo il testo in quanto reso noto da Giovanni XXIII, pur essendo severo con il fascismo, non fu una condanna del Regime in quanto tale, essendo piuttosto un tentativo di dare "un colpo di freno", come nel 1931, alla violenza fascista.

 

“Qualunque cosa avvenga, il Cottolengo non sarà toccato”

I nemici della Chiesa, al di qua e al di là delle Alpi, attraverso la statolatria  e un orrendo paganesimo, avrebbero finito - come purtroppo avvenne - per portare le loro nazioni alla rovina. Contro quanti ostacolavano i diritti della Sede Apostolica, Don Orione avrebbe desiderato una resistenza a prezzo di qualsiasi sacrificio “Continuando a cedere – diceva – ci ritireremo nelle catacombe”. A chi gli faceva osservare come sulla stampa italiana non si faceva più cenno alle persecuzioni che subiva la Chiesa in Germania, rispondeva: “Anche al cimitero del mio paese c’è un gran silenzio”. [120]

Don Orione in sintonia con il Papa fu sempre dalla parte degli oppressi, come nel settembre 1939, quando la Germania invase la Polonia, ed egli volle accompagnare i suoi chierici polacchi in pubblica processione, con la banda, dal Santuario della Madonna della Guardia alla stazione di Tortona, perché corressero a difendere la patria. Fece poi stendere sulla parete della camera, dov’era accostato il suo povero letto, la bandiera della Polonia invasa da Hitler, come si può vedere ancora oggi.

La bella testimonianza di suor Maria Croce (Lucrezia Manente), Superiora del Piccolo Cottolengo di Milano, ci aiuta a capire come Don Orione fosse cosciente degli imminenti pericoli che gravavano sull’Europa e sull’Italia in particolare, pur non essendo ancora giunta all'acme l'ondata persecutoria degli anni successivi; ma il clima era già manifestamente ostile.  La Superiora, dunque, lasciò la seguente testimonianza: “Nel 1939, se non erro, Don Orione si trovava al Piccolo Cottolengo e coi suoi religiosi si parlava della guerra, già scoppiata in Polonia, e che si riteneva non lontana anche per l'Italia… Don Orione si fece serio, e disse: Statemi bene a sentire: qualunque cosa avvenga, il Cottolengo non sarà toccato; anzi vi dirò di più: il Cottolengo sarà il rifugio di tanti e anche nostri benefattori saranno aiutati dal Cottolengo. Così fu, e la parola di Don Orione si avverò pienamente. Poco dopo difatti vennero famiglie intere di russi e, in seguito, furono accolti anche ebrei e molti fascisti che ci venivano inviati dal Cardinale Schuster; fra essi la famiglia della sorella di Mussolini e la moglie dell'Onorevole Teruzzi con la bambina. Nelle ristrettezze di quei tempi, qualche benefattore, come Don Orione aveva predetto, veniva al Cottolengo - al quale per una ammirabile Provvidenza di Dio nulla è mai mancato - per sfamarsi o per avere generi alimentari che non si potevano avere al mercato”.[121]

Quanto Don Orione aveva preannunciato, si verificò negli anni successivi, dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, come si può leggere nel diario del Piccolo Cottolengo, dove viene puntualmente segnalata l’azione caritativa degli orionini, estesa a trecentosessanta gradi, come Don Orione aveva insegnato. Pur in un contesto difficile come quello del conflitto mondiale, si percepisce dalle annotazioni del diario un clima di serenità, dove l’eroismo della carità sembra essere una costante giornaliera.[122]

 

Don Orione e l’aiuto agli ebrei

Non c'era sventura cui Don Orione non si sentisse come spinto a porgere sollievo. Quando si scatenò violenta la persecuzione contro gli ebrei, intervenne a loro favore, riuscì a salvarne molti, offrendo un rifugio; ad altri seppe porgere almeno una parola di paterna comprensione, quando era materialmente impossibilitato a fare di più. Così avvenne in molte occasioni, anche quando si imbarcò, il 24 settembre 1934, dal porto di Genova sul Conte Grande per andare in Argentina a partecipare al Congresso Eucaristico di Buenos Aires insieme al legato pontificio, il Cardinale Pacelli; in quell’occasione gli era stato richiesto di aiutare alcuni ebrei a trovare un rifugio sicuro in Argentina.

Era a conoscenza del grande esodo di ebrei dall'Italia. In una lettera del 1 marzo 1939, fece sapere dei problemi per l'imbarco di alcuni suoi missionari perchè “dato il numero grande di passeggeri ebrei, si teme che non faremo a tempo, se più ritardate, perché non ci sarà più posto”.[123]

Egli stesso si interessò per l'espatrio a Montevideo della famiglia dell'avv.to Edoardo Sacerdoti di Augusto, di Milano, scrivendone il 5 luglio 1939 a Don Pietro Migliore. Poi con lettera del 4 agosto1939, lo affidò a Don Zanocchi, a Buenos Aires, riconoscendo che “le disposizioni legislative italiane hanno resa, direi, impossibile moralmente la loro vita qui, onde hanno potuto ottenere di venire in Argentina. Caro Don Zanocchi, Ve lo raccomando quanto so e posso, e Vi dico che avrò come fatto a me quanto potrete fare per questo mio carissimo Amico ”.[124]

Don Fausto Capelli aggiunge altri particolari: “Anche l'ing. Tito Gonzalez, ebreo, considerava Don Orione come un indimenticabile grande benefattore dell'umanità”.[125]Aveva visitato il Sig. Umberto Griziotti, di religione israelitica, il quale, conquiso dalla carità di Don Orione, ebbe il conforto di essere istruito nella religione cristiana dallo stesso Servo di Dio e a lui diede la consolazione grande del suo ingresso nella Chiesa cattolica. Ora il Signor Griziotti è un fervente cristiano e benefattore del Piccolo Cottolengo”.[126]Ricordo pure che la Signora Carmela Laffe, nelle frequenti visite che faceva a Don Orione al Piccolo Cottolengo Milanese, conduceva seco qualche volta pure il consorte geom. Enrico, di religione israelita. E anche costui, vinto dall'influenza benefica di Don Orione, si convertì alla religione cattolica e quando fu battezzato, in segno di riconoscenza al Servo di Dio, volle essere chiamato col nome di Luigi”.[127]

Non solo Don Orione personalmente, ma anche gli orionini, soccorsero degli ebrei che nascosero nelle loro istituzioni. Tra i molti, il più conosciuto fu senz’altro lo scultore Arrigo Minerbi - con lo pseudonimo Arrigo Della Porta - che scolpì uno splendido Don Orione morente conservato ancor oggi nella cappella del Piccolo Cottolengo milanese, la statua della Salus Populi Romani, detta “La Madonnina” di Monte Mario – Roma e una delle cinque porte in bronzo del Duomo di Milano.[128] Don Sterpi lo nascose prima nella sua casa paterna di Gavazzana, vicino a Tortona, e poi lo fece trasferire a Roma. Don Piccinini annotava in un biglietto: “Minerbi giungeva a salvamento proprio la sera… dell’8 dicembre 1943.... Uno sventurato fratello dello scultore, che lo aveva esortato a fuggire con lui in Svizzera, mentre egli gli proponeva Roma, sorpreso sulla linea di confine, vi aveva trovato la morte, mentre uno dei fratelli, prima messo in carcere, morirà in un campo di concentramento”.[129]

Come durante la Guerra di Spagna gli orionini persero due religiosi perché uccisi in odio alla fede, così anche durante la Seconda Guerra Mondiale alcuni religiosi, specie polacchi, furono condotti in Campo di Concentramento; tra essi anche Don Francesco Drzewiecki (1908-1942) di Zduny. Fu condannato al lavoro massacrante delle piantagioni di Dachau; mentre era piegato a lavorare la terra adorava le sacre Ostie custodite in una scatoletta posta davanti a sé. Infine, partendo per la camera a gas, incoraggiò i compagni: “Offriremo la vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria”. E’ stato proclamato beato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999.[130]

 

L’ultimo incontro con l’anziano Papa: 1937

Ieri sono stato ricevuto in Udienza dal Santo Padre - scriveva all’Abate Caronti - e ne sono uscito col cuore pieno di una grande consolazione. Mi voglia perdonare se non Le ho scritto subito ieri, come tanto ho desiderato, ma ci fu un succedersi di cose, che non m’è stato possibile”.[131] L’Udienza del 14 ottobre 1937, prevista per le 11,00, di fatto iniziò alle 12,30 perché il Papa fu impegnato a ricevere molte persone, tra cui due vescovi francesi che si fermarono lungamente e il Comandante delle Guardie Nobili, il Marchese Aldobrandini. Da un Prelato Don Orione aveva saputo che il Santo Padre era meravigliato che non fosse ancora andato a visitarlo perché sapeva che già da qualche tempo era tornato dal lungo viaggio in America Latina.[132]

Questa volta Pio XI ricevette Don Orione in una sala comoda per non affaticarsi col salire le scale; infatti veniva trasportato a braccia per evitare che aumentassero le già forti fitte ad una gamba. “Egli mi accolse con tanta bontà - confidò Don Orione - ma a me, a trovarlo in quelle condizioni così, di persona così cadente, mi mancò la parola. Povero Santo Padre! Povero Santo Padre!... Sarà stata cosa di ieri, ma là nelle anticamere, mi dissero che anche venerdì e sabato era stato molto male, e tutto lunedì lo passò a letto”.[133]Solo il Signore sa quanto ho sofferto in quel momento. Aveva la voce stanca, gli occhi incavati, dimostrava proprio di essere ammalato”.[134]

Insieme ad una ineffabile e dolcissima gioia, Don Orione provò in quella circostanza anche una profonda pena, una pena indicibile, poiché trovò Pio XI tanto diverso nell’aspetto rispetto a tre anni prima quando nel 1934, sempre a Castel Gandolfo, era stato ricevuto prima di partire per il suo secondo viaggio in America Latina. La prima impressione, dunque, fu di sofferenza, come confidò durante la Buona notte del 20 settembre successivo: “Sentii una così grande pena al cuore nel vederlo così che, dopo aver fatto le tre solite genuflessioni e dopo di aver baciato il piede (…) mi venne come un singulto ed un soffocamento di pianto, che mi serrava la gola, in modo che, per qualche tempo, non potei proferir parola. Il Santo Padre mi appariva sfinito e con il colore (…) di chi è malato a morte”.[135]

L’Udienza fu breve, e breve volutamente, sia perché doveva limitarsi ad un puro atto di filiale venerazione, sia perché il Santo Padre “era in una stato da far pietà. Veramente me lo avevano anche raccomandato d’esser breve, data la prostrazione di Sua Santità” e sia perché, secondo il programma di quella mattinata, il Papa, avrebbe dovuto ricevere ancora un gruppo di 1.300 pellegrini. [136]

Trovando il Papa in quelle difficili condizioni di salute, Don Orione cercò di volgere il discorso su temi che risultassero di consolazione a Pio XI; per questo cercò soprattutto di dare buone notizie e di chiedere la benedizione per persone care a lui e alla Congregazione: Don Sterpi, il generale Beaud insigne benefattore, il Vescovo di Tortona…, così come aveva pensato di fare durante un momento di raccoglimento nella chiesa parrocchiale di Castelgandolfo dove si era fermato per la recita del breviario prima dell’Udienza. “Ma il Santo Padre continuò a parlarmi del Chaco, a chiedermi notizie delle case che abbiamo in quella regione che è la più difficile per il gran calore, tanto che i nostri chierici che sono laggiù sono come in una formace ardente”.[137]

Comprendendo la sofferenza del Papa, Don Orione ad un certo punto, prese il coraggio a due mani e disse: “Padre Santo, ho scrupolo a fermarmi di più, è già tardi, e so che Vostra Santità dovrà ancora dare Udienza a mille e trecento persone che attendono la visita e le parole di Vostra Santità, ed essendoci oggi un bel sole sarebbe buona cosa che Vostra Santità potesse goderne un po’. Perciò la prego Padre Santo di voler benedir me, per il Vescovo, per alcuni insigni benefattori, per Don Sterpi, per tutta la Congregazione. Ed Egli mi ha risposto: Benedico di cuore tutto e tutti”.[138]

Quella filiale franchezza fece piacere al Papa ma, prima di lasciare Don Orione, volle avere altre notizie sulla Congregazione, quanti sacerdoti, quanti chierici di teologia, quanti novizi; volle sapere delle attività in America, a Roma e proprio dell’istituto San Filippo di via Appia Nuova. Evidentemente era stato messo al corrente dal Commendator Castelli che l’istituto era terminato e già era in funzione con la presenza di centinaia di bambini e giovani. E di tutto questo il Papa era rimasto soddisfatto.

Mentre Don Orione stava per congedarsi da quell’incontro tanto prezioso per se stesso e per la sua fondazione, il Papa gli espresse il desiderio che la Casa generalizia venisse trasportata a Roma. “E questo lo si farà, piacendo al Signore, giacché per noi i desideri del Papa sono comandi”.[139]

 

Gli ultimi ricordi: 1939

Don Orione parlò di Pio XI ancora due volte. La prima pochi giorni prima della morte del Papa durante una Buona notte: in essa affiorano ricordi e soprattutto viene descritta l’importanza dell’incontro del Papa con i vescovi italiani, in occasione del decennale dei Patti Lateranensi, iniziativa che di fatto non si verificò per la morte improvvisa del Pontefice.

 “Tutti i Vescovi il 12 di questo mese si raduneranno a Roma per testimoniare, per attestare la loro devozione, il loro attaccamento al bianco vecchio del Vaticano, Vicario di Nostro Signore. Col febbraio si entra nel decennale della cosiddetta Conciliazione e penso che questa specie di Concilio dei Vescovi attorno al Papa non abbia solo questo significato.  Il riunirsi, lo stringersi attorno al cuore del Papa, ritengo che abbia un altro significato, per confortarlo con la loro presenza e con la loro adesione dei grandi dolori che il Papa ha sofferto in questi ultimi mesi. Faranno certo anche delle riunioni, prenderanno delle decisioni, riceveranno una parola d’ordine perché si abbia a dire che tutti i Vescovi sono un cuor solo e un’anima sola con il Papa, con il S. Padre. Ora anche noi dobbiamo dire grazie a Dio che, come lo ha conservato in vita dopo l’ultima malattia, così abbiano a compiersi i disegni di Dio. Dobbiamo unirci soprattutto nella preghiera che ci conservi a lungo il Santo Padre e poi pregare per la Chiesa, per il Papa.

Negli Atti degli Apostoli è commoventissimo l’episodio di tutta la Chiesa che prega per Pietro che stava in catene e si pensava di farlo morire, di martoriarlo. Pietro ebbe spezzate le catene del suo carcere ed un angelo di Dio gli sciolse le catene e lo condusse fuori dal carcere. E quando si trovò sulla strada solo allora capì che non era un sogno e andò a battere alla porta dove erano riuniti i cristiani. E venne una serva ad aprire e non volevano credere che fosse S. Pietro ascoltando la voce.

Mentre tutti i Vescovi si raduneranno, mentre le guide d’ Israele, i pastori delle diocesi d’Italia si raduneranno fra otto o dieci giorni attorno al Santo Padre per confortarlo della vecchiaia e dare al mondo e all’Italia un attestato pubblico del loro attaccamento, dell’unione della Chiesa, noi dobbiamo pregare che si compiano i disegni di Dio, che si compiano tutti i desideri del Santo Padre, noi specialmente che siamo figli di una Congregazione che professa un attaccamento speciale al Santo Padre, al dolce Vicario di Cristo”.[140]

Dopo la morte di Pio XI Don Orione parlò ancora del Papa, al santuario della Madonna della Guardia, il 16 febbraio 1939 dopo aver celebrato la Messa di suffragio per l’anima del Sommo Pontefice. In questa occasione si fermò a commentare le ultime parole di Pio XI così come vennero riportate da coloro che gli erano stati vicini in quel momento. Essi nell’ultima agonia del Papa percepirono sulle sue labbra tre parole che costituiscono come il riassunto della sua vita: pace, Italia e Gesù. Non furono semplicemente le ultime parole di un uomo in agonia, ma “grandi e sacri amori” capaci di scaldare il cuore di ogni uomo.

La pace, ricordava Don Orione, fu l’anelito del Papa in un contesto storico tanto difficile. Ma soprattutto fu la parola chiave della sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio che mostra quanto nel cuore del Papa vi fosse il desiderio della pace. Così le citava Don Orione in quella commemorazione: “Io porto pensieri di pace e non pensieri di guerra; io porto pensieri di fede, porto aneliti di speranza; porto carità e amore per tutti, e non porto la politica; porto carità e amore per tutti, e non porto la lotta. E quanto ha lavorato per dare la pace all’Italia (…) per dare Dio all’Italia e l’Italia a Dio”.[141]

Non volendo allungare il suo discorso, Don Orione passò subito a commentare la seconda parola emersa sul labbro di Pio XI morente, “il dolce nome della nostra patria: Italia”. In molti interventi e in molte lettere Don Orione tornò sul valore della patria, un valore da trasmettere specie ai giovani perché, educati ad una vita onesta, contribuissero con il loro lavoro, ma soprattutto con le virtù dell’animo, ad arricchire la propria patria. Non poteva, quindi, non apprezzare il fatto che il Papa prima di morire avesse pronunciato il nome dell’Italia per la quale aveva speso molte fatiche del suo Pontificato: “L’amore di patria è uno dei più cari e dei più sacri di ogni cuore. Il nostro Santo Padre nelle sue ultime parole, pronunciò il nome della nostra patria: era certo una benedizione che egli invocava da Dio sulla nostra nazione, sull’Italia”.[142]

Infine, la terza parola pronunciata da Papa Ratti fu il nome di Gesù. Don Orione volle legare il nome di Gesù con l’anelito missionario del Papa che spese la vita per diffondere il Regno di Cristo e per promuovere le missioni: “Gesù, il cui nome volle fosse portato sino agli estremi confini del mondo col promuovere, come volle promuovere e come seppe promuovere le Opere delle Missioni anche tra i popoli più barbari. Pio XI è stato chiamato appunto il Papa delle Missioni”.[143]

Anche Don Orione nel momento della morte -12 marzo 1940 - pronunciò per tre volte il dolce nome di Gesù che aveva riempito tutta la sua vita.

 

Conclusione

Le notizie e le documentazioni contenute in questo articolo, in parte inedite e in parte ben conosciute e già pubblicate, costituiscono un insieme che ci permette di cogliere a tutto tondo i legami tra Papa Ratti e Don Orione. Se è vero che Pio X rimane il Papa che ha dato impulso alla Piccola Opera, constatiamo, però, dalle notizie esposte, che anche Pio XI non solo ammirò Don Orione ma, come il suo predecessore, si interessò della nascente Congregazione e affidò al suo fondatore compiti importanti in seno alla Chiesa e nei rapporti con le autorità civili.

Lo studio, quindi, ci presenta Don Orione ben inserito nel tempo storico in cui visse, tessitore di contatti e sempre animato dal desiderio di Instaurare omnia in Christo per il bene della Chiesa. Sia le pagine che ci presentano una stretta collaborazione tra i due, sia quelle che si limitano a descrivere solamente affinità di pensiero e di spiritualità, presentano aspetti della vita di Pio XI e di Don Orione fin ora non del tutto noti.

La conoscenza dei loro legami ci conferma nella giustezza delle parole di Giovanni Paolo II quando in occasione della beatificazione definì Don Orione come una delle personalità più eminenti del secolo scorso per la sua fede cristiana apertamente professata e per la sua carità eroicamente vissuta. E in tutto il suo operare, Don Orione altro non desiderò se non professare la sua obbedienza per il bene della Chiesa e degli uomini, anche di coloro che si trovavano in una situazione di rapporti complessi con il Papato. Nello stesso tempo, queste pagine avvicinano Pio XI - normalmente descritto come il Papa della Conciliazione, della lotta ai totalitarismi e delle missioni – alla micro storia della Piccola Opera e di Don Orione di cui seppe intelligentemente cogliere il desiderio di bene per il servizio del Regno di Dio.

Possiamo dire che l’intelligenza analitica del Papa bibliotecario e la carità del santo dei poveri si siano provvidenzialmente incontrate per divenire un binomio di pensiero, di fede e di operosità. Per questa ragione, nonostante qualche incomprensione, come sopra ricordato, non venne mai meno la stima tra i due. Anzi, come abbiamo visto, specie durante le Udienze, facevano come a gara nell’esprimersi vicendevole ammirazione.

Penso che questa bella testimonianza del Padre Spirituale del Seminario Romano Maggiore sia rivelatrice dello stretto legame e dell’unità di intenti che animò il cuore di Papa Ratti e di Don Orione: “Il giorno del funerale di Pio XI, nel momento in cui la bara veniva calata sotto la Confessione di San Pietro, fui colpito dalla profonda espressione del volto di Don Orione presente: rividi allora tutta la gloria di un pontificato riflessa nel volto di un santo, alla luce della morte”.[144]

A confermare la presenza di Don Orione ai funerali di Papa Ratti vi è anche la testimonianza del Cardinale Giovanni Canestri: “Ero in seconda fila come alunno del Seminario Maggiore di Roma e proprio davanti a me era presente Don Orione che indossava una cotta candidissima sulla talare. Ricordo bene. Mentre la pesante bara di piombo veniva fatta scendere lentamente nella Confessione per essere collocata nelle Grotte Vaticane, le carrucole, nel silenzio della Basilica, carico di suggestione e di storia, cigolavano, spietatamente cigolavano sotto lo sguardo allibito e sdegnato del Maestro delle Cerimonie Mons. Respighi. Don Orione, invece, compreso e commosso, ad ogni cigolio scuoteva cotta e testa candida come per assentire ad alti pensieri di meditazione e di preghiera”.[145]

Gli eventi che sono stati toccati in questo articolo ci presentano Don Orione come il prete giusto per circostanze difficili, il prete capace di muoversi con straordinaria sensibilità e delicatezza per il bene della Chiesa. La sua, non si può negarlo, fu un’intelligenza intuitiva, capace di leggere in controluce gli avvenimenti, capace di decifrare i tempi, dal di dentro Sorprende, ma non fa meraviglia, che nei documenti riservati di alcune Congregazioni vaticane siano stati ritrovati, in fondo alle pagine di questioni scottanti, gli appunti autografi di Pio XI: “Su questo, consultate Don Orione. […] Per questo, raccomando, mandate Don Orione”.[146]

Papa Ratti, nel realizzare il programma del suo pontificato, orientato a perseguire la pace nonostante le dittature dell’epoca e soprattutto a costruire il Regno di Cristo “pax Christi in regno Christi” - motto scritto anche sulla sua tomba -, ha trovato in Don Orione un valido collaboratore e un testimone della perenne forza del vangelo.

 


[1] Mi sento legato alle due figure protagoniste di questo studio. A san Luigi Orione, perché appartengo alla Congregazione da lui fondata; a Pio XI perché sono nativo di Lissone, comune della Brianza, confinante con Desio, la città natale del futuro Papa. In questa terra ho ricevuto i primi e importanti elementi della fede cristiana e gli esempi di alcuni sacerdoti ambrosiani a me molto cari.

Desidero dedicare questo studio al prof. Giovanni Marchi, recentemente scomparso. Fu allievo di Don Orione, a lungo Presidente dell’Associazione degli ex allievi e collaboratore della nostra rivista.

[2] C. CONFALONIERI, Pio XI visto da vicino, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1993; Y. CHIRON, Pio XI. Il Papa dei patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2006; E. FATTORINI, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino, 2007; U. DELL'ORTO, Pio XI un papa interessante, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2008;

[3] A. PRONZATO, Don Orione, il folle di Dio, Gribaudi, Torino, 1980; A. GEMMA, Don Orione, un cuore senza confini, Barbati Orione Editrice, Bergamo, 1990; G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, Gribaudi, Torino, 2004;  D. SPARPAGLIONE, San Luigi Orione, Editrice San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004.

[4] P. BORZOMATI, L’esperienza calabro–sicula e il terremoto del 1908, in La figura e l’opera di Don Luigi Orione (1872–1940). Atti dell’incontro di studio tenuto a Milano il 22–24 novembre 1990, in Vita e Pensiero, Milano, 1994, pp. 169–180; I. TERZI, Don Luigi Orione e l’opera svolta a Reggio dopo il terremoto del 1908, in Rivista Storica Calabrese 15 (1994) pp. 25–38; C. BROGGI, L’incontro di Gina Tincani con Don Orione sulle macerie del terremoto di Messina, in Messaggi di Don Orione (MdO). Quaderni di storia e spiritualità, 34 (2002) n. 108, pp. 63-83; F. PELOSO, Luigi Orione e Annibale Di Francia: uniti dal terremoto e dalla santità, in MdO, 36 (2004) n. 113, pp. 5–38. A. LANZA, Don Orione a Reggio Calabria nei giorni del terremoto, in MdO, 39 (2007) n. 124, pp. 47–59.

[5] Non sappiamo quando Teresa Grillo Michel e Don Orione si siano incontrati; nel 1896 già si conoscevano abbastanza. Don Orione, infatti, prete da appena un anno, era stato incaricato dai vescovi di Alessandria, Mons. Salvai prima e Mons. Capecchi poi, di seguire la fondatrice e la sua nascente opera. Si instaurarono così rapporti spirituali solidi che durarono per cinquant'anni. Cfr. A. GEMMA, La Madre. Profilo biografico della Beata Teresa Grillo Michel, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998; G. VENTURELLI, Madre M. Teresa Michel e Don Orione, in Don Orione Oggi 93 (1998) n. 7, pp. 6–7; C. JOVINE, Due beati, una sola santità: madre Michel e Don Orione, in Madre Michel messaggio d’amore, dicembre 2003, pp. 18–22; M. IMPAGLIAZZO, Poveri e preghiera. La Congregazione delle Piccole Suore della Divina Provvidenza, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005.

[6] ADO, Scritti di Don Luigi Orione (Scritti), 29,193.

[7] Ibidem, 29,48.

[8] Tale discorso è rimasto sconosciuto fino al pontificato di Giovanni XXIII quando nel 1959 vennero pubblicate alcune parti. Il testo fu fatto distruggere da Pacelli, al tempo Segretario di Stato, che auspicava di intraprendere nuove e più pacate relazioni con la Germania e l'Italia: cfr E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini, p. 214 ss.

[9] Da molto tempo Don Orione portava con sé i sintomi di una salute cagionevole. Un anno circa prima della morte, 1 aprile 1939, venne ricoverato urgentemente all’ospedale di Alessandria per un forte attacco di angina pectoris. Lo stesso male si ripresentò il 9 febbraio 1940 in modo così grave che i confratelli gli somministrarono l’unzione degli infermi. Per far fronte all’instabilità fisica, Don Orione fu costretto dai medici a recarsi a Sanremo: era il 9 marzo 1940. Il 12 successivo, morì.

[10] Dal punto di vista politico e sociale, il pontificato di Papa Ratti fu caratterizzato da eventi preoccupanti:  il progressivo crollo delle democrazie europee sostituite da terribili dittature in Germania (Hitler), in Italia (Mussolini), in Portogallo (Salazar) e in URSS (Stalin). A questi eventi vanno aggiunti la crisi finanziaria del 1929 (con pesanti ripercussioni anche sulle riserve vaticane), la persecuzione in Messico, la guerra civile in Spagna, le leggi razziali, la conquista italiana dell’Etiopia, la crisi del mondo coloniale.

[11] Pio XI, Discorso del 20 dicembre 1926, in G. Lentini, Pio XI, l’Italia e Mussolini, Città Nuova Editrice, Roma, 2008, p. 43.

[12] Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine di Don Orione, Piemme, Casale Monferrato, 2004, pp. 101-102.

[13] Lettera del 5 agosto 1920, in Lettere, I, p. 249. “Sembra assente in Don Orione un qualsivoglia interesse per la politica in termini di conquista e mantenimento del consenso, di scontro ideologico e partitico, di gestione della cosa pubblica, di riferimento a istituzioni statuali condivise… E ciò non stupisce più di tanto, se si pensa che una rappresentazione tutta negativa della politica fu ampiamente diffusa nel cattolicesimo italiano prima, durante e dopo il fascismo”: G. Vecchio, Don Orione e la politica del suo tempo, in AA. VV., San Luigi Orione da Tortona al mondo. Atti del Convegno di studi, Tortona, 14-16 marzo 2003, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 173.

[14] Scritti, 69,306.

[15] Ibidem, 11,60.

[16] Ibidem, 50,70. In questa lettera Don Orione chiedeva al ministro di ricevere in udienza Agostino Maria Trucco, la cui teoria (hallesismo) avrebbe portato grandi benefici economici. Egli proponeva di costituire un’organizzazione commerciale internazionale dove la merce sarebbe stata venduta e acquistata senza la presenza di intermediari, con vantaggio dei venditori e degli acquirenti. Per assicurare la stabilità del valore della merce, Trucco proponeva una moneta unica, capace di regolare gli scambi commerciali. Cfr G. Marchi, Don Orione, politica e politici, in F. Peloso (a cura), Don Orione e il Novecento. Atti del Convegno di Studi (Roma, 1/3 marzo 2002), Rubettino Editore, Catanzaro, 2003, p. 293.

[17] In una lettera del 22 ottobre 1929 indirizzata ai benefattori per sostenere l’Istituto Missionario Divin Salvatore alle Sette Sale (Roma), Don Orione accenna al Papa missionario: “Tutti sanno quanto il Santo Padre Pio XI promuova l’Apostolato delle Missioni. Egli è il Papa missionario”: Scritti, 75,80.

[18] ADO, Fondo Pio XI: Testimonianza di Don Orlandi, 1934/8.

[19] J. BAZYDLO,  Augustyn Franciszek Czartoryski. Encyklopedia Katolicka, 3, Lublin, 1979, col. 767. Augustyn Czartoryski divenne sacerdote salesiano e morì a soli 35 anni, l’8 aprile 1893 nell’ottava di Pasqua. E’ stato beatificato da Giovanni Paolo II, il 25 aprile 2004.

[20] G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, p. 543.

[21] ADO, La Parola di Don Orione (Parola), 10, 156.

[22] Parola, 12, 134.

[23] B. MAJDAK, Dzieje Zgromadzenia Ksiezy Orionistow w Polsce 1923-1945, Warszawa,  1976, 16-19.

[24] Fondo Pio XI. Era in stampa una pubblicazione che avrebbe infamato alcuni ecclesiastici. Don Orione lo aveva saputo, e avendo avuto modo di conoscere quanto il Papa ne avrebbe sofferto, aveva comprato di suo le bozze di stampa e le aveva inviate al Pontefice. Più volte Don Orione tornò sul delicato argomento: “Dopo l’Udienza avuta dal Santo Padre, mi sono trattenuto anche per impedire la pubblicazione di due volumi già in bozze, che avrebbero recato un grave dolore al cuore del S. Padre e gravissimo scandalo…”: Scritti 49,123. Commentando l’iniziativa di Don Orione, Pio XI durante un’Udienza disse:“Don Orione ha sudato sette camicie, ma ha dato delle consolazioni al Papa”. Su questo tema si confronti: F. PELOSO, Don Luigi Orione e Padre Pio da Pietrelcina. Nel decennio della tormenta: 1923.1933, Ed. Jaca Book, Milano, 1999,  pp. 65-69.

[25]  Parola, 7,129.

[26] F. PELOSO, L'Opera antoniana delle Calabrie, 2001, n.1 p. 5. Il canonico Gaetano Catanoso nacque a Chorio di San Lorenzo, nell’Arcidiocesi di Reggio Calabria, il 14 febbraio 1879. Divenne parroco prima a Pentidattilo sull’Aspromonte e poi a Reggio. Nel 1934, incoraggiato anche da San Luigi Orione che gli era amico da tempo, fondò le Suore Veroniche del Volto Santo. Morì il 4 aprile 1963. E’ stato canonizzato da Benedetto XVI, il 23 ottobre 2005.

[27] Cfr G. VENTURELLI, Don Orione, amico e padre degli orfani d’Armenia, in Don Orione, 83 (1988) n. 2, pp. 19-22; P. CLERICI, Don Orione padre degli orfani del genocidio armeno, in MdO,  39 (2007) n. 122,  pp. 5-43.

[28] Scritti, 35,4.

[29] Ibidem, 48, 24.

[30] ADO, M.3.12.

[31] ADO, Relazioni, Z. 2. p. 104. Il 7 marzo 1929, scriveva al nipote del defunto Mons. Cani: “Sono stato a Roma ultimamente per fare le consegne di ogni documento che si riferisce a detta Causa. Fui alla Congregazione dei Riti e anche dal Santo Padre”: Scritti, 47-100. Cfr F. PELOSO, Il beato Luigi Orione vice–postulatore della causa di beatificazione di Pio IX, in L’Osservatore Romano (L’OssRom), 210 (2000) p. 11.

[32] Iniziato l'11 febbraio 1907, vent’anni dopo, alla morte di mons. Cani, il processo di beatificazione venne sospeso con rammarico di Don Orione. Il materiale raccolto confluì in una ponderosa miscellanea di ben 12 grossi volumi della quale solo nel 1952 se ne estrasse il Summarium di 1159 pagine. La causa ebbe una nuova ripresa nel 1954 con la firma di Pio XII del Decreto di istituzione di una nuova commissione. Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica a Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa - nel frattempo di nuovo sospesa - si conobbero le 13 obiezioni emerse durante le sedute preparatorie. La postulazione nominò allora un nuovo esperto che il 7 ottobre 1984 presentò una risposta -  giudicata dalla commissione esaminatrice esauriente ed ineccepibile anche sul piano metodologico - ad ognuna delle 13 obiezioni. Al termine di questo laboriosa revisione dei documenti, il 6 luglio 1985 Pio IX fu dichiarato venerabile. Come ricordato, venne beatificato da Giovanni Paolo II nel 2000.

[33] Scritti, 58, 71.

[34] Ibidem, 48, 33.

[35] Ibidem, 71, 27. La Beata Imelda Lambertini nacque a Bologna nel 1320 e morì nel monastero domenicano di santa Maria Maddalena in Val di Pietra nel 1333, a soli 13 anni. Il domenicano Giocondo Pio Lorgna (1870-1928) mise sotto la protezione della beata la Congregazione da lui fondata, le Suore Domenicane della Beata Imelda.

[36] Fondo Pio XI.

[37] Idem.

[38] Idem.

[39] Idem.

[40] Don Ernesto Buonaiuti (Roma, 24 aprile 1881Roma, 20 aprile 1946) fu storico, teologo, accademico italiano, studioso di storia del cristianesimo e di filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo italiano. Fu privato della cattedra universitaria dal regime fascista per essersi rifiutato, con altri 13 docenti, di giurare fedeltà al regime. Fu scomunicato e sospeso a divinis con decreto del Sant’Uffizio il 14 gennaio 1921.

[41] ADO, Le riunioni (Riunioni), p. 202.

[42] ADO, Fondo Costa Gnocchi.

[43] Cfr F. PELOSO, Don Orione e Buonaiuti in AA.VV., Don Orione negli anni del Modernismo, Jaca Book, Milano, 2002, p. 236.

[44] ADO, Fondo Buonaiuti. Copia di lettera dattiloscritta con inchiostro blu e con piccolissime correzioni ortografiche a mano in inchiostro nero. Cfr F. PELOSO, Don Orione e Buonaiuti un’amicizia discreta in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 1/2002, pp.121-147.

[45] Buonaiuti. Messaggio di auguri del 20 giugno 1932 per l’onomastico e compleanno di Don Orione, rispettivamente il 21 e il 23 giugno.

[46] Buonaiuti. Lettera di Buonaiuti a Don Orione, 21 giugno 1934.

[47] Scritti 63, 137.

[48] Cfr Scritti 7, 304.

[49] Lettera del 20 settembre 1932, in Scritti, 49, 5.

[50] Una proposta in tal senso gli era venuta anche dal giovane Mons. Giovanni Battista Montini, della Segreteria di Stato, con il quale Don Orione collaborava per la soluzione di alcuni casi di sacerdoti: “Ho fatto una discreta esperienza sulla necessità che sorga un’opera di assistenza per questi infelici, a cui più nessuno vuol porgere la mano…Oh, se il Signore Le ispirasse di fondare anche questa opera, D. Orione, come anch’io ne lo benedirei!”, lettera del 28 agosto1929, in Archivio Don Orione, Roma.

[51] Don Orione si interessò in più momenti dei sacerdoti lapsi. Su questo punto segnalo lo studio di F. PELOSO, La carità nascosta di Mons. Montini, in MdO, 33 (2001) n. 105, pp. 65-74

[52] Riunioni, p. 147.

[53] Scritti, 84, 9.

[54] Nato ad Agrate Brianza nel 1881 e ordinato nel 1906. Dopo le lauree in diritto canonico e in sacra teologia, il Cardinale Ferrari lo aveva mandato a Pisa, dove, ospite del Cardinale Maffi, collaborò con Giuseppe Toniolo alla fondazione dell'Unione popolare fra i cattolici italiani. Rientrato nell'Arcidiocesi milanese, diresse per qualche tempo Il Cittadino di Monza. Alla morte del Cardinale Ferrari partecipò alla fondazione dell'Opera che ne prese e ne porta tuttora il nome. Morì a Milano, l’11 agosto 1956.

[55] Questo ordine severo venne direttamente da Storace.

[56] Fondo Galbiati, G IV.1.1.

[57] Scritti, 96, 198.

[58] Scritti, 111, 176.

[59] Quando, il 12 marzo 1940, Don Orione morì, Don Benedetto scrisse una pagina che è un documento d'alta poesia e di veemente amore, in cui si rivolge al suo grande amico e benefattore: “Ora posi nel tuo Santuario, vigilato dalla Guardia di Maria, in quella che fu la città del tuo pianto e del tuo amore; ma io ti sento in me più vivo e più intimo di quando gioimmo sensibilmente e piangemmo insieme. Sii meco sempre, dolcissimo materno amico. L'anima che t'ho dato, è tua: in te rinchiusa e custodita attende nel silenzio che si disveli il segno di Dio e nell'oracolo della Santa Chiesa divampi tra gli uomini il nimbo della tua gloria, guarentigia della sua propria salvazione, o Cuor dei Cuori!”: in N.M. LUGARO, Guidò con paterno amore il travaglio di Don Galbiati. Il sacerdote ambrosiano, grande predicatore, fu condotto da Don Luigi alla pace dell’obbedienza, in Avvenire, 18 dicembre 1980, p. 7.

[60] Pio XI, Discorso dell’11 febbraio 1929, ai parroci e ai predicatori del periodo quaresimale, in L’OssRom, 149 (2009) p. 5.

[61] Cfr A. LANZA, Don Orione, la Questione Romana e la Conciliazione, in MdO, 23 (1993) n. 81; F. PELOSO, Don Orione al Duce: firmiamo quei Patti, in Avvenire, 14 gennaio 2000, p. 7. F. PELOSO, Don Orione e il Concordato del 1929, in Don Orione Oggi, 95 (2000) n. 2, pp. 8–10. F. PELOSO, Don Orione e la Conciliazione del 1929, in MdO 34 (2002), n. 107, pp. 27-45. F. PELOSO, Il contributo di Don Orione per la Conciliazione del 1929, in Nova Historica 1 (2002), pp. 31–48.

[62] Scritti, 66, 230.

[63] Ibidem, 50, 40.

[64] Furono pochi i testimoni dello storico avvenimento che avvenne nel Palazzo di San Giovanni in Laterano, dove Mussolini giunse alle 11,00 precise. Ad attenderlo trovò il Segretario di Stato Cardinale Gasparri, monsignor Ercole, l'avvocato Francesco Pacelli e monsignor Borgoncini Duca, il primo nunzio apostolico presso il Quirinale. Con lui c'era il ministro della Giustizia Alfredo Rocco, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Francesco Giunta, e il sottosegretario agli Esteri, Dino Grandi.

[65] Pio XI, Discorso ai rappresentanti dell’Università Cattolica di Milano, in Tarcisio Bertone, Una questione risolta da un bibliotecario alpinista. Gli ottant’anni dello Stato della Città del Vaticano in L’OssRom (ed. settimanale), 59 (2009) p. 7.

[66] Prima che si concludesse la Conciliazione Don Orione diceva: “Il Papa è ancora in tempo a dire no. Se però dirà sì, dovrà piangere. Egli ha creduto di trattare con agnelli, invece ha trattato con lupi”: Fondo Pio XI.

[67] Documentatio, 5, Diario di Albino Cesaro, 3 giugno 1929.

[68] Ibidem, 10. I.

[69] Fondo Pio XI: “Nel giorno della Conciliazione, anziché il Te Deum, fece recitare una Salve Regina”.

[70] Idem.

[71] Idem.

[72]  Pio XI, Discorso dell’11 febbraio 1929, in L’OssRom, 149 (2009) p. 5.

[73] Purtroppo nell’Archivio Don Orione non risulta questa lettera; sappiamo della sua esistenza soltanto da testimonianze indirette, specie di Don Zambarbieri.

[74] Documentatio, 5, Diario di Albino Cesaro, 3 giugno 1929.

[75] Fondo Pio XI.

[76] Con Giornate di Romagna si indicano nella storiografia del Risorgimento due distinti tentativi insurrezionali del 1843 e del 1845. Traendo spunto dalle vicende dell’ultimo moto, Massimo D’Azeglio pubblicò l’opuscolo Gli ultimi casi di Romagna. Probabilmente Don Orione si riferisce a qualche commemorazione di quei fatti, ripresi con fare ironico dal Sovrano.

[77] Documentatio, 5, Diario di Albino Cesaro, 3 giugno 1929.

[78] Don Orione condannò l’attentato al Duce: “Avete sentito dire dell’attentato a Mussolini? Noi, come cristiani e come italiani, deploriamo la cosa, perché è un disonore per l’Italia. Noi come cristiani sappiamo che la vita umana è sacra… Noi, come cristiani, dobbiamo deplorare l’atto criminoso, come deploriamo quelli che hanno assassinato Matteotti, perché la vita è sacra. Perché, se Mussolini fosse morto, non sapremmo quale potrebbe essere la giornata di domani…, forse uno stato di guerra civile, perché questo che attraversiamo, è momento di prove: ADO, Parola, 3,100”. Cfr G. MARCHI, Carità e politica di san Luigi Orione, in Studi cattolici, giugno 2004, pp. 483–487.

[79] Parola, 8, 2-3.

[80] In verità su questo punto le testimonianze sono contrastanti perché alcune fanno cenno ad un incontro di Don Orione con Mussolini, in vista della costruzione dell’Ospizio dei Cavalieri nell’isola di Rodi. Per strappare il permesso al governo, Don Orione chiese e ottenne un incontro con Mussolini il quale, non vedendo di buon occhio concorrenze nell’attività assistenziale del regime, pensò di stancarlo con una lunga anticamera. Ma Don Orione attese con pazienza l’incontro durante il quale spiegò i suoi progetti di bene. Alla domanda di Mussolini: “E i soldi?”, rispose con semplicità: “Quelli me li darete voi, Eccellenza”.

[81] Documentatio, P. 2. I: “Si era in quei momenti in cui si perseguitava l’Azione Cattolica, quando hanno chiuso i circoli cattolici… Anche da padre Santolini abbiamo sentito dire che Don Orione ha offerto la Congregazione per la pace della Chiesa… disse che il Signore lo aveva preso in parola”. Cfr. F. PELOSO, Don Orione e l’Azione Cattolica. Notizie e tracce per avviare uno studio, in MdO, 40 (2008) n. 125,  pp. 5-14.

[82] Scritti, 95, 185.

[83] Ibidem, 70, 46.

[84] Riunioni , p.108.

[85] Scritti 19, 48.

[86] Ibidem, 61, 145.

[87] Ibidem, 56, 58.

[88] Riunioni , p. 224.

[89] Summarium Ex Processu Apostolico Derthonensi, § 1919, p. 704.

[90] BENEDETTO XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 5, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, p. 7.

[91] Don Zambarbieri riferì questa confidenza durante il processo di beatificazione: cfr Summarium Ex Processu Apostolico Derthonensi, § 1919, p. 704. Cfr. F. PROSIA, La parrocchia di Ognissanti. Architetto Costantino Sneider, in Ognissanti Incontro, 1 (2008),  pp. 1-8.

[92] Nel 1922 una bella villa in Sanremo rischiava di passare ai protestanti che già si erano mossi per l’acquisto volendo trasformarla in una scuola. Don Orione per evitare questo passaggio, si rivolse alla Madonna: “Santa Madre del Signore, fate il vostro dovere: custoditela questa casa: fate che non cada in mano ai protestanti”. Con l’aiuto della signora Giulia Almerini riuscì ad acquistare l’immobile dove, nel 1940, il santo morì.

[93] Fondo Pio XI, 1932, 9 a.

[94]  Idem.

[95]  Idem.

[96]  Riunioni, p. 89.

[97]  Fondo Pio XI, 1932, 9 a.

[98]  In più occasioni Don Orione ebbe fenomeni simili di chiaroveggenza.

[99] Fondo Pio XI, 1932, 9 a.

[100] Ibidem. Telegramma dal Vaticano, 12 gennaio 1938.

[101] Riunioni (manoscritto), 13 luglio 1933, p. 304. Il Cardinale era Ildefonso Schuster, vero ammiratore di Don Orione: “Io sento quando un'anima è di Dio. Ho avuto qui Don Orione quando non era ancora conosciuto. Eppure sentivo che vi era in Lui qualcosa di straordinario. Notavo in Lui tanta umiltà, tanta serenità, sovrannaturalezza che comprendevo di trattare con un'anima totalmente posseduta da Dio”. Così confidenzialmente dichiarava il Cardinale rifacendosi al primo incontro del 1931 con il nostro Fondatore.

[102] Riunioni, p. 303.

[103] Ibidem, pp. 304-305. Durante l’Udienza Don Orione affidò se stesso e la Congregazione al Papa e scherzando aggiunse: “… non le do i miei debiti perché sono già un debito io”: Parola, 5, 194.

[104] Riunioni, p. 305

[105] Riunioni (dattiloscritto) A. 6, 13 luglio 1933, pp. 129 e 138.

[106] L’OssRom, 164 (1933) p. 1; ADO, La Piccola Opera della Divina Provvidenza, Bollettino mensile, XXVIII (1933) n. 7, p. 4. Commentando l’espressione sine me nihil potestis facere durante la Buona notte dell’8 settembre successivo, festa della Natività di Maria, Don Orione aggiunse: “Ci ha ricordato questa frase per farci intendere che senza Dio non possiamo fare niente. Così si può dire anche della Vergine Santissima. Senza la Madonna non possiamo far niente. Prima di fare la più piccola cosa innalzate il vostro sguardo e raccomandatevi alla Madonna”: Parola, 5, 215.

[107] Parola, 5, 193. Anche durante la Buona notte del 13 agosto successivo a Villa Moffa di Bra, Don Orione ricordò l’Udienza concessagli da Papa: “E’ circa un mese che andai dal Papa (…) e rimase impressionato e parlò a noi come egli sa parlare, e in modo che non ha mai parlato altrove, tanto che disse: Voi non siete più Piccola Opera, ma siete una forza, non materiale ma spirituale”: Parola, 5, 203.

[108] Cfr CÁRCEL ORTÍ V., La Gran Persecucion: Espana, 1931-1939, Planeta, Madrid, 2000. Persecuciones religiosas y martires del siglo XX, Ediciones Palabra, Madrid, 2001. Pío XI entre la República y Franco, BAC, Madrid, 2008.

[109] Parola, 5,124.

[110] Ibidem, 5,261.

[111] PIO XI, Lett. Enc. Divini Redemptoris, 3, in A.A.S., XXIX, p. 107. Con ogni probabilità, l'ispiratore dell'enciclica fu una lettera del generale dei gesuiti il conte Wlodzimierz Ledochowski, il quale ne seguì costantemente la stesura. L'enciclica già conclusa il 31 gennaio 1937 fu ufficialmente pubblicata il 19 marzo successivo.

[112] Scritti, 61, 114 -115. Non ci sono elementi per identificare questa minuta senza data. Dal genere letterario dell’intero lungo scritto risultano essere degli appunti per un discorso.

[113] Scritti, 19,124.

[114] L’Avvenire d’Italia del 1 febbraio 1909, p. 3, confermava lo sfruttamento attorno agli orfani del terremoto: “Mentre a protestanti… gli orfanelli si affidavano con facilità, a Mons. Cottafavi si opponevano difficoltà molte e grandi… So per altro che fu opera e merito di Don Orione e di Don Zumbo se dei sessanta orfanelli affidati ai protestanti alcuni poterono essere tolti agli eretici. Ma dovettero quegli egregi sacerdoti pagare al comitato ben 15 lire per ogni orfanello… Quanto sia grande lo sfruttamento massonico e anticattolico della sventura, lo prova il fatto che le regioni colpite sono incessantemente battute da emissari delle società protestanti, che viaggiano sotto altri nomi, per carpire orfanelli e sventurate orfanelle”.

[115] Scritti 51, 176-177. L’identificazione del destinatario nel Cardinale Copello è sicura dai riferimenti interni in questa e in altre lettere che trattano del medesimo argomento. La lettera è databile tra la fine dell’anno 1936 e l’inizio del 1937.

[116] Scritti 81, 243-244. Il destinatario della lettera pare essere il Segretario di Stato; gli indizi che portano a tale identificazione sono: 1. il tono molto formale tenuto come in altre lettere destinate al Segretario di Stato; 2. l’oggetto specifico della lettera: e cioè la proposta diretta al Santo Padre di istituire una giornata dedicata ad onorare tutti i “martiri” di “quasi tre anni di guerra, in odio a Gesù Cristo e alla Sua Chiesa”. L’Eminenza competente cui dirigere tale proposta era il Segretario di Stato, all’epoca il Card. Maglione.

[117] Nella minuta dattiloscritta c’era “di tutti i suoi Martiri”, poi cancellato.

[118] Un’aggiunta nel retro del foglio sembra come riassumere l’oggetto della lettera: “Una giornata istituita dal Papa a questo fine che ripercussione grande avrebbe e quanto risolleverebbe gli spiriti!”.

[119] Ricardo Gil Barcelón nacque a Manzanera (Teruél), il 27 ottobre 1873. A venti anni, fu soldato nelle Filippine, poi studiò teologia e fu ordinato sacerdote nel 1904. La sua vita fu molto avventurosa per scelta e per le vicende accadute. Fu personalità vivacissima ed inquieta. Nel 1910, incontrò Don Orione a Roma e ne divenne seguace fedele, incrollabilmente saldo nella fiducia nella Divina Provvidenza. Portò sempre in cuore il desiderio d’essere missionario. E lo fu in Italia e nella propria patria, in Spagna, ove aprì le porte della Congregazione. Padre Riccardo Gil sopportò croci pesanti, come quella della calunnia, in Calabria, e della persecuzione religiosa in Spagna. Arrestato a Valencia ed invitato a rinnegare la sua fede in cambio della vita, il 3 agosto 1936, morì gridando: “Viva Cristo Re!”.

Antonio Arrué Peiró nacque il 4 aprile 1908, a Calatayud (Zaragoza); orfano e abbandonato dai parenti, a vent’anni passò un periodo di desolazione terribile. Arrivato a Valencia, nel 1931, incontrò Padre Riccardo Gil che lo prese con sé. Era un giovane serio, pio, di sacrificio e lavoratore, di poche parole. Per 5 anni perseverò come aspirante nella vita di pietà e di dedizione al prossimo, prodigandosi nella carità domestica cui schiere di poveri ricorrevano fiduciosi. Quando il 3 agosto 1936, rientrando a casa, vide che i miliziani comunisti stavano prelevando Padre Gil, Antonio non esitò, gli corse incontro e volle rimanere con lui. Lo caricarono sulla medesima carretta e lo portarono a El Saler. Poi, al vedere il Padre cadere sotto la raffica dei fucili, gli balzò accanto per sorreggerlo. Una guardia gli fracassò il cranio con il calcio del fucile.

Cfr, I Servi di Dio Padre Ricardo Gil e Fratel Antonio Arrué dei Figli della Divina Provvidenza (Don Orione) nel trentennio della loro santa morte, martiri di Cristo in terra di Spagna, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1966; V. CARCEL ORTÌ, Il beato Luigi Orione e i martiri spagnoli, in L’OssRom, 61 (2000) p. 6; F. PELOSO, Anche voi berrete il mio calice. Padre Riccardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró martiri orionini in Spagna, Borla, Roma, 2002.

[120] Fondo Pio XI.

[121] Informatio ex processu, 661-662. Segnalo l’approfondito studio di G. Marchi e F. Peloso, Orionini in aiuto degli ebrei negli anni dello sterminio, in MdO 35 (2003) n. 112, pp. 75-106.

[122] 2 Maggio 1944 Induno: la vita delle nostre invalide e minorate psichiche prosegue regolarmente, soccorse da molti amici sfollati qui nei dintorni. La Provvidenza non ci lascia mancare nulla; neppure il pane è razionato, perché oltre alle tessere abbiamo grano per farne in casa; non solo, ma come aveva predetto Don Orione, possiamo darne ai nostri benefattori malati o a quelli che hanno più figliuoli. Anche vari partigiani, nascosti nelle fogne dei dintorni, la notte bussano alla nostra porta, per chiedere da mangiare e qualcosa c'è sempre anche per loro; sere fa se ne presentò uno ammalato e fu ospitato nella camera di Don Capelli, che era assente. Persino i soldati tedeschi si presentano di tanto in tanto per bisogni e noi siamo contenti di poter fare qualcosa anche per loro: sono tutti nostri fratelli in Cristo, trascinati dai loro capi in una guerra che i più certo non hanno voluto e a casa li aspettano le loro mamme e i loro bambini. 26 Aprile 1945: la guerra è finita. Come prima l'Istituto aveva aperto la porta agli ebrei e agli antifascisti perseguitati, oggi la va aprendo ai fascisti e ai tedeschi che si trovano nelle medesime necessità. Due feriti, vittime delle reazioni dei partigiani, rimasti abbandonati sul terreno perché creduti morti, si trascinano nella notte fino alla nostra porta. Possiamo medicarli e ristorarli.

[123] Scritti 29, 249: Lettera a Don Dutto, 1 marzo1939.

[124] Scritti 67, 62.

[125] Informatio ex processu , 490.

[126] Ibidem, 491.

[127] Ibidem, 492.

[128] Riporto, come sopra, alcune annotazioni del diario del Piccolo Cottolengo: “2 Giugno 1942: aumenta il numero di persone ebree, che chiedono d'essere ricoverate. 15 Gennaio 1944: il Piccolo Cottolengo è divenuto rifugio anche di ricercati dalla polizia germanica e dalle SS. La nostra porta, come voleva Don Orione, deve restare sempre aperta ad ogni perseguitato. 8 Agosto 1944: Don Capelli deve abbandonare la sede di Milano perché ricercato dai tedeschi. Chi lo abbia denunciato non sappiamo. Avevamo ospitato al Piccolo Cottolengo delle persone ebree perseguitate e alcune di esse molto malate. Si vede che qualcuno è venuto a saperlo. Fortunatamente i Tedeschi arrivarono qui a ricercarlo quando il Direttore era a Induno Olona, per il raduno Amici Milanesi colà sfollati”.

[129] ADO, Fondo Piccinini.

[130] Cfr. F. CEREJA (a cura di), Due confratelli nel lager: Don Franciszek Drzewiecki e il chierico Josef Kubicki, in Religiosi nei Lager. Dachau e l’esperienza italiana, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 167–181; F. PELOSO e J.BOROWIEC, Francesco Drzewiecki. N. 22666: un prete nel Lager, Borla, Roma, 1999; K. MAJDANSKI e J. SARAIVA MARTINS, Don Francesco Drzewiecki martire orionino a Dachau, in MdO, 32 (2000) n. 100,  pp. 83–88.

[131] Scritti, 50, 38.

[132] Don Orione, infatti, era tornato il 24 agosto 1937, sbarcando al porto di Napoli.

[133] Scritti, 50, 38. Aggiungeva Don Orione: “Ma , se è vero che Santa Teresa del Bambin Gesù Gli avrebbe assicurato altri dieci anni di vita, la buona Santa non lascerà, certo, la grazia a metà, ma vorrà che sia piena e intera, e farà che il nostro Santo Padre viva una vita non trascinata, ma rifiorente in salute”.

[134] Cfr Relazioni, 5. II. 1. pag. 3.

[135] Parola, 7, 48. Anche nella lettera all’arciprete Don Innocenzo Zanalda, parroco a Stradella (PV), dello stesso 14 ottobre, Don Orione accenna all’Udienza di Pio XI e alla sua salute malferma: “Quanto è deperito. L’intelligenza c’è ancora tutta ma, nel resto, quanto è cadente! E quanta pena fa al vederlo! L’Udienza fu consolantissima: e ne sono uscito coperto da tutte le benedizioni”: Scritti, 35, 132

[136] Scritti, 50, 38

[137] Parola, 7,49.

[138] Relazioni, 5. II. 1. pag. 3

[139] Parola, 7,50.

[140] Fondo Pio XI

[141] Parola, 10,82.

[142] Ibidem, 10,83.

[143] Idem.

[144] Fondo Pio XI: Testimonianza riferita da Ettore Parretti.

[145] G. CANESTRI, Don Orione incontra l’Italia, in F. Peloso (a cura), Don Orione e il Novecento, p. 107.

[146] Cfr S. FALASCA, Don Orione, il santo dell’imprevisto, in 30 Giorni 22 (2004) n. 5,  p. 84.

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