Questo sito utilizza cookie per le proprie funzionalità e per mostrare servizi in linea con le tue preferenze. Continuando a navigare si considera accettato il loro utilizzo. Per non vedere più questo messaggio clicca sulla X.
Messaggi Don Orione
thumb

Nella foto: Don Luigi Orione tra secondino (Ignazio Silone) e Romolo Tranquilli
Pubblicato in: Testo pubblicato in Aa. Vv., Per Ignazio Silone, Edizioni Polistampa, Firenze, 2002 (Biblioteca della Nuova Antologia, 6), p.111-157.

L'articolo ricostruisce in modo preciso e documentato la storia delle relazioni di Don Orione con Scondino (Ignazio Silone) e Romolo Tranquilli.

    Testo pubblicato in Per Ignazio Silone, Scritti di Paolo Bagnoli, Elisa Bertinelli,
     Liliana Biondi, Cosimo Beccuti, Vittoriano Esposito, Judy Rawson, Paolo Vittorelli,
     Flavio Peloso
, Edizioni Polistampa, Firenze, 2002 (Biblioteca della Nuova Antologia, 6),
     p.111-157.

 

DON ORIONE, LO "STRANO PRETE",

E I FRATELLI SECONDINO E ROMOLO TRANQUILLI

Flavio Peloso

 

 



 

Darina Silone, moglie del grande scrittore, durante l’anno delle celebrazioni del centenario della nascita di Ignazio Silone (1° maggio 1900- 2000) aveva parlato di “una nuvola nera” che si era addensata su quella ricorrenza: il libro di Dario Biocca e Mauro Canali “L’informatore Silone, i comunisti e la polizia”.[1]
A partire da quella pubblicazione il gotha degli studiosi e degli opinionisti ha cercato di dare una risposta alla domanda: che cosa dicono quei documenti rinvenuti negli Archivi segreti della Polizia di Stato relativi alle informazioni di Silone a Guido Bellone, alto funzionario della Polizia prima e dell’OVRA fascista poi?
Qualcuno ha dedotto che Silone fu una “spia”, delatore e traditore dei propri ideali e compagni di militanza. Altri hanno configurato un’azione da “controspia” infiltrata dall’organizzazione comunista nella Polizia di Stato italiana. C’è chi vi ha visto semplicemente un altro caso di giovane militante ricattato dalla polizia e lasciato libero a patto di una “collaborazione” che - Silone – sarebbe riuscito a mantenere in termini generali e non gravemente lesivi del suo partito e dei suoi compagni. Altri, continuano a seguire la linea biografica tradizionale che vedeva tra Silone e Bellone una relazione amicale sorta nel dopo terremoto della Marsica (1915) e una collaborazione successiva piuttosto aleatoria (e comunque non ben qualificata), sfruttata apertamente solo nel 1928 per difendere il fratello Romolo falsamente accusato di strage, in carcere con rischio di fucilazione. C’è chi ritiene ancora di poter negare l’attribuzione a Silone di quei documenti che sono alla base del “caso”. Altri studiosi, infine, e sono probabilmente la maggioranza anche se non formano “partito”, vedendo debolezze e inconsistenze nelle ipotesi più affermate, si ritengono ancora alla ricerca di quale sia veramente il quadro di vita e di azione di Silone di cui quei documenti sono indizio. 

Attorno agli interrogativi, più che alle certezze, si è scatenata una controversia di studi e di documenti, innescando un vero e proprio Processo a Silone, secondo il titolo del libro di Giuseppe Tamburrano.

Ho seguito tutte queste vicende con la passione di chi guarda a Silone come a una persona cara della storia della propria famiglia, a motivo della straordinaria amicizia che legò Silone al fondatore della mia congregazione religiosa, Don Orione. Ma guardo a Silone anche come a un educatore assai rilevante nella mia gioventù. Ho esaminato le varie ondate di risultati di studio, ho avuto modo di entrare in contatto personale con molti dei protagonisti di questa controversa ricerca.

 

VIAGGIO INCONTRO ALL’UOMO. PER UN APPROCCIO METODOLOGICO E SPIRITUALE
 

Nell’affaire Silone (1920-1930), distinguerei tre livelli di discorso. Il primo è quello della ricerca documentale: se questi documenti esistono, è importante portarli alla luce, conoscerli in se stessi, verificarne l’autenticità e i contenuti. A questo livello gli studiosi non hanno ancora maturato un consenso omogeneo.

Il secondo livello è quello dell’indagine storiografica, della contestualizzazione dei documenti, particolarmente difficile nel caso di Silone perché il contesto è quello della clandestinità e dei servizi di sicurezza ove documenti tattici, depistaggi e operazioni analoghe erano normali. Gli elementi in possesso sono ancora troppo pochi per ricostruire lo scenario entro cui collocare i documenti che, attualmente, costituiscono più indizi che spiegazioni.

Il terzo livello è quello della psicologia e della spiritualità della persona che in quei documenti lascia traccia di sé; è il tentativo di rispondere a una domanda fondamentale: perché Silone ha agito così? Che intenzioni aveva? Queste domande, per ora, non hanno una risposta convincente. Qui davvero il cammino è ancora molto lungo, “infinito”, secondo l’aggettivo caro a Vittoriano Esposito, nel definire il “caso Silone”.

Da prete quale sono, ho esperienza di quanto sia difficile avvicinarsi alle motivazioni che muovono l'uomo anche quando le porte vengono aperte dall'interno. Figuriamoci quando, come nel caso di Silone, le porte dall'interno sono sprangate e le testimonianze esterne sono povere e frammentarie. Allora dobbiamo avere il coraggio di fermarci, di non dire quello che non siamo in grado di conoscere, di rispettare quel sacro tabernacolo che è il cuore dell'uomo.

Certo, mi è difficile ipotizzare un Silone semplicemente ‘falso’. Nel periodo delle relazioni giovanili con Don Orione – che ho ben studiato e qui intendo presentare - e in quello immediatamente seguente, Silone ha dimostrato una grande lucidità critica. Certo, dalle sue lettere emergono ideali e contraddizioni tipiche di un giovane, ma egli fu lucido anche nei confronti dei propri errori. Resta inverosimile pensare in lui un atteggiamento interiormente ambiguo; contraddittorio nei comportamenti perché condizionato da situazioni esterne o personali sì, potrebbe esserlo stato.

Al riguardo, può essere illuminante quanto il Silone maturo scrisse sul “rendersi conto” come via liberatoria per “arrivare alla coscienza della propria umanità”, espressione ripetuta dal protagonista Murica in “Ed egli si nascose”.[2] Murica, dopo avere squadernato la propria esperienza, afferma: “Il male, pur essendo sempre odioso e detestabile, spesso è necessario per generare il suo contrario, e cioè il bene. (…) Senza questa crisi quasi mortale da me ora trascorsa, io non sarei diventato uomo; tuttavia, questo bene pagato col male, e che io dovrei godermi, questo approfondimento della coscienza, questo tardivo sentimento morale, per me ha un sapore amaro disgustoso umiliante” (p.86). Non va dimenticato infatti che “Aumento di coscienza, prendine nota, è sempre aumento di sofferenza”, come fa notare Uliva a Don Paolo.[3]

Uno che pratica i confessionali e anche, in parte, uno che pratica gli archivi, sa bene quanto il percorso interiore e comportamentale di una persona sia tutt’altro che lineare, omogeneo, coerente. Conosce quanto circostanze, condizionamenti ambientali, situazioni psicologiche e, non ultimo, debolezze, giungano a piegare fin quasi alla contraddizione i valori e le convinzioni più profonde dell’anima, e come solo lentamente la persona pervenga a un percorso più stabile ed elevato quando, attraverso la coscienza di sé e la grazia di qualcuno, sappia comporre forza e debolezza. Sono richiesti rispetto, amore e pazienza a chi voglia accostarsi al mistero di una coscienza che, con il crivello della lucidità e con la fatica del tempo, tenta di fare emergere il buon grano dalla propria terra. Come facevano, e con esito non sempre assicurato, Berardo Viola e i contadini di Fontamara.

In questo senso, è interessante conoscere il rapporto tra don Orione e Silone. Giovanni Casoli nel suo “Don Orione e Silone. L’incontro di due uomini liberi. Con Inediti[4] sottolinea come Don Orione rimproverasse a Silone il suo essere comunista e la sua attività bolscevica; lo metteva in guardia sul male che gli avvelenava l’anima e che avrebbe danneggiato anche il fratello Romolo. Ma questo non era scomunica impaziente o perdita della stima nella grande ricchezza interiore del giovane amico. Un prete sa amare l’uomo e odiare il suo peccato. A riprova che Silone percepì la ricchezza della relazione con quello “strano prete”, sta lo sconfinato affetto e l’ammirazione che egli sempre conservò e che senza pudore espresse verso Don Orione.

Qualora si delineasse un passaggio di vita del grande Silone con qualche involuzione o cedimento giovanile si frantumerebbe forse lo “spessore morale” di quest’uomo? O verrebbe demolita la sua “credibilità” come molti temono e denunciano? Credo di no. “Mi apparirebbe più uomo e meno santino”, ha risposto a una giornalista Darina Silone. “Apparirebbe meglio su quali eventi duri e dolorosi si è forgiata e maturata la sua forte personalità”, ha osservato Liliana Biondi, appassionata esperta di Silone.

Il valore di Silone come scrittore e come educatore emerge nonostante o forse proprio per le ambiguità e le contraddizioni vissute che gli hanno permesso di “rendersi conto” lucidamente di cosa vale e cosa non vale. Il realismo simbolico delle sue opere interpreta e trasmette i valori umani e spirituali più essenziali e importanti dell’uomo di ogni epoca e cultura. Che poi nel metabolismo delle esperienze di una persona vi siano anche ombre, contraddizioni e scarti fa parte della vita.

Riconosco con Silone che “i confessori e gli psichiatri possono permettersi il lusso della misericordia” mentre “un partito rivoluzionario, se non vuole fallire la sua missione, dev’essere spietato”.[5] Va riconosciuto anche agli studiosi il lusso di indagare, di conoscere, di comprendere, assieme al dovere di tacere quello che non conoscono.

Per avvicinarsi all’ “uomo” Silone può risultare di grande interesse la conoscenza della sua relazione con Don Orione che si dipanò in un tempo di grande apertura di animo e con varietà di forme espressive.

 

UN CAPITOLO DI VITA DA BEN CONOSCERE
 

La vita di Ignazio Silone è stata oggetto di numerosi studi e dettagliate ricostruzioni.[6] Tuttavia, del periodo giovanile che va dal terremoto della Marsica (13 gennaio 1915) all’ingresso nel PCd’I (gennaio 1921) sappiamo ancora ben poco. Resta anche di difficile lettura, come sopra accennato, la documentazione del periodo relativo alla sua attività politica clandestina fino all’ “addio al comunismo” nel 1931.

Conoscendo la consistenza e il valore della relazione intercorsa tra Don Orione[7], Ignazio Silone e Romolo Tranquilli, il fratello più giovane morto nel carcere di Procida nel 1932, e, insieme, la ricchezza di documenti conservati presso l’Archivio generale dell’Opera Don Orione (ADO), ho ritenuto di poter offrire un contributo raccogliendo le carte relative al periodo 1915 - 1932. Quanto qui ho riportato è dunque, in gran parte, desunto da fonti inedite.[8] La relazione di cui parleremo ebbe due epicentri ugualmente drammatici: il primo fu il terremoto che fece crollare le basi povere ma solide dei due fratelli Tranquilli e, in qualche modo, anche di Don Orione, il quale lasciò il suo ministero e le attività ordinarie per condividere con la gente della Marsica giorni sofferti, incerti e non privi di polemiche. Il secondo fu la vicenda tragica di Romolo Tranquilli, culminata nella sua morte in carcere. Principalmente in questo periodo si dipanò anche l’amicizia di Don Orione che, accorso sulle macerie della Marsica, accolse poi nei suoi collegi tanto Secondino (poi Ignazio Silone) che Romolo Tranquilli. Un’amicizia, va detto subito, tutt’altro che “tranquilla” per la natura inquieta dei due giovani cui corrispose, da parte di Don Orione, una tenacia non formale o paternalistica ma arrischiata e fiduciosa nel talento e nella bontà dei due fratelli pescinesi.

          

DOPO IL TERREMOTO
 

“Una di quelle mattine grigie e gelide - racconta Silone -  dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie, attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo. In quel mentre, arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, co­minciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece allora avanti e, col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po’ di tem­po la libera disposizione di una di quelle macchi­ne, in modo da poter trasportare gli orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima ancora in attività. Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire.[9] [...] Assieme ad altri, anch’io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me: “Chi è quell’uomo straordinario?”. Una vecchia, che gli aveva affidato il suo nipoti­no, mi rispose: “Un certo don Orione, un prete piuttosto strano”.[10]

Romolo fu tratto dalle macerie ferito ad una spalla. Venne quindi preso in cura dal Patronato Regina Elena[11] con altri ragazzi orfani per essere sistemato presso istituti religiosi o altri enti. Gli toccò in sorte di essere infine ospitato all’Istituto San Filippo di Roma e in altre Case dell’Opera di Don Orione. Secondino, invece, restò ancora per qualche tempo a Pescina, sotto la tutela della nonna. Infine, non potendo continuare gli studi iniziati al seminario vescovile, inagibile dopo il terremoto, fu accolto all’Istituto Pio X di Roma.[12] Da qui fu tuttavia dimesso per indisciplina e gli fu prospettata, come ultima spiaggia, la possibilità di essere accolto da Don Orione stesso. Questo nome suscitò subito nell’irrequieto giovane affetti e speranze, di fatto poi non deluse. Silone dedicherà il più bel capitolo di Uscita di sicurezza a l’”Incontro con uno strano prete”– Don Orione appunto – che l’accompagnò da Roma a Sanremo, sede del Convitto San Romolo, presso il quale il ragazzo avrebbe poi terminato il corso ginnasiale.[13]

Don Orione aveva una capacità sorprendente di seguire i suoi “figliuoli”, presenti a centinaia negli istituti sparsi in tutta Italia. Il fatto che egli abbia conservato 14 lettere del giovane Silone lascia pensare ad una particolare stima personale. Anche Silone, del resto, riandò sempre volentieri ai tempi trascorsi vicino a Don Orione, quasi come a una fonte della sua vicenda umana e della sua identità.[14] Ne parlò in molte occasioni, a volte ammirato e commosso:

“A chi, non avendo conosciuto Don Orione, mi chiede di riassumere, in poche parole, quali tratti di lui mi siano rimasti più impressi nella mente, credo di poter rispondere in questi termini. Cominciando da un dato fisico, il particolare più notevole della sua persona era lo sguardo, come si può vedere anche da certe fotografie. Per la statura media, il colorito bruno, e altri tratti somatici, benché piemontese, Don Orione somigliava piuttosto ad un contadino sardo. Ma il suo sguardo era straordinario. Esso era, nello stesso tempo, benevolo e profondo; con una trasparenza che, in certi momenti, suggeriva l'idea della chiaroveggenza.

Questa dote, la chiaroveggenza, che quasi sempre si accompagna, se non a corruccio, a severità, in lui produceva invece la compassione. Con tutto ciò, nonostante quella e altre sue eccezionali facoltà, egli appariva uomo di rara semplicità e naturalezza, tali da indurre, anche un ragazzo che vi fosse restìo, ad essere, almeno con lui, semplice e naturale. Infine, stimolato da alcuni miei ricordi, devo menzionare, pure a costo di essere frainteso, come uno dei tratti più salienti di Don Orione, fosse la sua fede. Indubbiamente egli credeva in Dio. Mi si può osservare che il numero dei credenti è stragrande; certo, anch'io conosco le statistiche, ma c'è modo e modo. Don Orione, visibilmente, credeva nella continua presenza ed assistenza di Dio, al punto di avere l'impressione, in certe contingenze, che ogni frontiera, tra il naturale e il trascendente, per lui sparisse.  In un paio di quelle occasioni, e pur per caso, ebbi modo di meravigliarmi dell'assoluta tranquillità di Don Orione. Se Dio è malcontento del nostro lavoro, egli diceva, ha pienamente ragione di mandarlo per aria; ma se l'approva, in qualche modo ci aiuterà”.[15]

Don Orione accompagnò Secondino Tranquilli a Sanremo e subito si adoperò per iscriverlo alla IV ginnasiale.[16]  “Il Convitto di San Remo – come ricordò poi Silone - non era un noviziato, né un seminario. [...] Non era neppure un “collegio” nel senso anglo-sassone del termine, dato che frequentavamo il ginnasio statale; era un pensionato per studenti, dei quali nessuno manifestava tendenze alla vocazione ecclesiastica”.[17] La convivenza al San Romolo non fu del tutto pacifica: i “marsicani” formavano un gruppo isolato, alcuni erano molto problematici, non erano visti con simpatia, fatti oggetto di giudizi spesso irrispettosi e tenuti a distanza da compagni e qualche volta dai superiori.

“Insomma, - scrive l’adolescente Secondino Tranquilli - per tutte queste cose si era venuto creando in noi uno stato morale tale che si è ripercorso in tutta la disciplina. Come potevamo amare superiori che ci maltrattavano? E quindi quell’astio, quella noncuranza nell’ubbidire… E appunto per ciò, io confesso di essermi portato male in Chiesa, in refettorio, a ricreazione, confesso lealmente che ho risposto male ai superiori”.[18]

Don Felice Cribellati, direttore a Sanremo e poi vescovo a Nicotera e Tropea, ricorda così Secondino Tranquilli:

“Era un giovane piuttosto chiuso in sé, che non comunicava con i suoi compagni, tanto meno con quelli più indisciplinati e di tendenze associative uso cosche e camorre. Lo faceva per un senso di dignità personale e perché sentiva di non aver nulla da dividere con loro. D’altra parte non è che svelasse tendenze speciali… al misticismo. Si limitava a osservare l’indispensabile della disciplina insieme morale e religiosa del convitto”.[19]

Durante l’estate del 1916, Don Orione concesse a Secondino ed altri suoi compagni di  recarsi in vacanza presso l’Istituto di Cuneo. Ne scrisse a Don Sterpi da Roma il 26 luglio: “Avvertite Cribellati che domani partono da S. Remo, accompagnati da Don Quadrotta per Cuneo, i seguenti: Amiconi, Tranquilli e Pulsoni”.[20] Proprio dalla casa di Cuneo Secondino espose a Don Orione i propri desideri, compreso quello di lasciare l’ambiente di Sanremo.

“W Gesù.  Carissimo Padre in Gesù Cristo,

avvicinandosi il principio d’un nuovo anno scolastico, e quindi una decisione del Patronato, pur sicuro che Lei farà, nel mio interesse, tutto ciò che potrà, vorrei esporLe qualche mio desiderio.

 1° Vorrei rimanere in un Collegio della Sua Congregazione. Lei, quest’anno, è stato scontento di me. E’ giusto: anch’io sono stato scontentissimo di me, e perciò ho deciso di finirla. La prego di non sorridere a questi miei propositi, ché mi farebbe male. Non è sempre vero che il lupo cambia il pelo, ma non il vizio. E poi, non credo di essere, del tutto, lupo.

 2° Vorrei passare il futuro anno, con nessuno dei miei compagni (marsicani) di S. Remo: parlo dei grandi. Perché allora sarei daccapo, con danno mio, loro e dell’Istituto. Soprattutto con danno mio. (…)

Spero che, in tutto ciò che potrà, vorrà accondiscendere ai miei desideri. Non avrò belle frasi per ringraziarLa, ché sono poco espansivo; ma la mia preghiera più bella, più calda, la  prima preghiera della mia nuova vita, la preghiera ai miei morti, sarà per Lei, e per la Sua Congregazione”.[21]

Don Orione rispose subito.[22] E Secondino, a sua volta, gli scrisse:

“Ella non può immaginare con quanta gioia ho ricevuto la sua, del 28 corr. Da quanto tempo non sentivo  parole così sincere, buone, affettuose! Ed, in verità, solo un cuore di  padre può dire certe cose… Faccia di me quel che le pare, ugualmente contento di restare qui che andare a Tortona, che tornare a Pescina, solo perché Lei me l’ha detto, e dicendolo ho sentito la  voce di mio padre, l’alito di mia madre, il desiderio  di un santo…”.[23]

 

A REGGIO CALABRIA
 

Per l’anno scolastico 1916-1917, Don Orione preferì inviare Secondino a Reggio Calabria, presso l’Istituto San Prospero.[24] La scelta fu dettata da vari motivi: il desiderio di Secondino di essere separato dagli altri suoi compagni marsicani che mal sopportava a Sanremo, le sue sofferenze polmonari, che richiedevano un clima più mite. Appena giunto nella nuova destinazione, il ragazzo scrisse subito, il 29 ottobre, al suo “Carissimo Padre in Gesù”:

“Ho meditato tanto sulle sue parole. Ed ho trovato tantissime ragioni per rimaner qui, fortissime ragioni per andare a Messina, quindi decida Lei. Io ho molto paura di me stesso, e vorrei essere in un ambiente isolato, ma ho in me un fuoco irresistibile che mi spinge a far del bene e vorrei essere in mezzo al mondo. Ma se Lei mi promette che prega un po’ per me e che mi scriverà ogni mese (si ricordi che me l’ha già promesso, eh!) io allora vado contentissimo e sicurissimo. (…) Avrei tante altre cose stupide da dirLe, ma non so esprimermi e poi Le farei perdere troppo tempo. Vede cosa ci guadagna a darmi tanta confidenza? Ogni tanto riceve una mia lettera, eppure le vorrei scrivere ogni sera prima di mettermi a letto, ed ogni mattina appena svegliato”.[25]

Al San Prospero Silone trovò una comunità a dimensione familiare, con a capo l’amabile figura di Don Silvio Ferretti, cui riservò sempre un grato ricordo:

“Conobbi Don Ferretti -- scriverà Silone --, all’Istituto San Prospero di Reggio Calabria, nel 1917, durante la Prima guerra mondiale. Eravamo in tre o quattro ad abitare in una casa che poteva ospitarne almeno una dozzina; il che vuol dire che costituivamo una famigliola senza alcun regolamento (io frequentavo la prima liceale), con Don Ferretti padre benevolo. Egli aveva un carattere molto dolce, paziente e tollerante. Non l’ho mai visto in collera”.[26]

Nella nuova casa dovette giungere in grande povertà se in una nota manoscritta informò:

“Tranquilli Secondino. Mi occorre quasi di tutto. Perché ho soltanto: un paio di lenzuola, due camice strappate, un sol paio di calze, la divisa di S. Remo ed un altro calzone bleu, due paia di scarpe rotte, un berretto vecchio della divisa di S. Remo, 2 fazzoletti, 2 mutande strappate, nessuna coperta, nessun tovagliolo, nessuna federa”.[27]

Anche al San Prospero, nonostante i volenterosi inizi, Secondino tornò ai contraddittori comportamenti adolescenziali. Se ne confessò con Don Orione:

“La mia salute va benino: il clima di Reggio è buono, i miei studi vanno benissimo, l’anima… L’ambiente corrotto, un grave incidente avuto con mio fratello, la libertà datami, tante piccole cose, tutto ha fatto sì che in me si raffreddasse il fervore dei primi giorni. Avevo creduto di finirla una volta con quell’alternativa del bene e del male e mi sono disilluso. Ero come l’ubbriaco caduto nel fango che vuole e non può rialzarsi e che finalmente cessa ogni sforzo e s’addormenta per terra. Ed io sono stato per addormentarmi nel male. Quanto tempo non mi sono confessato! Ma ieri arrivò la sua lettera e non so perché quelle parole così ordinarie e semplici svegliarono (…)”.[28]

Gli studi di quell’anno furono fruttuosi tanto che, a giugno, Secondino poté annunciare a Don Orione: “Sono promosso senza esame… avrò una media superiore al 7”.[29] Col sopraggiungere del caldo estivo, però, cominciò ad avere problemi di salute (“Ancora non conosco il male che ho, perché ogni medico mi dice cose contrarie”), soprattutto ai polmoni, e manifestò ripetutamente a Don Orione il desiderio di essere trasferito in località più fresca. Probabilmente Don Orione gli diede una risposta che non lo soddisfece e Secondino, il 19 luglio del 1917, gli inviò un telegramma: “Non chiesi vacanze invernali ma estive, non preparazione esami febbraio ma ottobre, non villeggiatura polare ma italiana. Tranquilli".[30] Un telegramma di Don Silvio Ferretti del 23 luglio 1917 lascia capire che Secondino in quel periodo si trovava ancora a Reggio Calabria: “Tranquilli visto ritardo trasferimento, urgendo preparazione esami,[31] rinunzierebbe partire, scuole istituto chiuse”. Sul foglio del medesimo telegramma Don Orione annotò la risposta: “Patronato disposto agevolarlo, scriva chiaro ciò che vuole. Orione”.[32]

 

L’AVVENTURA DI UN GIOVANE SOCIALISTA
 

Silone, dunque, nell’estate del 1917 lasciò Reggio Calabria e tornò a Pescina. Le notizie di questo periodo sono piuttosto scarne. Si sa che poco dopo Secondino si trasferì a Roma e che ebbe seri problemi di salute. “A diciott’anni ho abbandonato gli studi su consiglio di due o tre medici, perché, così mi assicuravano quei pozzi di scienza, ‘non vivrai più di un anno’. [...] Ho lasciato perdere lo studio, fedele al proverbio italiano: meglio un asino vivo che un genio morto”.[33]  Cominciò così per Secondino una nuova libertà, anche psicologica. Al suo ex direttore di Reggio Calabria, Don Silvio Ferretti, scrisse una lettera scanzonata e ostentatamente fiera della sua nuova libertà.

“Passo il tempo abbastanza spensieratamente. La salute va benino. Ai 15 di marzo passo visita. Per ora sto solo, poiché con i parenti non andavo d’accordo, ma così non può durare ancora molto.

Il Commissario di Pescina non volle concedermi la baracca; sicché sono stato costretto a rinunciare al mutuo per farmi dare una casetta a cemento armato.

E’ abbastanza elegante, sono tre vani. A Pescina la si chiama: casa dei diavoli, perché n’esce sempre un gran fracasso, e più di notte che di giorno. Siamo una decina tra studenti, vagabondi, operai e… gente allegra, che spesso richiamiamo nella mia baracca i carabinieri. Del resto non facciamo nulla di male: si canta, si ride, si mangia, si beve, si balla. Soprattutto si beve e si canta. Io non sapevo di aver mai cantato in vita mia se non solo; ora canto da mane a sera. E guai se non fosse così!.

La zoventù xe un fior / Ch’apena nato el mor / E doman [i] gnanca mi / Sarò più quelo. Del resto all’avvenire penso pochissimo: è troppo buio. Alla morte non penso mai: è troppo amara. Ed io amo le cose liete, le cose ghiotte, amo il vino e l’allegria. E vegna quel che vol / Lassé che vaga.

Ma con la partenza del ‘900 (a me mi riformano), rimarrò quasi solo. Per cui ho pensato, così, da qualche giorno, come son solito, di prendere moglie: s’intende non civilmente e tanto meno religiosamente. Civilmente, forse, se il matrimonio privato avrà le sue conseguenze. E allora sarà un guaio col Patronato. Ma con la furbizia si riesce a tutto. In ogni modo, conto sul vostro aiuto e su quello di don Orione. (…) Se riesco agli esami m’impiego al Genio Civile di Pescina. Anche perché possa mantenere la mia futura metà. E a San Prospero cosa fate? Chi sa che silenzio ora che non c’è più Tranquilli”.[34]

Ma “la libertà non è cosa da ricevere in regalo”,[35] osserverà più tardi Silone. La nuova, ostentata ebbrezza cedette ben presto il passo al realismo che si trasformò in un desolato grido di aiuto. Il 29 luglio Secondino scrisse contemporaneamente sia a Don Ferretti sia a Don Orione.

“Caro Don Ferretti, ecco che la superbia, partita col treno, torna a piedi e zoppicando! Vi scrivo per chiedervi un favore: fatemi del bene!
Riassumendo: 1° - studi = disastrosi; 2° - salute = pericolosa; 3° - anima = (non l’ho più, non ci credo più!).
[...]  Se sapeste come sono ridotto, voi mi aiutereste ed io non so come meglio fare per darti [sic!] una idea del mio stato che dicendovi: provvedete, se potete in un mese. Scrivetene a Don Orione, scrivete a Don Felice (ricordatemi a Don Felice e sono sicuro che Don Felice mi aiuterà!)”.[36]

La lettera di Secondino a don Orione, scritta lo stesso giorno, è più interiore e riflessiva; svela un dissidio intellettuale e spirituale.

“Caro don Orione, vi scrive Tranquilli e non vi chiede il favore di leggerlo, perché n’è sicuro. (…) Io credo (lo credono tutti che mi conoscono) di essere socialista e dianzi vi ho parlato di anima e di perdono! Ah preferisco essere un materialista incoerente, ché quando, giorni fa, riandavo con la mente i capisaldi del marxismo, e mi intrattenni sui fini ultimi dell’uomo e della società, sentii tanto gelo, tanta desolazione e con terrore m’accorsi (ah! che materialista!) m’accorsi che la mia nuova fede mi avrebbe senz’altro condotto al suicidio appena che un dispiacere un po’ forte m’avesse percosso.

Temevo il bivio ed ecco che vi sono sospeso ed ho paura. Oh perdonatemi, padre ed aiutatemi! “In certi casi della vita si salva soltanto chi ha un figlio, chi ha un padre, o chi crede in una vita ventura.” Mi sono ricordato che un giorno voi scrivendomi mi chiamavate figlio ed io, padre.  Ho ricercato tra le mie carte le vostre lettere e le ho rilette tutte ed ho pensato tanto, ed ho sentito sempre più in me, nella parte più profonda di me il gelo ed ecco che vi scrivo e tremo.

Padre, la mia salute è rovinata, i miei studi sono rovinati, io voglio ancora riedificare, riedificare, riedificare! Aiutatemi!”.[37]

 

A questo grido di aiuto Don Orione rispose con discrezione e sapienza pedagogica. Non volle controbattere polemicamente né minimizzare paternalisticamente; fece tuttavia sentire la propria comprensione e accostò la propria esperienza a quella del ragazzo. Mediante interrogativi e consigli, attivò il senso di responsabilità del giovane.

“[Io faccio di tutto] per rinserrarmi a una più alta visione della vita e considerare gli avvenimenti da un punto di vista più eccelso, da dove appariranno, è vero, un po’  più piccoli di dimensioni, ma se ne scorge anche le supreme vette, oltre le terrene basi. Dà una forma netta e precisa a quanto hai in  animo di fare, attento ai malsani contatti intellettuali, leggimi col cuore e non con gli occhi.  Tu sei per me un interrogativo, che ogni giorno diventa, per me, più grande e impressionante. Molte ragioni non mi permettono di darvi una risposta. Tu hai davanti un gran bivio – un tremendo bivio -, con una idea molto eletta della vita […]”.[38]

Dopo questo scambio di lettere la corrispondenza di Secondino Tranquilli si interrompe.[39] Secondino intraprese la propria strada autonoma, alternando gli studi con un vivace attivismo nel movimento giovanile socialista. L’orientamento umanitario e socialista, consono con le sue origini popolari abruzzesi e con le prime sofferte esperienze vicino ai contadini, si alimentò delle idee e delle amicizie intrecciate nell’ambiente giovanile della scuola. La volontà di riscatto dei poveri, l’elevazione delle masse popolari, la lotta contro le ingiustizie e le oppressioni lo portarono ad entusiasmarsi per il progetto socialista che, con le notizie della rivoluzione dell’ottobre 1917 in Russia, appariva come un messianismo salvatore cui consacrarsi con tutte le forze. E Secondino prese a impegnarsi attivamente nel movimento rivoluzionario romano.

Della vita di Silone negli anni che seguirono poco si sa, salvo quanto si riferisce al suo impegno politico pubblico o è rivelato in qualche suo accenno autobiografico.[40] Il primo documento della sua attività propagandistica è una sentenza a suo carico, registrata nel Tribunale di Avezzano nel 1918; si tratta di una ammenda di 100 lire per avere lanciato pietre contro la caserma-baracca dei carabinieri di Pescina dove erano rinchiusi alcuni giovani di leva renitenti. Poi, nell’agosto del 1919, lo si incontra già nella carica di segretario dell’Unione Socialista Giovanile romana.

Dalle fonti orionine sappiamo che, lasciato il sicuro rifugio della casa di Don Orione, il problema principale per il ragazzo divenne il lavoro, quasi impossibile a trovarsi, tanto più che egli era noto come socialista sovversivo. Hanno stretta aderenza autobiografica le parole che Silone attribuisce al rivoluzionario Murica in Ed egli si nascose: “Io ero uno studente provinciale povero timido goffo solitario in una grande città; ero inetto ad affrontare le mille meschine difficoltà dell’esistenza, le piccole umiliazioni e offese quotidiane”.[41] Secondino girovagava per Roma alla ricerca di qualche lavoro occasionale, mangiava quando poteva, trovando rifugio alla notte in luoghi di fortuna, a volte in un cantuccio del Colosseo. E’ di quest’epoca l’episodio del “Natale in via Rusticucci”, che si fissò nella memoria di Silone come una ulteriore parabola della fine umanità di Don Orione.

“Avevo circa vent’anni e facevo il giornalista in un periodico molto avversato – racconta Silone - e quindi vivevo miseramente alla insaputa di tutti. Il giorno di Natale andai in una trattoria, cercando di stare in una cifra modestissima, ma alla fine il conto superò la cifra in mio possesso. L’oste volle il mio consunto impermeabile come pegno per il resto della somma. Pioveva. Uscito, ricordai che pochi giorni prima avevo visto Don Orione passare in carrozzella. Decisi di recarmi a cercarlo a Sant’Anna, sperando di trovarlo. Il portiere, pur assicurandomi della di lui presenza, non voleva farmi entrare. Insistetti e mentre confabulavo con il portiere, Don Orione scese e dopo avermi salutato ficcò una mano in tasca e poi mise in mano a me una somma di poco superiore a quanto dovevo pagare. Cosa singolare il gesto di Don Orione, al quale fino a quel giorno mai avevo chiesto denaro”.[42]

        L’ascesa politica di Silone fu rapidissima: nell’agosto 1919 divenne segretario dell’Unione Giovanile Socialista romana; nell’ottobre successivo venne eletto membro del Comitato centrale della Gioventù Socialista Italiana; nel novembre venne chiamato a far parte dell’Internazionale Comunista Giovanile; nel gennaio 1920 assunse la direzione del settimanale socialista “L’Avanguardia”; al congresso socialista di Livorno del gennaio 1921 nasce il Partito Comunista d’Italia e Silone entra nel Comitato Centrale; nel giugno successivo, partecipò al III congresso dell’Internazionale.[43] Negli anni seguenti la militanza lo condusse a vivere in semiclandestinità spostandosi in vari paesi d’Europa. Continuò la sua relazione con Don Orione? Tutto porta a pensare di sì: per l’intensità e il rispetto del rapporto instaurato, per la presenza nelle case orionine del fratello Romolo, per alcune testimonianze di incontri avvenuti. Don Orione, ad esempio, in una lettera del 1920 a Onofrio Presciutti, scrisse:

“Mi sono incontrato in questi giorni, in treno, con Tranquilli Secondino, quello di Pescina, il I dei fratelli, non so se tu lo conosci: un bolscevico.  Veniva dalla Russia[44] e andava in Ispagna, evidentemente a farvi della propaganda.  Non l'avevo visto, egli viaggiava in 2.da ed io in 3.a: egli vide me, e corse a cercarmi, pieno di commozione e di affetto.  Proprio oggi, mi manda da Madrid un giornale: è Cristo che rinasce”.[45]

            La vita clandestina non impedì a Silone di venire in Italia pur con il rischio di essere identificato e arrestato. Il biografo Sparpaglione riferisce di avere ascoltato da Don Orione il seguente episodio.

“Una volta lo salvai dalla cattura mettendomi al suo fianco, alla stazione di Milano, perché mi accorsi che era pedinato da poliziotti travestiti. Discorrevo con lui come se fosse un mio amico e cambiavo continuamente posizione per evitare che all’atto di individuarlo tentassero di bloccarlo, essendo autorizzati a sparargli a vista, se avesse tentato la fuga. I poliziotti che non lo conoscevano personalmente, pur avendo dei sospetti su di lui, vedendo quel signore parlare tranquillamente con un prete, deposero ogni sospetto, ed egli ebbe il tempo di salire sul treno che lo riportava oltre confine. Naturalmente non finivo di raccomandargli di essere più cauto e prudente”.[46]

 

ROMOLETTO
 

A prendere il posto di Secondino sotto il tetto di Don Orione arrivò, nel 1919, il fratello Romolo. Silone ricorda: “Dopo il terremoto Romolo fu ricoverato per prima a Palazzo Madama, a Roma, residenza della Regina Margherita. La Regina ve lo fece trasportare dal Policlinico, dove Romolo era degente per la rottura di una spalla. In seguito la stessa Regina lo mandò all’Istituto del “Sacro Cuore” dei Salesiani, in via Marsala, a Roma, dove rimase, credo, un paio di anni. Al tempo del terremoto Romolo aveva 11 anni, aveva cioè già terminato le elementari. Al “Sacro Cuore” infatti fu iscritto al ginnasio”.[47] Dal Patronato Regina Elena Romolo fu poi affidato a Don Orione che lo indirizzò all’Istituto “San Filippo” di Via Alba a Roma. Il 3 febbraio 1919, Romolo fu accolto da don Orione a Tortona, nel Convitto Paterno, dove rimase fino al 20 ottobre del 1920.[48] Venne iscritto al ginnasio “Carlo Varese” sito nei locali abbandonati di un pastificio genovese di Porta Voghera. Secondino, pur nella vita movimentata in cui si era avventurato, scrisse subito al fratello giunto a Tortona da due settimane.

“Roma, 21 febbraio [1919].

Caro Romolo, scusami se tardo qualche volta a risponderti. Son tanto contento che tu ti trovi bene: del resto n’ero quasi certo. In ogni modo ti ricordo che lo star bene dipende da noi e che fino a quando fosti buono, anche nel S. Cuore stavi contento. E adesso sono contento di tutto anch’io, perché ho trovato quello che cercavo e la cui mancanza non mi dava pace. Ho ripreso con lena a studiare regolarmente. Ossequi ai tuoi superiori. Baci da tuo fratello Secondino.

P.S. Quando mi riscrivi porta la lettera a Don Orione perché deve aggiungervi qualche rigo, come tu mi hai scritto”.[49]

        A Tortona, Romolo “studiava alle Medie (ginnasiali) all’Istituto Tecnico che stava sopra il muraglione del Probandato di Via Mirabello… Era già allora focoso, di sinistra; partecipava ai comizi e riunioni politiche”.[50]  Dai compagni e dai superiori fu in genere ricordato come insofferente alla vita comune e alla disciplina. Spesso marinava la scuola incappando anche in compagnie non raccomandabili sia per comportamento che per ideologia. E’ conservato un altro biglietto di Secondino al fratello Romolo.

“Pescina, 20. 1. 20.
Caro Romolo, appena “tornato (per sempre) a  riveder le stelle” sento la necessità di scriverti. Per la fine di febbraio [verrò] anche a trovare costà. Sto per pochi giorni a Pescina e ho saputo dalla nonna e da [illeggibile] e da altri tue notizie. Per l’avvenire spero di saperle direttamente. Saluti e baci, Secondino  Tranquilli”.[51]

        Romolo, durante la sua permanenza a Tortona, si rese protagonista di un episodio increscioso che restò famoso nell’ambiente. Don Orione ricordando l'accaduto lo definirà una birichinata.

“Mi fece però, in quel periodo di tempo, qualche birichinata, dirò la più grave: il primo Maggio, egli ed un altro orfano, mi fuggirono dall’istituto e presero parte alla dimostrazione socialista di Tortona; e mi fu riferito che il Tranquilli si sarebbe alzato tra i socialisti, a parlare contro di me come se l’educazione in cui erano cresciuti li soffocasse nelle libere manifestazioni. Mi fu pure detto che fu zittito dal pubblico, o perché tutta Tortona sa come tengo i ragazzi, o perché pareva a qualche elemento più temperato dell’adunanza, che fosse atto d’ingratitudine. A me quell’atto ha fatto del bene nel senso cristiano ed ho cercato neanche di far sapere, a quei due poveri figlioli, che conoscevo la loro mancanza, subito al loro ritorno. Poi, a mente calma, ho fatto il mio dovere richiamandoli sulla buona strada”. [52]

Don Orione, dopo l’accaduto, avrebbe voluto licenziarlo. Ma poi prevalse la ragione del cuore e Romolo rimase a Tortona fino alla licenza ginnasiale.[53] Da Roma, scrisse a Don Sterpi il 5 maggio successivo:

“[Roma] 5 Maggio [1920] - pomeriggio ore 17.  Caro Don Sterpi, Tranquilli si potrebbe mettere in pensione fuori, ma Sallustri? Una volta che abbia data la licenza, vada in Domino. E così vi direi di fare anche con Tranquilli, e quindi limitarvi ad un castigo pubblico e continuativo per una settimana”.[54]

Don Orione, in seguito, confiderà:

“Romolo non era un ragazzo cattivo, ma molto vivace e incline a seguire le idee sovversive del fratello. Anche a Tortona c’erano dei sovversivi, specialmente nel rione San Bernardino, e vi organizzavano comizi contro lo stato e contro la Chiesa. Romolo vi si associava; anzi era uno dei più accesi sostenitori di quei movimenti… Quante volte ho dovuto presentarmi in questura a sentire le lamentele delle autorità, e a buscarmi i loro rimbrotti, perché dicevano che in collegio tenevo giovani indegni della patria e della religione. Ma, se questi poveri ragazzi non li teniamo a freno noi, dove andranno a finire? Quelli della questura avevano pure ragione; ma, poveretti!, essi non sapevano o avevano dimenticato quello che Don Orione dovette soffrire per tirarlo fuori dalle macerie; quello che il povero Romolo ha sofferto per la perdita della mamma e di quasi tutti i parenti. Gli era rimasta solo la vecchia nonna che mi affidò i due nipoti perché li sfamassi, li facessi studiare e soprattutto facessi loro da padre! Ecco perché me lo tenevo vicino”.[55]

 


A SANREMO
 

Per l’anno scolastico 1920-21,[56] Romolo fu trasferito da Tortona al Convitto San Romolo di Sanremo.  Don Orione riassume così quest'altro capitolo di vita di Romolo.

“Nell’Ottobre del 1920 lo mandai a S. Remo perché frequentasse quel regio Liceo. Egli abitava  nel Convitto S. Romolo. Fu a S. Remo che, dopo qualche tempo, si diede allo Sport marinando la scuola, e nel Gennaio 1921 fu fortemente richiamato dal Direttore del Convitto, Sac. Giulio Quadrotta ora defunto, e dal preside del Liceo; mentre il Tranquilli aveva ripreso di buona volontà a frequentare la scuola, una romanzina, forse troppo violenta, del preside, lo avvilì tanto ch’egli non intendeva più frequentare il Liceo… Gli feci allora dare lezioni private; ma visto che non concludeva, lo rimisi al Patronato (Regina Elena) dal quale seppi che era stato messo in collegio a Velletri”.[57]

A Sanremo, Romolo frequentò il Liceo statale “Cassini”[58] con vari compagni marsicani ospitati dopo il terremoto. Alcuni divennero poi sacerdoti orionini: Attilio Piccardo, Luigi Del Rosso, Francesco Di Pietro, Gaetano Piccinini. Aveva una taglia atletica, amava lo sport, era di intelligenza eccezionale; era incostante e si applicava poco ma riusciva bene. Romolo dedicava qualche ora del suo tempo anche alla tipografia e alla scuola di musica nella banda, in cui figurava da prima cornetta. A Sanremo tuttavia si lasciò ancora prendere dalla passione politica; in periodo elettorale trovò modo di impegnarsi attivamente in favore di un esponente socialista.

Marinava spesso la scuola usando l’accorgimento di presentarsi puntuale alla prima ora (quando si faceva l’appello), per poi svignarsela in Viale Imperatrice o chissà dove. Quando per sua sfortuna veniva interrogato dopo la prima ora, si scopriva il trucco e allora fioccavano le note di biasimo al povero direttore del collegio Don Giulio Quadrotta, costretto a redarguirlo severamente. Don Orione veniva informato da Don Quadrotta delle intemperanze di Romolo. Ne abbiamo notizia da una lettera del 15 gennaio 1921: “Ho avuto le tue due lettere e quella di Tranquilli. Ho pochissimo tempo. [...] Quanto a Tranquilli mi fa molto dispiacere, e gli scriverò ma ora non ho tempo”.[59]

Invece poi gli scrisse lo stesso giorno.

“Anime e Anime !  Tortona, il 15 Gennaio 1921

Caro Tranquilli, la tua lettera, che portava pure la data della tua orfanità, mi ha dato un grande e profondo dolore.

Ti farei venire qui, se questo potesse giovarti, ma, e per gli studi e per altre buone considerazioni, ritengo doveroso consigliarti e scongiurarti di restare a Sanremo. E ti prego di valerti in bene di ogni umiliazione per la disciplina del tuo spirito e per una vita ben più alta.

Hai mancato? Pensa a Dio, prega e prega e riprendi la buona via umilmente, ma decisamente. Presto dovrò andare in America; come potrei tenerti vicino a me?

Saremo però sempre spiritualmente vicini, [se] sarai un giovane onesto, un bravo figliolo. Se fossi a Sanremo, andrei a parlare al tuo preside; ma va tu e, qualunque accoglienza ti faccia, digli che hai capito di avere sbagliato, e di non meritare né di volere giustificare le tue assenze, che però vuoi metterti bene e che ti aiuti; e poi segui la voce di Dio, e fa bene: questo è il tuo dovere ora e sempre: chi fa bene, trova bene!

Coraggio, figlio mio! Don Orione ti starà vicino col cuore, come tuo padre e tua madre. Assicurami che farai così.

Ti benedico, ti abbraccio anche, con un affetto dolcissimo che non è terreno”.[60]

Ricevuta la lettera, Romolo subito rispose a Don Orione riconoscendo le proprie responsabilità ed esprimendo al tempo stesso amarezza nei confronti dei superiori del Convitto. E concluse: “Lei sì che mi vuol bene, Lei che è un santo Sacerdote, amico dei poverelli. Piango per i dispiaceri che le sto dando in questi giorni, ma  il Signore La consolerà; gli altri orfani sono tutti bravi e studiano con amore; la loro buona condotta riparerà la mia. Mi lasci al mio pazzo destino! Libererà il suo campo dalla zizzania.  Le bacio con affetto la mano.  Tranquilli Romolo”.[61] Don Orione comprese le angustie del giovane e lo scoraggiamento che avrebbe potuto spegnere in lui le energie migliori. Scrisse immediatamente a Romolo e quindi al direttore del Convitto:

         “Tortona, il XIX / I / XXI

Mio caro Tranquilli,

Ricevo tuo espresso: che dici, caro mio figliolo, di abbandonarti al tuo pazzo destino? Ma che destino d’Egitto! Il destino non esiste ed è figlio dell’ignoranza; ma, anche esistesse, tua madre mai t’abbandonerebbe al tuo pazzo destino, e così, farà Don Orione, fin che lo potrà.

Non mi è dato entrare oggi nelle tue querele con i Superiori del convitto; non lo potrei neanche; solo ti prego e ti scongiuro - a costo di qualunque tuo sacrificio - di vincerti, e di riprendere a frequentare le lezioni e mettendoti a fare bene.

Non mi dare questo dolore, che so di non meritare. So di fare il tuo bene: di questo non vorrai dubitare, passa dunque su tutto, e va avanti, poi tutto si accomoda”.[62]

Al direttore del Convitto, invece, diede le seguenti indicazioni:

“Anime e Anime!  Tortona, il 19 gennaio 1921

Caro Don Quadrotta, (…)

2) Ho ricevuto da Tranquilli, per espresso, la lettera che ti accludo, e gli ho risposto da stamattina, confortandolo a riprendere le lezioni e a mettersi bene, che poi tutto andrà a posto.

3) Ora però, se tu vedessi che, dopo alcuni giorni che gli vorrai dare nel Signore, egli rimanesse fisso e freddo nel non voler riprendere gli studi, allora ti fai dire che cosa intenda fare, e, se  ti chiedesse con insistenza di venire qui, me lo comunichi. Se, invece, fosse risoluto di andare a casa sua o al Patronato, avverti subito il Patronato e lo mandi. Pazienza! Mi dispiace che era un giovane di ingegno, che prometteva riuscire un buon cristiano; così finirà, forse, come suo fratello”.[63]

A distanza di una ventina di giorni, Don Orione tornò a chiedere a Don Quadrotta: ”E quel Tranquilli, s’è poi messo a posto?”.[64]   A questo punto, intervenne anche il fratello Secondino, forse su richiesta di Don Orione, il quale avvertì Don Quadrotta a Sanremo: “Quanto a Tranquilli Secondino se viene, è libero di venire a trovare il fratello nelle ore di parlatorio, e puoi anche concedere loro di uscire, e se chiede del fratello, dici le cose come sono”.[65] Le acque non si calmarono. Un certo giorno Romolo fuggì dal Convitto e girovagò nella zona di Genova facendosi notare dalla polizia. Fu schedato, tanto più che fu riconosciuto come fratello di Secondino Tranquilli, delle cui gesta gli schedari della polizia avevano già abbondanti note. Romolo stesso ricordando quel periodo riconosce: “Non mantenni una buona condotta, ero svogliato, sicché con grande dolore del sacerdote Don Orione, fui affidato ad un istituto di Velletri”.[66]

 


GLI ANNI DIFFICILI
 

Don Orione nell’agosto 1921 intraprese un viaggio missionario di un anno in Sud America. Romolo lasciò definitivamente le case di Don Orione; il Patronato Regina Elena lo aiutò a trovarsi una sistemazione a Velletri.

“Romolo faceva il liceo nel Convitto nazionale di Velletri – informa il fratello -. Il fascio del luogo costrinse il preside a espellerlo e rimpatriarlo.[67] Ogni tentativo di iscriverlo in altra scuola risultò vano. Quando io lo seppi gli consigliai di imparare un mestiere. Poiché lui fu senz’altro d’accordo, lo indirizzai a un mio conoscente che aveva una piccola tipografia a Roma, in via Crescenzio. La tipografia ben presto fallì”.[68]

Romolo trovò un alloggio di fortuna a Roma, presso Piazza Vittorio, in una mansarda che condivideva con un suo compaesano ed ex allievo di Don Orione, un certo Giuseppe Scamolla.[69] Vivevano da fratelli, in grande miseria. La residenza di Romolo a Roma si faceva sempre più insopportabile anche per i continui fermi di polizia. Romolo, nel 1924, si vide costretto a rientrare a Pescina.

“Era l’anno 1924 ed io dovevo adempiere il mio dovere di soldato - ricorda Romolo -. Partii nel mese di agosto. Mi congedai nel 1926, il mese di gennaio. Restai nel mio paese natio mi pare tre o quattro mesi, e poi andai a Roma, dove mio fratello mi disse che dovevo pensare all’avvenire e ritenne opportuno farmi imparare il mestiere di tipografo. Lavorai vari mesi come apprendista nella tipografia Risorgimento in Viale Giulio Cesare n.185. Ma il direttore non poteva pagarmi più tanto che mi prese per farmi un favore. Mio fratello non poteva sostenere le spese e io non avevo più denari… ritornai a Pescina. A Pescina restai ancora 3 o 4 mesi e ritornai a Roma con del denaro ricavato dalla vendita di un sito”.[70]

Furono anni durissimi durante i quali Romolo alternò i tentativi di trovare un lavoro remunerativo a Roma con ritorni umilianti a Pescina dove passava la giornata alla falegnameria di un suo cugino, Pomponio Tranquilli, ma senza amici, senza un mestiere o un impiego, sfruttando gli aiuti della nonna.

Ad aggravare la triste condizione di Romolo si aggiunse un altro fatto odioso e ingiustificato. “Fu in questo periodo di permanenza a Pescina che il Podestà locale lo invitò a restituire la carta di identità senza annotazioni e ne ebbe in cambio quella con la dicitura ‘sospetto in linea politica’. Il Tranquilli fece comprendere al Podestà come nulla egli avesse commesso che giustificasse un tale provvedimento che veniva a rovinare un giovane di 23 anni che senza la carta di identità non avrebbe potuto procacciarsi da vivere”.[71] Romolo fece ricorso al Questore di Aquila e consegnò il tutto al Podestà di Pescina che forse mai consegnò quella lettera in cui “il Tranquilli spiegava come egli fosse sempre stato estraneo alla vita politica”.

Lo stesso cugino Pomponio ricorda: “Nel 1926, all’epoca cioè che Romolo si congedò dal militare, venne qui a Pescina il fratello di Romolo, Secondino, e fu da allora che il fratello Secondino, vedendo che Romolo si trovava in difficili condizioni per tirare avanti, gli suggerì l’idea di seguirlo. Romolo non si seppe decidere”.[72]

“Come fratello maggiore – si giustificò Silone - e unico membro della famiglia rimasto, sentivo il dovere di aiutarlo e proteggerlo. Ma egli era liceale nel 1921 quando io diventai comunista. All’inizio riuscimmo in qualche modo a tenere i contatti ma dopo l’avvento del fascismo era sempre più difficile: incontrarlo l’avrebbe messo in pericolo; la corrispondenza veniva sequestrata e comunque censurata e non si poteva certo scrivere di politica”.[73]

Romolo preferì non seguire il fratello Silone. Si rivolse invece a Don Orione verso il quale nutriva sempre tanta confidenza. Inoltre, era in contatto con il chierico Antonio Cerasani che girava per i paesi della Marsica svolgendo attività di propaganda vocazionale per la congregazione orionina. “Non avendo avuto risposta a tale domanda [al Questore dell’Aquila per la restituzione della carta di identità pulita], il Tranquilli si rivolse al Reverendo Don Orione chiedendo lavoro di tipografo nella tipografia del Pio Istituto. Don Orione con una lettera nobilissima lo invitò a recarsi a Venezia ed il Tranquilli vi andò e vi rimase fino a pochi giorni prima della cattura”.[74]

Don Orione, da parte sua, così ricostruisce la vicenda:

“Lo vidi, qualche anno fa, mi disse che non studiava più, che faceva il tipografo: che aiutassi a farlo uomo, che aveva a Velletri  la fidanzata, che voleva crearsi una famiglia onorata e vivere da galantuomo.

Si raccomandava di essere posto in ambiente sano, tra operai laboriosi e di buoni principii. Io, conoscendo personalmente il Direttore della Tipografia Vaticana, Commendator Scotti, gli feci un biglietto di presentazione per lui. Ma non fu accettato.

Nell’estate del 1927 mi scrisse di nuovo, dicendomi che pativa la fame e scongiurandomi di aiutarlo: che era linotipista, ma non perfetto che gli bastava qualche mese per diventare un vero operaio: che lo raccomandassi ancora al Commendator Scotti; io non ho creduto di tornare a raccomandarlo, ma gli ho detto: vedrò se posso fare qualche cosa magari direttamente.

E, poiché a Venezia ho la Tipografia Emiliana, con la linotype, gli ho detto che, se era per qualche mese, per apprendere cognizione della macchina, lo avrei mandato là, ma non a carico dell’Istituto Artigianelli, perché non si trovava in una situazione da poter pagare operai in più.[75]

Egli disse che avrebbe potuto mantenersi per qualche tempo, perché aveva realizzato una somma dalla vendita, mi pare, di una casa.

Passò a Tortona in Dicembre e gli feci una breve lettera di presentazione pel Direttore della Tipografia Emiliana, perché lo prendesse per un mese o due...”[76]

E’ da pensare che dopo la lettera di Romolo ricevuta “nell’estate del 1927”, che suonava come un grido di aiuto, Don Orione volle incontrarlo a Roma. Infatti Domenico Sparpaglione, già compagno di scuola di Romolo, ricorda: “Lo rividi a Roma in Piazza Vittorio nell’estate del 1927, tra l’8 e il 12 agosto. Mi trovavo con Don Orione… e Romolo ci venne incontro. Li lasciai soli”.[77] 

 

ANCORA CON DON ORIONE
 

Dopo quell’incontro, Romolo Tranquilli fece di nuovo ritorno al “Paterno” di Tortona. A spiegarne la ragione è Don Antonio Cerasani: “In novembre 1927, parlai di nuovo a Don Orione di Tranquilli, e allora lui mi disse di chiamarlo a Tortona. Subito lo feci e pochi giorni dopo me lo vidi arrivare. Io temevo che non potesse viaggiare, perché vigilato politico; ma me lo vidi arrivare lì a Tortona. Credo che avesse documenti falsi”.[78] Anche Don Antonio Ruggeri, nativo di Pescina, e nel 1927 giovane aspirante al sacerdozio indirizzato proprio da Romolo a seguire Don Orione,[79] ricorda la venuta di Romolo a Tortona. “Mi apparve Romolo nella portineria. Gli corsi incontro come verso una cara persona di famiglia. Don Orione che era venuto a riceverlo, vedendoci insieme, disse: ‘Vi conoscete bene voi due, eh!’. Ma quell’incontro durò poco. Romolo mi informò che don Orione lo destinava a lavorare nella Tipografia presso il nostro Istituto Artigianelli”[80]. Don Ruggeri asserisce anche che Romolo gli confidò di essersi iscritto al partito comunista e di avere un grande timore nei confronti del fratello Secondino, tanto da fargli dire: “Guai a me se cado nelle mani di mio fratello!”.[81] Perché questo timore? Per paura di essere “traviato” dal fratello oppure perché questi non voleva assolutamente che lui entrasse nella militanza comunista?

Don Orione evidentemente nutriva ancora fiducia in Romolo e tentò di toccare la “corda del cuore”. Nel viaggio da Pescina a Venezia lo fece passare per i luoghi cari della sua prima giovinezza; gli fece incontrare alcuni suoi compagni orfani che ora erano diventati sacerdoti e avevano responsabilità nella congregazione: Cerasani e Piccinini a Novi Ligure,[82] Luigi Del Rosso ancora studente universitario a Genova, Di Pietro e Domenico Del Rosso, al collegio Dante di Tortona, Sparpaglione a Sanremo e, infine, Luigi Piccardo, responsabile della tipografia veneziana presso la quale sarebbe andato a lavorare. Don Orione confidava che questo pellegrinaggio della nostalgia e la vista di tanti buoni esempi gli avrebbero scaldato il cuore e raddrizzato qualche idea storta. Romolo, dunque, raggiunse Venezia. Don Orione riferisce:

“Nel Dicembre egli passò a Tortona proveniente dall'Abruzzo da dove mi indirizzò una cartolina postale pure acquisita agli atti. Gli feci una breve lettera di presentazione per Venezia; di là mi scrisse nel mese di Gennaio che era tranquillo e fiducioso, che imparava già bene, che studiava anche per dare la licenza liceale. Io fui a Venezia, dopo, e lo confortai a  fare sempre bene”.[83]

Romolo prestò il suo lavoro come linotipista e correttore di bozze presso l’importante Tipografia Artigianelli. Alloggiava nell’abitazione di Luigi Prando, anche lui dipendente e uomo di fiducia degli orionini, in Fondamenta San Biagio. Don Orione scrisse, il 17 gennaio del 1928, a Don Luigi Piccardo, che della tipografia era il responsabile: “Date le condizioni di codesto Istituto Artigianelli, non mi sento di aggravarvi oltre della pensione di lire 9 al giorno per Tranquilli, dato che la produzione che dà non pareggia la spesa. Quindi lo chiami e gli dici di provvedere”.[84]

 

LA TRAGEDIA DI ROMOLO
 

In quell’inizio del 1928 Romolo stava trovando un po’ di pace e soprattutto, a motivo del lavoro, più serene prospettive al suo futuro. La sua posizione con la polizia però era sempre critica: si doveva presentare settimanalmente in questura a firmare il foglio di presenza.[85] Risultavano suoi garanti il superiore degli Artigianelli, Don Luigi Piccardo, e il summenzionato Luigi Prando. Tutto filava per il verso giusto quando, sul finire del marzo 1928, Romolo abbandonò Venezia. Romolo "partì" e non  "scomparse" dalla casa di Venezia. Infatti,  secondo la testimonianza di Don Orione davanti al Questore di Genova: "Il 17 marzo ricevetti un telegramma da Venezia: la mattina dopo sarebbe arrivato il Tranquilli e che non lo lasciassi più ritornare a Venezia. Era senza firma".[86]

Il 18 marzo Romolo fece la annunciata visita a Don Orione, a Tortona.

Il 18 mattina  di detto mese, mi dissero che c’era un signore che voleva parlarmi, che si chiamava Tranquilli – testimoniò poi Don Orione -.  Io quella notte l’avevo passata malissimo e per di più, nel pomeriggio del 18, dovevo tenere a Genova una conferenza ai benefattori del Piccolo Cottolengo. Avendo febbre abbastanza alta feci dire che non lo potevo ricevere ma, dopo qualche minuto, udii bussare e mi venne in camera. Mi parve eccitato in volto, non sedette e non gli dissi di sedere. Mi venne come un lampo che egli avesse potuto lasciarsi trascinare dalla malefica influenza di suo fratello. perché mi disse che era passato a salutarmi. Mi rispose queste testuali parole che gettarono in me molta tristezza: “non lo so”.  Egli sapeva bene quello che avevo fatto per lui, per dargli in mano un’arte remunerativa e dargli una posizione onorata sottraendolo alle tentazioni di suo fratello”.[87]

Dopo questa fugace visita, Romolo diventò irreperibile. Da questo momento, la storia personale di quel giovane irrequieto esce da una dimensione privata perché collegata alla storia di uno dei fatti di sangue più noti e terribili dell’epoca.

Il 12 aprile - dunque Romolo aveva lasciato Venezia da diversi giorni -,  a Milano, alle 9.50, esplose una bomba in Piazza Giulio Cesare, nel luogo del passaggio del re Vittorio Emanuele III diretto alla inaugurazione della fiera campionaria. L’attentato provocò la morte di 18 persone e il ferimento di una cinquantina.[88] Scattarono subito le indagini per individuare i possibili autori della strage tra le file di anarchici, repubblicani e soprattutto comunisti.[89] La scomparsa di Romolo Tranquilli dal domicilio di Venezia era già stata segnalata alla Polizia.[90] Il 12 aprile sera, Romolo fu visto all’Hotel Bellavista di Brunate, sopra Como.[91] Alla richiesta dei documenti da parte dei Carabinieri egli salì in camera a prenderli e fuggì saltando dalla finestra. Seguirono ore concitate di ricerche in tutta la zona. Al mattino seguente fu avvistato a Tavernerio e poi a Capiago; infine, verso le ore 13 del giorno successivo, fu arrestato dalla Milizia di Erba in un bosco presso Montorfano. Nelle sue tasche furono rinvenuti documenti falsi a nome di Igino Zuppi e, per di più, furono trovati due foglietti contenenti schizzi di una piazza che poteva sembrare quella dell’attentato.[92] Al questore di Como, Mars,  Romolo dichiarò di essere passato da Milano il giorno precedente. C’era quanto bastava per incriminarlo e annunciare di aver trovato l’”assassino” o almeno qualcuno che nella faccenda era implicato.

"La Stampa" lanciò la notizia in prima pagina: “Un arresto sensazionale a Como”. E nell’occhiello: “Strano individuo con una tessera comunista, una misteriosa pianta e cartine di veleno. Fuga dalla finestra e drammatico inseguimento. Circostanze oscure, negazione e frasi contraddittorie: Se me la caverò con 20 anni di galera mi chiamerò fortunato”. Romolo fu incarcerato a Como e successivamente trasferito a Milano.

Nella vicenda venne presto coinvolto direttamente anche Don Orione che aveva accolto e aiutato Romolo nella sua ultima residenza, alla Tipografia “Artigianelli” di Venezia ove, già il 14 aprile, fu eseguita una perquisizione.[93] Il suo nome apparve sui giornali vicino a quello di Romolo in quanto suo ex alunno.[94] Ascoltiamo come Don Orione stesso diede resoconto dei fatti scrivendo a Don Antonio Ruggeri, che sapeva molto legato a Romolo.

“Senti! Devo darti una brutta notizia: nei giorni scorsi c’è stato un attentato al Re a Milano e hanno accusato Romolo di avervi partecipato. Io sono sicuro che lui non c’entra. Però era fuggito da Venezia e lo hanno scovato a Como in una stanza d’albergo. Ha tentato di fuggire, ma si è fatto male a una gamba e l’hanno preso. Io sono stato chiamato a deporre su di lui. Ripeto che non c’entra con l’attentato; ma è stato imprudente e si è compromesso durante l’interrogatorio, perché non avendo prove della sua colpevolezza è stato accusato di essere comunista, e lui ha risposto spavaldamente: ‘… me ne vanto!’.[95] Temo perciò che lo condanneranno. Se ci saranno fatti nuovi ti terrò informato. Tu intanto prega per lui”.[96]

Don Gaetano Piccinini, già compagno di Romolo, da Novi Ligure accorse a Tortona, da Don Orione. E ricorda l’incontro:

Cosa davvero insolita in quella sua stanzetta, le carte, che facevano sempre gran mucchio sul tavolo e attorno, quella volta erano tutte ben sistemate. Evidentemente aveva dedicato lunghe ore al riordino. Al centro del tavolino poi c’era una cartella in bella evidenza. (…) Era una cartella nuova di color verdognolo: osservandola da vicino, al suo centro, vi era proprio il nome di Romolo.[97]

Vedi? – continuò Don Orione -, dato che i giornali hanno fatto il mio nome, sento che oggi verranno prestissimo a interrogarmi su lui, ho voluto raccogliere qui, a sua difesa, le lettere che mi scrisse: bellissime tutte, povero figlio, specie quelle di questi ultimi mesi. Ecco, te ne voglio far vedere qualcuna. Guarda questa di quando, disperato, mi chiedeva lavoro. “Non mi sento marxista: non voglio esulare lontano; mi sento il Vangelo nel cuore, non voglio finire dall’altra parte”. Queste parole erano state, a rigoni rossi e verdi, sottolineate.

Guarda, guarda quest’altra in cui mi ringraziava dopo la sosta con voialtri e l’arrivo a Venezia.

Oh, quest’ultima è proprio di otto giorni fa! Ascolta. E qui lesse: “Grazie del bene che mi ha fatto e del bene a cui mi ha sempre guidato, e del male da cui mi ha trattenuto. Così li avessi sempre seguiti i suoi insegnamenti! Questo sento, però: che un pezzo di pane non me lo potrei mangiare, senza subito volgermi attorno per dividerlo con chi non ne ha. E questo mi viene tutto da Lei che sempre mi fece da padre”. Chi scriveva così otto giorni fa,[98]  prima di mettersi in cammino per un viaggio... avventuroso, pericoloso, che non avrebbe dovuto..., non può aver messo la bomba lungo i passi del re e di tanta povera gente. Lo difenderò contro chiunque, quel povero figlio!”. [99]

Don Orione ebbe subito un primo interrogatorio a Tortona sulla base del quale il Prefetto di Alessandria inviò un Rapporto alla Direzione generale della Polizia di Stato, datato 17 aprile 1928. Don Orione viene qualificato come “persona di ineccepibile condotta morale e politica, conosciutissimo per la sua opera altamente umanitaria e benefica a pro degli orfani”.[100]  Seguirono giorni di grande angustia per la sorte di Romolo ma anche per le pressioni fatte su di lui. “Venne infatti interrogato quasi subito a Tortona, mentre si andava predisponendo l’interrogatorio dei superiori della nostra Casa di Venezia”.[101] L’interrogatorio negli uffici della Questura di Genova avvenne il 22 aprile 1928. Don Orione stesso ne riferì ai confratelli che alla sera l’aspettarono di ritorno con ansia.

“Sono giunto a Genova, bene scortato... Alla stazione Principe ho trovato una macchina pronta: era della Questura. Mi han pregato di salire, e mi hanno accompagnato dal Questore, che mi ha interrogato a lungo. Da ultimo, parve convinto che da parte mia, non ci fosse proprio nulla, e d’improvviso mi disse: Sa che il giovane sta qui? Vuole lo metta a confronto con lui? Volentieri gli risposi. Il Questore si alza, si avvicina ad una porta, l’apre; ed ecco entrare il nostro Romolo, che mi salta al collo gridando: Don Orione mi salvi! Don Orione mi salvi! E piangeva come un bambino. Poi deve essergli venuto il sospetto che volessero arrestarmi, e allora si volse al Questore esclamando con irruenza: Come? Volete mettere in prigione Don Orione? Ma questo è il mio padre, il mio salvatore! È quello che mi ha salvato la vita...  Mentre stavo di là ho sentito tutto...”.[102]

Della testimonianza resa da Don Orione negli uffici della Questura di Genova, il 22 aprile 1928, sono state reperite due stesure: il Verbale definitivo[103]  e una "Bozza" dattiloscritta con correzioni manoscritte.[104] Inoltre, nell’Archivio Don Orione, è conservata una  minuta di Appunti[105] dei quali certamente si servì Don Orione durante la deposizione davanti al Questore. Nella deposizione, egli traccia una cronistoria della sua conoscenza di Romolo Tranquilli, racconta dell’ultimo incontro avuto con lui a Tortona, il 18 marzo 1928. Gli investigatori puntarono l’attenzione sulla conclusione dei ricordi di Don Orione.

Mi parve eccitato in volto, non sedette e non gli dissi di sedere; mi venne come un lampo che egli avesse potuto lasciarsi trascinare dalla malefica influenza di suo fratello tanto che gli chiesi: vedrai tuo fratello? Perché mi disse che era passato a salutarmi. Mi rispose queste testuali parole che gettarono in me molta tristezza: “non lo so”. Egli sapeva bene quello che avevo fatto per lui, per dargli in mano un’arte remunerativa e dargli una posizione onorata nella vita, sottraendolo alle tentazioni di suo fratello.  Dopo, il Tranquilli uscì subito e non lo vidi più, né ebbi alcun suo scritto. Successivamente appresi dai giornali che il Tranquilli era stato arrestato a Brunate”.[106]

        Gli investigatori vollero saperne di più su quel "non lo so" detto da Romolo a Don Orione prima di partire da Tortona per Genova. In un successivo interrogatorio, Romolo precisò:

"E' vero che a Don Orione, il quale mi domandava se a Genova mi sarei trovato con mio fratello, risposi 'io non lo so'. Così ho detto perché allontanandomi da Venezia avevo fatto capire che dovevo andare con mio fratello Secondino per alcuni giorni. Era questa una scusa per giustificare la mia prossima partenza verso i superiori dell'Istituto degli Artigianelli di Venezia; ma non è affatto vero che io abbia visto mio fratello, né che avessi fondate speranze d'incontrarlo".[107]

Alla sera di quel 22 aprile, Don Orione tornò a Tortona rasserenato per quanto riguardava la posizione di Romolo. Scrisse per ringraziare il Questore.

“Gentilissimo Sig.r Questore,

Ieri sul partire avrei voluto abbracciarla, per dirle tutta la profonda e santa impressione che avevano prodotte in me le esortazioni più che paterne che ella aveva rivolte a quel povero figliolo.

Non l’ho fatto per non mortificare lui, Ella però nella sua intelligente bontà, avrà ben sentita tutta la alta stima che ho riportato di lei quando ho detto al Tranquilli: vedi che non ti ha parlato da questore, ma da sacerdote.

Permetta, distinto signore, che ancora la ringrazî e mi permetta di abbracciarla in Domino. Iddio la benedica!

Suo umile servitore in X.sto,

Sac. Orione”.[108]

Evidentemente Don Orione fu interrogato in varie occasioni se solo il 30 aprile poté finalmente scrivere a Don Carlo Pensa, superiore degli Istituti del Veneto: “Caro Don Pensa, qui – cioè a Tortona – non fui più interrogato sul Tranquilli: ho consegnato le lettere di lui al questore di Genova. Era presente anche il Tr. che poi deve essere stato ricondotto a Milano...”.[109]  Anche all’amico Don Bistolfi, di Torino, nella stessa data, comunicò: “Il Questore volle che vedessi il Tranquilli, il quale pare non c’entri affatto nell’eccidio di Milano: era a Nervi, mi dissero”.[110]

La ricostruzione dei movimenti di Romolo dopo la sua partenza dagli “Artigianelli” di Venezia è sufficientemente chiara negli elementi essenziali, ma resta difficile comprendere quali siano state le persone coinvolte e gli obiettivi esatti del progetto di espatrio che tanto Romolo che Silone hanno sempre detto essere stato alla base della vicenda tramutatasi in tragedia.

Romolo, durante gli interrogatori ha affermato che “dopo la metà di Marzo sono entrato a far parte del movimento comunista”.[111] Il tempo corrisponde a quello del suo allontanamento da Venezia, avvenuto il 17 marzo. Fu una scelta di vera militanza o fu solo funzionale all’espatrio? “Romolo non avrebbe tentato di espatriare se avesse avuto la carta di identità buona. La carta di identità con l’annotazione del “sospetto in linea politica” gli venne rilasciata dal Podestà ad onta che Romolo non avesse mai fatto parte di nessun partito ma solo per riverbero del fratello Secondino che non godeva la simpatia del Podestà. Le relazioni fra i due fratelli sono state rarissime”.[112]

Non solo la militanza comunista non fu una scelta, ma un ripiego in vista dell’espatrio, ma provocò in Romolo turbamento di coscienza. La ragione della visita a Don Orione, a Tortona il 18 marzo, prima di fare il “passo” è indicata da Romolo proprio nelle sue inquietudini interiori, legate alla scelta di entrare nel movimento comunista: “lasciando Venezia ho sentito il bisogno di andare a trovare Don Orione, sacerdote di cui ho la stima più grande e che si possa avere, sperando che lui mi consigliasse. Ma Don Orione non mi ricevette. Mi sono dato dello sciocco e del bambino”.[113] Di fatto, Don Orione lo ricevette perché Romolo gli entrò in camera, ma non approvò evidentemente la sua scelta. Poi, “da Venezia mi sono recato a Nervi. Avevo ricevuto da un giovane che ho potuto riconoscere comunista una Carta d’identità falsa. A Nervi sono stato ancora due settimane senza svolgere attività alcuna. Ho avuto vari appuntamenti a Genova con due individui”.[114]

Don Ruggeri, che sempre ebbe a cuore Romolo Tranquilli, nel 1979 conversò di lui con Sandro Pertini, il quale gli disse: “Due cose importanti fece Don Orione in quel terribile frangente per Romolo: trascorse la notte in preghiera, prima di comparire davanti ai giudici a testimoniare in istruttoria; e dimostrò un coraggio da eroe quando l’indomani, a Genova, si presentò a deporre di fronte ai giudici di indubbia fede di parte, i quali si attendevano la conferma della colpevolezza dell’imputato. Don Orione presentò alcune lettere di Romolo, nelle quali si esprimevano sentimenti tali da dovere escludere che proprio lui potesse aver compiuto un così orrendo delitto”.[115]

Sulle responsabilità dell’attentato di Milano non venne mai fatta piena luce. Dopo il primo tentativo di avvallare una matrice comunista, i sospetti caddero su un ‘gerarca’ dello squadrismo milanese, Mario Giampaoli, che avrebbe ordito l’attentato per attribuirne poi la paternità ad elementi sovversivi, a scopo di prestigio personale. Questa versione dei fatti cominciò a circolare nel 1929, ma non fu mai provata.[116]

Silone, temendo per il fratello, decise di mettersi in contatto con Guido Bellone, personaggio importante della Polizia, e gli chiese un appuntamento a Roma.[117] Quando, però, egli venne a sapere del mandato di cattura spiccato anche contro di lui durante il processo al fratello, rinunziò ad un suo tentativo di conferire con Bellone a Roma.[118] Continuando ad agire dalla clandestinità, riuscì a fare intervenire eminenti personalità internazionali per chiedere giustizia.[119] Silone risulta essere a conoscenza sia del progetto di espatrio e sia di quanto successo a Romolo se, in una lettera fatta scrivere dal cugino e confidente Pomponio Tranquilli il 20.4.1928, rassicura la nonna di Pescina: “Non credere a ciò che ti raccontano. Non credere ai giornali. Ti giuro che Romoletto è innocente. Egli si preparava a raggiungermi, quando è stato arrestato. Se aveva carte false, è unicamente perché le sue carte gli sarebbero state rifiutate. La sua innocenza dovrà apparire chiara anche ai suoi giudici. Se non apparirà, egli sarà innocente ugualmente”.[120]

Silone, a distanza di anni, rispondendo a un articolo dell’amico Don Piccinini, ricostruì le vicende di quel tempo nei seguenti termini.

“(…) 8. Non ho difficoltà  a ripetere quello che è stato varie volte precisato anche in libri dedicati all’attentato del piazzale Giulio Cesare del 1928 a Milano. Romolo aveva lasciato Venezia in seguito alla mia proposta di trasferirsi in Svizzera per terminare gli studi al Politecnico di Zurigo. Al suo sostentamento avrei pensato io. La proposta gli venne portata da Edoardo D’Onofrio, attualmente deputato del PCI. Poiché la Questura gli avrebbe certamente rifiutato il passaporto, D’Onofrio propose a Romolo di incontrarsi a Como con qualcuno che gli avrebbe fatto passare la frontiera. Quel qualcuno era Luigi Longo, l’attuale segretario del PCI”.[121]

9. Chiamare semplicemente “duro pettegolezzo” l’accusa che implicava la pena di morte è un po’ disinvolto, non trovi? Il Tribunale Speciale, per ordine del Duce, si trasferì da Roma a Milano per pronunziare la sentenza di morte e farla eseguire, come, con grandi titoli, annunziarono i giornali. Non era una diceria, ancora meno un pettegolezzo. Mentre il lugubre tribunale era in viaggio, il Ministro degli Esteri inglese, Henderson, comunicò a Mussolini di avere a sua disposizione le prove dell’innocenza di Romolo, sperando che il Tribunale Speciale avrebbe aspettato, prima di pronunziare la sentenza, che le prove arrivassero in Italia. Le prove contenevano le precise indicazioni dell’impiego del tempo, da parte di Romolo, dal momento della sua partenza da Venezia fino al suo arrivo a Brunate, sopra Como, che escludevano una sosta a Milano. Inoltre D’Onofrio, Longo, io stesso eravamo disposti a testimoniare per rogatoria presso qualsiasi consolato italiano all’estero. Il Tribunale se ne tornò a Roma in silenzio”.[122]

La Commissione istruttoria del Tribunale speciale si pronunciò sulla strage di Milano il 23 gennaio 1929. Dichiarò l’estraneità degli otto comunisti imputati e di Romolo Tranquilli, associato stranamente ad essi benché a lui del tutto sconosciuti.[123] A riguardo di Romolo, in particolare, la Commissione dichiarò: “Nulla di generico e di specifico le indagini hanno assodato in confronto della imputatagli partecipazione al triplice attentato”.[124]

Il processo contro Romolo Tranquilli si concluse con la sentenza del 6 giugno 1931.[125] Il giovane fu scagionato dalla accusa di strage; sfuggì alla fucilazione ma non alla condanna a 12 anni di reclusione e 3 di vigilanza speciale per istigazione a mezzo stampa, essendo tipografo, per iscrizione al PCd’I e per uso di carta di identità falsa.[126] La sentenza appare enfaticamente negativa quando descrive Romolo “sempre di idee comuniste”, “un pericoloso comunista, uno degli esponenti del movimento antifascista”, ”sempre mantenendo controlli con nuove persone della direzione comunista”, “negli stessi suoi manoscritti sequestrati si trovò concentrato tutto l’odio che egli nutriva contro il Fascismo”, “clandestino stampatore di materiale incendiario, sovversivo, rivoluzionario”, “influente funzionario del partito”. E’ difficile pensare che tutto possa essere maturato in quei 20 giorni di latitanza, dopo il 18 marzo e prima del 12 aprile 1928, per di più vissuti con l’inquietudine di coscienza manifestata a Don Orione nella visita del 17 marzo e nella successiva nobile lettera.

“Romolo – asserisce ancora Don Ruggeri – non resse ai disagi del carcere. Per costituzione fisica era cagionevole, e predisposto a malattie di petto, come il fratello Secondino, anche per la vita randagia e i disagi subiti. Accusato e incarcerato, specialmente durante il periodo dell’istruttoria, in attesa di processo, per debilitarne la resistenza fisica e psichica gli percuotevano il petto e la schiena con sacchetti di sabbia per costringerlo a “confessare” – mi riferisco ad un’altra testimonianza dell’On. Pertini –, sì che, quando entrò nel penitenziario di Procida, aveva i polmoni a pezzi.[127] Ben presto apparvero chiari i segni della tubercolosi polmonare. Per testimonianza di un altro ergastolano, della stessa corrente del fratello di Romolo, il povero giovane, durante la poca libertà concessagli, non aveva altro fra le mani che il testo del Vangelo e, nei rari incontri con i compagni di pena, non parlava che di San Francesco d’Assisi e del “suo” Don Orione.[128] Il calvario di Romolo ebbe termine il 27 ottobre 1932, all’età di 28 anni, per le sevizie sofferte durante l’istruttoria poliziesca, che vinsero sul fisico suo.[129]

Anche Silone non aveva dubbi sulle ragioni della morte del fratello: “Romolo non morì per il regime severo della prigione (al medesimo regime erano sottoposti moltissimi che sopravvissero), ma per le sevizie sofferte durante l'istruttoria poliziesca, che gli produssero tra l'altro gravi lesioni ai polmoni”.[130]

Silone ha sempre ricordato Romolo molto più che con il comprensibile dolore per la morte di un fratello. La moglie di Silone, Darina, ha affermato che il marito le parlò raramente di Romolo. “Lo fece soprattutto quella volta, poco prima di morire, della quale ho già riferito. Aveva una grande pena per la sorte di questo fratello e quasi un senso di colpa. Per lui, l’arresto e la morte nel penitenziario di Procida fu una cosa tremenda”.[131]

Resta ancora da dire di un estremo segno della paternità di Don Orione di cui si venne a sapere solo a distanza di tempo da Don Antonio Cerasani: “Romolo fu condannato a 12 anni di carcere, nel completo isolamento. (…) Poi si ammalò e chiamò nuovamente Don Orione che corse e lo confessò, e mi confidò che morì santamente. Mi disse: “... una morte invidiabile!”.[132]

 

UN’AMICIZIA MAI DIMENTICATA
 

Silone mai dimenticò l’amicizia che legò lui, Don Orione e il fratello Romolo. Egli raccontò varie volte di Don Orione, cercando di spiegare il fascino di quest’uomo.

“Accanto a molte debolezze, paure, viltà, che erano e sono la materia grezza dei miei rimorsi, portavo in me una dimensione, scavata nel più profondo di me stesso, scavata a mia insaputa, nei primi anni di vita, in cui ogni parola del genere di quelle di Don Orione diceva, aveva una risonanza vivissima. Di lì quella nostalgia della Parola, nella sua purezza e audacia originale, e l’insofferenza per i compromessi istituzionali”

Silone manifestò la sua amicizia con il santo sacerdote con gesti e parole esibiti sempre con una sorta di gelosa discrezione, come verso qualcosa di prezioso. I testi più significativi sono senza dubbio il capitolo “Incontro con uno strano prete” in Uscita di Sicurezza[133] e la “Testimonianza”[134] resa al processo di beatificazione di Don  Orione. A conclusione di queste pagine mi piace riportare il testo di una intervista di Silone, quasi sconosciuta, messa in onda dalla Televisione Italiana in una trasmissione del 27 novembre 1955.

“Ho avuto la grande e immeritata fortuna di conoscere don Orione, abbastanza da vicino, in un’epoca in cui lui era sulla quarantina, dunque nella pienezza del suo vigore e del suo apostolato, ed io ancora un ragazzo. A causa di ciò, se i miei ricordi di lui possono avere un qualche modesto significato, vicino a quelli di tante personalità ben più illustri e qualificate di me, penso che, malgrado tutto, questo può accadere appunto perché essi risalgono a lontane emozioni giovanili.[135] Quelle emozioni restano tuttora vive e incancellabili nel più intimo di me stesso; e, badate, non per la solita e comprensibile suggestione di cui ogni ragazzo è esposto nella vicinanza d’un personaggio famoso (poiché, infatti, quando lo conobbi, don Orione era ancora lontano dalla sua rinomanza di più tardi) sebbene per un certo tipo d’immediata intima confidenza che egli sapeva stabilire con i ragazzi.

Dovendo perciò riassumere in poche parole il tratto di lui, a mio parere più caratteristico, direi proprio questo: in compagnia di lui scomparivano le differenze di età, e le altre che fatalmente all’età si accompagnano. Parlando con un ragazzo, don Orione sapeva dimostrare una semplicità, una freschezza, un candore, una disinvoltura e anche, (perché no?) una spregiudicatezza da adolescente. Ma capitava pure che, inavvertitamente, egli cominciasse a parlargli con gravità e fiducia, come se il ragazzo fosse adulto, suo eguale. E tutto ciò senza artificio, finzione, sforzo alcuno.

Come era possibile questo? Com’era possibile che lui diventasse ragazzo, che il ragazzo d’un tratto fosse adulto, che non vi fosse più alcuna differenza? Evidentemente, questi usuali termini d’infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia, stanno a indicare delle fasi di sviluppo e decadenza del corpo e dello spirito, con le inevitabili distanze, separazioni, incomprensioni che queste generano; ma esse sono di colpo abolite negli incontri effettivi delle anime. E don Orione aveva appunto tale meravigliosa facoltà. Nella mia ulteriore faticosa esistenza non ne ho conosciuto d’eguale!”. [136]

 

 

 N  O  T  E


[1] Dario Biocca – Mauro Canali, L’informatore: Silone, i comunisti e la Polizia, Luni, Milano, 2000. La pubblicazione del libro è stata preceduta dall’articolo di Mauro Canali, Il fiduciario Silvestri. Ignazio Silone, i comunisti e la polizia politica, “Nuova Storia Contemporanea, 1999, n.1, pp.61-86, e seguita, a opera del medesimo Autore, da Il caso Silone. Le prove del doppio gioco, I libri della Fondazione Liberal, Roma, 2000. Sulle tesi del libro sono state molte le prese di posizione da parte di studiosi, di testimoni e di opinionisti; sono presentate sommariamente in Vittoriano Esposito, Ignazio Silone ovvero un “caso infinito”, Centro Studi Siloniani, Pescina, 2000. Sul versante dell’estraneità di Silone all’attività di “informatore” si schierano Giuseppe Tamburano, Gianna Granati e Alfonso Asinelli, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, Lacaita, Mandria, 2001. Sulla parzialità delle nuove acquisizioni storico-documentali e sulla necessità di ulteriori studi sono gli interventi di Mimmo Franzinelli, Silvestri, l’infame, “L’Indice”, novembre 2002, e La carta e la vita, “La Stampa”, 1 maggio 2001.

[2] Edizione critica curata da F. Pierfederici, Città Nuova, 2000, p.51 e 87.

[3] Ibidem, p.62

[4] Ed. Jaca Book, Milano, 2000.

[5] Così Don Paolo a Murica in Ed egli si nascose, cit., p.84.

[6] Rinvio a soli tre titoli: Luce D’Eramo, L’opera di Ignazio Silone, Mondadori, Milano 1971. O. Gurgo, F. de Core , Silone. L’avventura di un uomo libero, Marsilio, Venezia 1998. I. Silone, Romanzi e saggi I. 1927-1944, II. 1945-1978  (a cura di B. Falcetto), I Meridiani - Mondadori, Milano.

[7]  Don Luigi Orione (Pontecurone 1872 - Sanremo 1940) è una delle figure più eminenti del clero italiano del ‘900; fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, una famiglia religiosa che comprende sacerdoti, fratelli, eremiti, suore di vita attiva e contemplativa, associazioni laicali. Si dedicò soprattutto alle attività educative, assistenziali e pastorali. Fu proclamato “beato”  nel 1980. Per una prima conoscenza: Giorgio Papasogli, Vita di Don Orione. (IV ed.), Gribaudi, Torino, 1994. Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine di Don Orione, Piemme, Casale M., 1994. Flavio Peloso, Don Orione, un vero spirito ecumenico, Dehoniane, Roma, 1997. Domenico Sparpaglione, Il Beato Luigi Orione. (IX ed.). Ed. Paoline, Roma, 1998; Andrea Gemma, Don Orione, un cuore senza confini, Quadrivium, Isernia, 2001.

[8] Cfr. Giovanni Casoli, L’incontro di due uomini liberi: Don Orione e Ignazio Silone. Con lettere inedite, Jaca Book, Milano, 2000, pp.176); Antonio Ruggeri, Don Orione, Ignazio Silone e Romoletto, Ed. Don Orione, Roma, 1981; Liliana Biondi, Ignazio Silone: lettere a Don Orione, “Messaggi di Don Orione” 33(2002), n.106; La Postfazione di Mimmo Franzinelli dal titolo Uscita d’(in)sicurezza di Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, Mondatori, 2001, pp.237-246 in particolare.

[9] Nell’archivio del Ministero degli Interni è conservato il telegramma, datato 23. 1. 1915 (doc. 3120), che legalizza quella requisizione dell’autoveicolo da parte di Don Orione: “SR – Avezzano – 660 0 23 13.35 – MR INT UFF TERR RM – Assicuro aver messo a disposizione Don Orione un camion per raccogliere orfani patronato Regina Elena – PR Commiss. Palliccia”.

[10] I. Silone, Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze, 1965, p. 32; in edizione più recente: Ignazio Silone. Romanzi e saggi, vol. II: 1945-1978, a cura di Bruno Falcetto, cit., e Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, Oscar Scrittori del Novecento, Mondadori, Milano 2001, con Introduzione di Bruno Falcetto e Postfazione di Mimmo Franzinelli.

[11] Cfr. “Don Orione e la contessa Spalletti” in Messaggi di Don Orione,  32(2000) n. 100, p. 51 - 57. La contessa Spalletti presiedeva il Patronato Regina Elena.

[12] L’Istituto o Collegio Pio X, situato in Via Etruschi 36, al quartiere Tiburtino, era tenuto dai Giuseppini, cui apparteneva l’intraprendente Don Angelo Zia, in stretta collaborazione con Don Orione ad Avezzano. Tra i funzionari pubblici che si distinsero nell’opera in favore dei terremotati risulta esserci Guido Bellone, interlocutore dell’ Informatore Silone, controverso argomento storiografico. Nato a Firenze il 10.9.1871, egli ottenne una benemerenza con le seguenti motivazioni: “Alle prime notizie del disastro cooperò col Commissario Capo di Gabinetto Cav. Valenti ad impartire frequenti disposizioni per i servizi all’interno e all’esterno della stazione ferroviaria di Termini e, quindi, alle segnalazioni di arrivi di feriti e di profughi… Provvide in seguito alla vigilanza sulla formazione delle numerose squadre di soccorso… fu anche prodigo di assistenza morale verso i numerosi parenti delle vittime che per molti giorni affollarono l’Ufficio della Questura Centrale…”; in Archivio Centrale dello Stato, Ministero Interno, Direzione generale amministrazione civile, Ufficio servizi speciali, Terremoto della Marsica 13.1.1915, busta 302, fasc. Benemerenze “Roma, Funzionari di P.S.”.

[13] Don Orione aveva scritto a Don Carlo Sterpi: “15 dic. 1915. Caro Don Sterpi,… giovedì [16 dicembre], a mezzanotte, parto da Roma per San Remo, dove giungerò venerdì, alle 6 di sera”; in Scritti di Don Orione (citato Scritti; si tratta di 118 volumi dattiloscritti, trascrizione dagli autografi custoditi nell’Archivio Don Orione di Roma, citato ADO) 12, 174. E’ conservata anche la richiesta di viaggio per Amiconi Mauro, di anni 14, e Tranquilli Secondino, di anni 15, in II classe. Mauro Amiconi, compagno di quel viaggio, ha lasciato una sua memoria pubblicata in Don Orione Amico, anno VI, n.1 (13 gennaio 1965).

[14] Cfr. Flavio Peloso, Don Orione nell’opera di Ignazio Silone. Aspetti della dimensione religiosa dello scrittore, “L’Osservatore Romano”,  9 aprile 1999, p. 3; Cfr. anche Ecco chi era davvero Silone, intervista a Darina Silone, “Avvenire”  4  mag. 2000, p. 22.

[15] Articolo pubblicato su “Vogue Magazine” del 1949 e poi ripreso dal giornale  “Italia - San Francisco” del 27 marzo 1964, con il titolo “A costo di essere frainteso”.

[16] Don Orione scrisse a Don Sterpi il 18 gen. del 1916: “Sto lavorando per Tranquilli e Amiconi, quei due di Sanremo”, in Scritti 12, 192. E, senza data, “Entro domani domandate iscrizione Scuole seguenti orfani terremoto del Patronato Regina Elena: Tranquilli Secondino, fu Paolo, quarta Ginnasiale, Salone Marco, fu Giuseppe, terza Ginnasiale, Ringegni Lorenzo, fu Vincenzo, terza Tecnica, Gatti Giuseppe, fu Virgilio, e Pulsoni Giuseppe, fu Giacinto, seconda tecnica, De Rosso Lamberto e Di Cesare Ugo, fu Luigi, prima Ginnasiale”, in Scritti,  60, 45.

[17] Lettera del 15. 9. 1957 di Silone a Don Paolo Bidone, orionino; ADO, cart. Bidone.

[18] Lettera autografa a Don Orione, senza data ma del 1916; ADO, cart. Silone.

[19] In ADO, cartella Cribellati; riportato in D. Sparpaglione, cit.,  p.16.

[20] Scritti , 12, 242.

[21] Lettera autografa a Don Orione, ADO, cart. Silone.

[22] Le lettere di Don Orione a Silone - la cui esistenza era ritenuta certa fino agli anni ’70 – in numero di 24, come ha precisato Don Bruno Formentin che ha colloquiato Silone più volte in occasione della sua tesi -, non sono state reperite nonostante ricerche condotte in diversi archivi.

[23] Lettera autografa del 1. 10. 1916, ADO, cart. Silone.

[24] Don Orione a Don Montagna, il 6. 8. 1916: “Mando a te, qui acclusa, una tessera per richiesta viaggio per Amiconi e Tranquilli, appena i parenti abbiano loro inviato danaro viaggio”; Scritti 21, 39.

[25] Lettera autografa a Don Orione, ADO, cart. Silone.

[26] Lettera di Silone del 28. 7. 1968 a Don Antonio Ruggeri.

[27] ADO, cart. Silone.

[28] Lettera autografa del 11. 2. 1917; ADO, cart. Silone. Queste oscillazioni di tono e di comportamento sono puntualmente registrate nelle lettere scritte a Don Orione. Ancora il lettera del 15. 5. 1917: “Carissimo Don Orione, mi perdoni Lei ch’è buono. Io scrissi, è vero, scrissi: Diventerò buono, le darò consolazioni, ed ancora io sono cattivo e Lei crede che non sia stato sincero il mio voto. Mi perdoni. Mi sento morire. E’ questa oggi per me la verità”. Si veda per l’epistolario di Silone a Don Orione nell’opera di G. Casoli già citata, p. 93-123.

[29] Lettera autografa del 1. 6. 1917; ADO, cart. Silone.

[30] La data è ricavata dal timbro postale; in ADO, cart. Silone.

[31] Di quali esami si tratta se aveva scritto a Don Orione: “Sono promosso senza esame”? Probabilmente doveva essere quello di seconda liceo in vista di frequentare regolarmente la terza.

[32] Scritti 83, 53.

[33] Silone. Romanzi e saggi, cit., II, p. XLVI.

[34] Lettera autografa precedente il 15. 3. 1918; ADO, cart. Silone.

[35] I. Silone, Ed egli si nascose, cit., p.45.

[36] Lettera autografa del 29. 7. 1918; ADO, cart. Silone.

[37] Ibidem.

[38] Minuta in Scritti 71, 96. Per grafia, posizione archivistica e tema, un’altra minuta sembra essere parte della medesima lettera di Don Orione: “Nessuno vidi del Patronato passando Roma. Ti consiglio accettare da Digennaro mettendoti presentemente al sicuro. (…) Ti consiglio da amico di assicurare tua posizione accettando subito da Digennaro, poiché nessuno vidi Roma, passai solamente. Temo assai non riuscire nel comune desiderato intento e avrei dolore d'averti danneggiato. Salutami Parroco e tutti. Orione”, in Scritti 71, 107.

[39] Per lo meno non è conservata.

[40] Silone conferma a Don Bidone che “Io fui in Spagna durante la dittatura militare di Primo de Rivera”, in ADO, cart. Bidone.

[41] Murica confessa anche: “Ora mi rendo conto che mi lasciai attirare dal movimento clandestino perché esso mi offriva la possibilità di dare una orgogliosa maschera di rifiuto al risentimento che nutrivo verso la società dalla quale ero escluso, e che nel mio intimo però invidiavo, bramavo, temevo”; I. Silone, Ed egli si nascose, a cura di Benedetta Pierfederici, Città Nuova, Roma, 2000, p. 88.

[42] Processo Apostolico, II parte, sessio CXXIV, Archivio della Postulazione Don Orione, Roma, pp. 646-647. Questo episodio fu poi ricostruito, con altri particolari attinti da Silone stesso che alla fine lesse il racconto, da G. Piccinini in Quel tuo cuore… Don Orione, Ed. Paoline, Alba, 1965, p.129-143. Dopo aver letto questo racconto e gli altri inseriti nel libro, Silone scrisse all’amico: “Caro Don Piccinini, Grazie della lettera e del volumetto. Diventerai uno scrittore se: 1. Rinunzierai ai tre puntini di sospensione, il cui uso è da lasciare alle ragazze innamorate; 2. Rinunzierai ai punti esclamativi, introdottisi nella lingua italiana nell’epoca della sua decadenza, per demerito principale dei gesuiti; 3. Limiterai il numero degli aggettivi e rinunzierai a quelli ovvi. Il resto va bene. Cordialmente  Tuo Silone”; lettera del 9.2.1966, ADO, cart. Piccinini.

[43] Silone restò affascinato soprattutto da Trockij e Lenin. Douglas Hyde, che incontrò Silone in vista di scrivere una biografia su Don Orione, racconta: “Quando chiesi ad Ignazio Silone se avesse mai incontrato qualcuno dotato di un temperamento come quello di Don Orione, rispose, senza esitare: ‘Soltanto un uomo: Lenin”; D. Hyde, Il bandito di Dio, Bari, 1960, p.131 (titolo originale: God's Bandit, Peter Davies, London 1957). Successivamente Silone volle precisare il senso di quell’affermazione: “La motivazione del paragone paradossale Don Orione – Lenin è la seguente: due personalità eccezionali, con uno spirito forte, estremamente semplice, concentrato su un unico punto. Per Don Orione questo era la carità cristiana, per Lenin la rivoluzione sociale. Se Lenin fosse stato un monaco, sarebbe stato un santo; se Don Orione fosse diventato segretario d’una Camera del Lavoro, avrebbe fatto la rivoluzione. La fiacchezza della maggior parte degli uomini viene dall’ecclettismo e dalla dissipazione”, in Lettera al curatore del libro, Don Paolo Bidone, del 15.9.1957, ADO, cart. Bidone.

[44] Più tardi, con ironia, precisava all’amico Don Piccinini: “Non sono mai stato attivissimo in Russia. Fui, sì, varie volte in Russia, ma per i congressi che duravano molto meno dei concili vaticani e non consentivano attività pubblica, specialmente agli stranieri”; dalla lettera del 14.1.1965, cit., ADO, cart. Piccinini.

[45] Minuta in Scritti 66, 136.

[46] Testo riportato in D. Sparpaglione, Ignazio Silone e “uno strano prete”, “Messaggi di Don Orione” 10(1979) n.42, p.21. Un episodio analogo, o forse è il medesimo, è raccontato da Douglas Hyde, attivista e giornalista comunista convertitosi alla religione cattolica, su informazioni attinte direttamente da Silone, in D. Hyde, Il bandito di Dio, cit., p.100-101. Silone, letto il libro, il 15.9.1957, mentre scrisse a Don Paolo Bidone, orionino, quattro precisazioni su inesattezze presenti nel libro, nulla osservò di questo racconto. 

[47] Nella già citata lettera di Ignazio Silone a Don Gaetano Piccinini; ADO, cart. Piccinini.

[48] In una nota di Don Orione leggiamo: “Tranquilli Romolo fu Paolo e fu Delli Quadri Marianna, nato il 24 Maggio 1904, a Pescina  - entrò a Tortona il 3 febbraio 1919 ed è partito il 20 ottobre 1920; egli e Panaro Francesco fu Antonio di Avezzano erano al Sacro Cuore dei Salesiani, di dove fuggirono.  Tranquilli fu qui ancora nella 2.da metà di Giugno del 1921 e nel Luglio; dopo il 20 ( cioè il 23 Luglio ) è partito per Pescina; gli si è dato lire 53 per viaggio e lire 15 per vittuaria”, in Scritti 110, 171. Nella sua testimonianza resa al Questore di Genova il 22.4.1928, Don Orione disse: “Il Tranquilli Romolo approdò con me a Tortona e poiché l’anno scolastico era già incominciato, ed egli veniva da una scuola privata, non potevo iscriverlo al R. Ginnasio (egli proveniva da una quarta ginnasiale privata benché abbia anche questo dubbio, che fosse ancora alunno di terza). Trovai in lui un intelligente ma non sempre di ferma volontà. Pensai che bisognava incoraggiarlo molto e dargli l’impressione che studiando poteva guadagnare qualche anno di studio, e così occuparlo e rialzarlo nel suo morale. Egli non perdette l’anno e nel 1920 diede la licenza ginnasiale”. Verbale della testimonianza resa da Don Orione al Questore di Genova il 22.4.1928 (sarà citato Testimonianza di Don Orione) in Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, b. 325, f. 3263, “Tranquilli Romolo”. Inoltre possediamo una minuta di Appunti, in Scritti, 75, 189, di cui certo si servì Don Orione durante la deposizione sia davanti al Questore di Genova che durante il primo interrogatorio avuto a Tortona e che formò il contenuto del Rapporto del Prefetto di Alessandria del 17.4.1928, Archivio Generale dello Stato, Divisione Affari Generali e Riservati, n.08266 H2 (sarà citato Rapporto del Prefetto di Alessandria).

[49] ADO, cart. Silone. Dal post scriptum abbiamo un indizio in più che Don Orione continuò a scrivere e a interessarsi di Secondino.

[50] Ricordo di Don Antonio Cerasani, in lettera del 1 febbraio 1979, riportata da A. Ruggeri, cit., p.61.

[51] ADO, cart. Silone.

[52] Testimonianza di Don Orione, cit.; Don Domenico Sparpaglione, compagno di studi di Romolo, così ricostruì l’episodio: “Romolo, che frequentava le classi superiori del ginnasio e aveva 16 anni, essendo nato a Pescina nel 1904, si presentò il 1° maggio alla Camera del Lavoro di Tortona con un foulard rosso al collo, e montato su di una sedia prese a parlare con veemenza contro i preti, accusandoli di fargli patire la fame, al “Paterno”. (Erano tempi durissimi per tutti a causa della carestia). C’era tra i presenti il Segretario della Camera, Presidente della Cooperativa Socialista, che lo agguantò per il colletto e lo tirò giù dal… podio, dicendo: ‘Non è vero! Sono io il fornaio che porto il pane al Collegio di Don Orione e so quanto ne porto ogni giorno. Don Orione non è un affamatore: non fa mancare il pane ai suoi ragazzi’. Et ipso facto lo sbatacchiò fuori"; Domenico Sparpaglione, cit., p. 22-23; cfr. anche Rapporto del Prefetto di Alessandria (17.4.1928), cit.

[53] In una minuta di appunti, Don Orione sintetizza: “Mentre era qui, in un primo maggio, prese parte ad una dimostrazione socialista, fuggendomi dal Collegio, e poi si era messo molto bene, aprendomi l’animo a ben sperare. In premio, in estate, lo feci andare un po’ di giorni a visitare Venezia”, in Scritti 75, 189.

[54] Scritti, 14, 45.

[55] Raccolto da A. Ruggeri, cit., p.33-34.

[56] Molte notizie sono state fornite dal suo compagno e amico Don Domenico Sparpaglione nell’opera citata, pp. 21-25.

[57] Testimonianza di Don Orione, cit.

[58] Don Orione a  Don Sterpi: “[20 ott. 1920]. Urge fare iscrivere al liceo di Sanremo, Tranquilli e Tocci il piccolo”; Scritti 14, 78.

[59] Scritti 26, 33.

[60] Scritti 59, 256.

[61] Scritti 101, 138.

[62] Scritti 26, 35 e 59, 257.

[63] Scritti 101, 137.

[64] Lettera del 12. 2. 1921, in Scritti 26, 36.

[65] Ibidem.

[66] Testimonianza di Romolo Tranquilli in Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, b. 325, “Tranquilli Romolo”, Allegato A (sarà citato Testimonianza di Romolo Tranquilli).

[67] “A Velletri frequentai la terza classe del liceo. Ma non riuscii a licenziarmi”, così in Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[68] Lettera del 14.1.1965 di Silone a Don Piccinini, ADO, cart. Piccinini.

[69] Negli Scritti di Don Orione (2, 195; 111, 276; 113, 237;) ci sono alcuni accenni relativi alla presenza dello Scamolla alla Casa del noviziato a Villa Moffa di Bra (CN), nel 1921; non mostrando segni di vocazione religiosa, dopo qualche tempo ritornò a Pescina.

[70] Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit. Romolo aggiunge anche che per un breve periodo fu “assunto in una tipografia sita in una via posta verso Piazza del Popolo, che sbocca da una parte di Via Ripetta” e che frequentò un corso serale di linotipia a Via della Lungara; incominciò ad aprile e a giugno il corso fu interrotto. Tutti questi tentativi manifestano la sua volontà di inserirsi seriamente nel lavoro.

[71] Appunto scritto di Pomponio Tranquilli per l’Avvocato difensore di Romolo (Avv. Mario Trozzi), senza data.

[72] D. Biocca - M. Canali, cit., p. 106.

[73] In Appendice alla pubblicazione di Severina, a cura di Darina Silone, Mondadori, Milano, 1981. La stessa esatta versione si trova nel succitato Appunto di Pomponio Tranquilli.

[74] Appunto di Pomponio Tranquilli, cit.

[75] Simile ricostruzione di quel tempo è presente anche in Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[76] Minuta di appunti, in Scritti 75, 189. Questi  appunti risultano essere quelli di cui si servì Don Orione nella Testimonianza resa al Questore di Genova il 22.4.1928, cit. Un’aggiunta orale significativa presente nella Testimonianza rispetto agli Appunti è la giustificazione che Don Orione dà alla volontà di Romolo di cambiare vita: “(Chiedeva) che lo aiutassi a crearsi così una buona posizione da potersi sposare, sottraendosi alla malefica influenza di suo fratello Secondino che avrebbe voluto trascinarlo con sé”.

[77] D. Sparpaglione, cit., p. 25.

[78] Lettera del 1. 2. 1979; in A. Ruggeri, cit., p. 62.

[79] Fu Romolo, durante una permanenza a Pescina, a chiedergli se voleva farsi prete. Per questo, poi, già sacerdote, Don Orione disse a Ruggeri: “Ricordati ! Dopo che a Dio, devi a lui la tua vocazione. Romolo è stato per te uno dei più grandi benefattori. Non dimenticarti mai di pregare per lui!”.

[80] A. Ruggeri, cit., p.60.

[81] A. Ruggeri, cit., p. 61. In realtà, secondo le dichiarazioni di Romolo stesso, è solo nell’aprile del 1928 che Luigi Longo l’aveva reclutato allo scopo di ristabilire i contatti con l’organizzazione clandestina del PCd’I in Lombardia. Cfr. L. Longo, “L’attentato a Vittorio Emanuele III” in Paese Sera, 3. 10. 1954.

[82] Don Piccinini scrive a Silone il 4.3.1963: “Carissimo, so dal direttore del San Giorgio di Novi Ligure che vi andrai… Sai che anche Romoletto vi trascorse un giorno con me? Da Roma diretto a Venezia, don Orione lo costrinse ad affettuosamente sostare perché si ritrovasse con un orfano del terremoto; e me ne prevenne, don Orione, con una carissima lettera. Ti farò rifare l’itinerario che facemmo e mi pare quasi di riudire le parole che ci scambiammo”; ADO, cart. Piccinini.

[83] Testimonianza Don Orione, cit.; Romolo precisa. “Don Orione non aveva bisogno di operai ma accolse la mia preghiera e il 1° dicembre partii per Venezia”, Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[84] Scritti 93, 54.

[85] “Io ero ritenuto un sovversivo con qualche ragione – ammette Romolo -. Io avevo 17 anni e fui arrestato per dei manifesti scritti a mano. Il processo non ebbe luogo. A Velletri soltanto i miei compagni di scuola potettero conoscere le mie idee per i discorsi che si facevano prima di entrare a scuola. La polizia non ebbe mai ad occuparsi di me. Ma era al mio paese che si esagerava sul mio conto, sia perché sapevano dell’attività di mio fratello come giornalista comunista e anche un po’ pel mio contegno… A Pescina non mi accompagnavo con gli studenti fascisti forse più per diversità di carattere che d’idee politiche. Ritengo anche che il mio non salutare per esempio le locali autorità mi desse l’aria di un nemico della società”, Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit. E’ interessante leggere un altro passaggio della lunga testimonianza di Romolo dalla quale appare tutto il suo idealismo e la matrice etica e cristiana che lo portarono a inclinare verso il comunismo. “Non sono è vero mai stato fascista. Sono sempre stato comunista? Le mie tendenze credo mi avrebbero portato ad esserlo. Mi pareva che ci fossero tante sofferenze nella vita, che un amore lungo e disinteressato avrebbe potuto lenire. (…) Appare nel mio animo che nella società vi sia troppa disparità fra una classe e l’altra di cittadini; chi è costretto a vivere la vita di stenti, chi sciupa il tempo in divertimenti. (…) Io dunque mi definirei un simpatizzante comunista”.

[86] Vi troviamo scritto: “Copia: fatta oggi 14 aprile 1928 - Orione Luigi Casa Divina Provvidenza Tortona. Tranquilli arriverà costà domattina prego impedire suo ritorno qui”. In fondo al testo: “N 20606 - 15 - 17 - 11,10”; in Scritti 110, 231.

[87] Testimonianza di Don Orione, cit. Silone conferma: “Gli proposi l’espatrio, in modo che potesse proseguire gli studi al Politecnico di Zurigo, cosa che sognava. In qualche maniera avrei provveduto. Più tardi quando Romolo era in carcere, feci anche il manovale in cantieri edilizi per fargli avere cibo migliore e indumenti caldi, pur sapendo che almeno la metà dei soldi non gli sarebbe mai stata recapitata. Mantenerlo al Politecnico sarebbe stato niente al confronto”; in Appendice di Severina, cit.

[88] Il Corriere della Sera del 13. 4. 1928 titolava in prima pagina: Un atto terroristico semina la morte sulla soglia della Fiera di Milano.

[89] Un comunicato, riportato da La Stampa del 27. 4. 1928, riferisce: ”In seguito all’azione delle autorità furono complessivamente arrestate 560 persone, la cui posizione venne attentamente esaminata. Di esse sono state rilasciate sinora 300. (…) Inoltre sono stati denunciati al Tribunale speciale sei individui, pure arrestati, perché gravemente indiziati di partecipazione alla esecuzione dell’attentato”.

[90] Un Rapporto della Questura di Aquila al Ministero dell’Interno del 11.5.1928 (Nota n.01931/2) informa sugli spostamenti di Romolo, assicurando che la Questura di l’Aquila diede ordine di ricerca di Romolo il 1° di aprile 1928, poiché egli risultava irreperibile.

[91] Era giovedì e vi era giunto da Milano col treno delle 10.58, dopo l’ora dell’attentato avvenuto alle 9.50, per incontrare un giovane sconosciuto con cui aveva appuntamento. Fece tardi e s’accorse che non avrebbe fatto in tempo ad arrivare a Como per l’altro appuntamento previsto: “Ricordo di essermi seduto e di avere consultato l’orario dei treni sia per tornare a Nervi e sia per andare a Como all’appuntamento di venerdì”, asserisce Romolo; Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[92] ACS, Ministero Interno, Dir. Gen. Pubblica Sicurezza, H2” (1928), busta 22. Gli fu trovato nel portafogli anche un involtino con del veleno, consegnatogli da persona a lui sconosciuta: “Ricevetti fogli scritti a macchina nell’appuntamento del mattino e un piccolissimo involto che, al dire di chi me lo diede, conteneva del veleno. [...] Non chiesi perché nessun sospetto mi venne di cosa grave o di importante che mi si volesse far rappresentare. L’individuo che me lo consegnò dimostrava una quarantina d’anni, è certo di poca confidenza e forse anche per questo non chiesi schiarimenti”; così nel verbale del processo, riportato in Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit., p. 121. Luigi Longo ha poi riconosciuto: “In tasca a Tranquilli fu trovata una piantina del luogo del nostro incontro che io stesso avevo schizzato”; cfr. C. Longo – C. Salinari, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, Teti, Milano, 1976, p.109-111. Il 14 aprile, il Corriere della Sera titolava: “Un individuo sospetto arrestato a Como”.

[93] Due giorni dopo l’attentato, e subito dopo l’arrresto di Romolo fu eseguita una perquisizione nella Casa di Venezia sua ultima residenza.  Nel Rapporto sulla perquisizione all’Istituto Artigianelli di Venezia si legge: 14 aprile 1928 perquisito l’Istituto Artigianelli a Venezia. Una minuta perquisizione nel reparto tipografia ove lavorava tale Tranquilli Romolo, fu Paolo, comunista, arrestato a Como quale sospetto complice nei fatti delittuosi di Milano, per rinvenire e sequestrare libri, opuscoli e qualsiasi altro oggetto appartenente al predetto Tranquilli. La perquisizione ha dato esito negativo”; Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale, busta 325, fascicolo Rapporti e documenti vari.

[94] Don Antonio Cerasani, bene informato delle vicende, spiega che “Un nostro religioso frequentava l’Università di Torino e, viaggiando in treno, si imbatté in un giornalista della Stampa, il quale abilmente gli carpì qualche confidenza: che apparteneva all’Opera di Don Orione, che conosceva Romolo, qualificandolo ex alunno di Don Orione, un po’ ribelle”; riportato in A. Ruggeri, cit., p. 70. Sicuramente Don Orione passò brutti momenti ed ebbe non pochi fastidi perché si gettarono ombre anche su di lui, sul suo operato e sulla sua educazione. Confidandosi con il salesiano Don Bistolfi, scrisse: “Avrai forse letto qualche cosa sulla “Stampa” che riguardava certo Tranquilli, il quale fu qui in quarta e quinta ginnasiale nel 1918-19 e 1919-20, e che fu sorpreso, giorni fa, a Como con falsa carta di identità. C’è che mi fa patire in questi giorni, perché quel figliuolo non è riuscito bene. Sto un po’ sul Calvario: Sit nomen Domini benedictum!”, lettera del 21.4.1928, Scritti 38, 210.

[95] Durante gli interrogatori Romolo dichiarò di essere il fratello di Ignazio Silone, il noto dirigente comunista, al quale poche settimane prima aveva inviato per lettera una sua fotografia poi usata per i falsi documenti necessari per l’espatrio e trovatigli al momento dell’arresto. Così venne spiccato mandato di cattura anche per il latitante Silone sia per falsificazione dei documenti che per complicità all’attentato di Milano. Cfr. D. Biocca - M. Canali, cit., p. 124 e p. 129, p. 105n.

[96] A. Ruggeri, cit., p. 64-65.

[97] Le lettere raccolte da Don Orione furono certificate dal Notaio Carlo Caminata in data 20. 4. 1928.

[98] Dunque la lettera era posteriore all’allontanamento di Romolo dagli Artigianelli di Venezia. Essa è testimone delle idealità e anche dei turbamenti che accompagnavano Romolo nel recente passo di avvicinamento al comunismo.

[99] G. Piccinini, Romoletto. L’orfanello in Don Orione amico, 1965, p. 4.

[100] Rapporto del Prefetto di Alessandria del 17.4.1928, Archivio Generale dello Stato, Divisione Affari Generali e Riservati, n.08266 H2.

[101] ADO, cart. Gemelli.

[102] Ibidem.

[103] Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, b. 325, f. 3263, “Tranquilli Romolo”.

[104] Medesima posizione archivistica, Allegato D.

[105] Scritti 75, 189.

[106] Testimonianza Orione, cit.

[107] Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, b. 325, fascicolo “Rapporti e documenti vari”. Appare evidente che si cercava di sapere se Romolo fosse legato a un complotto che faceva riferimento a Silone o, quanto meno, se avesse concordato le sue mosse con il fratello.

[108] Minuta in Scritti 40, 38. Nel retro Don Orione scrisse: “R. [risposta] 23. 4. 28”.

[109] Scritti 20, 242.

[110] Scritti 38, 211. In altra minuta della stessa lettera, aveva aggiunto: “Ora spero che mi lasceranno un po’ tranquillo, sì da poter muovermi”; Scritti 69, 103. Don Orione da chi avrà saputo della presenza di Romolo a Nervi? Quando Romolo passò a Tortona a fargli l’ultima visita, il 18 marzo, l’aveva informato delle intenzioni di espatriare? O fu Silone a fargli sapere dell’intenzione di espatrio e degli spostamenti del fratello? O lo seppe durante il confronto con Romoletto in Questura a Genova? La notizia era riservata e appare in un appunto manoscritto del 23 aprile 1928 del Capo della Polizia (Bocchini) diretto al Capo del Governo (Mussolini): “Eccellenza, ho fatto subito trasmettere il telegramma relativo alla permanenza del Tranquilli Romolo a Bruxelles ed in merito al quale sono necessari rigorosi accertamenti che questo ufficio sta eseguendo. Infatti mentre il telegramma di Bruxelles (che ripete dicerie di fonti fiduciarie) dà presente colà il 6 corr. il Tranquilli, senza farne il nome di battesimo, che ne sarebbe partito l’8 stesso, da un rapporto del Questore di Genova (che è stato inviato alla Questura di Milano da quella di Como e di Genova) risulta che Zuppi Igino Carlo, che è poi Tranquilli Romolo, trovavasi il 7 corr. a Nervi. La circostanza surriferita è salientissima. In via assolutamente riservata informo poi la E. V. che l’Ispettore Generale di PS Comm. Guido Bellone ha ricevuto da Basilea da Tranquilli Secondino – uno dei capi comunisti – un telegramma che gli preannuncia la sua venuta in Italia. Il colloquio che seguirà potrebbe essere interessante. Terrò informata la E.V.”; riportato in D. Biocca - M. Canali, cit., p. 123.

[111] Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[112] Appunto scritto di Pomponio Tranquilli, cit.

[113] L’ingenuità di Romolo sta forse nel fatto che egli pensava ad una qualche approvazione di Don Orione della sua scelta comunista che muoveva da intenzioni di giustizia e di amore: “Dio (mi pare che i comunisti trascurano il Dio, ma io non ho tanta forza) non ci ha messi certo nella vita per mangiare e bere, ma per giovare anche al prossimo, insomma per fare qualcosa di buono. Non sono più Giovane Cattolico. Non lo sono stato. (…) Per il mio carattere sarei portato ad essere credente, ma non so che cosa intervenga ad allontanarmi dalla religione”, Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit.

[114] Romolo dichiarò di avere fatto anche vari altri spostamenti: a Busto Arsizio, a Roma, ad Alessandria e finalmente a Milano, il 12 aprile; Ibidem. Uno dei “compagni” di viaggio di Romolo nei suoi spostamenti fu un tal Domenico Bricarello che risultò essere un informatore che tenne al corrente la Polizia di tutte le sue mosse. Per questo la Questura di Genova sapeva bene che Romolo era a Nervi il 7-8 aprile e non a Bruxelles, come riferiva una falsa informazione di cui si è sopra parlato.

[115] Resoconto di A. Ruggeri, cit., p. 66-69. Don Ruggeri rimase sorpreso dell’accenno di Pertini alla notte in preghiera e volle precisare che Don Orione passò la notte in bianco, più che per pregare, per cercare e ordinare le lettere di Romolo. “No, no! – replicò PertiniDon Orione trascorse tutta la notte a pregare… fu proprio Ignazio Silone a confermarmi questo”. Quando gliene avrà parlato?

[116] Fu Carmelo Camilleri, Vice-commissario di PS di Milano, a ipotizzare e rivelare come responsabili dell’eccidio il capitano degli Arditi Bruni (esecutore) e il segretario federale Giampaoli (ispiratore). Sul tema della strage di Milano si veda M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, Bollati - Boringhieri, 1999, p.77-90. A tutt’oggi resta insoluta la esatta ricostruzione dei fatti e delle responsabilità della strage; cfr. ancora M. Franzinelli, cit., 393-410 e R. Canosa, I servizi segreti del Duce, Mondadori, Milano, 2000, p.69-78.

[117] Così risulta nel documento manoscritto del 23 aprile 1928 del Capo della Polizia (Bocchini) diretto al Capo del Governo (Mussolini): “Guido Bellone ha ricevuto da Basilea da Tranquilli Secondino – uno dei capi comunisti – un telegramma che gli preannuncia la sua venuta in Italia. Il colloquio che seguirà potrebbe essere interessante. Terrò informata la E.V.”; Riportato in D. Biocca – M. Canali, cit., p.123.

[118] Silone spiegò a Guido Bellone, in data 28.4.1928: “Sospesi il viaggio per Roma in seguito ad informazioni della Polizia di Lugano, secondo le quali io ero segnalato a tutti i posti di frontiera italiana. I miei amici che erano già contrari al mio ritorno in Italia, non vollero allora che io partissi. (…) Io le scriverò anche domani, intanto voglio avere assicurazioni su mio fratello. Mi faccia scrivere da qualche parente fascista (es. un membro del direttorio del Fascio del mio paese) delle informazioni sicure in merito, ad un indirizzo che ho mandato alla nonna”; ACS, Polizia Politica, Materia, b. 95; riportato in D. Biocca - M. Canali, o. c., p.258-259. L’accusa contro Silone era di aver “rivelato segreti politici e militari concernenti la sicurezza dello Stato” facendo riferimento al trafugamento e falsificazione di documenti italiani all’estero. Successivamente fu poi indicato tra i complici dell’attentato di Milano.

[119] A mettersi in contatto separatamente con Mussolini furono il ministro laburista inglese Henderson, presidente dell’Internazionale Socialista, Henri Barbusse, presidente del Comité de défense des victimes du fascisme e Romain Rolland, premio Nobel della letteratura. In una intervista a Famiglia Cristiana del 18.2.1968, Silone afferma: “erano intervenuti a salvarlo dall’esecuzione capitale, oltre a Don Orione, alte personalità straniere tra cui il ministro degli esteri britannico. Fu assolto dall’accusa di essere l’attentatore del re, ma lo condannarono a dodici anni di reclusione soprattutto a causa delle idee politiche del fratello, delle mie idee” (p.23).

[120] Romolo Tranquilli junior, figlio di Pomponio Tranquilli, ha detto: “Era mio padre che teneva i collegamenti con Secondino, era lui – appoggiato da pochi come Gianbattista Barbati e Vincenzo Parisse – a procurargli i nascondigli quando veniva a Pescina, a informarlo, a ospitare i compagni anche stranieri. E quando Romolo fu incarcerato, fu lui a stargli vicino nell’abbandono di tutti, ad aiutarlo seguendolo nei continui spostamenti carcerari da S. Vittore a Regina Coeli, all’Aquila, a Perugia, fino a Procida”; Il silenzio di Silone, “Rocca, gennaio 1979, p.41-44.

[121] Romolo si riconobbe un idealista e “simpatizzante comunista”, ma confessò anche che solo “dopo la metà di Marzo (1928) sono entrato a far parte nel movimento comunista. Io sono persuaso che avrei agito a fin di bene”; Testimonianza di Romolo Tranquilli, cit. Questa adesione attiva al comunismo era solo funzionale all’espatrio? Veniva veramente da Silone questo progetto? E se l’idealista Romolo fosse stato un ostaggio caduto in una rete più grande, tesa a colpire Silone? Potrebbe essere stata una macchinazione dell’Ovra o forse di elementi del comunismo stesso cui Silone era inviso, o forse le due cose insieme.

[122] Dalla lettera del 14.1.1965 di Ignazio Silone a Don Gaetano Piccinini; ADO, cart. Piccinini.

[123] Arturo Bocchini, Capo della Polizia, si rese conto ben presto che non era verosimile la responsabilità della “pista comunista” e che gli indizi a carico dei tre accusati non avevano fondamento. Intervenne nel pre-dibattimento giudiziario e smontò l’accusa. Così salvò dalla fucilazione anche Romolo Tranquilli; Cfr. M. Franzinelli, cit., p.84-87.

[124] Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1929, Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1983, p.434.

[125] Sentenza n.37, n. 187 R.G.

[126] A nulla valse anche la accorata lettera di richiesta di grazia indirizzata al Re d’Italia dalla Nonna di Secondino, ma scritta da Pomponio Tranquilli il 2.2.1929.

[127] La pratica di torture fisiche e psicologiche su di lui avvenne anche durante la detenzione al “Regina Coeli” di Roma. Silone nella più volte citata lettera a G. Piccinini aggiunge un Post scriptum: “Nel libro di Armando Gavagnin, Una lettera al Re (Ed. La Nuova Italia, Firenze, 1951) c’è il racconto che Romolo gli fece della sua tragedia in vari incontri a Regina Coeli”.  Le condizioni di salute di Romolo si aggravarono durante la reclusione nel carcere penale di Perugia, dove rimase dal 28 luglio 1931 al 12 luglio 1932, sottoposto a trattamento disumano. Alcuni detenuti comunisti, lamentatisi col direttore delle angherie inflitte a Tranquilli, furono per questo puniti. Cfr. il capitolo La tragedia di Romolo in O. Gurgo – F. de Core, Silone, cit., p.92-107; M. Franzinelli, cit., p.83 e 89.

[128] Ruggeri non rivela chi sia questo “ergastolano” fonte delle sue notizie. Della ritrovata pace nella lettura e nella riflessione Romolo scrisse anche a Silone: “Ti ho scritto che mi sono fatto venire vari libri e che perciò il tempo lo passo bene: ora, se leggo Dante, riesco a intendere la sua bellezza, che una volta riuscivo a cogliere molto imperfettamente. Gusto anche il Petrarca e gli altri due: Tasso e Ariosto. Dante Petrarca ecc., sto in buona compagnia, ti pare?”, riportato in O. Gurgo – F. de Core, Silone, cit., p.102.

[129] A. Ruggeri riferisce ancora: “Don Piccinini ebbe il conforto di recarsi a Procida, alcuni anni dopo, per pregare sulla tomba del suo ex compagno orfano, riconoscibile appena da un una piccola croce, nello squallido cimitero della casa di pena. Rientrato in Italia nel 1944, Ignazio Silone tentò di recuperare i poveri resti di Romolo. Gli fu risposto che, durante la guerra, il cimitero era stato colpito da bombardamento ed erano saltate in aria le tombe degli ergastolani ivi sepolti”, cit., p. 78-79.

[130] Dalla lettera del 14. 1. 1965 di Ignazio Silone a Don Gaetano Piccinini; ADO, cart. Piccinini.  Nel tentativo di strappargli ammissioni di colpa lo si percosse al petto e alla schiena con sacchetti di sabbia, provocandogli la rottura di tre costole e serie lesioni polmonari; cfr. M. Franzinelli, cit., 83.

[131] Cfr. mia intervista a Darina Silone, pubblicata in Avvenire del 4 maggio 2000, p.22.

[132] La notizia è riferita da Don Antonio Cerasani in una lettera del 1° febbraio 1979 indirizzata a Don Ruggeri. Richiesto di meglio precisare l’evento, Don Cerasani replicò con lettera del successivo 12 marzo: “Che Don Orione andò a Procida, è certissimo, dopo aver chiesto e ottenuto direttamente il permesso dal ministro. Il carceriere rimase molto meravigliato che un prete avesse ottenuto tale permesso, perché l’isolamento era assoluto. Don Orione, questo, me lo raccontò nuovamente, quando andammo insieme in America (1934). Quindi non c’è alcun dubbio”.

[133] Nell’edizione di Ignazio Silone. Romanzi e saggi, vol. II, cit., pp. 767-784.

[134] Processo Apostolico, II parte, sessio CXXIV, p.643-648, in Archivio della Postulazione Don Orione, Roma.

[135] La Fiera Letteraria, 13. 1. 1963, pp. 1-2.

[136] ADO, cart. Silone.

Lascia un commento
Code Image - Please contact webmaster if you have problems seeing this image code  Refresh Ricarica immagine

Salva il commento