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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Campocroce di Mirano (Venezia), luglio 1932: il patriarca Pietro La Fontaine con Don Orione, Don Sterpi, Don Perduca e altri religiosi e chierici.
Autore: Flavio Peloso

La stima, la collaborazione, la devozione che intercorsero tra il giovane fondatore tortonese e grande patriarca di Venezia.

Il patriarca Pietro La Fontaine,

padre e amico di Don Orione e delle sue opere nel Veneto

 

Don Flavio Peloso

 

Il cardinale Pietro la Fontaine Nacque a Viterbo il 29 novembre 1860, figlio di padre svizzero e madre viterbese.[1] Fu ordinato sacerdote nel 1883 e svolge per 20 anni il suo ministero in diocesi, anche come insegnante e padre spirituale del seminario. Pio X il 6 dicembre 1906 lo nominò vescovo di Cassano all'Jonio.

Nel maggio 1908, “Fu a Tortona visitatore Apostolico, e poi a benedire la I pietra del tempio sul Castello”.[2] Era quello un periodo di sospetti modernistici. In questa circostanza incontrò Don Orione e la sua opera traendone grande stima. Poi, i Due si ritrovarono a collaborare nel gennaio 1909, quando Don Orione era accorso in aiuto dei terremotati di Messina e Reggio Calabria.

“Fu in quell’occasione che ho conosciuto la grandezza d’animo del Vescovo La Fontaine, che mise a disposizione degli orfani tutto il suo grande palazzo, il gran palazzo vescovile di Cassano Jonio…”.[3] E ricordava con commozione: “Mons. La Fontaine non solo diede Santuario (della Madonna della Catena) e Casa, ma aperse il suo stesso palazzo vescovile. Vasti saloni furono tosto trasformati in dormitorio, e, sotto il baldacchino della sala del trono, ebbero il loro lettino due poveri orfanelli. il Clero della diocesi si era stretto, in quei giorni, attorno al suo Vescovo, per festeggiare il suo XXV. di sacerdozio, e gli offerse una somma di alcune migliaia di lire. Il Vescovo tutto diede per i piccoli superstiti, fin le coperte del suo letto. Il cuore fu tutto per i poveri, specie per i fanciulli più derelitti.”.[4]

In questo contesto di eroismo della carità tra il giovane Vescovo e Don Orione la stima spirituale e apostolica profonda si trasformò in aiuto e collaborazione.

Nell'aprile 1910, Papa Pio X chiamò il vescovo Pietro La Fontaine a Roma e lo nominò segretario della Congregazione dei Riti ove collaborò attivamente alle riforme liturgiche intraprese dal santo Papa. Fu poi nominato patriarca di Venezia il 5 marzo 1915 da papa Benedetto XV, che lo elevò poi alla porpora cardinalizia il 4 dicembre 1916.  Don Orione, nella circostanza, commentò: “Questo cardinale è, più che insigne benefattore, un buon amico dei Figli della Divina Provvidenza, tanto che se non ci sentissimo così nulla e non fosse quasi un mancar troppo di rispetto ad un Principe della S. Chiesa oseremmo dire che è della Divina Provvidenza anche lui. Per molti e insigni meriti il S. Padre Benedetto XV lo ha fatto cardinale, ma per noi poveretti egli è il cardinale degli orfanelli”.[5]

Come pastore, Pietro La Fontaine eccelse nell’opera di aiuto durante la prima guerra mondiale (1915-1918). “Si era in guerra – scrive Don Orione in terza persona -. Le condizioni di Venezia erano tristi. Al nuovo Patriarca necessitava un po’ di danaro al suo ingresso per le prime e più urgenti necessità del suo popolo. Proprio allora la Divina Provvidenza aveva mandato a Don Orione L. 12.000. La somma passò senz’altro nelle mani del Santo Patriarca per non restarci che pochi giorni: la Divina Provvidenza gli era andata incontro sulla piazza di San Pietro. Quando si era a maggio, il Patriarca non aveva più nulla, e tutto era andato in carità, e allora vendevano le candele offerte dai fanciulli della Cresima, e si andava avanti così”.[6]

Nella storia orionina, il patriarca La Fontaine è ricordato soprattutto per i venti anni (1915-1935) trascorsi a Venezia come Patriarca durante i quali fu grande amico personale, benefattore e sostenitore di Don Orione e della sua Piccola Opera. Al suo interessamento e sostegno si deve l'apertura di sei istituzioni nel Veneto: la parrocchia di Caorle, l’Istituto Artigianelli (alle Zattere di Venezia), Istituto Manin (in Lista di Spagna a Venezia), il seminario di Villa Soranzo (a Campocroce di Mirano), l’Orfanotrofio (al Lido di Venezia) e l’Istituto Berna (a Mestre).

Don Orione fu a Venezia per la prima volta il 22 febbraio 1909. Vi era andato da Messina, ove incaricato dalla Santa Sede di seguire la sistemazione e collocazione degli orfani del terremoto, per prelevare sette di questi orfani ospiti in un Istituto protestante della città. Poi fu varie volte al Ricreatorio Pio X di Lonigo, tra il 1908 e il 1912.

Don Orione riprese la frequentazione della regione veneta nel 1917, quando il card. Pietro La Fontaine divenne Patriarca di Venezia. Questi, infatti, ricorse a lui per risolvere alcune ferite sociali lasciate dalla grande guerra mondiale.

Chiese a Don Orione di accogliere a Tortona sia i chierici dei Padri Cavanis che l’intera comunità delle Suore Clarisse della Giudecca, costretti a evacuare per i pericoli della guerra. L’8 novembre 1917 Don Orione informò le Piccole Suore Missionarie della Carità: “Ieri ho scritto una lettera al Patriarca di Venezia, dicendogli che in questi momenti tanto dolorosi, la Casa della Divina Provvidenza è pronta ad accogliere i suoi poveri profughi, Preti, Chierici, e poveri orfani abbandonati. Noi ce ne andremo sotto il solaio. Mezz’ora appena dopo impostata la lettera, giunse un telegramma dell’Ammiraglio Cito, che a nome del Cardinale pregava la Casa della Divina Provvidenza a ricevere cinquanta Religiosi”. [7]

Di fatto, furono sette i chierici dei Padri Cavanis che giunsero a Tortona il 22 gennaio 2018, insieme a P. Enrico Perazzoli, tutti trentini. Don Orione “assegnò loro per abitazione la casetta attigua alla chiesa di S. Rocco, con ufficiatura della medesima Chiesa”. I chierici furono per qualche tempo nel noviziato orionino di Villa Moffa, ove parteciparono agli esercizi di agosto 1918 con Don Orione e i suoi chierici e novizi. Il 14 novembre, appena terminata la guerra, fecero ritorno a Venezia.[8]

L’8 di novembre del 1917 giunsero a Tortona anche 28 suore Clarisse del convento veneziano della Giudecca. Furono ospitate presso la Casa madre delle suore Orionine a San Bernardino. Fu un’accoglienza eroica, perché c’era estrema povertà e la casa era piccola. Le Orionine lasciarono i loro ambienti, i loro letti e le loro camere alle Clarisse, mentre loro vivevano accampate in qualche modo, tra tanti disagi, dormivano in soffitta. Eppure le une e le altre erano contente e quella convivenza si trasformò in conforto ed edificazione per tutte.[9]

Il patriarca La Fontaine di fronte all’accoglienza intraprendente e sacrificata di questi due gruppi e di altri profughi, restò ancor più sorpreso e ammirato di Don Orione.

Tra i due si rinsaldò una forte sintonia spirituale e amicizia. Don Orione definiva La Fontaine “padre e benefattore dei Figli della Divina Provvidenza”,[10]Egli aveva la Congregazione come cosa sua”.[11]

In questo clima di conoscenza e affetto si comprende perché il Patriarca “Dopo la guerra chiamò a Venezia i Figli della Divina Provvidenza, e molto fece perché ad essi venissero affidati l’orfanotrofio delle Zattere e l’Istituto Manin. E diede poi i bambini di Lido, i più cari al suo cuore, e quell’orfanotrofio La Fontaine che porta il suo nome. Oh come ci vedeva volentieri! E come veniva volentieri da noi a Villa Soranzo!”.[12]

L’Istituto Manin in Lista di Spagna, per orfani, e l’Istituto San Gerolamo Emiliani alle Zattere, per artigianelli erano due importanti istituzioni di Venezia in gravi difficoltà[13] Nel 1919, entrambi gli istituti, dopo il paziente lavoro di contatti e le necessarie pratiche presso la Prefettura di Venezia, furono accettati da Don Orione che poté firmare la convenzione il 1° di agosto 1919.

Il Patriarca, sempre in quell’anno 1919, chiese a Don Orione di prendersi carico anche della Parrocchia Santo Stefano di Caorle.[14] Durante gli anni seguiti alla disfatta di Caporetto (ottobre 1917), gli abitanti di Caorle avevano dovuto abbandonare in fretta le loro case e, terminata la guerra, ritrovarono il paese e le case in condizioni desolanti; nelle campagne allagate e malsane imperversava la malaria. In quel paese devastato c’era tutto da rifare materialmente e moralmente.

Don Orione conosciuta la drammatica situazione - dopo il sopralluogo e la relazione di Don Sterpi sulla Parrocchia,[15] inviò Don Silvio Ferretti che fece l’ingresso come parroco a Caorle il 20 novembre 1919. A lui si aggiunse poi Don Giuseppe Saroli e, il 31 dicembre 1920, quattro Suore per l’Asilo. Vi rimasero fino all’agosto 1924 in condizioni di vita molto difficili a motivo della malaria.[16] Passata la prima emergenza, il Patriarca provvide poi a nominare un altro parroco diocesano a Caorle.

Sempre nel 1919, mentre veniva conclusa l’assunzione da parte della Congregazione dei due prestigiosi edifici dell’Istituto Manin e dell’Istituto Artigianelli in Venezia, un’altra donazione, sempre propiziata dal card. Pietro La Fontaine, veniva proposta a Don Orione: la Villa e i terreni del conte Marco Soranzo[17] a Campocroce di Mirano, nell’immediato entroterra veneziano. Don Orione fu a visitare per la prima volta la Villa dei Soranzo il 22 maggio 1919: “Ieri visitai con don Sterpi la Villa, è veramente una provvidenza di Dio, e adattissima”.[18] Il 31 maggio 1919, fu firmato l’atto con cui passò alla Congregazione la proprietà di Campocroce.[19] Con il nome di Istituto Marco Soranzo prese avvio l’attività destinata fino al 1930 ad orfani e ragazzi poveri; dal 1930 al 1998, divenne “Probandato” o seminario minore per i primi passi di aspiranti alla vita religiosa e sacerdotale.

Nel 1921, il Patriarca ricorse ancora una volta a Don Orione chiedendogli di organizzare un Orfanotrofio al Lido di Venezia per dare soluzione al problema dell’assistenza a infanti e piccoli orfanelli nati durante l’occupazione dei militari austriaci nella regione e che, in non pochi casi, le madri abbandonavano per vergogna e per miseria. L’orfanotrofio, intitolato a “Pietro La Fontaine” fu affidato alla cura delle Piccole Suore Missionarie della Carità, ancora in abito civile e in formazione.[20] In breve, la casa si avviò con sessanta bambini e vi si instaurò un metodo educativo informato dallo spirito di famiglia.

Il Patriarca partecipò al conclave del 1922, durante il quale venne eletto papa Pio XI. Quest'ultimo gli affidò negli anni successivi numerosi importanti incarichi come legato pontificio. È noto che, in quel conclave, La Fontaine fu più volte ad un passo dall'elezione per la grande stima di cui godeva come sacerdote e come pastore.

Animo nobile e colto, si dedicò anche alla prosa e alla poesia, prevalentemente con intento religioso ed educativo. Anche al termine di un corso di esercizi predicati per i religiosi di Don Orione all’Istituto Artigianelli di Venezia, il Patriarca compose un sonetto vibrante di fede “I 7 F dei Figli della Divina Provvidenza. Lo scrisse durante un viaggio in treno da Venezia a Roma, il 25 giugno 1923. Successivamente, il 25 novembre 1923, lo inviò a Don Orione.[21] Eccone il testo.

I sette F dei Figli della Divina Provvidenza

Se nel cammino vi conduce Fede
durare pe’ fratelli aspre fatiche,
la fame sopportare e farvi amiche
del freddo le punture e, come chiede

Amor, spregiar fastidi ognun lo vede,
é arra d’opre grandi; sì le antiche
di Cristo amati usar alme pudiche,
in cui Fe, Speme, Amor posero sede.

E pur la parte di profeta assumo
gridando forte al mondo, amici miei:
«se d’esta pianta il legno andasse in fumo»;

Opra più grande a segnalarvi avrei;
ché al caldo di quel Sol, ond'io m'allumo,
voi cantereste: fiat voluntas Dei![22]

Don Orione, al ricevere questa lettera, rimase “confuso e confortato insieme e ne ho ringraziato il Signore e sua Eminenza dal profondo del cuore. E poi ho pensato di inviare a tutti della Congregazione, quale strenna per Natale e capo d’Anno, detta lettera, che è veramente bella, sotto ogni riguardo. Essa è una pagina di pratica e cristiana pedagogia, e documento di grande e apostolica carità verso i poveri fanciulli che la Divina Provvidenza ci affida”.[23]

Non poté mai dimenticare che il Patriarca La Fontaine “A Tortona corse con amore dolcissimo di padre, quando Don Orione cadde gravemente malato,[24] e ci ritornò qualche anno fa a visitare il Santuario della Guardia, dove celebrò e parlò al popolo e ai chierici. Egli divise sempre con noi le nostre gioie e i nostri dolori”.[25]

Durante tutta la vita, Pietro La Fontaine fu pastore saggio, illuminato e paterno. Don Orione ricorreva a lui per avere consiglio sicuro e franco anche nelle più delicate questioni,[26] perché, come gli scrisse, voleva “servire la causa di Dio e della S. Chiesa con amore, con umiltà, con fedeltà di figliuolo, e col coraggio d’un buon soldato di G. Cr, e del Papa, anche in grande fermezza di fede e di fedeltà e di umiltà. Che non serva la Chiesa da sonnolento o da balordo, ma ben sveglio in Domino: e in carità grande”.[27]

Dopo un rapido declino della salute, il Patriarca morì nel seminario minore di Paderno del Grappa, il 9 luglio 1935. “Il Veneto tutto si commosse alla dolorosa notizia – scrisse Don Orione -, ma sovra tutti la città di Venezia, dove popolo, autorità e Clero lo veneravano qual padre”.[28]

Il 22 febbraio del 1960 il patriarca di Venezia card. Giovanni Urbani, con l’incoraggiamento di Giovanni XXIII, ne iniziò la causa di beatificazione.

 


[1] Per una conoscenza biografica: Domenico Sparpaglione, Il Cardinale Pietro La Fontaine, Patriarca di Venezia, Ed. Paoline, Alba 1951; Giovanni Vian, Pietro La Fontaine, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, 2000; Silvio Tramontin, Il cardinale Pietro La Fontaine, patriarca di Venezia, ed il suo tempo, in Archivio veneto, CXXIX (1987), pp. 45-71; Giovanni Musolino, Pietro La Fontaine patriarca di Venezia (1915-1935), Edizioni Studium Cattolico Veneziano, 1988; Giuseppe Camillotto, Alla fontana di Dio. La testimonianza del Patriarca di Venezia card. Pietro La Fontaine, Marcianum Venezia, 2006; Paolo Clerici, San Luigi Orione e il patriarca Pietro La Fontaine, “Messaggi di Don Orione”, n.139, 2012, p. 5-52.

[2] Scritti 49, 133.

[3] Parola 9.7.1938, IX, 310

[4] Scritti 49, 132.

[5] Scritti 64, 273.

[6] Testo con ricordi dopo la morte del Patriarca; Scritti 49, 132.

[7] Parola III, 84.

[8] Ricordi e testimonianze dei 10 mesi trascorsi a Tortona sono pubblicati da P. Mansueto Janeselli in “Charitas”, periodico dell’Istituto Cavanis, 1980, n.2-3, p.1-9.

[9] Notizie in Don Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, Tip. San Giuseppe, Tortona, 1979, p. 89-97.

[10] Parola 19.10.1932, Va, p.113

[11] Scritti 49, 133.

[12] È Don Orione stesso a riferire; Scritti 49, 133. La Villa di Campocroce divenne per il Patriarca luogo di riposo e di raccoglimento; sono testimoniate sue lunghe soste; nell’anno 1921, vi passò nella Villa il suo mese di riposo estivo e dall’11 al 21 luglio predicò gli esercizi spirituali.

[13] Cfr. Luigi Piccardo, Il Servo di Dio Sacerdote Carlo Sterpi (1874- 1974) nel centenario della sua nascita (sarà citato Piccardo), Roma 1975, p. 8-25.

[14] Notizie in Piccardo, p.43-49.

[15] Scrive Don Sterpi: “Caorle è un paesetto in riva al mare; buona gente, bella Chiesa, bel campanile, ed un santuario detto alla Madonna dell'Angelo, proprio sul mare, molto venerato. Chiesa e canonica sono a 50 metri dal mare sono pescatori e contadini”; Don Sterpi, p.418.

[16] Scritti 29, 210; “Noi qui abbiamo malato Don Ferretti Silvio, di gastro-enterite, con già 3 ricadute; ora, grazie a Dio, è fuori pericolo; ma la malaria di Caorle gli fece gonfiare milza e fegato tanto che non si potrà più rimandarglielo”, Scritti 1, 70; cfr. anche 69, 82-86. Il 17.8.1923 diede notizia alle Suore che “è morta a Caorle la vostra Consorella che prese l’abito alla Madonna della Guardia l’anno scorso”, Scritti 55, 41.

[17] Il conte Marzo Soranzo, avvocato veneziano, apparteneva alla famiglia del ramo San Barnaba dell’antica e nobile famiglia dei Soranzo (detti alle origini Superantius). Il nome di questa famiglia è testimoniato già all’epoca della distruzione di Aquileia, poi si trasferì a Belluno e infine a Venezia, divenendovi una delle famiglie tribunizie più influenti e di governo. Giovanni Soranzo fu Doge della Serenissima dal 1312 al 1328. Anche il Manzoni ricorda un “Girolamo Soranzo, inviato de' Veneziani” al cap. 28° dei “Promessi sposi”.

[18] Lettera a Don Pensa del 23 maggio 1919; Scritti 20, 54.

[19] Il Conte familiarizzò sempre più con la Congregazione, della quale fu ospite a Tortona, a Sanremo e a Roma e infine a Villa Moffa di Bra(CN), ove morì il 20 ottobre 1920. Don Orione informò il Patriarca La Fontaine a Venezia: “Addoloratissimo, partecipo morte Conte Soranzo, avvenuta, molto cristianamente, iersera a Bra Villa Moffa. Preghiamo”; Scritti 60, 174.

[20] La contessa Maria Walter-Bass aveva donato un ampio terreno al Lido di Venezia. Papa Benedetto XV, saputo del progetto dell’orfanotrofio voluto dal Patriarca, consegnò tutta la somma di denaro necessario per realizzarlo con la massima urgenza. Terminati i primi lavori, e i soldi, toccò a Don Sterpi ultimare con grandi difficoltà la costruzione che venne pagata poco alla volta e con molti sacrifici.

[21] “Venezia, 25 Novembre 1923. Caro Don Orione,       Mi sono inteso mosso interiormente a scrivere ai vostri giovani prefetti. Reputando che il movimento venisse dal Signore l’ho assecondato scrivendo la lettera che accludo. Qui essa è stata posta vicino a Gesù sacramentato perché ne ricavasse calore. Se aggiungerete preghiere all’uopo; non potrà mancare che essa faccia qualche bene. raccomandatemi alla Madonna”; testo riportato in Scritti 62, 6.

[22] Testo riportato in Scritti 80, 61.

[23] Così scrive nella lettera del 22 dicembre 1923; Scritti 62, 5. Nella medesima lettera spiegò anche la genesi di quel Sonetto: “Ricorderete che per la festa di S. Luigi vi ho distribuito un’immagine-ricordo con i sette F dei Figli della Divina Provvidenza. Trovandomi in quel tempo a Venezia, ne ho umiliato una anche a sua Eminenza il Patriarca. Ora egli, dopo qualche giorno, andava a Roma; e fu durante quel viaggio che, ripensando ai sette F dei figli della Divina Provvidenza, buttò giù il bellissimo sonetto che mi piace indirizzare particolarmente ai nostri sacerdoti”.

[24] Nel Novembre 1926, Don Orione soffrì di una polmonite violenta che fece temere per la sua vita. “L’arrivo doveva essere privatissimo – scrisse nel suo Diario il Patriarca -. Ebbi con Don Orione un lungo colloquio… È tutto a posto nell’Opera? Sei tranquillo in coscienza?”. Don Orione indicò un libro sullo scaffale in alto: “lo prenda”. Era un libro di numeri, di bilanci. Il Patriarca lo aprì, lesse e il suo volto si fece sereno. Cfr Giorgio Papasogli, Vita di Don Orione, V ed., Gribaudi, Milano, 2004, p.362.

[25] Così ricorda Don Orione in Scritti 49, 133.

[26] Era sicuro di avere nel Patriarca il consiglio di un santo illuminato e il punto di vista della Chiesa. A lui ricorse per consigli sul come comportarsi con alcuni esponenti del modernismo, con i preti lapsi che cercava di aiutare e anche nella tremenda vicenda di scandali di ecclesiastici emersi nella vicenda di Padre Pio da Pietrelcina e testimoniati in “documenti fotografati che riguardano Don Diana, il caso Gerlach, Mgr Samper, Mgr Caccia Dominioni, ma più in extenso la situazione della Diocesi di Manfredonia dove è quel Padre Pio”; cfr Flavio Peloso, Don Luigi Orione e Padre Pio da Pietrelcina. Nel decennio della tormenta (1923–1933), Jaca Book, Milano, 1999.

[27] Scritti 49, 126-127.

[28] Scritti 49, 131.

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