Sanremo, 21 giugno 2022.
Don Flavio Peloso, Sanremo, 21 giugno 2022
“Solo la carità salverà il mondo” è diventato uno slogan, ma per Don Orione fu la convinzione centrale del suo impegno civile e apostolico. Per questo, giustamente, può essere presa come un punto di riferimento nel parlare di Don Orione e del suo carisma.
Giovanni XXIII ha osservato: “La sua carità andava oltre i limiti normali. Era convinto che si potesse conquistare il mondo con l’amore”.
Chi conosce Don Orione e la sua Famiglia religiosa non può non condividere quanto detto da Giovanni Paolo II. "È impossibile sintetizzare in poche frasi la vita avventurosa e talvolta drammatica di colui che si definì, umilmente ma sagacemente, «il facchino di Dio». Se si osserva la multiforme attività caritativa, a cui si dedicano il Figli e le Figlie di Don Orione, così pure se si considera la mole enorme di iniziative benefiche da lui personalmente intraprese, non si può trattenere una giusta ammirazione davanti ad un servitore della Chiesa così fedele e generoso".[1]
Senza fermarsi però all’ammirazione, il Papa osservava: "È tuttavia importante che ci si domandi quale sia il carisma unificante, sul quale la Piccola Opera è costruita, e che la distingue dalle altre Congregazioni, sorte nello stesso periodo storico ed ugualmente dedite al servizio dei poveri.
Per rispondere adeguatamente a tale interrogativo, occorre rifarsi alla tipica esperienza spirituale di Don Orione".
Giovanni Paolo II, nell’omelia della Messa di beatificazione, presentando Don Orione come modello di santità al mondo intero, indicò quale sia stata la sua tipica esperienza spirituale.
“Dalla sua vita, tanto intensa e dinamica, emergono il segreto e la genialità di Don Orione: egli si è lasciato solo e sempre condurre dalla logica serrata dell'amore! (non è semplicemente un va’ dove ti porta il cuore, ma va dove ti porta Dio) Amore immenso e totale a Dio, a Cristo, a Maria, alla Chiesa, al Papa, e amore ugualmente assoluto all'uomo, a tutto l'uomo, anima e corpo, e a tutti gli uomini, piccoli e grandi, ricchi e poveri, umili e sapienti, santi e peccatori, con particolare bontà e tenerezza verso i sofferenti, gli emarginati, i disperati”.[2]
Don Orione stesso confermò il centro della sua esperienza spirituale quando, dovendo rendere ragione a chi chiedeva di lui e dell’Opera che andava avviando, scrisse: “Le mie regole voi non le conoscete, ma voi conoscete la mia vita e il fine per cui lavoro: niente per me, tutto per Dio e per la Santa Chiesa Romana, e qualunque sacrificio per farmi santo e salvare e consolare le anime dei miei fratelli. Un cuore senza confini perché dilatato dalla carità del mio Dio Gesù Crocifisso”.[3]
È la carità che unisce a Cristo e alla Chiesa quel carisma unificante di cui parlava Giovanni Paolo II.
Don Orione visse in un tempo in cui le parole e le azioni della Chiesa non riuscivano a penetrare specialmente tra le masse popolari, sempre più sedotte da altre ideologie – soprattutto socialista - e costumi e distaccate dalla fede. Simile distacco e perdita della fede della gente si sta vivendo oggi, non più per la seduzione di ideologie ma per la confusione del relativismo. Ebbene, Don Orione ebbe un'intuizione che è analisi e progetto insieme.
Così la esprime: "Non penetreremo le coscienze, non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla Chiesa, senza una grande carità e un vero sacrificio di noi, nella Carità di Cristo. Vi è una corruzione, nella società, spaventosa; vi è un'ignoranza di Dio spaventosa; vi è un materialismo, un odio spaventoso; solo la Carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle". [4]
È evidente il forte parallelismo con il nostro tempo attuale.
La carità fa dire – a dispetto di ogni seduzione di ideologia e confusione di relativismo – qui la vita c’è, qui Dio c’è.
Don Orione giunse a questa forte convinzione: "La causa di Cristo e della Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere". Raccomandava: “Evitate le parole: di parolai ne abbiamo piene le tasche. Taumaturgo sarà il fatto ricondurre alla fede avita le turbe. Via le accademie. Cercare e medicare le piaghe del popolo, curarne le infermità: andargli incontro nel morale e nel materiale. In questo modo la vostra azione sarà non solamente efficace, ma profondamente cristiana e salvatrice”.[5]
E così, arrivando in una città, prima ancora di aprire una chiesa, apriva un istituto per orfani, si prendeva cura degli inabili, dei dimenticati, di quelli che allora chiamavano i "rottami della società". Era per lui quasi un dogma “È prassi da noi di unire sempre all’opera di culto un’opera di carità”.[6]
Così egli parlava di Dio, del Vangelo e della Chiesa!
"Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera e creare opere, opere, opere di carità... il che costituisce il primo nostro mezzo per diffondere negli umili l'amore alla Chiesa e al Papa nell'amore di Cristo". [7]
Nell’omelia di canonizzazione, il 16 maggio 2004, Giovanni Paolo II definì Don Orione lo "stratega della carità"[8] e colse di lui il “tratto unificante” della sua poliedrica e vulcanica personalità e attività apostolica. La carità era la sua "strategia apostolica".
Don Orione trasmise questa strategia. "Siamo in tempi in cui se vedono il prete solo con la stola non tutti ci vengono addietro, ma se invece vedono attorno alla veste del prete i vecchi e gli orfani allora si trascina... la carità trascina... La carità muove e porta alla fede e alla speranza (...). Tanti non sanno capire l'opera di culto e allora bisognerà unire l'opera di carità". [9]
Egli fece sorgere perciò, alla periferia delle grandi città, per certi aspetti simbolo dell'efficientismo dell'uomo, di quest'opere di carità, i Piccolo-Cottolengo: fu così a Genova e a Milano; fu così a Buenos Aires, a San Paulo del Brasile, a Napoli. È così a Sanremo. Era nel suo desiderio, ma fu il suo successore Don Carlo Sterpi a realizzare il Piccolo Cottolengo di Sanremo, città del bello e anche della vanità godereccia.
Queste opere della carità verso i più limitati e sofferenti erano per Don Orione i "pulpiti" nuovi da cui parlare di Cristo. In una lettera del 4 gennaio 1926 scrive: "Il Piccolo Cottolengo diventerà la "Cittadella spirituale" di Genova. Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! Il Piccolo Cottolengo sarà un "faro gigantesco", che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale anche oltre Genova e oltre Italia".[10]
Per Don Orione, la carità è il linguaggio che ancora avrebbe parlato di Dio in modo a tutti comprensibile e avrebbe convertito i cuori.
Invitato, nel 1905, ad andare in Brasile, Don Orione risponde: "Non so la lingua, non so nulla; ma la carità parla una lingua sola e tutte le lingue. Sono disposto a venirci". [11]
E a Don Adaglio, in Palestina, il 19 marzo 1923 scrive: "Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa, nata e sgorgata dal Cuore di Gesù; opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio. Gesù è venuto nella carità, non colla eloquenza, non colla fortezza, non colla potenza, non col genio, ma col cuore: con la carità. Opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della fede cattolica". [12]
Anche Gesù ai messaggeri del Battista che gli chiedevano i segni del Regno e del Messia, Gesù propose la muta ed eloquente testimonianza delle opere: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista; gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" (Mt. 11,2-6).
Dal povero a cui donò le proprie scarpe e che non rispose "Grazie Don Orione" ma "Sia lodato Gesù Cristo", alla città di Messina tutta raccolta in un'enorme piazza diventata chiesa solo perchè aveva visto un prete del Nord "lacero e sporco" tra le macerie del terremoto, Don Orione aveva compreso che evangelizzare, portare Cristo consiste nel vivere la carità, non come strategia persuasiva ma come verità teologica, perché "dov'è carità e amore, lì c'è Dio".
Alcuni anni fa, visitai a Oradea, in Romania, il Vescovo greco-cattolico della città Basile Hossu, uomo meraviglioso e buono. Era appena caduto il regime comunista e raccontava delle tante sofferenze e umiliazioni subìte durante il periodo della dominazione comunista, particolarmente aggressiva contro le comunità cristiane greco-cattoliche. Poi si animò parlando dell'opera degli Orionini ad Oradea: "La vostra attività, il vostro modo di essere per i ragazzi e per i poveri, ha creato nel popolo un nuovo concetto e un nuovo atteggiamento nei confronti della Chiesa. Ricordo che un giorno, viaggiando in auto con Don Lazzarin, fummo fermati dalla polizia che ci trattò in malo modo e addirittura sprezzante nei miei confronti. Don Lazzarin, per giustificarsi disse che avevano fretta per giungere a Oradea, dove eravamo aspettati dai Confratelli e dai ragazzi dell'Oratorio. ‘Andate da Don Luigi, voi?’ interruppe il poliziotto. ‘Sì, siamo suoi Confratelli’. Il poliziotto cambiò di tono e si mise a parlare benevolmente dell'Oratorio, dei ragazzi. Vedete? - concluse Mons. Hossu - l'opera da voi fatta all'oratorio, per i ragazzi e per i giovani sta rendendo amabile e stimata tutta la Chiesa di Oradea".
Il cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di San Paolo del Brasile, anni fa, indicò il nostro Piccolo Cottolengo come destinatario delle offerte della “campagna della fraternità” organizzata dalla Conferenza Episcopale. Definì quella grande opera di carità “l’apri porta della Chiesa cattolica nella città”. Intendeva dire che l’opera svolta dalla Congregazione verso quei bisognosi, con gravi disabilità mentali e fisiche, dava credito e rendeva vicina al popolo la Chiesa cattolica e i suoi Pastori.
È molto bella l’espressione “strategia della carità” ma dobbiamo stare attenti ad intenderla bene, nella sua compiutezza, come la intendeva Don Orione e non come una strategia umana di marketing, di buonismo strumentalizzato ad altri interessi, di filantropia laica.
Inoltre, è da avere presente che oggi le “opere della carità” (le istituzioni) hanno subito una trasformazione sociale, economica e legislativa che le ha portate ad essere soprattutto opere di servizi (competenti, pagati ed esigiti) con possibilità e qualità relazionali sempre più ridotte, compresa quella caritativa.
Dovremmo perciò abituarci ad aggiungere al termine “carità”, come faceva Don Orione, l’aggettivo “divina” per specificare che è quella “nata e sgorgata dal Cuore di Gesù”; “La carità è come il fiume montano: ha la sorgente in alto, in Dio”; [13] è “divina carità di Gesù Cristo che non serra porte, che non vede confini; che sola edifica e unifica nel Signore, che sola potrà salvare la società”.[14]
La carità si esprime in opere, istituzioni, in aiuti, ma viene dallo “Spirito di Dio presente nell’anima”. Per questo, occorre passare dalle opere della carità alla carità delle opere “perché anche le opere senza la carità di Dio, che le valorizzi davanti a lui, a nulla valgono”.[15]
La "strategia della carità" vissuta e trasmessa da Don Orione è riassumibile in
1) rinnovare in noi Cristo; (è ascetica)
2) amare in tutti Cristo; (è mistica)
3) servire a Cristo nei poveri; (è diaconia)
4) tutto restaurare in Cristo, salvare sempre, salvare tutti (è evangelizzazione).[16]
Nel nostro mondo secolarizzato, in cui le parole e perfino le esperienze hanno perso il loro significato originale, siamo chiamati con Don Orione a salvare la carità che salverà il mondo. "Noi siamo apostoli di carità. Tutto il Vangelo è qui: vedere e sentire Cristo nell'uomo. Serviamo la Verità, la Chiesa nella Carità. Fare del bene a tutti, fare del bene sempre, del male mai a nessuno!". "Solo la carità salverà il mondo".[17]
N O T E
[1] Messaggio alla Piccola Opera della Divina Provvidenza in L'Osservatore Romano, 12 marzo 1990, p.4.
[2] L'Osservatore Romano, 27-28 ottobre 1980, 1-2.
[3] Scritti 102, 32.
[4] Lettere, I, p. 181-182.
[5] Scritti 61, 114.
[6] Scritti 117, 107; anche in 38, 158; 49, 33; 53, 39; 62, 67b; 69, 156; 70, 297; 80, 177; 92, 138; 92, 216; 92, 224; 92, 226; 105, 72. Don Orione già era a Sanremo dal 1899, chiamato ad assumere il Convitto San Romolo dal vescovo di Ventimiglia-Sanremo Ambrogio Daffra. Ebbene, nel giugno del 1902, Don Francesco Lombardi, parroco di Bussana (SV), gli mise a disposizione il santuario del Sacro Cuore con l’annesso edificio. Don Orione conoscendo il carattere cosmopolita e la presenza di molti Protestanti nella riviera ligure pensò di farne un’opera ecumenica, un’opera di carità naturalmente, accanto al santuario. E spiegò: "Finora per quelle Chiese non si è fatto nulla… Bisognerà andare ad esse con una grande carità e ben foderati di scienza, ma scienza caritativa, non con l'autorità, che faremo mai niente. Ho pensato di scrivere al Parroco di Bussana e di piantare là, davanti al mare e ai piedi del S. Cuore, la casa per l'unione delle Chiese”; Scritti 57, 169.
[7] Scritti 4, 280.
[9] Riunioni 95 e 81. Scritti, 100-195. Più volte raccontò la conversione di Pacomio, generale romano, e della sua legione alla vista dei cristiani "che, mossi da compassione, recavano soccorso e con sollecitudine delicata e paziente, chi medicava le ferite, chi forniva cibi e bevande per ristorarli”; Scritti 82, 112-115.
[10] Lettere I, p. 537. Al Paverano, Don Orione disse a Don I. Terzi e Fra F. Guala: “Vedete, questo Istituto non l'ho aperto solo per queste poverette che avrebbero forse potuto trovare anche aiuto altrove, ma proprio per quei signori, onde adempiano il dovere di aiutare e abbiano modo di esercitarlo. Erano così i principali destinatari di tanta carità"; Atti e Comunicazioni della Curia Generale, XXXIX (1985), 210.
[11] Scritti 103, 3.
[12] Scritti 4, 279-280. “Sentite! A qualunque partito appartengano, qualunque religione abbiano, ricordate che quando si fa del bene, là si conquista. Quando vedono che si vuol dare il conforto della fede e un letto a chi non l'ha, tutti sentiranno di dover chinare il capo e credere nella nostra religione... Il mondo si converte con la carità, nel far del bene. O Missionarie della Carità, voi siete quelle suore chiamate dalla mano di Dio a spargere la Carità". In Archivio B 13 a, p. 84 e cfr., p. 6.
[13] Scritti 81, 91.
[14] Scritti 62, 33.
[15] Scritti 39, 80.
[16] Sui passi di Don Orione, 314. Scritti 57, 104c.
[17] Lettere, II, p. 327-331; Scritti, 9,28; In cammino con Don Orione, 328-331.