Questo sito utilizza cookie per le proprie funzionalità e per mostrare servizi in linea con le tue preferenze. Continuando a navigare si considera accettato il loro utilizzo. Per non vedere più questo messaggio clicca sulla X.
Messaggi Don Orione
thumb

Nella foto: Don Brizio Casciola soggiorno in vari periodi all'Eremo di Sant'Alberto di Butrio (Pavia)
Pubblicato in: Michele Busi, Don Brizio Casciola in Aa. Vv., Don Orione negli anni del Modernismo, Ed. Jaca Book, Milano, 2002, p. 269-317.

Sono ricostruite le relazioni di Don Brizio, protagonista controverso del primo Novecento, con Don Luigi Orione.

DON LUIGI ORIONE E DON BRIZIO CASCIOLA*

Michele Busi

 

1. UNA PERSONALITA' CONTROVERSA

Don Brizio Casciola rappresenta certamente una delle personalità più significative del clero italiano della prima metà del Novecento.

La sua figura e la sua opera, trascurate per molto tempo da gran parte della storiografia religiosa, sono state oggetto di indagine sistematica soltanto negli anni Settanta (in particolare attraverso saggi pubblicati sulla rivista "Fonti e Documenti" del Centro Studi per la storia del Modernismo dell'Università di Urbino) e, dopo una pausa sostanzialmente di un decennio, negli ultimi anni, soprattutto per merito di Ferdinando Aronica dell'Istituto “S. Tommaso” di Messina, presso cui è custodito l'Archivio Casciola[1].

Gli studiosi sono concordi nel sottolineare la difficile "etichettatura" di una personalità che nella sua lunga vita (il Casciola è scomparso nel 1957, all'età di 87 anni) ha sperimentato, spesso da protagonista, alcuni dei passaggi più difficili della storia della Chiesa del XX secolo, partecipando alle correnti più riformatrici.

I giudizi di chi l'ha conosciuto vanno dalla stima profonda di alcuni al giudizio negativo di altri. Se Fogazzaro, riferendosi a Don Brizio, lo definiva "un'anima radiante che a quanti avvicina comunica un quid nuovo"[2], Tommaso Gallarati Scotti, molti anni dopo, pur sottolineando "non è che io non ammiri la sua carità e non riconosca il gran bene che ha potuto fare a molte anime turbate ...", affermava: "il suo cuore era d'oro, ma il suo grande ingegno traviato e il suo cervello farneticava e si lasciava sedurre da certe adulazioni..."[3], e se Prezzolini indicava Don Casciola come “l’anima più impressionante di tutto il clero che conosco. È un vero mistico che non si confonde troppo a scrivere”[4], p. Enrico Rosa sulla "Civiltà Cattolica" lo definiva "dal cuore buono, ma dalla mente guasta"[5].

Egli stesso sembrava conscio di ciò e in un documento autobiografico, constatando come "fuori che dal clero ordinario, mi ebbi il favore dell'aristocrazia liberale, dei ceti colti e del popolo", concludeva: "Perché? Non so spiegarmelo bene. Vi erano motivi diversi: tolleranza, disinteresse, larghezza d'idee, pratica di una carità che si giudicava illuminata ecc. E poi a molti apparivo 'simpatico'. Una parola non chiara la quale convoglia apprezzamenti ed elementi i più svariati: buoni e non buoni"[6].

Anche gli studiosi hanno tracciato giudizi contrastanti sulla figura di questo sacerdote. Scoppola osservava, nel suo importante studio del 1961 sul modernismo, a proposito di Don Brizio, la “sconcertante scelta politica nell’ultima guerra (fu tra i pochi sacerdoti che si schierarono con la Repubblica di Salò) ha fatto dimenticare i meriti giovanili”[7].

Bedeschi in Lettere ai cardinali di Don Brizio lo descrive "errabondo per necessità ma anche per naturale insofferenza; di rude e nobile ascetismo. Secondo il dettame evangelico, da lui richiamato, scuoteva la polvere dai calzari, allorché si allontanava dai luoghi inospitali e andava, con animo ilare, a piantare le mobili tende altrove"[8].

Guasco, più recentemente, sottolinea che Don Brizio, "con la sua presenza nei salotti aristocratici e fra gli umili ed emarginati, rappresenta veramente un modello di cristianesimo vissuto e di povertà francescana che non può non suscitare, oltre all'ammirazione, un profondo senso religioso in chi l'incontra"[9].

Nato a Montefalco, in provincia di Perugia, il 31 luglio del 1871 (quindi un anno prima di Don Orione), a dodici anni Brizio Casciola entrò nel seminario di Spoleto dove compì gli studi ginnasiali e il biennio di filosofia. Nel 1890 si recò a Roma, dove lo seguì la famiglia, per frequentare, da esterno, il quadriennio di teologia presso l'Apollinare. Ricevuti gli ordini maggiori, venne ordinato sacerdote il 19 maggio 1894. Dopo l'ordinazione fu inviato come cappellano alla chiesa di S. Eusebio, dove l'anno successivo conobbe padre Giovanni Semeria: incontro che rappresentò una svolta sicuramente importante nella vita del giovane sacerdote. In una lettera a Sorella Maria dell'Eremo francescano di Campello sul Clitumno, Don Brizio affermava, parlando di p. Semeria: "La provvidenza si servì di Lui per togliermi dalla solitudine assoluta in cui vivevo e lanciarmi nel gran mondo in cui ho trovato umili e grandi. Gli uni e gli altri dovevano dare un'impronta indelebile alla mia vita esteriore ed anche interiore. Senza quel tuffo non so immaginare quello che sarebbe stato di me"[10]. In effetti, una persona appassionata dalla vivacità del dibattito culturale che si registrava a cavallo tra Otto e Novecento, ma soprattutto dall'incontro con personalità di spicco e carismatiche, com’era Don Brizio, intuì la possibilità di concretizzare in qualcosa di grande l’energia che sentiva in sé. Da qui la sua aspirazione ad essere non solo uomo 'di cultura', ma anche uomo 'di azione'.

Etichettare tout court Don Casciola come prete modernista è inesatto e, per certi versi, fuorviante.

Don Brizio durante la sua esistenza conobbe e frequentò gli esponenti del modernismo (Buonaiuti, Murri, Gallarati Scotti, Semeria, ecc.). Egli ricordò alcuni anni dopo: "Mi si voleva un modernista della peggior specie. E cosa c'era di vero in questo? In verità nessuno ha potuto convincermi di nessuna eresia determinata, ma in quella vece mi si faceva carico di essere in relazione con ecclesiastici e laici in fama di modernisti. E questo è vero: ma insieme dichiaro che quasi sempre motivi puri ed alti, spesso doverosi, di cortesia, pietà, di carità mi hanno suggerito una tale condotta"[11].

Quindi, Don Brizio era più che altro sospettato di intrattenere rapporti con i modernisti; atteggiamento che lui cercò di giustificare con ragioni di carità cristiana, ma che all'epoca costituiva motivo sufficiente per essere tacciato a propria volta di modernismo. In stretto rapporto col gruppo lombardo de “Il Rinnovamento” e con i dirigenti della Lega Democratica Nazionale, Don Brizio era venuto col tempo auspicando una profonda rigenerazione del pensiero e della vita della Chiesa, anche se non condivise mai le posizioni estreme dei modernisti più radicali. Con Semeria, Murri, Gallarati Scotti, ma anche con Paul Sabatier e George Tyrrell, per fare i nomi di due fra i maggiori esponenti fuori dell'Italia, Don Brizio si confrontò ed ebbe in comune l'ansia di rinnovamento nella Chiesa che animava i primi anni del Novecento.

Tuttavia, permase in lui sempre una profonda obbedienza alle direttive ecclesiastiche. Significativo il telegramma giuntogli dalla Santa Sede in occasione del suo ottantesimo compleanno: “Al venerando Don Brizio Casciola nel fausto suo ottantesimo compleanno sia testimonianza dell’integerrima vita, della disinteressata attività, dell’opera sua formativa nel mondo giovanile e operaio, l’Apostolica Benedizione che Sua Santità gli invia con paterno cuore mentre invoca al suo Sacerdozio nuovi divini lumi e conforti. Montini, Sostituto”[12].

Non seguì il Murri o il Buonaiuti fino al punto di rompere con l’autorità ecclesiastica. A Fogazzaro, che in un momento particolarmente difficile lo invitava a ribellarsi alla gerarchia, rispondeva: "Se non perderò la testa io terrò sempre alto e fermo il nome e il carattere di sacerdote cattolico e come sacerdote sopra tutto - e malgrado tutto - vorrò servire ai fratelli miei"[13].

Egli visse le ansie di rinnovamento che animavano larghi strati di intellettuali cattolici e una parte del clero all'inizio del secolo scorso con grande passione e partecipazione, sempre però amando la chiesa.

L’orionino Don Gaetano Piccinini, che conobbe bene Don Brizio e gli fu vicino per tanti anni, nel centenario della sua nascita da Boston, dove si trovava, scriveva al riguardo: "Modernista? Assolutamente non lo credo. La sua era un'aura di modernità vivissima, una freschezza di primavera, accompagnate sempre a un attaccamento filiale alla Santa Chiesa ... "[14].

Certamente, un atteggiamento libero e per certi versi anticonformista com’era quello di Don Casciola non poteva che destare preoccupazioni presso alcuni ambienti, tanto più in anni in cui anche solo il sospetto di simpatizzare per idee moderniste era considerato una grave colpa, foriera di interventi della gerarchia. E questo non risparmiò allora nemmeno vescovi o cardinali[15].

Don Brizio volle soprattutto essere considerato un educatore. Questa è l’ottica, a nostro parere, più corretta per inquadrare molte delle sue iniziative. Non tanto un teorico dell’educazione, come più volte dichiarò, ma un maestro che si proponeva, per usare parole sue, di “armonizzare vita, scuola e lavoro”, e che vedeva nell’educazione una leva formidabile di riscatto sociale per i ceti più umili. Ma sua azione, tuttavia, si sviluppò ad ampio raggio[16].

Attraverso la cerchia numerosa di amicizie che coltivò nel corso degli anni esercitò un indubbio fascino soprattutto sull'aristocrazia e sull'alta borghesia, avvicinando anche personalità che erano distanti dalla fede cattolica; inoltre, diffuse con conferenze, circoli di cultura, incontri, riunioni, le idee a lui care. Soprattutto, volle trasferire nell'azione concreta la sensibilità che lo animava. È questo un aspetto che lo accomunò con altri protagonisti della stagione modernista, in particolare gli esponenti dell'area milanese de "Il Rinnovamento", come Alfieri, Gallarati Scotti, Gazzola e Semeria.

È stato autorevolmente osservato che "Appartenevano all'area della rivista milanese il cospicuo gruppo di giovani laici e sacerdoti che non vennero meno all'ispirazione religiosa originaria, e che di questa ispirazione fecero la base anche per un impegno sociale che non era solo succedaneo di un impegno intellettuale e morale divenuto ora arduo, quanto piuttosto un'integrazione di esso. Per merito di costoro si ebbe anzi nel modernismo italiano, anche nei suoi esponenti più aristocratici, qualcosa di più e di diverso che non è dato trovare in intellettuali puri, in scienziati come potevano esserlo un Loisy o un Blondel: c'è l'ansia di democrazia e di riscatto sociale d'un Semeria o d'un Casciola, c'è l'aspirazione e l'impegno di giovare ad un'opera di elevazione sociale e morale - vuoi attraverso l'opera di assistenza agli emigrati, vuoi attraverso la lotta allo sfruttamento minorile, vuoi attraverso l'associazione per il Mezzogiorno - di uomini come Malvezzi, Alfieri, Gallarati Scotti, Jacini e via dicendo; la radice, l'ispirazione della forma d'impegno in cui costoro operano è essenzialmente religiosa"[17].

Il suo impegno attivo, non supportato, tuttavia, come egli stesso ammetteva, da altrettanti doti organizzative, gli attirò invidie che spesso contribuivano a dare una visione distorta della sua opera.

Nel 1918, quando ormai erano passati gli anni più difficili, ma non del tutto le incomprensioni, ben conscio di ciò, affermava: "L'odio, che mi insegue da sedici anni (almeno), so che non avrà mai tregua. Passo e passerò per pazzo, incredulo e sinanco per corruttore -, sarò sempre spiato, denunciato, avversato[18] e stroncato, io che son solo, povero, senza nessuna distinzione sociale; da essi (evidentemente certi potenti prelati della Curia, nda) che hanno i quattrini, il potere e un'influenza sulle masse, fatta non di amore ma di timore e di cieca soggezione"[19].

Si può concordare col fatto che "la caratteristica che colpiva chi lo incontrava per la prima volta, era la sua 'singolarità'. Caratteristica che nasceva dal contrasto - subito avvertito - tra la sua vasta cultura, le profonde vedute, le intuizioni sugli avvenimenti e sulle cose, e il suo candore che, a volte, lo faceva sembrare ingenuo; tra la molteplicità dei suoi interessi, che abbracciavano diversi campi dello scibile umano (filosofia, psicologia, pedagogia, politica, storia, letteratura, scienze, religioni, misticismo, ecc.) e il suo interessamento alle singole persone; innata chiarezza, che poteva sembrare rude e quel calore umano che caratterizzava la sua amicizia!"[20].

L’accusa che gli si muoveva era di essere, sostanzialmente, un ingenuo (nella migliore delle ipotesi un involontario) propagatore di idee moderniste. Questo, se gli evitò provvedimenti della massima gravità che toccarono invece ad altri esponenti come il Murri o il Buonaiuti, non ha reso giustizia al suo sofferto cammino interiore per giungere ad una personale giustificazione dell’essere rimasto fedele alla Chiesa.

Significativo il brano introduttivo che il Casciola, a pochi mesi dalla Pascendi, nel pieno della bufera antimodernista, stese a mo’ di dedica pubblicando il volumetto Della Coscienza. Estratto della lettera di Newman al duca di Norfolk. Egli scrive: “A quelli che amano la Chiesa di Cristo più che i loro propri interessi, o personali o di scuola o di casta; a quelli che hanno fiducia nella Sua missione, che è di educare gli uomini alla Verità, all’amore e di avviarli agli eterni destini; a quanti credono il Cristo esser venuto a compiere, armonizzando, e non a distruggere, e Cristiano intero esser quello che sa piegare, con libera obbedienza, la personalità cosciente, autonoma e completa, alle giuste esigenze, private e collettive, dei fratelli, attuando in sé e in altri affrettando il connubio desiderato e necessario di due grandi principi Autorità e Libertà, queste pagine del maggior Dottore della Chiesa nel secolo XIX son dedicate augurando”[21].
 

2. NELL'ORBITA DI DON ORIONE

In queste pagine intendiamo soprattutto mettere a fuoco il rapporto di amicizia che legò il sacerdote di Montefalco con il beato Luigi Orione, soffermandoci in particolare su una fase cruciale del loro rapporto, ossia gli anni che vanno dal 1914 al 1917, un periodo, a nostro parere, anche se non esaustivo, certamente emblematico del rapporto fra i due e che segnò l’inizio di un'amicizia che si consolidò nel tempo.

Don Brizio, pur in quella libertà di movimento che caratterizzò la sua esistenza (“non riesco a tenere ‘i piè fermi’. Sono ‘il prete di strada’”, confessò nelle pagine del documento autobiografico[22]) gravitò, da un certo momento della vita, nell'orbita della Congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza; anzi, per alcuni lunghi periodi egli soggiornò e operò attivamente nella case dell’Opera (S. Alberto di Butrio, "S. Giorgio" di Novi Ligure, "S. Filippo Neri" di Roma, ecc.). E questo non solo quando era vivo Don Orione. Anche dopo la scomparsa del fondatore egli rimase molto unito all'Opera, ai suoi sacerdoti, particolarmente a Don Sterpi e a Don Piccinini, tanto da chiudere la sua esistenza nel 1957 in una delle case fondate da Don Orione, a Napoli, tra gli amati orfani del Piccolo Cottolengo.

Si trattò senz'altro di un'amicizia profonda e, come tutte le amicizie, fonte di reciproco arricchimento. Don Brizio riconobbe sempre l'affetto dimostrato verso lui da Don Orione e considerò le case dell'Opera come casa propria. Da parte sua, Don Orione gli aveva confidato chiaramente che "le tende della Divina Provvidenza sono tutte a tua disposizione, e vi troverai cuori fraterni"[23].

Tommaso Gallarati Scotti, pur nei giudizi negativi su Don Brizio che abbiamo registrato all'inizio, riconosceva come egli fosse "davvero, un salvato di Don Orione: stava uscendo dai quadri della Chiesa"[24].

I due sacerdoti, che erano quasi coetanei, si conobbero con ogni probabilità all'inizio del 1900. La loro frequentazione ebbe però un vero e proprio sviluppo, come vedremo più oltre, solo a partire dal 1914, quando Don Brizio stava affrontando uno dei momenti più difficili della sua esistenza.
 

3. L'INCONTRO FRAI DUE SACERDOTI

Non è documentato con certezza quando Don Orione e Don Brizio si conobbero. Sicuramente non prima dell'inizio del Novecento, anche se probabilmente l'uno aveva già sentito parlare dell'altro.

Presumibilmente i due si incontrarono per la prima volta a Roma, quando, per una serie di circostanze, si trovarono a operare a poche centinaia di metri di distanza.

Per primo vi era giunto Don Brizio, nel 1895[25]. Egli fin dai primi giorni della sua permanenza romana era venuto a contatto col barnabita p. Giovanni Semeria che lo aveva invitato esplicitamente ad un apostolato diretto verso i più poveri[26]. Secondo alcuni, ancora più decisivo, dal punto di vista del pensiero che il Casciola andò elaborando negli anni successivi, fu l'incontro con il Barone Friedrich von Hügel, che lo esortò a distaccarsi dalla teologia scolastica a favore dell'approfondimento di testi biblici e patristici[27].

Altra conoscenza romana importante fu quella con Giulio Salvadori, che nell’autunno del’95 introdusse Don Brizio nell’Unione per il Bene[28].

Così, dall'anno successivo Don Casciola aveva iniziato ad operare nel quartiere di san Lorenzo al Verano, raccogliendo un'ottantina di famiglie. Il quartiere era tra i più poveri di Roma; il giovane sacerdote mise a frutto il suo entusiasmo e la sua voglia di fare qualcosa di concreto per le classi più umili.

Due anni dopo, ottenuta dal Comune di Roma una vasta area, con l'aiuto del barone Leopoldo Franchetti e della moglie Alice Hallgarten aveva aperto una colonia agricola, alle porte della città, sulla via Flaminia[29].

Qual era il programma di quella scuola? Riassumerà anni dopo Don Brizio: "aprimmo una colonia per orfani, alle porte di Roma... Ignaro di pedagogia, di agricoltura, di amministrazione non avevo che buona volontà, un certo intuito psicologico e una certa facoltà di simpatia che stabilirono rapidamente una comprensione reciproca fra i miei poveri figlioli e me. Furono il mio programma, la mia scuola e la mia biblioteca. Di giorno si lavorava insieme e ogni tanto si interrompeva il lavoro per dare e ricevere spiegazioni intorno alla terra, alle piante, all’atmosfera, ecc."[30].

L'inizio della presenza romana della congregazione orionina si fa invece risalire ad un invito di mons. Radini Tedeschi[31] del 12 dicembre 1900. Il prelato, ben impressionato dalla conduzione da parte degli Eremiti della Divina Provvidenza[32] delle colonie agricole di Noto, in provincia di Messina, e di Orvieto, invitò Don Orione a Roma[33].

Il 7 febbraio 1901 i primi Eremiti di Don Orione diedero vita alla colonia agricola S. Giuseppe nella tenuta della 'Nunziatella', alle porte della città, detta così per la vicinanza di una piccola chiesa dedicata all'Annunziata. La zona, tuttavia, era tra le più inadatte per la lavorazione agricola. Così, circa un mese dopo, il comitato romano S. Giuseppe acquistava all’asta un nuovo terreno alla 'Balduina' di Monte Mario, zona, dal punto di vista agricolo, senz'altro più felice. Nell’aprile i ragazzi della 'Nunziatella' furono trasferiti nella nuova colonia, anch'essa affidata alla congregazione orionina.

Don Orione sapeva quanto, per motivi sociali ma anche morali, era caldeggiata da Leone XIII la preparazione agricola della gioventù. A ciò si aggiunga che si era nel pieno della diffusione dei nuovi sistemi di 'coltivazione razionale' (metodo Solari), introdotti da padre Giovanni Bonsignori nella colonia di Remedello, in provincia di Brescia, che tanto entusiasmo generarono nella stessa congregazione orionina[34].

Per interessamento di mons. Luigi Misciattelli, vice-prefetto dei Palazzi Apostolici e appartenente ad una nobile famiglia romana[35], qualche mese dopo aveva inizio un'altra colonia agricola, quella di Santa Maria del Perpetuo Soccorso, sempre a Monte Mario[36].

Nel frattempo Don Brizio aveva dapprima lasciato Roma, stabilendosi a Montaperti, in provincia di Siena, nella tenuta della famiglia Antonelli,[37] per poi ritornarvi nel 1902, quando una signora tedesca offrì la sua casa con annesso un vasto terreno, proprio a Monte Mario, dove Brizio sperimentò una colonia 'tolstoiana'[38].

Fu forse la vicinanza dell'apostolato che li mise a contatto. Entrambi avevano grande fiducia nelle colonie agricole come strumento formidabile di recupero per le classi più povere e per una prevenzione della delinquenza[39].

Don Brizio, tuttavia, ben presto incontrò delle difficoltà e decise di trasferirsi al Nord: nell'agosto del 1904, con l'aiuto finanziario dell'amico Paolo Celesia, inaugurò la Colonia agricola "Villa giardino" di Osio Sotto, in provincia di Bergamo[40]. Ricordandosi della capacità degli orionini di gestire le colonie agricole, già pochi mesi dopo Don Brizio chiedeva aiuto a Don Orione per la conduzione della Colonia di Osio Sotto.

A quanto pare Don Orione non dette subito una risposta.

All'inizio del 1905 Don Brizio tornò alla carica informandolo che "da sei mesi ho potuto realizzare il mio sogno di una Colonia, come avrà sentito da Semeria e da altri", rinnovando la richiesta di collaborazione: "se la sentirebbe Lei di diventare mio Socio e Confederato, obbligandoci ambedue a un aiuto e a un’assistenza reciproca, Lei prestandosi per la direzione agraria e io prestandomi, quando occorra, per le occorrenze pedagogiche delle Sue fondazioni?"[41].

A questa lettera Don Orione rispose nel febbraio seguente dalla Colonia agricola 'S. Maria' di Monte Mario, invitando anzitutto Don Brizio a dargli del tu ("Diamoci del tu, che ci fa sentire di più il Signore") e, soprattutto proponendogli, a sua volta, di aiutarlo in un'opera di carità[42].

Lo scritto è particolarmente significativo per diversi motivi. In primo luogo conferma che Don Brizio aveva chiesto aiuto a Don Orione nell'aprire la colonia di Osio, proposta che però Don Orione non era in grado di accettare ("non ho in personale da darti"). Poi ci dice che Don Orione a Roma stava ormai estendendo la propria attività ad un nuovo campo d'apostolato ("Sento un gran fuoco d'amore dolce che mi porta a darmi ai minorenni usciti di carcere ai quali finora poco o nulla si è pensato").[43]

Soprattutto ci mostra la 'strategia' del sacerdote nei confronti di altri confratelli (Semeria, Murri) che in quegli anni vivevano in forte sospetto di modernismo ("Tu mi aiuterai tanto, Semeria, Murri, tutti mi dovete aiutare tanto").

Siamo nel febbraio del 1905, la Pascendi è ancora lontana e il movimento antimodernistico non aveva ancora assunto quella forza che avrebbe avuto negli ultimi anni del pontificato di Pio X. Don Orione si sentiva autorizzato, forse senza alcuna indicazione dall'alto, a cercare il contatto con queste persone che evidentemente stimava e che temeva uscissero dall'ortodossia. Questo lo portò ad essere lui stesso sospettato di modernismo[44].

La 'strategia' era di coinvolgere nella cerchia delle proprie iniziative i sacerdoti o i laici 'pericolanti'[45].

Già l'anno precedente aveva cercato di far nascere una rivista, chiamando a collaborare molti sacerdoti. Scriveva: "Vorrei raccogliere tutti gli ingegni e i bei cuori d'Italia attorno alla Madonna, anche perché Lei aggiusti le teste di alcuni. Vi scriverà fin dal primo numero Ghignoni, Semeria figurerà direttore"[46].

Anni dopo Tommaso Gallarati Scotti testimonierà: “Quando si parla di modernismo e della posizione di Don Orione nel modernismo, io devo dire che forse l’unica persona che fu larga e comprensiva con chi poteva avere momenti di dubbiezza e di tormento riguardo a certi problemi critici, filosofici di quel momento, l’unica persona che ebbe comprensione fu Don Orione, e in Don Orione il Papa ebbe una piena fiducia lasciandogli tutte le libertà nei suoi rapporti con queste anime turbate”[47].

Che l'apostolato delle carceri stesse a cuore a Don Orione in quei mesi lo testimonia una lettera a padre Semeria del maggio del 1906. Egli scrive: "Se il nostro caro Signore vorrà usarmi tanta misericordia di servirsi di me per gettare il suo amore nel cuore di tanti che sono là nelle prigioni, io penso che voi verrete, non è vero, qui a fare una conferenza per questi piccoli Gesù?  Ah, ci vado io piuttosto dal S. Padre per farvi venire! basta; vi abbraccio nel Signore. In paradiso avremo più tempo. Salutatemi tanto i vostri fratelli"[48].

Nella stessa lettera Don Orione fa riferimento a Don Brizio, confessando la propria impotenza ad aiutare il sacerdote: "Non ho più scritto a Don Brizio, e sento in me una pena, e temo di averlo addolorato, ma non so come fare".

Al di là di quella lettera, non si possiede alcun documento che testimonia un contatto fra i due negli anni successivi. Come abbiamo visto, Don Brizio da pochi mesi aveva iniziato una nuova avventura a Osio Sotto, in provincia di Bergamo. La colonia agricola lo assorbiva totalmente: in essa egli riversò tutto il suo entusiasmo per educare i giovani.

Tuttavia, ben presto sorsero difficoltà sia nei confronti dell'autorità ecclesiastica che nei confronti di tante altre persone che non apprezzavano l'operato di quel prete che viveva in modo piuttosto singolare ed esercitava un notevole fascino sui giovani. Nell'Archivio Casciola è conservata una lettera alla contessa Del Bono, in cui Don Brizio sostiene: "Io tiro innanzi in mezzo a difficoltà gravissime. Non appena Voi foste partita scoppiò una tempesta che mi agitò per una terribile settimana. Ora incombono altre difficoltà. Ci sono moltissime persone a cui questa colonia è un pruno nell'occhio e si direbbe che ne han giurato lo sterminio"[49].

Gli anni trascorsi in questa colonia coincidono per Don Brizio con uno dei periodi forse più difficili della sua vita: riapparvero le accuse, più o meno velate, di modernismo, i suoi movimenti erano spesso spiati; qualcuno perfino si mescolava agli ascoltatori delle sue conferenze per coglierne qualche frase che poteva contribuire a farlo cadere in cattiva luce presso l'autorità ecclesiastica. All'inizio del 1906 la "Civiltà Cattolica" aveva accusato Don Brizio di essere il divulgatore a Torino delle idee espresse nel romanzo di Fogazzaro Il Santo, che dopo pochi mesi fu posto all'Indice.

Il 1907, poi, come noto, fu l'anno in cui si abbatté potente la condanna delle idee moderniste. Ai primi di luglio fu promulgato il decreto Lamentabili che riassumeva in 65 proposizioni, "da riprovarsi e condannarsi", gli errori di "non pochi scrittori che trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano tale un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione de' medesimi". Don Brizio, inoltre, nell'agosto dello stesso anno aveva partecipato al celebre convegno di Molveno.

Il 16 settembre, infine (anche se la data ufficiale del documento è l'8 settembre), veniva emanata l'enciclica Pascendi dominicis gregis con la condanna esplicita degli errori dei modernisti[50].

Don Orione intanto era assorbito da un nuovo impegnativo campo d'apostolato. Ai primi di gennaio del 1909 ci fu il terribile terremoto che distrusse gran parte delle città di Reggio Calabria e Messina. Il sacerdote vi si recò immediatamente. Gli eventi, come noto, lo portarono poi a ricoprire la carica di Vicario Generale per la diocesi di Messina: lì vi rimase fino all'aprile del 1912.

In quegli anni quasi certamente con Don Brizio si perse di vista.

Bedeschi sostiene che il sacerdote umbro fu a Messina a fianco di Don Orione[51], ma ciò non risulta da alcun documento. L'unico accenno è una lettera di Don Orione alla contessa Spalletti che si proponeva di mandargli in aiuto a Messina Don Brizio, a cui il sacerdote tortonese rispose: "per la baracca preferirei per ora un borghese. Un altro prete, per quanto ottimo, sarebbe troppo, ora. Un borghese può andare alle officine, trovarsi meglio per tutto"[52]. Più probabile che Don Casciola avesse fatto qualche puntatina sullo Stretto a trovare gli amici del "Rinnovamento" (Gallarati Scotti, Alfieri) che erano scesi nei giorni successivi al terremoto e avevano fondato l'Associazione Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia, con lo scopo di aiutare gli orfani.

Don Brizio continuava, nel frattempo, il suo impegno educativo, come ci documenta questa lettera circolare, inviata nel 1912 agli amici della Colonia.

“La Colonia agricola che ora s'intitola da s. Benedetto - iniziatore di una civiltà religiosamente operosa - si aperse nell'Agosto del 1904 a Villa Giardino, presso Osio sotto in prov. di Bergamo, per opera e col contributo generoso del dott. Paolo Celesia[53].

L'istituzione che accoglieva gratis dei fanciulli derelitti, ma normali, per avviarli all'agricoltura intensiva, si proponeva il fine specifico di promuovere un esperimento pedagogico il quale mostrasse fino a che punto si potesse, in Italia, armonizzare vita scuola e lavoro, sotto influssi spirituali schiettamente cristiani, per formare dei caratteri seri e gentili disciplinati e liberi, degli uomini aperti al Vero e al bene, quindi capaci di viver paghi e lieti, con dignità, anche in umile stato, come consapevoli della sorgente vera della felicità, che è tutta interiore. (...)

Nel 1909 la Colonia si trasferì in Brianza e perché si era temuto abusare della generosità del Signor Celesia e perché la nuova sede, amenissima, si giudicava più propizia alle festive escursioni montane e alla coltivazione degli alberi da frutta.

Da allora non poche e non lievi difficoltà si ebbero a superare. Non mancarono errori da parte nostra, ma forse mancò la generosità e simpatia da parte di alcuni, che disconobbero le nostre intenzioni

In compenso, quali e quanti consensi di alti intelletti, di nobili cuori!"[54].    

Nel prosieguo della lettera evidenzia il metodo pedagogico seguito.

"Chi scrive ha perseguito per vari anni studi, osservazioni, esperienze intorno all'arte - italica per eccellenza - dei campi.

Egli è persuaso che le tradizioni ravvivate, i maggiori progressi tecnici e civili, l'aggravarsi delle crisi industriali, la cresciuta e più libera attività dei commerci, la più chiara visione dei danni morali dell'urbanesimo e dell'emigrazione, le attese previdenze legislative, il moltiplicarsi dei buoni esempi, riaddurranno, in giorno non lontano, le stanche moltitudini all'aperta pace dei campi.

Pertanto noi curiamo anzitutto i sensi del fanciullo e cerchiamo di volgerli agli oggetti vicini che più lo attraggono e lo interessano. Di questi si fanno osservare con attenzione, prima i caratteri esterni e formali, poi quelli più interiori e risposti, quindi se ne fa la storia e infine si istituiscono dei confronti fra oggetti e oggetti, qualità e qualità, che avviano la mente alla formazione dei concetti astratti e generali. Compiuto il ciclo di un tale insegnamento oggettivo e occasionale si affronta la trattazione metodica delle materie. (...)

Con questo noi miriamo a sviluppare un equilibrio fisio-psichico fattore di armonia, un'umanità più ricca e profonda, un senso religioso della vita che, placando gl'istinti brutali, educhi il senso del Vero, del Bene, dell'Eterno, condizione e radice di ogni progresso durevole"[55].

È documentato che Don Brizio si rifece vivo con Don Orione nel 1912, da Crevenna, sopra Erba (in provincia di Como, ma in diocesi di Milano, da dove si era trasferito dalla fine di ottobre del 1909), appena seppe che questi stava rientrando dopo i tre anni di Vicario generale della diocesi di Messina.

Infatti, il 18 maggio gli inviava una lettera in cui chiedeva, per la Colonia di Erba, di "procurarmi (possibilmente fra i Suoi antichi allievi) una persona onesta, seria, non interessata, abbastanza competente in materia agricola che s’incarichi di aiutarmi, dirigendo con me i lavori campestri e assistendo i ragazzi che lavorano...".

Inoltre concludeva lo scritto con queste parole: "Se veniste a trovarmi? Da Milano, per la linea di Erba (staz. di Erba) si viene in poco più di un'ora: Venga, venga se può..." [56].

Nella lettera possiamo notare come Don Brizio evidentemente avesse perso i contatti con Don Orione (si passa dal 'tu' al 'lei'). Questo è verosimile anche perché Don Orione, come detto, era rimasto in Sicilia pressoché ininterrottamente per tre anni ed inoltre non aveva avuto nessun motivo per avvicinare Don Brizio che si trovava, tra l'altro, nel mezzo della bufera antimodernistica.

Non sappiamo se Don Orione fu in grado di inviare qualcuno.

Certamente Don Brizio stava attraversando mesi difficili per l'ostilità dell'ambiente circostante. Egli doveva continuamente chiedere l'autorizzazione al card. Ferrari per celebrare la messa: fin dall'inizio del 1911 gli era stato negato il permesso.[57]

Inoltre, da alcuni mesi era stato sospeso a divinis (Don Brizio rimase sospeso a divinis dal 1911 al 1915[58]).
 

4. UN ANNO DIFFICILE

Nel febbraio 1913 Don Brizio dava alle stampe a Cesena un opuscolo dal titolo Alcuni aspetti del cristianesimo secondo la tradizione cattolica[59].

Egli intendeva richiamare in esso "concetti e metodi della grande tradizione cristiana e biblica e patristica e teologica, nonché dei mistici e dei santi"[60].

Tuttavia l'opuscolo fu interpretato come un ennesimo colpo di coda delle posizioni moderniste. Infatti la reazione degli ambienti più intransigenti non si fece attendere. Già nel maggio successivo il periodico veneto "Riscossa" dei fratelli Scotton attaccava l'opuscolo e il suo autore.

Intanto, a luglio Don Brizio scriveva a Don Orione chiedendo di intercedere per lui presso lo stesso pontefice per permettergli di celebrare la messa ("ti supplico a ritornare dal S. Padre e chiedergli la grazia di lasciarmi almeno celebrare in casa mia"), possibilità che gli era negata ormai da trenta mesi ("e ti lascio pensare il mio dolore. A questo si aggiunge l’amarezza di non poter conoscere le vere ragioni di un tal provvedimento")[61].

Egli sostiene di aver chiesto consiglio a mons. Bonomelli, che l'aveva invitato a continuare.  Come si evince una volta di più dalla lettera, su di lui pesavano ancora forti i sospetti di modernismo[62].

In questi mesi va forse collocato l'incontro tra il Casciola e Pio X, auspice Don Orione stesso[63].

Soprattutto, nel gennaio seguente la bufera sembrò aumentare.

L'opuscolo pubblicato l'anno precedente fu attaccato dalla "Civiltà Cattolica" con una lunga recensione[64]. In essa, tra l'altro, si sosteneva: "Il sacerdote Brizio Casciola ha accumulato nell'opuscolo un solo genere di testimonianze che sembrano favorire un suo ordine di idee molto affini a quello dei modernisti"[65]. Per screditare ulteriormente la figura di Don Brizio, in nota si specificava: “L’autore è il sac. Brizio Casciola, che risiede a Erba. Sappiamo però che egli, non solo non appartiene al clero locale, ma non è neppure in alcun rapporto con l’autorità ecclesiastica diocesana che gli ha ritirato ogni facoltà”.

Le pratiche per la riabilitazione di Don Brizio, che sembravano procedere abbastanza celermente, subirono così una brusca interruzione. Infatti il 12 marzo seguente il card. Ferrari, che fino ad allora si era limitato a non concedere a Don Brizio il permesso di celebrare la Messa, gli comunicava la proibizione di celebrare ubilibet e in più di ricevere pubblicamente la comunione[66].

La decisione del card. Ferrari fu certamente sofferta. Egli si trovava in quegli anni tra i due fuochi degli intransigenti, che lo consideravano troppo condiscendente nei confronti dei modernisti[67], e di questi ultimi che gli chiedevano una più decisa apertura alle idee che attraversavano larghi strati della Chiesa. Tutto ciò fu causa di sofferenze e incomprensioni anche nei rapporti tra il cardinale e Pio X[68].

A fine marzo, Don Brizio scriveva al cardinale. In aprile poi stendeva il "Commiato"[69] che segnò il termine alle conferenze milanesi, invitando gli amici a continuare a riflettere sulla grande tradizione di spiritualità italiana: “E su, alla sorgente, o Amici! Tesoreggiamo il tempo irreparabile, così breve! E quel che avanza al disimpegno scrupoloso dei doveri. Esteriori concediamolo alla cultura, alla concentrazione dell’anima che troppe volte sfoga nella vanità o muore d’inedia. Indi ritorneremo più fervidi alle opere dei Vivi; amare e lavorare. Vostro per la vita. Erba (Como), 20 Aprile del 1914. Sac. Brizio Casciola”.

A fine mese si incontrò a Sestri Levante con Don Orione cercando di convincerlo a difendere la sua causa.

Dopo qualche settimana confesserà ad una sua allieva: "Vidi anch'io Don Orione con vivissimo piacere. È una anima bella, buona e intimamente libera. Non credo egli possa far nulla per me e nemmeno lo desidero troppo. So che Pio X, in fondo, mi vuol bene, ma non può far nulla neanche lui..."[70].

Nei mesi successivi del 1914, tuttavia, placatesi di nuovo le acque, sembrò essere giunto il momento per una riabilitazione di Don Brizio. Tra l'altro, la morte di Pio X e la salita al soglio pontificio di Benedetto XV avevano stemperato notevolmente la campagna antimodernista[71]. Di passaggio ricordiamo che ai cardinali riuniti in conclave furono indirizzate alcune lettere, scritte da Don Brizio, in cui si chiedeva una maggiore apertura da parte della Chiesa[72].

È in questi mesi con ogni probabilità che Don Orione si riavvicina a Don Brizio. Egli aveva compreso la buona fede del sacerdote e soprattutto la ferma volontà di rimanere fedele alle direttive della Chiesa. Il sacerdote tortonese pensò che egli poteva in prima persona fare qualche passo presso l'arcivescovo di Milano e presso lo stesso Pontefice per permettere a Don Brizio di celebrare di nuovo la messa.

Il diario dell’orionino Giovanni Scoccia laconicamente segnala in questo periodo un "Don Orione e Don Brizio. Don Orione va dal Card. Ferrari. Buona relazione"[73]. Dietro queste semplici parole sta forse tutto l'impegno di Don Orione in favore di Don Brizio.

Il 19 ottobre avvenne finalmente l'incontro tra Don Brizio e il card. Ferrari[74]. Quest'ultimo si impegnò a favorire la reintegrazione del Casciola a condizione che il sacerdote lasciasse la diocesi ambrosiana.

Un biglietto da visita del 1 novembre del cardinale conteneva le seguenti espressioni: "Il cardinale Ferrari arcivescovo di Milano ha scritto oggi a Roma e le augura quelle riabilitazioni alle quali Ella aspira"[75]. Il due dicembre Don Brizio scrisse personalmente al card. De Lai per ottenere la riabilitazione, che giunse, finalmente, nei mesi successivi.


5. LA CARITA' IN AZIONE

È significativo quanto Don Brizio lasciò detto a proposito del suo incontro con Don Orione: "Quando nel 1915 fui reintegrato, dopo quattro anni di sospensione aggravata, Benedetto XV mi affidò a Don Orione come aveva già fatto con p. Semeria e qualcun altro"[76].

Il termine 'affido' ha dato luogo ad interpretazioni anche molto diverse: qualcuno giunse a definire lo stesso Don Casciola come "prete orionino"; sicuramente Don Orione da quei mesi in poi accordò, ricambiato, la massima fiducia al sacerdote umbro, affidandogli anche incarichi delicati. Nondimeno, ebbe sempre coscienza della delicatezza dell’impegno che gli era stato dato e in circostanze diverse, nelle sue lettere il concetto viene ripreso[77].

In effetti i contatti tra i due, già numerosi negli ultimi mesi del 1914, dopo l'elezione del nuovo Pontefice, divennero nei due anni successivi ancora più frequenti.

Un avvenimento contribuì ad avvicinarli. L'anno nuovo si era aperto con una nuova terribile disgrazia per l'Italia: il terremoto della Marsica del 13 gennaio. Don Orione partì immediatamente per le zone colpite e il 15 si trovava ad Avezzano, dove per giorni si aggirò instancabile fra le macerie raccogliendo centinaia di orfani[78]. Anche Don Brizio partì per Avezzano. Nelle lettere Don Orione il 21 del mese scrive: "Io mi incontrai a lungo con Don Brizio ad Avezzano ed oggi a Roma"[79]. Nel frattempo, il 31 marzo a Don Brizio venne ufficialmente notificata la reintegrazione e la restituzione delle facoltà di esercitare il ministero sacerdotale[80].

A fine aprile egli lasciava anche la colonia di Crevenna, come aveva promesso al card. Ferrari. Il tre maggio Don Orione scriveva a Don Brizio un biglietto in cui evidentemente cercava di farsi schermo delle lodi dell'amico, che lo riguardavano[81].

Ma un'altra grande tragedia aveva intanto colpito l'Italia. Nel maggio del 1915, infatti, dopo mesi di aspri confronti tra "interventisti" e "neutralisti", l'Italia era entrata ufficialmente in guerra. Don Brizio, dopo un mese di peregrinazione dal Nord al Sud della penisola, pensò di chiedere al comando militare supremo la possibilità di espletare le funzioni di cappellano militare al fronte. Però prima bisognava pensare a sistemare gli ultimi ragazzi della Colonia.

Si rivolse perciò a Don Orione, anticipandogli che si metteva a sua disposizione ("Terminata la campagna mi metterò a tua disposizione, memore del fatto che mi lega a te, buon Amico e Fratello in Cristo")[82].

Nello scritto Fatti e voleri indeprecabili, datato 29 giugno, chiariva i motivi della chiusura della Colonia[83], la quale "educò successivamente circa settanta orfani o derelitti, e istruì nell'agricoltura; offerse facile ospitalità a molti giovani desiderosi di raccoglimento e d'intima luce, quale affulge nel vigile silenzio; cercò diffondere nelle campagne circostanti il gusto e la pratica della coltura intensiva e in specie della frutticoltura".

In quegli stessi giorni Don Orione si trovava ad Avezzano.

Dopo qualche giorno gli scriveva ancora Don Brizio: "(…) Mio caro, ho bisogno di vederti domani, Mercoledì. Conto di passare la giornata in casa (11 via Palestro int. 6). Ma se tu mi telefoni al n. 11.47 (Senzacqua) per darmi un appuntamento, io verrò dove tu vuoi.

Meglio in mattinata perché nel pomeriggio verrà da me la Sig.ra Operti. Potrai rendermi le lettere?  Perdonami e abbimi  Aff.mo  Brizio  La P.ssa di Venosa ha piacere di vederti. Sta a pal. Taverna. Puoi combinare una visita per telefono (N. 23.07)"[84].

Il giorno dopo Don Brizio scriveva “al rev.do Luigi Orione, Avezzano”: "Mio caro, ti ringrazio vivamente. Ebbi il tuo telegramma a Milano ieri, poiché in omaggio alla volontà di quella Curia avevo lasciato la Colonia col 30 giugno. Le Sig.re Cavallini manderanno i ragazzi uno di questi giorni. Io vado a Roma per sollecitare la mia accettazione al campo. Se questa non si ottiene o si prevedono lungaggini fo una corsa a Bagnara per conferire con quel Parroco. Ma ritengo probabile un incontro con te a Roma, dove sarò fra 4 o 5 giorni, e cioè dopo una buona tappa al mio paese per vedere i miei Cari. La Sig.ra Maria Forni (a Milano, via Verdi 3) mi prega di raccomandarti un piccolo triestino, per essere accettato in un tuo Istituto. Accludo la fede di battesimo. Mi compiaccio di saperti nuova.te ad Avezzano. Con animo fraternamente grato ti ringrazio e saluto. Aff.mo  Brizio C."[85].

Evidentemente la richiesta di essere inviato al fronte non fu subito accolta. Il 10 agosto Don Brizio si stabilì a Roma, nell'Istituto di via Alba, fuori Porta S. Giovanni, dove Don Orione aveva raccolto oltre un centinaio di orfani della Marsica.

Già da questi mesi Don Orione aveva in mente di coinvolgere Don Brizio nella sua opera di Avezzano, chiamandolo a dirigere la Casa Famiglia del Patronato "Regina Elena". Egli infatti vi aveva inviato momentaneamente il chierico Alberto Catasca in sua sostituzione, poiché si era reso conto dell'impossibilità di garantire la presenza tutti i giorni ad Avezzano. Inoltre, la guerra appena iniziata aveva tolto dalla Congregazione diversi sacerdoti e chierici. Cercava, quindi, un sacerdote di cui potesse ciecamente fidarsi, di sicura esperienza e capacità nel dirigere un istituto per minori: di qui il pensiero a Don Casciola.

A quanto sembra, anche questa decisione riguardante Don Brizio sembrò far sorgere nuove difficoltà in alcuni ambienti della curia. Ne riferiva Don Orione stesso con un telegramma al Catasca, arrivato nella Marsica nel mese di luglio: "Ti tieni pronto a fare la consegna di tutto all'avvocato, oppure a un Signore borghese che verrà a sostituirti. Pare che Don Brizio trovino delle difficoltà che venga subito. Forse verrà più tardi..."[86].

Il 'signore borghese' che, per qualche tempo, sostituì il Catasca fu il maestro Bongiovanni, suggerito dai Giuseppini.

Poi però anche il maestro volle abbandonare il Patronato. La Contessa Spalletti, che era l'organizzatrice dei soccorsi, si mostrava preoccupata di questa situazione precaria, facendo pressioni perché al più presto giungesse come direttore Don Brizio.

Don Orione si premurava di tranquillizzare la Contessa sulla gestione del Patronato e in particolare su Don Brizio: "... Se il maestro Bongiovanni insiste di partire da Avezzano subito, domani, come pare, allora sono d'accordo che telegraferei a Don Brizio, il quale è a Roma da alcuni giorni, e verrà su a sostituirmi per domenica e lunedì, giorni nei quali io devo necessariamente assentarmi ed essere a Tortona, come Ella sa; mercoledì sarei daccapo ad Avezzano. Intanto la Casa Famiglia sarebbe bene custodita, anche nella mia assenza, e Don Brizio - che già contava di andare su (in Alta Italia) a prendersi le sue robe e i libri, poiché lasciò tutto colà - ha così due giorni da poter fare le cose e (salutare) le Autorità. Questa sua andata farà moralmente del bene e varrà a togliere anche certe ombre; diversamente la partenza del Catasca poteva parere una fuga e lasciar sospettare chissà che cosa, come mi disse ultimamente il Cav. Pio... Ella, Signora Contessa, stia tranquilla che io non abbandonerò gli Orfani, e la aiuterò con l'amore come di un figlio. Preghi per me..."[87].

Don Orione a fine agosto chiamava Don Brizio ad Avezzano per sostituire il Catasca. Nel frattempo questi continuava le sue peregrinazioni per l'Italia, recandosi a Tortona, poi a Roma, infine a metà settembre tornava nella Marsica.

Don Orione a sua volta approfittava delle amicizie altolocate di Don Brizio per chiedere dei favori per i suoi orfani. Da San Remo in autunno gli scriveva per ottenere qualche biglietto ferroviario gratuito da Roma, accennando anche alla necessità di trasferire da Roma a San Remo un piccolo indiano inviatogli da padre Genocchi.[88].

Il 20 ottobre Don Brizio scrive a Don Orione, illustrandogli la situazione di Avezzano[89].

Due giorni dopo Don Orione gli rispondeva chiedendo di dargli una mano presso Salandra "per ottenere di poter tumulare in una cripta sotto l'Istituto di Como la salma benedetta di Don Guanella, che si trova agli estremi e in condizioni disperate"[90].

Come si vede, si alternano nella loro corrispondenza aspetti di importanza generale con altre note di diverso carattere.

In novembre sembrava ormai imminente la piena reintegrazione di Don Brizio. Egli scriveva alla Idelson: "Io son qui tuttavia, nell'attesa che la mia vertenza venga risolta. Persone autorevoli mi aiutano spontaneamente (io non faccio che moderarne lo zelo) e sono piene di fiducia. Quanto a me, sono sereno e disposto a seguire, in ogni caso, la via più ragionevole". Poi aggiungeva profeticamente: "Io credo, e sto per dire so che la Chiesa di domani opererà cangiamenti insperati in sé e attorno a sé; ma quanti dolori e quanti eroismi dovranno prepararli!" [91].

Finalmente a fine mese dovette sbloccarsi la sua posizione, rendendo possibile un suo impiego a tempo pieno nella Marsica. Infatti Don Orione, evidentemente soddisfatto di come si erano messe le cose, scriveva a Don Sterpi: "Al San Filippo fa da mangiare Don Brizio, che mercoledì va ad Avezzano d'accordo con quel vescovo, col card. Pompili e il Patronato"[92].

Egli poi tranquillizzava il Catasca: "Don Brizio verrà mercoledì (8 dicembre)"[93].

Pochi giorni dopo lo stesso Catasca chiedeva rassicurazioni: "E Don Brizio? Mi avverta qualora dovesse venire...".

A gennaio Don Brizio poté giungere ad Avezzano. Il 14 Don Orione scriveva: "Sono qui ad Avezzano per insediarvi Don Brizio che arriva domani"[94]. Pochi giorni dopo: "Don Brizio è ad Avezzano da oggi"[95]. Agli orfani don Orione lo presentava con queste parole: “Dite tutto ciò che desiderate a don Brizio, il quale vi ama come padre; mettetevi tranquilli nelle sue mani, che vi troverete contenti”[96].

In brevissimo tempo Don Brizio si trovò impegnato nel gestire il Patronato, in un clima di grande povertà affrontata con spirito di sacrificio. “Io sto bene, malgrado il freddo. Ma l’insonnia delle prime due notti, causata dai rumori del dormitorio contiguo alle mie cellette, mi ha obbligato a portare il letto in Amm.ne. Così stanotte ho dormito e forse lavoro meglio”[97].

Così pure qualche giorno dopo con una lettera chiedeva consiglio a Don Orione[98], cui faceva seguito un telegramma, in cui Don Brizio si firma "Direttore Patronato Regina Elena"[99].

Ormai l'amicizia e la collaborazione fra i due si andava sempre più rafforzando[100]. La stima di cui godeva Don Brizio anche in ambienti laici era per Don Orione il miglior lasciapassare per fare del bene anche presso istituzioni potremmo dire 'di confine'. Una lettera tra le tante: "Avezzano, li 16. III. 1916.  Mio caro. Ecco una lettera dal Prefetto Aphel che ti riguarda. Ti prego di accusargliene ricevuta, a mio discarico. (…) Martedì a sera non vengo a Via Alba perché devo trascorrere la serata con Felice Momigliano che vuol conoscermi. È un israelita intelligente, colto, operoso e tu insegni che sarebbe colpa di schivare simili incontri (…)"[101].

Don Brizio era impegnato nell'ordinaria amministrazione[102]. Egli cercava sempre di tenersi in stretto contatto con D. Orione per avere da lui consigli sul da farsi.[103] Questo avveniva anche quando il Casciola si trovava fuori Avezzano, come testimonia il seguente biglietto: "Genova, 14. VI. 1916.  Carissimo fratello in Cristo. Spero che questa mia ti ritrovi in Roma: segno che anch’io potrò rivederti presto, e appunto (come spero) nel giorno della tua festa. Io lascerò Genova domattina e mercoledì verso le 10 ant. vado in Casa Celesia. Vuoi venire anche tu? Sai bene come la povera Signora Carlotta gradisce sempre una tua visita. E così anche noi due potremmo trovarci insieme e ragionare di tante cose urgenti. La Co. S. [Contessa Spalletti, n.d.a.] ti sarò dato le ultime notizie… Io sono in aspettazione. Devo o non devo tornare ad A[vezzano]? Aspetto di essere illuminato dalle circostanze e dagli Amici. Da te, in primis"[104].

Per tutto il 1916 i loro rapporti epistolari furono piuttosto frequenti[105]. Nel mese di agosto, tanto per dimostrare una volta di più la piena fiducia in Don Brizio, Don Orione lo chiamò a Villa Moffa di Bra come insegnante dei propri novizi[106]. A Don Cremaschi, direttore della casa, scriveva: “Giungerà alla Moffa. Prego di fargli le più belle accoglienze e invitarlo a parlare ai chierici: di mattino o di sera, oppure al mattino e alla sera”[107].

Ci pare questo uno dei segni più eloquenti dell'amicizia e della fiducia di Don Orione in Don Brizio. Egli affidava al sacerdote umbro nientemeno che la formazione di propri novizi, il futuro della congregazione, i propri figli spirituali.


6. NEGLI ‘ORTI DI GUERRA’

Con lo scoppio della Grande Guerra, tuttavia, il desiderio che era venuto facendosi spazio nell'animo di Don Brizio era di impegnarsi nei territori di guerra per gli orfani[108].

Così, chiudendosi l'anno, volgeva al termine anche l'esperienza come direttore del Patronato. Di quei difficili mesi ad Avezzano Don Brizio, anni più tardi, lascerà una testimonianza all'allora postulatore della Congregazione, Don Luigi Orlandi.  "Rev.do Don Orlandi. Fui ad Avezzano per breve tempo a reggere un Istituto mal combinato. Vedevo qualche volta d. O.; ma non posso proprio dire quali discorsi Egli tenesse con me. Ricordo solo che più volte si parlò di Mgr. B[andi] che non si dimostrò benevolo nei suoi riguardi: pare, perché temeva che la sua autorità fosse menomata - o almeno apparentemente menomata. Il parroco D. Giovanni [parroco di Avezzano], se vive ancora, potrà dire di più. Giacché nulla io più ricordo di quel periodo per me infausto. Prima e dopo ho avuto contatti cordialissimi con D. Or. specialmente quando ci si trovava insieme a Roma, in via Alba, e soprattutto a Novi Ligure. Ma è bene che io non sia interpellato. Perché ho raccolto dalla Sua bocca giudizi molto severi nei riguardi di alti Personaggi: giudizi che, per quanto giusti, potrebbero offendere gente o timorata o...farisaica"[109].

Don Orione ricordò e volle che i suoi sacerdoti ricordassero sempre il contributo che Don Brizio diede alla causa degli orfani della Marsica. Nel 1928, quando Don Casciola stava iniziando la sua permanenza nell'Istituto S. Giorgio di Novi Ligure, Don Orione raccomandava al direttore Don Piccinini: "Abbine cura, abbine cura! Fa che abbia della lana addosso! È vegetariano e quindi ha poche calorie! Procuragli delle maglie e vigila che le porti, perché so che egli nascostamente dà in elemosina tutto quello che, salva la decenza, può dare! Abbine cura perché lavorò per gli orfani, lavorò tanto per gli orfani e si diede tutto per voi orfani"[110].

Era venuto rafforzandosi in lui il desiderio di emulare p. Semeria, anch'egli impegnato pochi mesi prima a Udine nella predicazione. I due si erano visti in agosto con Don Orione a Courmayeur, dove il barnabita era ospite dei conti Raggio. A settembre il padre Semeria, su consiglio di Don Orione, aveva ripreso il suo apostolato a Udine fra i soldati. Verso fine anno Don Brizio fece ritorno a Roma e subito Don Orione si premurò di avvisare Don Adaglio di accoglierlo bene, non facendogli mancare nulla: “Vedi che Don Brizio abbia sempre un po’ di denaro, perché non voglio che si vergogni a chiederti 5 lire”[111].

In una lettera del dicembre di quell'anno, Don Brizio, oltre a riprendere l'amico perché trascurava troppo la propria salute, gli comunicava di aver accettato la proposta di istituire colonie agricole nel Friuli.

"Dilecte in Christo.

Meriteresti un biasimo per la infermità che forse potevi prevenire… Ma che giova rivangare il passato. Basta che alla prima venuta a Roma, vada subito dal Pr. Mazzoni che ti aspetta sempre.

Io sono tornato da Cervignano dove mi aveva chiamato il Gen. Miglietta. Vidi, acquievi. Anche tu mi esortasti ad accettare l’estate scorsa e Semeria ha insistito molto. Così lascio Roma con gli amici e le iniziative e i progetti, con lieve rammarico e non senza entusiasmo.

Si tratta di coltivare durante la guerra tutta la zona fra il Carso, l’Isonzo e il mare, per consegnarla ai proprietari, finita la guerra. I colleghi sono brave persone. Gli operai sono ora un 300, più tardi 2 o3 mila. Nei giorni di festa mi occuperò dell’anima loro. Pregami aiuto dall’alto (…)"[112].

Infatti alla fine dell'anno egli ricevette ufficialmente l'incarico[113]. Questo incarico fu con tutta probabilità possibile tramite i buoni uffici di p. Semeria presso Carla Cadorna, figlia del Generale e discepola spirituale del barnabita. Si trattava, in sostanza, di mantenere viva la speranza in un ritorno alla vita normale nei territori in zona di guerra. Commissario per i profughi di guerra era Luigi Luzzatti, che Don Brizio aveva conosciuto a Roma in casa Giacomelli fin dal 1895[114].

Nel gennaio 1917 si trovava già sul luogo[115], e nel giro di poco tempo cominciava a raccogliere i primi frutti. Di tutto ragguagliava l'amico: "Oggi ho avuto una grande consolazione. Un colonnello medico spontan.te ha pensato di farmi costruire un Cappellona vicino alla casa, della forma che a me piacerà. Gli orti si moltiplicano. A giorni inauguriamo le Case del soldato, con letture, conversazioni, [musica]... Trovo in alto e in basso la maggior deferenza dalla quale spero di saper profittare per il meglio"[116].

Così qualche mese dopo: "Carissimo d. Orione,  avrai perdonato il mio lungo silenzio, malgrado il tuo ripetuto invito a romperlo. Comprendo che non resta gran tempo alle corrispondenze. Ché la giornata (e parte della nottata) è proprio piena e grazie a Dio ricca di buone soddisfazioni. Tra la Chiesa, la Casa del soldato e gli orti c'è un gran bel da fare e non si bada nemmeno alle minacce austriache, le quali divengono via più insistenti. Io non temo la morte come tu sai, e poi credo che Iddio voglia da me qualche altra cosa che dia una maggiore giustificazione della mia povera vita. Prega e fa pregare per me. Io non dimentico mai all'altare, te e i tuoi. Ricordami con devoto affetto Co. Spalletti, alla Pr. di Venosa, al prefetto Aphel con la Signora e la figliuola"[117].

Di quei mesi di lavoro intenso possediamo una scarna documentazione. Significativa però una cartolina illustrata inviata il 10 luglio da Aquileia:  “Tre visitatori di Aquileia, certo meno belli ma forse non meno intelligenti, mandano al caro Don Orione il loro saluto. P. Semeria B.ta, Don Rubini, Brizio C. – Usque memor![118].

Per oltre un anno, poi, i due sembrano quasi perdersi di vista. Tuttavia i contatti riprenderanno presto. Il sacerdote ‘che non sapeva tenere i piè fermi’ avrebbe ancora incrociato Don Orione.

Il 7 marzo del '19 si scusava con lui dicendo: "Che io ti scrivo di rado e poco non si deve interpretare che antitecamente come già ti ho scritto un'altra volta. Il lavoro di qui procede a vele gonfie, ma sono preso da una terribile perplessità a causa dei miei cari che temo avran bisogno e quanto prima e per lungo tempo della mia presenza assidua. Ti scrivo questo perché tu mi aiuti con la preghiera tua e dei buoni che hai vicini, a conoscere la volontà di Dio alla quale mi propongo di sottomettermi senza esitare di recriminare"[119].

In una lettera del 12 dicembre 1919, da Mira – Taglio, vicino a Venezia, dove dirigeva una colonia agricola per orfani di guerra[120], scriveva: “Anzitutto perdonami e il troppo lungo silenzio e la carta sgualcita che adopero. Per la prima parte cito dal Leopardi con delle varianti: 'Ci son di quelli di cui non si parla mai, perché vi si pensa sempre'". Egli informava Don Orione (“non ho ancora smobilitato”), essendogli stato richiesto di continuare a lavorare per le scuole per l’agricoltura con anche un incarico ‘ufficioso’ di curare la formazione religiosa. Soggiungeva: "È una missione di cui vado lieto e superbo e che cercherò di disimpegnare nel miglior modo possibile". Chiedeva consiglio all’amico: “E tu che cosa me ne dici? Credi che faccio bene ad accettare? Io considero questo come un incarico provvidenziale, poiché finita l’altra missione tempore belli, mi ero fervidamente raccomandato a Dio perché mi manifestasse la sua volontà”, aggiungendo una frase emblematica dell’amicizia che legava i due sacerdoti: “del resto, mi rendo conto della persistenza del vincolo a me caro che a te mi lega e desidero che a me resti sempre un posticino, sia pur l’ultimo, nella grande famiglia che tu con tanto amore e dolore ti sei venuto educando”[121].


7. NUOVE ACCUSE DI MODERNISMO

Dall'epistolario tra i due sacerdoti siamo in grado di seguire anche nuove traversie che Don Brizio attraversò in quegli anni.

All'inizio del 1920, egli informava l’amico della sua elezione nel Comitato direttivo della Federazione studentesca per la cultura religiosa[122]: “Godo ti sia ristabilito. Ma devo lagnarmi che tu e Don Sterpi scartiate sempre ogni mio intervento nell’interesse della tua salute. Non dobbiamo tentare Iddio. Io sto bene e ho tanto lavoro di ogni genere. Ma ‘Incedo per ignes suppositas cineri dolosa’. Prega perché non mi bruci. Quanto a scottarmi, pazienza. Non se ne può fare a meno. Sai della mia partecipazione al Congresso in Roma nella Federazione Studenti per la cultura religiosa? La Fed. fu fondata e fino a ieri diretta esclusiv.te da Protestanti. Questi han voluto avere dentro anche me in qualità di Sacerdote cattolico e ho accettato".

Aggiungeva: “Il Card. Vicario mi ha approvato con simpatia. Segno dei tempi! Purché non si oscurino di nuovo”[123].

Invece, delle nuove nubi si stavano addensando all’orizzonte. Ai primi di marzo un articolo apparso sul "Corriere d'Italia" criticava la sua partecipazione alla Federazione e la sua elezione nel Comitato direttivo. Due mesi dopo la rivista "Studia Sacra" della diocesi di Padova rinnovava l'attacco alla Federazione, al bollettino "Fede e Vita" e a chi lo diffondeva nel Veneto. La "Civiltà Cattolica" intanto stroncava il libretto di Don Brizio, La nostra fede. Appunti di filosofia religiosa, uscito in gennaio. L'articolo emblematicamente era intitolato "Appunti di filosofia religiosa"... e di modernismo e iniziava andando subito al cuore del problema: "Il modernismo non è morto con la guerra. Lo gridano morto gli osservatori superficiali o anche meglio i fautori o i complici dell'errore. In verità, il modernismo è vivo in molti, purtroppo: ritenuto con ostinazione, insinuato con arte, propagato con astuzia, continua l'opera sua esiziale, più copertamente ma non meno insidiosamente, per molte anime incaute, per molte deboli intelligenze”[124].

Il vescovo di Treviso, mons. Longhin, alla cui diocesi apparteneva Mira-Taglio, credette opportuno intervenire e sospese il Casciola dalla celebrazione della messa. Negli stessi giorni, Don Brizio ne riferiva a Don Orione, forse sottovalutando il montare delle accuse che non lasciava presagire nulla di buono[125].

Questi, certo intuendo che qualche provvedimento stava per incombere su Don Brizio, a luglio si recò a Mira per incontrare l'amico. Don Brizio fu felicissimo di questa visita che preparò con cura, confidandogli: "Per te specialmente nella Messa recito la colletta 'pro devotis Amicis'"[126]. Don Orione in quei frangenti intercedette presso il Patriarca La Fontaine, amico della Congregazione[127], per impedire misure drastiche nei confronti del Casciola, che però fu costretto a dimettersi da consigliere della Federazione studenti.

Ma ciò non bastava: nel marzo 1921 mons. Longhin gli intimava di lasciare anche la collaborazione con "Fede e Vita", accusato di diffondere idee protestantiche. In più gli rinnovava l'accusa di modernismo: "Caro D. Brizio, sarebbe anche tempo che vi spogliaste (e con l'aiuto di Dio si può farlo) della mentalità modernistica radicata profondamente nella vostra anima (...) Io vi parlo col cuore in mano, e con grande sincerità, perché vorrei vedervi sinceramente convertito da tutto ciò che è modernismo e neoprotestantesimo"[128].

Nel mese di giugno, Don Orione, che era in procinto di partire per il suo primo viaggio in Sudamerica, e stava facendo il giro delle proprie case, volle recarsi in Veneto per incontrare Don Brizio, il quale dopo pochi giorni lo ringraziava "caldamente per le ore preziose che mi hai concesse e che mi han fatto molto bene". Il Casciola approfittava per chiedergli un favore per un sacerdote: "Ti prego di leggere la memoria qui unita, stesa da uno dei migliori Sacerdoti della Provincia - uomo intelligente, leale, caritatevole - che malgrado la sua elevata posizione gerarchica vive poveramente a causa delle difficoltà presenti e della turba nepotum ond'è parola nel pro memoria. So che le tue case rigurgitano, ma ti so capace di fare anche il miracolo di creare un posto vuoto ove non pare che vi sia più spazio". Tornava poi sulle proprie difficoltà: "Dimenticai di chiederti se - a tuo giudizio - dovrei rimanere nella posizione ove sono malgrado le note opposizioni. Tre mesi orsono il Patriarca mi rispose che . Gli ultimi fatti lasciano impregiudicata la situazione? Prega Iddio perché m'illumini, ond'io mi preoccupi di seguire solo e sempre le Sue vie"[129].

Il 4 agosto Don Orione partiva per il Sudamerica, incaricando Don Sterpi, che era direttore di un Istituto a Venezia, di stare vicino a Don Brizio durante la sua assenza. Il sacerdote umbro infatti a fine agosto, tornando da un soggiorno di dieci giorni in Svizzera, si era visto estromesso dalla colonia agricola. Don Sterpi prontamente gli offerse l'ospitalità a Villa Soranzo, a Campocroce di Mirano, dove poté trascorrere gli ultimi mesi dell'anno[130].
 

8. UN’AMICIZIA DURATURA

Non rientra fra gli scopi del presente studio seguire le vicende di Don Brizio negli anni seguenti, che spesso ebbero come teatro le case delle Congregazione. Due momenti, in particolare tuttavia, vogliamo ricordare, in cui emerse il rapporto di amicizia fra i due sacerdoti in circostanze diverse.

Il primo quando nel 1923 Ernesto Codignola, uno dei più stretti collaboratori del ministro della P.I. Giovanni Gentile, lo aveva invitato a stendere un testo di religione per la scuola elementare. Il neo-ministro stava predisponendo la riforma del sistema di istruzione, in cui si sarebbe reintrodotto anche l'insegnamento della religione.

Il Casciola pensò di pubblicare il testo con la Libreria Emiliana Editrice, annessa all'Orfanotrofio alle Zattere che Don Orione aveva da poco rilevato, su invito del patriarca la Fontaine. Probabilmente l'amico, messo al corrente dell'importante incarico ricevuto da Don Brizio, lo aveva invitato a pubblicare presso la propria editrice, contando di risollevarne le non proprio floride finanze. Don Brizio acconsentì e dopo parecchie difficoltà il testo vide la luce e fu ristampato più volte[131].

Il secondo, nel 1926, quando Don Brizio intervenne presso Don Orione perché intercedesse nei confronti dell’Ordinario locale in favore di una comunità di donne che viveva a Campello sul Clitumno, vista con sospetto. Don Orione scrisse personalmente al Vescovo. Nell’immediato non ottenne alcun risultato, ma la vicenda, dopo qualche anno di incomprensioni, fu felicemente risolta[132].

Nel 1927 Don Brizio fu ospite all'eremo di Sant'Alberto di Butrio, poi dall’anno successivo fino al 1935 insegnò presso l'Istituto San Giorgio di Novi Ligure[133]. In quell’anno fece ritorno a Montefalco.

Nonostante non fosse più al “S. Giorgio”, Don Brizio si mantenne sempre in contatto con Don Orione fino agli ultimi anni. All'inizio del 1940, quando la salute del fondatore cominciava a declinare, da Montefalco, dove in quei mesi svolgeva, oltre che quella di insegnante, anche la funzione di vicesindaco, Don Brizio scriveva preoccupato a Don Sterpi. "Stamane Mgr. Vescovo di Foligno mi ha reso noto il caso occorso uno di questi giorni al venerato d. Orione.

Mi ha colto all'improvviso e mi ha turbato vivamente. Subito dopo entrato in chiesa ho pregato per Lui con un fervore insolito. E non cesserò di pregare perché ci venga serbata una esistenza così preziosa, quando ciò non fosse contrario ai disegni imperscrutabili di Dio. Credo, Egli anela alla pace dopo tanta lotta, ma S. Martino pregava: Dom ne, si popolo tuo su necessarius, non recuso laborem.

Anch'io sono tanto stanco; ma non oso chiedere la morte. Se non fosse che ho 50 giovani del liceo di Foligno...volerei a Tortona. Giacché la cosa non mi è consentita, stando così le cose, intensificherò le mie povere preghiere. Intanto mi ricordi vivamente al caro Infermo. E incarichi un qualche chierico di mandarmi una semplice notizia di tempo in tempo"[134].

Ma le condizioni dell’amico, dopo una breve parentesi di miglioramenti, peggiorarono e il 12 marzo Don Orione moriva a San Remo. Don Brizio subito scrisse al successore di Don Orione. "Carissimo Don Sterpi,  Lei non stenterà a credermi se le dico che sarei volato a S. Remo, se doveri precisi non mi tenessero legato qui. Ma crederà, sentirà che sono vicino a Voi altri in questa ora dolorosissima. Se mi sentissi capace di qualcosa per la Sua memoria e per Voi figli suoi direi: Ecce adsum! - Ma non vedo che cosa di utile potrei fare, specie a distanza.

Mi permetto un suggerimento. Il prossimo numero del “S. Giorgio” sarà senza dubbio dedicato a Lui. Vi sarà una breve e succosa biografia ecc.; ma io amerei che in 1a pagina e a grandi lettere fosse inserito in tutto o in gran parte il capo LXI di Isaia. Il quale si applica certo al Messia essenzialmente, ma si applica pure a Quelli che come il nostro incomparabile Scomparso hanno scelto optimam partem: quella di farsi Suoi imitatori, che hanno abbracciato la regina delle virtù cristiane. Chi potrebbe dire cose più vere, profonde, opportune?"[135].

Con queste brevi considerazioni, ampliate magistralmente nell’articolo che apparve sul “S. Giorgio” di marzo-aprile-maggio, Don Brizio dimostrava una volta di più, oltre che l’affetto e la stima verso l’amico, anche una profonda conoscenza delle finalità dell’opera di Don Orione. Tracciando poi il profilo dei chierici orionini, forse involontariamente il sacerdote umbro dipingeva un proprio ritratto:  “I giovani chierici non sono confinati tra i libri. Non c’è il pericolo che ne vengano fuori degli aridi e scarni sillogizzatori, a Dio spiacenti e ai nemici suoi. Giacché Don Orione che leggeva attentamente, sia pure in treno, i libri sacri, aveva trovato una frase nobilissima di esortazione, rivolta ai cristiani tutti, ma in modo particolare ai ministri di Dio: facientes veritatem in charitate[136].(…) I chierici di Don Orione studiano, sì, ma nel tempo stesso disimpegnano le faccende domestiche, sin le più umili. Quando l’ambiente lo permette, coltivano la terra per la mensa loro e di infelici ricoverati. E, infine, fanno a piedi grandi viaggi, recandosi a piedi da un capo all’altro d’Italia” [137].

Anche dopo la scomparsa di Don Orione, Don Brizio gravitò nell’orbita della Congregazione. Dal 1943 al 1945 fu a Roma all’Istituto “S. Filippo Neri”, retto dall’amico Don Piccinini. Dal dopoguerra fino alla morte il ‘prete di strada’ toccò diverse case orionine, sempre prestando il suo prezioso servizio: a Novi Ligure, Genova-Quezzi, Palermo, Napoli, ospite anche dei numerosi amici, in particolare a Ponte Selva, durante i mesi estivi, tra i ragazzi raccolti da Don Giovanni Antonietti, e a Messina, nei mesi invernali, presso la Casa Famiglia “Regina Elena”, diretta dalla discepola Sofia Idelson.

Alla sua morte emerse ulteriormente la grande cerchia di amici che questo singolare prete seppe avvicinare nella sua lunga esistenza.

L’ “Osservatore Romano”, dando notizia della sua scomparsa, lo descriveva così:

“Figura di primissimo piano, aveva toccato un alto grado d’interiorità e generosamente spese le sue migliori energie nel campo del bene e sul piano intellettuale. Legato agli uomini maggiori della sua epoca, seppe con essi militare nelle correnti d’avanguardia, con essi seminare e anche raccogliere ricca messe. Numerosissime le anime che da lui ebbero consolazione, non poche quelle che per lui ritrovarono il sentiero verso Dio.

Paul Sabatier lo invocava, invano, nella sua agonia, come l’unico al quale avrebbe affidato gli interessi del proprio spirito; Murri lo ebbe vicino nelle ore più tormentate della sua crisi. E ancora una smagliante rosa di nomi s’accende accanto alla sua figura. Che vanno dal Tyrrel al Gallarati Scotti, da von Hügel al card. Newman, da Giulio Salvatori ai baroni Franchetti, da P. Ghignoni a P. Ceresi, dal Carcopino al Cubani; e la contessa Spalletti, la baronessa Celesia, la principessa di Venosa. E padre Genocchi, padre Semeria, Antonio Fogazzaro, padre Pietrobono, Luigi Valli, Don Orione. Dal quale ultimo se molto ricevette nei lunghi anni in cui fu ospite nelle sue Case, molto poté donare; e il Venerato Fondatore era bene in grado di apprezzare la potente personalità, la singolare suggestione, l’altissima spiritualità di Don Brizio. Che nella assoluta povertà francescana, vissuta appieno, quale un discepolo dei primissimi tempi del Serafico – rifiutava fino l’elemosina delle Messe – nel totale disinteresse d’ogni vantaggio materiale, sincero apostolo d’un cristianesimo spirituale, stabiliva una corrente di simpatia umana che lo poneva a contatto con ogni classe sociale”[138]

 

 


* Il presente studio si è svolto in gran parte consultando le carte Casciola conservate nell’Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza (d’ora in avanti ADO) presso la Curia Generalizia di Roma. Presso la biblioteca dell'Istituto "San Tommaso" di Messina è conservato l'Archivio Casciola. Ringraziamo Don Ferdinando Aronica per averci messo a disposizione le lettere indirizzate da Don Orione a Don Casciola presenti nell'Archivio dell'Istituto.

[1] Lo studio più completo e aggiornato su Don Brizio Casciola è quello di F. Aronica, Don Brizio Casciola. Profilo bio-bibliografico, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998. Per una inquadratura sintetica, L. Bedeschi, Casciola Brizio, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, Marietti, Casale Monferrato 1982, vol. II, "I protagonisti", p. 95-97. Importanti studi sulla personalità e la figura di don Brizio risalgono agli anni Settanta. In ordine cronologico, il volume di L. Bedeschi, Lettere ai cardinali di Don Brizio, Dehoniane, Bologna 1970; F.A. Pavarin, E la sua testimonianza fu sincera: profilo biografico, ascetico e culturale di Don Brizio Casciola, Centro Studi don Brizio Casciola, Montefalco 1971. La rivista "Fonti e Documenti" (d'ora innanzi "F. e D."), del Centro Studi per la storia del Modernismo dell’Università di Urbino, ha pubblicato negli ultimi decenni diversi carteggi riguardanti don Brizio. Ricordiamo, tra i tanti: N. Raponi, Carteggio Casciola-Gallarati Scotti, in "F. e D.", n. 2 (1973), p. 229-295; F. Aronica, Documenti su Don Brizio Casciola, in "F. e D.", n. 2 (1973), p. 474-512; Id., Problemi dell'ecumenismo (Carteggio Janni-Casciola), in "F. e D.", nn. 5-6 (1976-77), p. 315-383; Id., Una tenace amicizia modernista, in "F. e D.", nn. 5-6 (1976-77), p. 448-533; L. Bedeschi (a cura), Carteggio Tortonese-Don Brizio, in "F. e D.", n. 8 (1979), p. 110-139; Id., Presenza e attività di Don Brizio in Piemonte, in "F. e D.", n. 8 (1979), p. 195-286; F. Aronica, La funzione del pensiero slavo nel riformismo religioso di Brizio Casciola, in "F. e D.", n. 9 (1980), p. 434-514. Negli anni più recenti segnaliamo gli studi di F. Aronica, Le condizioni religiose della Chiesa durante la crisi modernista in un documento inedito di Don Brizio Casciola, in "Itinerarium", III (1995), n. 5, p. 177-194; L. Pazzaglia, Le traversie del testo di religione di Don Brizio Casciola (con carteggi inediti), in "Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche”", 1995, 2, p. 329-372; P. Marangon, A. Fogazzaro-B. Casciola. Carteggio (1904-1910), Accademia Olimpica, Vicenza 1995; F. Aronica, Il pensiero e l'opera educativa di Don Brizio Casciola, in "Pedagogia e Vita", 1996, 3, p. 93-106; Id., Don Brizio Casciola oltre l'unione europea l'unità morale dell'Europa, in "Itinerarium", IV (1996), n. 7, p. 181-196; Id., Don Brizio Casciola e Don Giovanni Antonietti. Una ventennale amicizia consolidata all'ombra della casa dell'Orfano di Ponteselva, Montefalco 2000.

[2] A. Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati Scotti, Mondadori, Milano 1940, p. 505-506. Molti hanno individuato in don Brizio il prete che ispirò il personaggio di Benedetto Maironi, il protagonista del romanzo di Fogazzaro Il Santo, che vide la luce nel 1905 e fu messo all'Indice dei libri proibiti l'anno successivo per le sue tendenze 'moderniste'. Su questo aspetto cf., per tutti, L. Bedeschi, Il vero volto de “Il Santo”, Jesus, luglio 200, p. 86-88. In altro luogo Fogazzaro scrisse a proposito di don Brizio: “Per me egli vale molti volumi di apologia del Cristianesimo. Cristo gli è presente, sempre. La religione che produce un uomo come d. Brizio non può essere che vera e grande…” ; da una lettera di Fogazzaro ad Agnese Blanck, dell'8 dicembre 1908, in M. Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963, p. 200.

[3] Lettera dell'ottobre 1958 al sacerdote orionino Gaetano Piccinini, conservata in ADO. Don Piccinini (1904-1972), orfano del terremoto di Avezzano, fu molto amico di don Brizio. Lo conobbe a Roma, quando era ospitato con altri orfani nell’Istituto di San Filippo. Gallarati Scotti, inoltre, aggiungeva un'accusa ben precisa, che verrà ripresa da altri studiosi: "Come disgiungere la sua figura dalle aberrazioni fasciste?". Su questo aspetto, tuttavia, ha reso giustizia alla figura di don Brizio il contributo di don F. Aronica nel suo Profilo bio-bibliografico, in particolare alle p. 181-202.

[4] G. Prezzolini, Il cattolicesimo rosso, Napoli 1908, p. 309, in nota.

[5] "Civiltà Cattolica" del 1 maggio 1920, p. 252, recensione, senza firma, ad un volumetto di don Casciola, ma unanimemente attribuita a p. Rosa.

[6] Il titolo di questo documento autobiografico, Anamnhmoneumata, è traducibile con Ricordi. Il documento, composto di dieci fogli manoscritti, conservato in ADO, fra le carte Piccinini, è stato pubblicato da Bedeschi in Lettere ai cardinali, cit., e da Aronica nel suo Profilo bio-bibliografico.

[7] P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961, p. 88, in nota.

[8] L. Bedeschi, Lettere ai cardinali..., cit., p. 14. Egli soggiunge: "In cambio delle case ecclesiastiche, che progressivamente gli negavano accoglienza - eccezion fatta per quelle di don Orione -, ne trovava innumerevoli altre fra gli ambienti liberali e borghesi, che gli si spalancavano in ogni occasione. Don Brizio vi entrava con candore e disinteresse per trovarvi una parola di speranza o per asportarvi aiuti economici, che poi riversava sugli orfani delle sue colonie agricole...".

[9] M Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, p. 133.

[10] Lettera conservata nell'archivio dell'Eremo francescano di Campello.

[11] Lettera, senza data, ma probabilmente dell'ottobre 1913, al cardinal Pompili, suo conterraneo, oltre che amico, conservata nell'Archivio Casciola.

[12] Il telegramma gli venne inviato dalla Città del Vaticano il 17 aprile 1951.

[13] Lettera a Fogazzaro del 19-20 aprile 1910.

[14] ADO,  Casciola.

[15] Significativa, al proposito, la vicenda del card. Ferrari (proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988) messo sotto accusa dalla rivista "Riscossa" di Breganze, diretta dai fratelli sacerdoti Scotton e le incomprensioni con Pio X. Sui difficili rapporti tra il card. Ferrari e Pio X, cf. C. Snider, I tempi di Pio X, in L'Episcopato del cardinale A.C. Ferrari, vol. II, Neri Pozza, Vicenza 1982; B Sorge, I difficili rapporti tra Pio X e il card. A. Ferrari, “Civiltà Cattolica”, III, 1984, p. 44-52, oppure M. Guasco, Modernismo, cit., p. 16-38.

[16] Su questo aspetto, cf. in particolare F. Aronica, Il pensiero e l’opera educativa di Brizio Casciola, cit.

[17] N. Raponi-A. Zambarbieri, Modernismo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, cit., 1981, vol. I/2, p. 309-310.

[18] Nel testo originale il termine è sottolineato. Abbiamo trasformato in corsivo i termini che, nelle diverse lettere che riporteremo nelle pagine seguenti del contributo, vengono sottolineati.

[19] Lettera del 24 marzo 1918.

[20] F. Aronica, Don Brizio Casciola nel centenario della sua nascita, in “Bollettino Ecclesiastico delle diocesi della regione Umbra“, gennaio-febbraio 1972, a. III, n. 1, p. 128.

[21] B. Casciola, Della Coscienza. Estratto della lettera di Newman al duca di Norfolk, Officina Tipografica Luigi Marinoni, Lodi 1908.

[22] Documento autobiografico, cit.

[23] Lettera del 9 gennaio 1925, conservata nell'Archivio Casciola.

[24] Testimonianza scritta conservata nell’ADO, cartella G. 36. Su Tommaso Gallarati Scotti, altra figura che incrociò nelle proprie travagliate vicende don Orione, cf. N. Raponi, Tommaso Gallarati Scotti tra politica e cultura, Vita e Pensiero, Milano 1971 e il più recente AA.VV. (a cura di F. De Giorgi e N. Raponi), Rinnovamento religioso e impegno civile in Tommaso Gallarati Scotti. Atti del Colloquio nel centenario della nascita, Vita e Pensiero, Milano 1994.

[25] In verità, lì egli vi aveva già trascorso il quadriennio di teologia.

[26] Nel Documento autobiografico ricordato sopra, scritto anni più tardi, don Brizio ricorderà: "Nel febbraio 1895 conosco p. Semeria e mi familiarizzo con lui, oltreché con p. Ghignoni [...] tra il '95 e il '96 ci raduniamo in casa Melegari. Dopo un bel discorso di L. Luzzatti, io prorompo: ‘Dunque facciamo qualcosa’. Nasce l'unione di S Lorenzo (il p. Semeria aveva gettato il seme)" (Ricordi). Padre Alessandro Ghignoni, conferenziere barnabita, nel 1901 firmerà il programma di "Studi religiosi" di don Minocchi; anch'egli, come è documentato nell'Archivio Don Orione, ben presto entrerà in contatto con don Orione.

[27] Friedrich von Hügel (1852-1925) fu uno dei principali esponenti del variegato movimento modernista. Don Brizio nel suo Documento autobiografico dirà che “Le molte pubblicazioni donatemi da von Hügel mi iniziarono alla critica biblica e alla teologia modernizzante”. L. Bedeschi osserva che “se un riferimento gli si volesse trovare a tutti i costi col background filosofico modernista, direi che è più accostabile a un Bergson che a un Le Roy, a von Hügel che a Loisy“; Lettere ai cardinali, cit., p. 78. Sulle istanze di riforma presenti nella Roma di fine Ottocento e nei primi anni del Novecento, cf. L. Fiorani, Modernismo romano, 1900-1922, in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, 8, 1990, p. 75-170 e L. Bedeschi, Luoghi, persone e temi del riformismo a Roma a cavallo del Novecento, ibidem, p. 171-201.

[28] A questa originale associazione di uomini e donne di estrazione, di cultura e religione diversa, ma coralmente impegnati in favore dei più poveri, farà cenno più tardi don Brizio in “Gerarchia”, nel 1935, n. 3, p. 277-280.

[29] Leopoldo Franchetti (1847-1917) fu uomo politico, oltre che studioso di problemi economici e sociali dell'Italia dopo l'Unità. Sua un'importante opera, scritta insieme a Sidney Sonnino, sulle condizioni politiche e amministrative della Sicilia, dal titolo La Sicilia nel 1876. Alice Hallgarten (1874-1911) ha legato il suo nome alle scuole della Montesca e di Rovigliano, presso Città di Castello, da lei fondate per promuovere l’educazione dei figli dei contadini. Il suo impegno sociale e pedagogico fu molto apprezzato da Giuseppe Lombardo Radice.

[30] Tratto da B.C., “Per una scuola realistica”, in Il Bollettino de “Il Gruppo di Azione per le scuole del popolo, maggio 1925, 34, p. 16. Ripreso da A. Colombo, Anni di fede. Il “Gruppo di azione per le scuole del popolo” dal 1919 al 1930, La Scuola, Brescia 1961, p. 66-67.

[31] Giacomo Radini Tedeschi (1857-1914), dopo aver lavorato dal 1890 al 1905 presso la Segreteria di Stato, divenne nel 1905 vescovo di Bergamo, dove ebbe come segretario Angelo Roncalli, futuro Pontefice Giovanni XXIII. Mons. Radini Tedeschi fu anche segretario dell’Opera dei Congressi.

[32] Gli Eremiti della Divina Provvidenza erano dei laici che prestavano il loro servizio nelle colonie agricole fondate da don Orione. Su di essi, cf. A. Lanza, Il Beato Luigi Orione e gli Eremiti della Divina Provvidenza, Ed. Don Orione, Roma 1999.

[33] Questa la richiesta di mons. Radini Tedeschi, a capo del comitato romano intitolato a S. Giuseppe: «Rev.mo Don Orione, mi perdoni, se mi faccio avanti con una proposta di gloria di Dio; e se lo faccio con preghiera che l’accetti. A Roma siamo al lavoro per un “Istituto Agricolo-Industriale San Giuseppe”, avente per scopo lo stesso, circa, della Colonia agricola di Orvieto. Abbiamo preso in affitto 7 ettari di terreno con casa adatta, in luogo sano e opportunissimo sotto l’Aventino; e abbiamo bisogno di due Eremiti della Divina Provvidenza ai quali dare la direzione dell’Istituto. Stabilire in Roma questa opera, sono certo, sarà nei voti suoi ardenti; ed io la supplico di far di tutto per accontentarci. Ci intenderemo su tutto certamente; ma converrebbe far presto. Attendo ansioso una sua risposta e godo di professarle la mia piena servitù. Dev.mo Mgr. G. Radini Tedeschi…»; ADO, cartella R. 7. IV. Nella lettera con la quale accettava, don Orione affermava che “i miei cari fratelli Eremiti sono nati si può dire ieri, sanno vangare, arare, piantar delle viti e dei cavoli e vivere da buoni contadini, la loro vita assai semplice, amando il Signore nel sudore della fronte, e non so cosa potranno fare in Roma. Tuttavia, noi verremo nel nome del Signore (…)”; Scritti 108.291..

[34] In una lettera scritta anni dopo, nel 1922, don Orione confesserà: “Quando in Italia si diffuse il Sistema Solari, uno di noi ne fu così preso, così infatuato che ritenne che ogni altra cosa fosse da abbandonarsi, e credette che il Sistema Solari fosse il tocca e sana della società: una specie di nuova e divina rivelazione fatta da Dio agli uomini …Quel nostro tanto caro e amato fratello riteneva anche che, in pochi anni, il Sistema Solari avrebbe trasformato addirittura il mercato del mondo, migliorate le condizioni materiali e tirati gli uomini a migliore vita morale e cristiana…”; Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Lettere, I, Roma 1969, p. 340.

[35] Il prelato vaticano apparteneva a una ricca famiglia patrizia romana.

[36] Su tutta la vicenda, cf. D.O., III (1901-1903). In particolare, sulla Colonia ‘S. Maria’ si veda il recente A. Belano, La Colonia S. Maria del Perpetuo Soccorso (Roma). Cento anni di storia (1901-2001), Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 2001.

[37] Dal Documento autobiografico citato: "Il p. Gazzola mi mise in rapporto con la Duchessa Melzi, che mi propose di recarmi a Montaperti per occuparmi dei contadini di una sua vasta tenuta. Quei poveretti erano oppressi e sfruttati da un fattore abbrutito dall'alcool e mi proponevo di liberarli". Gli Antonelli erano una famiglia amica di don Brizio...

[38] "Verosimilmente all'inizio del 1902, una ventina di persone, tra uomini e donne, cattolici e protestanti, vi si trasferirono decisi a tentare l'esperimento, sotto la direzione di Don Brizio"; F. Aronica, cit., p. 44-45.

[39] Sulle colonie agricole orionine, cf. F. Bersino, Iniziative di Don Luigi Orione nel settore dell'istruzione professionale agraria: le colonie agricole di Noto e di Cuneo (1898-1921), Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1989, op. A. Robbiati, Le colonie agricole e la formazione professionale, in AA.VV., La figura e l'opera di don Luigi Orione (1872-1940), Atti dell'incontro di studio tenutosi a Milano il 22-24 novembre 1990, Vita e Pensiero, Milano 1994, p. 193-220.

[40] F. Aronica, Don Brizio Casciola, cit., p. 59. Paolo Celesia (1872-1916) fu biologo e filosofo. Egli dopo una profonda crisi psichica e spirituale, tornò alla fede cristiana volgendosi ad opere di carità (tra le quali la Colonia di Osio Sotto).

[41] Cf. Documento n.XX.

[42] Cf. Documento n.XX.

[43] Cf. Flavio Peloso, Don Orione e l’apostolato per il popolo delle carceri, “La pastorale del penitenziario”, maggio-giugno 2001, p. 235-239.

[44] A padre Emanuele Caronti, don Orione scrisse anni più tardi (pur confondendo il card. De Lai con p. Pasqualigo): "Fui anche denunciato al Santo Ufficio come modernista, con lettera a Padre Pasqualigo (ufficiale del S. Ufficio, ndr), che andò nelle mani del Santo Padre Pio X, ed egli me la fece mandare dal Card. Merry Del Val; cosa voleva dire denunciare uno di modernismo a Pio X!..."; Lettera del 19 agosto 1936, in Scritti, 50,10.

[45] Don Orione riferendosi a padre Semeria confiderà ad un suo sacerdote: "Padre Semeria s'è salvato perché si è gettato nel campo della carità"; ADO, Semeria, 30.

[46] Scritti 69, 354. La rivista si sarebbe chiamata "La Madonna", col sottotitolo: 'periodico mensile per le Colonie Agricole dell'Opera della Divina Provvidenza'. A Murri nel 1904, quando ancora sembrava possibile 'recuperarlo' all'ortodossia, aveva chiesto un articolo su "La Madonna e la democrazia", da pubblicare nella rivista. Sul comportamento di don Orione nei confronti di alcuni esponenti del modernismo, si veda N. Raponi, I rapporti di don Orione con il movimento cattolico, Pio X e il modernismo, in AA.VV., La figura e l'opera di don Luigi Orione, cit., p. 141-162, op. A. Lanza, Don Orione negli anni del modernismo, "Messaggi di don Orione", n. 79 (1992) o il recente F. Aronica, Don Orione e alcuni episodi del suo antimodernismo, "Itinerarium", n. 8 (2000), p. 163-173.

[47] Dal “Corriere della Sera” del 20 novembre 1955. A questa azione di Don Orione con persone in difficoltà con l’autorità della Chiesa è dedicato il capitolo “Ecumenismo interno: i modernisti” (p. 59-65) di F. Peloso, Don Orione, un vero spirito ecumenico, Dehoniane, Roma 1997.

[48] ADO,   Semeria. Per la verità, era stato lo stesso Semeria a suggerire, qualche anno prima, questo campo d'apostolato, quando don Orione gli aveva chiesto un aiuto per tracciare le linee portanti delle Costituzioni della nascente Congregazione: "Per quel che riguarda l'azione sociale dell'Ordine" - gli scriveva Semeria - "bisogna ispirarsi ai bisogni dei tempi. Scienza e carità unite insieme - e scienza di quella d'oggi, non di sei secoli fa - e carità vera, non speculazione larvata. I religiosi devono servire. Ai contadini unirei il servizio dei carcerati - per loro non si è fatto nulla - non si deve però lasciarli in balia di carcerieri. Tre scopi dunque: educazione, contadini, carcerati"; lettera dell'11 giugno 1902, in ADO,   Semeria 1b.

[49] Riportato nel volume di F. Aronica, Don Brizio Casciola, cit., p. 60.

[50] Sugli accadimenti di questi mesi, in particolare sul convegno di Molveno, cf. L. Bedeschi, Nuovi documenti sul convegno di Molveno, in "Humanitas", n. 6, 1969, p. 658-677, o L. Piastrelli, Ancora sui nuovi documenti sul convegno di Molveno, "Humanitas", n. 4, 1970, p. 482-491. Più recentemente, I veri promotori del convegno di Molveno, a cura di N. Raponi, “F. e D.”, 16-17 (1987-88),  o M. Guasco, Modernismo, cit., in particolare le p. 149-177. Sulle diverse espressioni che assunse la reazione antimodernista in quegli anni, cf. L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia. Accusatori, polemisti, fanatici, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000.

[51] Lettere ai cardinali, cit., p. 25.

[52] ADO,   Spalletti, 15. Su questa vicenda, cf. A. Lanza Don Orione e padre Semeria. Una lunga e fraterna amicizia, "Messaggi di don Orione", n. 78 (1991), p. 63. Sui rapporti tra don Orione e la dinamica Presidente del Patronato Regina Elena, cf. A. Lanza, Don Orione e la contessa Spalletti, "Messaggi di don Orione", n. 100 (2000), p. 51-57.

[53] Don Orione nella corrispondenza con Semeria, in una lettera del 1912 accennava alla contessa Carlotta Celesta in questi termini: “Ho saputo che Voi conoscete una grande e caritatevole Signora, che fece tanto bene e che forse mi può aiutare”; Scritti, 59,158. Semeria rispondendo osservava che “Sono ottima gente – Lei e il figliuolo – ma – sia detto inter nos – un po’ sui generis nella loro innegabile e solida generosità”; ADO,   Semeria I, 19.

[54] Da un foglietto distribuito agli amici della Colonia presumibilmente nel 1912, copia conservata nell’ADO,   Casciola.

[55] Ibidem.

[56] Cf. Documento n.XX.

[57] Il card. Ferrari scriveva al card. De Lai: "A don Brizio Casciola, poi, venuto da Bergamo a Lezza in Brianza, non ho più continuato la facoltà di celebrare dopo il 31 dicembre p.u., perché sono troppo note le spiegate sue tendenze moderniste"; citato in C. Marcora, Corrispondenza Fogazzaro-Bonomelli, Vita e Pensiero, Milano 1968, p. 279, nota n. 1. Don Brizio altrove scrisse: "Il card. Ferrari mi ha detto che non può più assolutamente rinnovare il celebret, facendo intendere che con quell'atto obbediva a malincuore a intenzioni o volontà diverse dalle sue...". Bedeschi riporta una parte di una lettera inviatagli da mons. Giovanni Antonietti, che visse accanto a don Brizio per tanti anni a Ponte Selva: "Il santo Cardinale, quando in ginocchio don Brizio andò da lui per esporgli queste indegnità chiedendo il perché i supremi poteri infuriavano così contro di lui, lo fece immediatamente rialzare, lo abbracciò e gli disse: Don Brizio, coraggio; mi sento tanto, tanto vicino, in questo momento"; L. Bedeschi, Lettere ai cardinali…, cit., p. 44.

[58] Aronica nel suo Profilo bio-bibliografico sottolinea come don Brizio fosse considerato dal card. Ferrari "capofila in Lombardia" del modernismo.

[59] Tipografia T. Vignuzzi e C.

[60] Lettera a Semeria, in F. Aronica, Una tenace amicizia modernista, cit., p. 507.

[61] Cf. Documento n.XX 4.

[62] In una lettera, probabilmente dell'ottobre 1913, don Brizio si difende: "Mi si voleva un modernista della peggior specie. E cosa c'era di vero in questo? In verità nessuno ha potuto convincermi di nessuna eresia determinata. Ma in quella voce mi si faceva carico di essere in relazione con ecclesiastici e laici in fama di modernisti. Questo è vero: ma insieme dichiaro che quasi sempre motivi puri ed alti, spesso doverosi, di cortesia, pietà, di carità mi hanno suggerito una tale condotta"; Lettera al card. Pompili, cit. nel volume di Aronica, p. 177.

[63] Si tratta di un episodio piuttosto controverso, su cui mancano fonti dirette. L'episodio, cui fa cenno anche Tommaso Gallarati Scotti, venne ripreso da un biografo di don Casciola in questi termini: "Don Luigi Orione, così stimato da Papa Pio X, un giorno propose a Don Brizio Casciola se fosse contento di accompagnarlo ad una udienza con il Santo Pontefice. Si convenne di lasciare fare tutto a lui, a Don Orione, che aveva carta libera dal papa stesso, per fare come meglio credeva con quei sacerdoti che, a proposito del loro modo di parlare e di scrivere, davano del filo da torcere all'autorità ecclesiastica. E Don Orione, capitata l'opportunità, ebbe a favore di Don Brizio Casciola parole rispettose, ma franche, da rivolgere per il suo protetto: lo difese a dovere. Il papa ascoltò: rivolse alcune domande al difeso, gli fece recitare il ‘Credo’. E, prima ancora che terminasse, gli parlò così: ‘Andate, Don Brizio! Continuate la vostra opera!’ Don Brizio Casciola si sentì allargare il cuore"; F. Pavarin, E la sua testimonianza, cit., p. 215.

[64] Un nuovo documento di propaganda modernista: don Brizio Casciola, in "La Civiltà Cattolica", 29 febbraio 1914, p. 337-349. La rivista riprese l'argomento nel maggio seguente. Uno studio sulle vicende della "Civiltà Cattolica" negli anni del modernismo è quello recente di G. Sale, “La Civiltà Cattolica” nella crisi modernista (1900-1907), Jaca Book, Milano 2001.

[65] Ibid., p. 348.

[66] Lettera conservata nell'archivio Casciola. Il card. De Lai, comunicando al card. Ferrari la decisione presa, specificava che "era valida sino a che non si ravveda e ritorni al sentire cattolico…"; lettera del 17/2/1914.

[67] Note le polemiche, scoppiate sul finire del 1910, quando il periodico "Riscossa" lanciò l'allarme che nel seminario milanese vi erano 'germi di modernismo'. Su questi mesi e sulla conseguente visita apostolica nei seminari cf. L. Bedeschi, Modernismo a Milano, Pan editrice, Milano 1974.

[68] Sui difficili rapporti tra il card. Ferrari e Pio X, cf. i testi indicati nella nota n.15. Più in generale sugli anni dell’episcopato del card. Ferrari, cf. N. Raponi, Milano "capitale morale" e chiesa ambrosiana. L'età del cardinal Ferrari (1894-1921), in AA.VV., Diocesi di Milano, La Scuola, Brescia 1990, 2 voll., p. 803-809.

[69] Dépliant a stampa, di quattro facciate, pubblicato integralmente in L. Bedeschi, Lettere ai cardinali di Don Brizio, cit., p. 153-160.

[70] La lettera, inviata da La Maisonette, residenza di Paul Sabatier, dove si era temporaneamente trasferito, è indirizzata a Sofia Idelson. In essa don Brizio lascia intendere come un uomo potentissimo della curia romana (il card. De Lai) gli fosse particolarmente ostile. Nata in provincia di Bologna nel 1889, da padre ebreo e da madre russa, la Idelson fu legata da grande amicizia con don Brizio, che la considerò una delle sue più fedeli discepole. Nel 1912 essa si trasferì a lavorare tra i bambini dell'orfanotrofio di Bologna (poi "Casa famiglia Regina Elena"); in seguito ne divenne anche direttrice.

[71] Pio X moriva il 20 agosto; il 3 settembre veniva eletto mons. Giacomo Della Chiesa che scelse il nome di Benedetto XV. Su questo Pontefice cf. il recente J.F. Pollard, Il Papa sconosciuto. Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2001; sui rapporti tra don Orione e Benedetto XV, cf. A. Lanza, Il beato Luigi Orione e Papa Benedetto XV, in “Messaggi di Don Orione”, n. 106 (2001), p. 5-31.

[72] Cfr. L. Bedeschi, Lettere ai cardinali di don Brizio, cit., con le integrazioni di F. Aronica nel Profilo bio-bibliografico.

[73] ADO, Diario Scoccia, "Detti di don Orione", p. 66. Su Giovanni Scoccia, cf. F. Rosa G. Venturelli, Giovanni Scoccia, un fiore di chierico, "Messaggi di don Orione", n. 102 (2000), p. 5-28.

[74] Cf. Aronica, Don Brizio Casciola, cit., p. 109 in nota.

[75] Carte Casciola, riportato da L. Bedeschi, cit., p. 50 in nota.

[76] Lettera a Paola Casanova del 19 ottobre 1950, Archivio Casciola, cit. da Aronica. Lo stesso Don Orione, in una lettera di anni dopo, specificò: “Mi fu affidato dai cardinali De Lai e Pompili, dopo che venne riabilitato, perché era stato sospeso nell’epoca del Modernismo, per rifiuto di fare il consaputo giuramento, che poi fece” (lettera del 3 marzo 1935, in Scritti, 48,203). La circostanza è confermata dalle testimonianze di mons. Cribellati e di Don Galbiati, tratte dalla Positio causae beatificationis Don Orione: "Intendo far cenno al Sacerdote D. Brizio il quale in momento molto difficile e di fermento modernistico, ebbe in D. Orione la mano maestra e paterna che lo trattenne sulla via dell’errore e lo rimise a servizio della Chiesa e dei poveri" (Mons. Cribellati); "Io voglio soltanto ricordare come Don Orione abbia tratto dal modernismo e restituito alla disciplina della Santa Chiesa ed al proficuo insegnamento, l’amico Don Brizio Casciola" (D. Galbiati).

[77] In una lettera, presumibilmente del 1916 confessava:” La guerra mi ha tolto molto personale. Io mi trovo così legato che non mi è più possibile avere quella responsabilità su di lui (don Brizio, nda) che il Vicariato mi aveva commesso nell’affidarmelo” (Scritti, 70,258). Qualche anno dopo ribadiva: “A me fu affidato il Don Brizio Casciola, che è poi il Santo descritto dal Fogazzaro, benché, quanto a vita fosse di illibatissimi costumi” (lettera dell’11 febbraio 1920, in Scritti, 58,38). Nel 1927 don Orione scriveva a mons. Grassi, vescovo di Tortona: “Brizio è stato a S. Alberto otto giorni. Se V. Eccellenza non ha difficoltà, lo accoglierei fraternamente a S. Alberto, per quel tempo che resterà. Roma lo aveva già dato a me, quando gli restituì la Messa” (lettera del 4 ottobre 1927, in Scritti, 45,246). A don Sterpi, in un frangente piuttosto delicato (un’affermazione di don Brizio, allora insegnante al “San Giorgio” di Novi Ligure, aveva rischiato di creare dei dissapori con alcuni prelati), don Orione scriveva: “Sentiremo che dirà il nuovo Vescovo. Se il card. Minoretti già dicesse di allontanarlo, gli si potrà dire che mi fu dato da Roma per toglierlo da Roma, dove è incardinato (…). Il S. Padre già è informato che ci fu dato anche D. Brizio” (lettera del … 1935, in Scritti, 18,59).

[78] Di questi giorni terribili ne diede una vivida testimonianza lo stesso barone von Hügel, nelle pagine conclusive dei suoi Saggi e indirizzi di Filosofia e Religione: "Quando mia figlia maggiore, circa otto mesi prima della sua morte, poté da Roma giungere ad Avezzano al centro della terribile devastazione, proprio allora causata da un terremoto eccezionalmente violento, un contrasto impressionante venne a colpire d'un tratto il suo spirito. Nel mezzo della morte e del disordine si muoveva, completamente assorto nella sventura di quei poveri, Don Orione, un umile prete, un uomo cui molti guardavano di già come un santo, sorto dagli umili e dai poveri per gli umili e per i poveri. Egli portava due bimbi, uno su ciascun braccio, e, ovunque andava, recava ordine, speranza e fede in mezzo a tutto quello scompiglio e quella disperazione. Mia figlia mi disse che ciò faceva sentire a tutti che l'Amore era proprio in fondo a tutte le cose, un Amore che appunto là, per quei luoghi, si manifestava attraverso il completo affettuoso dono di sé di quell'umile Prete".

[79] Scritti, 12, 117. Don Orione era riuscito a raccogliere fin dai primi giorni ben 125 orfani e a collocarli a Roma, nella casa di via Alba vicino alla sua parrocchia di Ognissanti.

[80] Il 3 aprile scriveva a Gallarati Scotti: "Ti farà piacere di sapermi restituito agli uffici sacerdotali. Torno a Crevenna e dopo sistemata la Colonia mi unirò a don Orione"; riportata in N. Raponi, Carteggio Casciola-Gallarati Scotti, cit., p. 295. Singolare l'affinità con p. Semeria, che il 9 febbraio 1916 scriveva a Carla Cadorna: "Io mi sono messo nelle mani di don Orione come in quelle di un medico e più mi metto nelle mani di Dio".

[81] "Tortona, 3/5/1915. Caro D. Brizio, pregate perché mi guardi Iddio dal menar vanto d'altro che non sia la Croce del Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio te e codeste buone anime del conforto fraterno e cristiano. Tuo aff.mo Don Orione"

(Al sacerdote don Brizio Casciola, Fucino-Erba Crevenna) (Archivio Casciola).

[82] Documento n.XX.

[83] Cf. Fatti e voleri indeprecabili impongono la chiusura della Colonia agricola S. Benedetto. Circolare di don Brizio del 29 giugno 1915. In essa don Brizio ricordava come "in questi anni i Signori Celesia, le Sig.re Sorelle Cavallini, costanti e preziose collaboratrici, il dott. Cesare Sala, parecchi amici e persone egregie contribuirono in diverso modo e grado al bene dell'opera". Concludeva don Brizio: "Intanto che i semi di avvenire si macerane sotterra e sopra stride la bufera, io mando il saluto commosso della riconoscenza che non morrà a Voi, o buoni, che ci avete sostenuto e confortato in mille maniere. E prego a Voi dal Padre luce e forza pacata per il travaglio dell'oggi e la edificazione del domani”; copia presso l’Archivio Don Orione.

[84] Lettera del 3 luglio; ADO,   Casciola.

[85] ADO,   Casciola. Le sorelle Gina e Adriana Cavallini, del Gruppo towianista di Torino, che si raccoglieva attorno all'avvocato Attilio Begey, collaborarono con don Brizio nella conduzione delle Colonie agricole di Osio e di Crevenna.

[86] Scritti 109. 177; cf. Scritti 109.179.

[87] Scritti 66,474.

[88] Cf. Documento n.XX.

[89] "Al Sac. Luigi Orione - Istituto della Provvidenza, Tortona (Provincia di Alessandria)

20. X. 1915. Mio caro, ti prego (e la P. di Venosa con me) di metterti subito in corrispondenza col Comm. Tenerani (pal. Tenerani a via Nazionale) per l’affare delle Suore. Le Zelatrici si sono profferte, mentre le Salesiane, le Francescane e le Suore di C. non fu possibile ottenerle. D’altra parte comprendo le ragioni che militano per la non accett.ne delle prime. E così è necessario che tu ti accordi con lui perché la fame si avanza con l’inverno ed è necessario affrettare l’apertura della cucina. La buona P.ssa di Ven. mi ha dato 50 lire per don Perzi. Glie l’ho portate in casa, ma non c’era. Le avrà in settimana. La Co. Taverna lo raccomanderò al Mgr. Beccaria e io da giorni ho sollecitato l’intervento del Vicariato.

Quando ritornerai? Ti aspettiamo con serio desiderio. Lavoro alacremente nelle poche ore libere intorno all’opuscolo sull’alimentazione. Riveriscimi Mgr. Grassi (che avrà da Milano il mio libretto) e prega per il tuo aff.mo Brizio"; ADO,   Casciola.

[90] Scritti 46,134.

[91] Lettera a Sofia Idelson del 21 novembre 1915, conservata nelle carte Casciola, citata da Bedeschi, p. 51 in nota.

[92] Scritti 12.172.

[93] Scritti 12.162.

[94] Scritti 12.189.

[95] Scritti 12.194.

[96] Lettera del 27 gennaio 1916, in Scritti, 75,62.

[97] Ecco il testo integrale della lettera all’amico: "Avezzano, li 22. 1. 1916. Carissimo,Grazie! Ho mandato alla Co. Sp. un rapporto nutrito. I telegrammi di Cesena mi daranno in iscritto le condizioni della erigenda Cooperativa Falegnami. Anche il sarto che sai ha scritto da Roma. Per il terreno vedrò l’Odorisio, oggi. Di queste ed altre cose, tante, martedì a voce.

Puoi andare dalla C. S. alle 10 ½? Poi sono occupato quasi tutto il tempo, ma se vieni in via Sistina alle 4 ½ o almeno alle 5 ½ potremo discorrere. Per questa volta non posso scendere in via Alba. Scusami coi buoni confratelli e coi ragazzi, e salutami tutti caramente. Vorrei anche dire ad Adaglio che da domani riprenderò quelle applicazioni. Il tuo giudizio sui giovani coincide con le mie impressioni. Temo che Fabrielli non possa venire così presto. E allora? Vuoi aiutarmi nella ricerca dell’assistente, se è possibile un sottufficiale invalido? Il Parroco e il V.vo non sono ancora qui. Ho visto D. Domenico assai gentile, e ho celebrato verso le 7. Con lunedì mi desiderano le Suore dell’O. F. Fatto l’abbon.to (ora mando il ritratto) andrò dove occorre. Qui manca il Pretore e tutte le pratiche giudiziarie sono arenate. Io sto bene, malgrado il freddo. Ma l’insonnia delle prime due notti, causata dai rumori del dormitorio contiguo alle mie cellette, mi ha obbligato a portare il letto in Amm.ne. Così stanotte ho dormito e forse lavoro meglio. Della sorveglianza notturna ho incaricato il De Nino. Ho avviato letture e lezioni diverse, che pare interessino. I giovani ti vogliono un gran bene e ti salutano. Del resto il ricordo e il desiderio di te è grande e vivissimo presso tutti, le autorità in primis.

Delle Suore sono contento. Ti ringrazio della cara e rara fraternità e del bene multiforme che me n’è venuto. Hai visto la S.ra Cadorna? Se no, cerca di andare subito e di scusarmi a lei" (ADO,   Casciola).

[98] "26. 01. 1916.  Carissimo. Francesco Simboli da Pescina che tu conosci e che condannato a 6 mesi di recl.ne per un furto di 2.000 lire fu amnistiato, ora si presenta al Patronato. Quid agendum? In primis non c’è posto e inoltre aggiungere al mucchio un’altra pena questo non è giudizioso. Il Sottoprefetto mi suggerisce di mandarlo in America e si offre ad agevolare la causa. Considerando che a Roma ci sono i dormitori pubblici e che le pratiche per un viaggio gratuito li ha da fare costì, ho pensato di mandarlo a Roma fra le tue amplissime braccia. Aphel ci aiuterà. Inoltre, Domenico del Rosso avevo chiesto a uno zio di prenderlo con sé. Questi aveva annuito, ma son trascorsi dei mesi e il ragazzo non si è fatto più vivo in nessun modo. È a Tortona? lo zio vuol sapere qualcosa. Se vedi la Co. pregala di ordinare d’accordo con l’on. Chimini che ci sia qui una tutela legale degli orfani e dei loro beni, possib.te nella persona dell’avv. Odorisio. Ora c’è un ragazzo di 14 anni che i parenti dicono sfruttato da uno zio povero e avido. Qui manca il posto per accoglierlo. Dove mandarlo? Possiede lire 1.900, biancheria ecc."; ADO,   Casciola.

[99] Data: 28. 01. 1916. Provenienza: Avezzano. Destinatario: Sacerdote Orione – Borgo Pio, Roma. Orfani accompagnati saranno domattina Sant’Anna. Brizio – Direttore Patronato Regina Elena.

[100] Uno fra i tanti biglietti scambiati: "Al Sac. L. Orione, S. Anna in Borgo Pio – Roma, Urgentissima. 14. 02. 1916. Mio caro, Ti rivedrò con gioia. Ma in quell’ora io mi trovo a via Sistina, dove faccio una lezione verso le 12 e poi colazione e quindi mi raccolgo per la conferenza che non ho tempo di preparare granché. Dunque arrivederci in buona. Aff.mo Brizio C."; ADO,   Casciola.

[101] ADO,   Casciola. Il prefetto di Roma Aphel era molto amico di Don Brizio. Egli presentò don Orione al Prefetto e gli ottenne diversi favori per la Congregazione (cf., ad esempio, il Documento n.XX).

[102] A titolo di esempio, ecco una delle tante ricevute indirizzate a Don Brizio. “Al Rev. Don Brizio Casciola , Direttore Casa Famiglia – Sezione maschile, Avezzano. Il cassiere del Patronato ha ricevuto da Don Brizio Casciola - Avezzano la somma di lire Mil­lecentocinquantatre e 50/100 che versa per altrettante riscosse dall’ufficio postale di Avezzano quale importo di N. 21 vaglia postali riflettenti ricavato vendita materiali demolizioni nel Comune di Trasacco in conformità all’ordinativo d’incasso N. 278 diconsi £1153.50. Roma, li 2 Maggio 1916, Il Cassiere del Patronato, Orestano"; ADO, Casciola.

[103] Due esempi: "Data: 14. 05. 1916. Provenienza: Verzano. Destinatario: Don Orione Sant’Anna – Borgo Pio.. Domattina arrivo, attendoti stazione oppure salisci primo pomeriggio. Casciola"; ADO,   Casciola. "Sac. Luigi Orione, Tortona (Alessandria). 22. 05. 1916. Filtate, spero te venturum brevi, et quidem hac ipsa hebdomada. Quam multa et gravia habeo tibi dicere. Sin poteris venire face admoneas me. Romani quam citus convolabo. Habe me tuis precibus commendatum. ‘Satanas espectavit nos ut cribaret quasi tritium’ Nonne ‘haec est hora tenebrarium?’ Vale salve! Totus tibi, Hoc...Fa’ di portare o mandare il libretto di Montuori. Catasca disse di averlo consegnato a d. Adaglio"; ADO,   Casciola.

[104] ADO,   Casciola.

[105] Alcuni esempi: "Data: 30. 6. 1916. Provenienza: Roma. Destinatario: Don Orione Telegramma consegnatomi. Avvenuta partenza dove respingere lettera? Casciola" (ADO,   Casciola). "Al Sac. Luigi Orione, Sant’Anna e Borgo Pio, Città 21. 07. 1916. Carissimo, domani vo a colazione dalla P. di Venosa. Puoi capitare colà fra le 2 e le 4? Ho varie cose a dirti anche un consiglio del Vicariato. Sospendi la pratica per i Cappuccini di Frascati. A voce la ragione. Ora telefono a Romagnoli. Salve! Aff.mo Brizio C."; ADO,   Casciola

[106] Don Brizio rispondeva all'invito: "Al Sac. Luigi Orione (o chi ne fa le veci), Bandito presso Bra – Cuneo. 19. 08. 1916. Carissimo in Domino, va bene. Domattina, domenica, non appena celebrato parto, passo la notte a Genova e all’indomani alle 13 e 41 arrivo a Bandito. In fretta ogni saluto" (ADO,   Casciola). Egli il giorno dopo scriveva a Maria Salini: "parto all'improvviso per il Piemonte chiamato telegraficamente da d. Orione… Accompagnatemi col pio pensiero e aiutatemi così nell'opera delicata che son chiamato a compiere…". E il 22 agosto: "Eccomi a Villa Moffa, Bra (CN) da due giorni […] Due volte al giorno istruisco una trentina di ragazzi dai 12 ai 17-18 anni sui loro doveri di uomini e di cristiani e nell'agricoltura…" (lettera conservata in copia presso l'Archivio Casciola).

[107] Lettera del 19 agosto 1914, in Scritti 2, 115.

[108] Scriveva don Brizio "Al Sac. Luigi Orione, Casa Paterna – Tortona (Alessandria) 24. IX. 1916. Frater carissime, la Pr. di Venosa si è incaricata di consegnare e raccomandare la richiesta di M.r C. al Tenerami. Ho continuato le ricerche nelle librerie ret.re di Roma. Pare che non esista un manuale liturgico adatto per ogni riguardo ed economico. Sono tentato forte ad applicarmici io stesso e mi sentirei felice di esserci riuscito. Ma potrò? L’altr’ieri la Signora Cadorna mi comunicò una lettera del Gen. Miglietta che dietro insistenze di p. Semeria avendo posto l’occhio su di me per la erigenda Col. Agr. in Z. di g. m’invitava a Cervignano per conferire con lui. Andrò se mi procureranno i mezzi per il viaggio e al ritorno spero che ci potremo vedere in qualche punto dell’Alta Italia. La Sig.ra Anzi è molto malata. Essa ti scongiura a mandarci a d. Adaglio l’autorizzazione a trattenere il fanciullo Mario Berti nella casa di S. Filippo. Ho visto a lungo Rossi M., venuto a Roma per una operazione e che mi aveva desiderato, e ieri l'on. Martini. Purtroppo il nero sospetto che sai era fondato e pare che la mia domanda presso il G. F.se avesse un qualche effetto, sebbene in ritardo. Forse la Sg. M. Bidone ha lasciato costì due opuscoli che le avevo imprestato? Se mai prego di mandarmeli. Auguri per le belle imprese e saluti a tutti. Aff.mo Brizio C." (ADO,   Casciola). Pochi giorni dopo gli scriveva: “Frater optime, la tua cara mi ha seguito a Roma dove resterò 40 giorni. Ho avuto già un colloquio assai promettente col Pr. Aphel. Ho preso stanza in un modesto albergo del centro anche per trovarmi più pronto, e più vicino a personaggi che devo avvicinare. P. Gen[occhi] (presente al mio discorso qui a Roma) ha riso della strana denunzia la quale speriamo sia sepolta. Aderisco sin d’ora con tutto il cuore al tuo proposito e all’invito, questo lo otterrò non appena di ritorno lassù. Avrete ricevuto i libretti. Se non fossi logorato dal viaggio vi manderei subito degli altri. Ma prima di Natale, rimessomi in forze finanziarie, manderò dell’altro. Un saluto affettuoso a tutti, compreso Bidone. Salus tibi. Ora pro me" (lettera del 27 settembre 1916, ADO,   Casciola).

[109] La lettera proseguiva: "Quelle cose io potrei dichiarare solo nell'ipotesi che riforme radicali avvenissero nella Chiesa visibile. L'esempio e la preghiera di Lui - vivo e morto - potrebbero affrettare quel giorno desideratissimo. Intanto converrà ‘praestolari cum silentio salutare Dei’"; Lettera del 14 ottobre 1948, ADO,   Casciola.

[110] G. Piccinini, Sia benedetta la memoria di d. Brizio, in "S. Giorgio", nn. 1-2 (1958), a. XXVIII. Nel fascicolo viene riportato il discorso pronunciato da don Piccinini durante la messa funebre di don Brizio nella chiesa del Piccolo Cottolengo ‘Don Orione’ di Napoli.

[111] Lettera del 13 novembre 1916, in ADO, Scritti 4, 104.

[112] La lettera, del 20 dicembre, continua: "Questi pochi giorni che mi restano liberi, li dedico a un’escursione nel Sud. Mi spingo sino a Palermo e mi fermo un poco a Messina, presso i tuoi.

La Sig.ra Dall’Olio è a Pocol nel Cadore e credo che per ora non tornerà. La Pr. di Venosa e i Sig. Aphel mi hanno domandato di te con tanto interesse. Iddio ti renda in benedizioni centuplicate il bene che hai fatto a me.

A tutti quanti di costì l’augurio mio di ogni più eletto bene. Aff.mo Brizio C."; ADO,   Casciola.

[113] Nel Natale di quell'anno Antonietta Giacomelli gli scriveva: "Ricevo ora da Monticone una bellissima notizia: e cioè che avrete l'incarico della costituzione di Colonie agricole nel Friuli redento"; lettera conservata nell'Archivio Casciola.

[114] Cf. il Documento Autobiografico, cit.

[115] Il 13 del mese scriveva a don Orione: "Mio caro, vado a raggiungere il mio campo di lavoro. Saprai già che d. A[daglio] è esonerato. Si deve eterna gratitudine al buon P.tto A[phel] che ha superato se stesso. Ma anche la V. d. O. si è bene adoperata. Io tornerò a Semeria. Per ora ti supplico di curarti"; ADO,   Casciola.

[116] Lettera del 13 marzo 1917; ADO,   Casciola.

[117] Lettera del 3 maggio 1917, ivi.

[118] ADO,   Semeria, I, 33. L’espressione ‘meno belli’ si riferisce all’illustrazione della cartolina, che riproduce le principesse reali Jolanda e Mafalda, in visita, con un’altra ragazza, al Museo di Aquileia.

[119] ADO,   Casciola. L'intestazione della lettera è "Casciola Brizio, Ispettore delle terre demaniali, Capitanato distrettuale - Pola (Istria)".

[120] In una lettera a don Orione del 16 ottobre 1919, le sorelle Cavallini affermavano: "Se nelle sue visite a Venezia ella ci farà qualche volta una visitina a Mira Taglio, sarà grande consolazione. Si trova sulla linea del tram che da Padova va a Venezia. Voglia considerare la nascente opera come facente parte spiritualmente delle Sue, perché tale è per il legame profondo spirituale che unisce Don Brizio e noi a Lei e per lo scopo comune"; ADO,   Casciola.

[121] ADO,   Casciola.

[122] Si trattava di una associazione, nata in ambito protestante, che in seguito si era allargata coinvolgendo anche alcuni intellettuali cattolici.

[123] Lettera dell’8 marzo 1920, da Mira; ADO,   Casciola.

[124] “Civiltà Cattolica”, 1920, II, p. 252. La recensione proseguiva fino a p. 260. Il timore che 'il modernismo non fosse morto' si riscontra scorrendo la serie di libri posti all'Indice in quei mesi, tra cui la Vita di Fogazzaro del Gallarati Scotti.

[125] "Caro, con mio grande e vivo dispiacere devo rinunziare a vederti. A un'altra più fortunata occasione rimanderò le molte confidenze che ti avrei fatto e delle nuove prove (non gravi) da Roma e da Treviso. Com'è difficile di serbarsi fedele insieme alle Autorità e alla propria coscienza dopo vari secoli da che le une e l'altra avean fatto parecchio cammino per proprio conto. E dire che se non avviene una riconciliazione piena e sincera fra le due parti non avremo pace e non avremo bene. Io non ho scelto optimam partem, come hai fatto tu. Ma ormai non posso fare altre scelte e d'altra parte è doveroso lavorare in quest'altro campo arido e ingrato anche nell'interesse del regno di Dio"; ADO,   Casciola.

[126] Scriveva infatti don Brizio: "Ho fatto festa all'anniversario della visita. Sappi che c'è una stanza per gli ospiti oltre a un posto nella poca mensa. Per te specialmente nella Messa recito la colletta 'pro devotis Amicis'. Le difficoltà che attraversi sono certo dal bene e per il bene"; lettera del 10 luglio 1920, ADO,   Casciola.

[127] Su questa figura, cf. D. Sparpaglione, Il Card. Pietro La Fontaine, patriarca di Venezia, Ed. Paoline, Alba 1951; G. Mugolino, Pietro La Fontaine, patriarca di Venezia (1915-1935), Ed. Studium cattolico veneziano, Venezia 1988. Il card. Pietro La Fontaine aveva conosciuto don Orione nel maggio 1908, quando, da due anni vescovo di Cassano Ionio, era giunto a Tortona in qualità di visitatore dei seminari diocesani. Nel dicembre di quell’anno gli aveva scritto chiedendogli di farsi carico del Santuario della Madonna della Catena. Poi, però, a far passare tutto in secondo piano, sopraggiunse il terribile terremoto messinese, durante il quale La Fontaine ebbe modo di apprezzare l’instancabile attività del sacerdote di Pontecurone. Dopo alcuni anni, giunto da poco nella città lagunare, aveva chiesto alla Congregazione orionina di gestire due orfanotrofi cittadini: alle “Zattere” e in “Lista di Spagna”. Subito dopo a questi si aggiunse il “San Gerolamo Emiliani”, diretto dai padri Somaschi fino alla guerra. Nel giro di pochi anni, grazie all’appoggio e alla stima del Patriarca, è notevole lo sviluppo della Congregazione nella diocesi e nel Veneto: nel 1919 si apre il probandato “Marco Soranzo” a Campocroce di Mirano; nel 1921 viene acquistata la libreria-tipografia Emiliana; nello stesso anno si apre l’orfanotrofio “Berna” a Mestre; nel 1922 l’orfanotrofio “La Fontaine” al Lido; nel 1923 l’orfanotrofio “Camerini Rossi” a Padova. Per seguire nel miglior modo possibile il fiorire di queste attività Don Orione dall’aprile 1919 inviò a Venezia il suo ‘alter-ego’, don Sterpi, che si preoccupò di gestire anche i fittissimi rapporti con il cardinale. Sul successore di Don Orione, cf. G. Barra, In punta di piedi. Don Carlo Sterpi, successore di Don Orione, Borla, Milano 1963, op. I. Terzi, Don Carlo Sterpi. Profilo biografico, Ed. Don Orione, Tortona, 1991.

[128] Lettera del 4 marzo 1921. Il testo integrale, insieme ad un'altra lettera del 21 marzo, è pubblicata in F. Aronica, Sorella Maria e il suo eremo tra opposizioni e ostilità, Editrice Coop. S. Tommaso, Messina 1993. Sull'intera vicenda della partecipazione di Don Brizio alla Federazione studenti per la cultura religiosa e sulla sua collaborazione con "Fede e Vita", cf. F. Aronica, Profilo, cit., p. 118-123.

[129] Lettera del 16 giugno 1921, ADO,   Casciola.

[130] In una lettera a don Sterpi del 9 dicembre, elencava le messe celebrate secondo l'intenzione del direttore della casa, partendo dal 9 ottobre, premettendo: "Finito il mio ritiro, contavo di andare in Lombardia. Ma poi è sopraggiunto il riflesso che forse è meglio per me e per la minuscola parrocchia di V. Soranzo e dintorni che io rimanga là, per qualche tempo ancora. Dunque, se Lei non ha nulla in contrario, mi vi trattengo per qualche settimana in attesa degli eventi. Lascio la prima nota delle Messe celebrate secondo la Sua intenzione. Bene inteso che continuerò. E cercherò di fare qualcosa per il bene degli orfani e della popolazione circostante" (ADO). Il 16 dicembre scriveva a Maria Salini: "Son qui in una casa di Don Orione in mezzo a una campagna solitaria, in spirito di raccoglimento. Essendomi preclusa ogni forma onesta e libera di attività esteriore mi preparo a raccogliere in densa e lucida sintesi i pensieri che mi ha fatto nascere dentro lo studio, il dolore, l'esperienza degli uomini e delle cose e lo sdegno che vorrei subordinato all'Amore". Don Brizio sperava sempre di poter ottenere il permesso del vescovo. Il 16 dicembre a don Sterpi: "Quest'oggi ho creduto bene di andare a Treviso, per esplorare la intenzione di Mons. Vescovo e anche per prevenire un passo non simpatico... Ho chiesto dunque a Mons. V. il permesso di predicare, come facevo a Mira e ad abundantiam, di radunare i giovani contadini per dare istruzioni di agraria. Egli non ha avuto nessuna difficoltà di acconsentire. E di questo ho voluto informarla. Spero che l'una e l'altra forma di attività incontri la Sua approvazione. Del resto il predicare si riduce a dire poche parole la domenica, al vangelo, e la sera, in preparazione alle grandi Solennità. Così ora facevamo la Novena di Natale e io spiego il Pater Noster. Perché Ella non giudichi fallace una promessa che feci, le dirò che ho speso fino ad oggi più di 50 lire per acquistare semi da orto, giochi, cartoline, dolci, ecc. per incoraggiare, premiare, animare le ricreazioni ecc." (ADO).

[131] Sulla vicenda, cf. L. Pazzaglia, Le traversie del testo di religione di Don Brizio Casciola (con carteggi inediti), cit.

[132] Su questa vicenda, cf. M. Busi, Don Orione e Sorella Maria dell'eremo di Campello, "Messaggi di don Orione", 100 (2000), p. 5-44. Più in generale, sulla figura di Sorella Maria, cf. F. Aronica, Sorella Maria e il suo eremo, cit., op. R. Morozzo della Rocca, Sorella Maria dell'eremo di Campello, Guerini e associati, Milano 1999.

[133] Don Brizio fu uno degli artefici del periodico “S. Giorgio”, cui collaborò per oltre vent’anni, inviando ogni mese un articolo.

[134] Lettera del 14 febbraio 1940, ADO.

[135] Lettera del 14 marzo 1940, ADO.

[136] Veritatem facientes in charitate sarà anche il titolo di un volumetto di don Brizio, pubblicato a cura della Casa dell’Orfano di Ponte Selva, diretta da don Giovanni Antonietti, scritto nei drammatici mesi dell’agosto-settembre 1943, con la dedica “agli Italiani veri perché nella tremenda oscurità dell’ora credano e preparino il domani d’Italia”.

[137] L’Uomo nell’Opera, “S.Giorgio”, n. 3-4-5, a. X, 1940, p. 2.

[138] La morte di D. Brizio Casciola, “Osservatore Romano”, 17/12/1957.

Lascia un commento
Code Image - Please contact webmaster if you have problems seeing this image code  Refresh Ricarica immagine

Salva il commento