E' uno studio - il mio primo elaborato negli anni della filosofia e teologia - sul libro di Giuseppe Catalfamo dedicato a questo tema. Era l'anno 1974-1975 e studiavo all'Istituto Teologico Don Orione di Roma, affiliato alla Pontificia Università Lateranense.
I FONDAMENTI DEL PERSONALISMO PEDAGOGICO
Studio di Flavio Peloso
NOTE INTRODUTTIVE
SISTEMI PEDAGOGICI A CONFRONTO
RAPPORTO FILOSOFIA PEDAGOGIA
ALCUNI CRITERI DI RICERCA
L’ESPERIENZA
1 – Mediazione razionale dell’esperienza
2 –Caratteri dell’esperienza
a) Storicità
b) Trascendentalità
c) Problematicità
3 – L’uomo, principio unificatore dell’esperienza
LA PERSONA E SUE CARATTERISTICHE
L’ESSENZA DELL’EDUCAZIONE
IL MAESTRO
IL METODO DIDATTICO
NOTE CONCLUSIVE
Dall’indole sociale dell’uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana
E lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno di socialità. (Gaudium et Spes 25)
N O T E I N T R O D U T T I V E
Mi sono accostato a questo studio della Pedagogia con grande interesse ed entusiasmo sia per l’orientamento sempre più deciso della mia vita verso questa attività, sia per il fatto che ho già vissuto una bella e sofferta esperienza come educatore.
Di questo mio studio sistematico del personalismo pedagogico ho sempre potuto confrontare i dati teorici con un’esperienza assai viva e sentita in me. Mi è stato perciò più facile percorrere il cammino così come l’autore, Giuseppe Catalfamo, propone: partire dall’esperienza, dalla realtà oggettivata per arrivare a dei fondamenti teoretici. I rimandi alle pagine del libro di Catalfamo sono posti tra parentesi.
In un’epoca in cui si guarda sempre più alla prassi, alle realizzazioni concrete, all’organizzazione scientifica della pedagogia, “I fondamenti del personalismo pedagogico” di Giuseppe Catalfamo, ordinario di Pedagogia e direttore dell’Istituto Pedagogico dell’Università di Messina, costituisce un richiamo a una riflessione attenta e ricercante sui motivi che fondano un’azione pedagogica più efficace e rispettosa dell’uomo.
Questo studio monografico dà una risposta chiara e costruttiva a tanti interrogativi che un’esperienza educativa non sufficientemente motivata può porre.
L’autore rivela subito il suo intento e il suo itinerario di ricerca: “Queste pagine furono scritte con l’intento di fondare teoreticamente la pedagogia, muovendo da una considerazione critica dell’esperienza, e di determinare i presupposti di una concezione “personalistica” dell’educazione”. (7)
La direzione è sempre il “personalismo critico” che muove dalla “esperienza” rinvenire nella sua interiorità la presenza ideale dei “valori” e il dinamismo dell’atto personale.
Tale ricerca è sostenuta dalla convinzione che la pedagogia non possa essere liquidata e risolta in una specie di sociologia interessata a progettare riforme e programmazioni scolastiche, ma debba restare essenzialmente una ricerca filosofica del “senso totale” della persona. Un concetto di educazione è per noi un concetto di vita, ecco perché dobbiamo parlare di ”filosofia dell’educazione”. (8)
SISTEMI PEDAGOGICI A CONFRONTO
Da più parti si è proceduto a determinare una “rottura” con il tradizionale carattere filosofico della pedagogia, o quanto meno, ad eliminare la “preminenza” della considerazione filosofica sui problemi dell’educazione.
Questa tendenza esprime una reazione alla pretesa identificazione di pedagogia e filosofia espressa dall’Idealismo. (10)
In campo positivista allora si sviluppò la “pedagogia scientifica”.
Psicologia, sociologia e lo sperimentalismo pedagogico furono collegati dallo sforzo di sganciare la pedagogia dalle “astrattezze speculative” per applicarla alla presunta concretezza dei fatti osservabili e misurabili, ravvivando nelle discussioni speculative non altro che “sterili cincischiamenti e dispersive elucubrazioni”.
Sono appunto i cosiddetti “pratici” che, messo in ombra l’aspetto “teoretico”, vedono nella pedagogia l’opera dell’abilità professionale e del tatto individuale o il risultato della perizia tecnica acquisita con l’esperienza e con lo studio dei fatti pedagogici, anziché il risultato sistematico di un “sapere che traccia itinerari per una azione che ha concernenza con l’essenza stessa dell’uomo”. (11)
Questo pragmatismo grossolano dimentica che la pedagogia deve verificarsi, confrontarsi con l’“idea” (essenza) di uomo (fondamento metafisico) prima di agire su di esso. (12)
Una pedagogia ”praticista” è riduzionista di molta parte dell’uomo e non ha chiaro il completo campo della sua azione. Non sa, in altre parole, dove si esprime l’uomo con la sua volontà (atto personale, volitivo) e dove si arresti l’animale con i suoi automatismi (addestramento, allevamento).
Occorre insomma scoprire prima di tutto l’essenza della pedagogia: l’uomo e i suoi valori.
La pedagogia, come scienza, non si ferma al “che” o al “come”, ma va al “perché” dell’uomo; e questo è il suo fondamento filosofico. (14)
Un retto concetto della pedagogia è quello in cui possono rientrare tanto il contenuto “filosofico”, quanto quello “scientifico” propriamente detto.
R A P P O R T O F I L O S O F I A - P E D A G O G I A
I – Filosofia classica di Platone e Aristotele
In che rapporto stanno Filosofia e Pedagogia? Molte furono le risposte. Nei sistemi filosofici comunque la pedagogia rappresenta la mediazione tra filosofia e vita e in questo senso sta di mezzo tra l’etica e la politica.
A riguardo basti ricordare la posizione del problema pedagogico nei sistemi classici di Platone e Aristotele nei quali, appunto, l’educazione attua la “mediazione” dell’idea speculativamente elaborata dello stato politico ideale. (16)
Infatti anche oggi uno dei primi settori che i diversi sistemi politici monopolizzano, o influenzano, è la scuola.
2 – Deduzionismo di Herbart
Per Herbart invece, la pedagogia è una deduzione dalla filosofia e precisamente dalla dottrina della virtù, l’etica, e da quella dell’anima, la psicologia: è una scienza filosofica quindi. (18)
La conoscenza del “fine” dell’uomo, integrandosi con quella della “natura” dell’uomo, basta a determinare e delimitare il campo della pedagogia che nasce appunto dalla deduzione dei “punti di dottrina pedagogici” di etica e psicologia, ambedue però filosofici e razionali.
Herbart non ha sufficientemente chiarita e salvaguardata la necessaria autonomia tra pedagogia e filosofia.
3 – Idealismo di Gentile
Con Gentile si impone il concetto che la pedagogia è filosofia. Egli porta a posizioni estreme la affermazioni di Herbart circa la natura filosofica della pedagogia.
Ecco come il Gentile spiega l’identificazione tra filosofia e pedagogia: “Filosofia e pedagogia sono puntualizzate nella autocoscienza: non si possono né distinguere né separare”. (20)
4 – Strumentalismo di Dewey
Altra posizione è quella sorta all’interno della filosofia pragmatista. Esaminiamola nelle affermazioni di un suo grande esponente contemporaneo: il Dewey.
“La pedagogia – egli afferma in ‘the sources of a science of education’ – più che una determinata scienza, costituisce una funzione di una molteplicità di forme del sapere, unificate allo scopo educativo. Scopo diventa la ‘pratica educativa’; non c’è nessuna materia infatti destinata intrinsecamente quale contenuto della scienza dell’educazione”. (23)
Il Dewey respinge così la pretesa della filosofia di stabilire fini oggettivi e di fissare principi generali dell’educazione. Per questo parla sempre di “ pratica educativa” e mai di “scienza educativa” con dei contenuti.
Per questo Dewey non critica l’esperienza, ma la “descrive”, non sospettando in essa alcun principio interno che la costituisca e la fondi.
Qualunque idea o ipotesi teoretica è perciò provvisoria, intermedia: di necessario ci può essere solo il “fatto” dell’esperienza; basta “l’attività”, una qualunque attività che abbia scopo educativo affinché ci sia educazione. (25)
Alcuni punti di critica balzano evidenti nell’esaminare la pedagogia del Dewey.
Quale attività merita nell’esperienza pedagogica il contrassegno educativo, se Dewey ha escluso in partenza un contenuto intrinseco nell’educazione?
La sua pedagogia manca di unità sostanziale, di contenuto. Non c’è una “scienza dell’educazione”, perché non c’è un “contenuto intrinseco” dell’educazione.
5 – Sociologismo di Durkheim
Grande importanza ha assunto anche la posizione di Durkheim. In “Education et sociologie” egli scriveva: “Io considero, come postulato di ogni speculazione pedagogica, che l’educazioneècosa eminentemente sociale, eche, pertanto, la pedagogia dipende dalla sociologia più strettamente di tutte le altre scienze”.
“La pedagogia è frutto ed esprime idee e sentimenti collettivi. È dunque allo studio della società che bisogna far capo”.
Da queste affermazioni è facile notare come il Durlcheim riduce indiscriminatamente l’uomo all’”essere sociale”, ad una vera e propria funzione della società, dimenticando completamente l’”essere personale”.(27)
6 – Sperimentalismo di Buyse
Un’altra posizione conviene esaminare per sgomberare il terreno per edificare la fondamentazione della pedagogia. Si tratta del concetto e del metodo della cosiddetta “pedagogia sperimentale”. Essa ha il suo principale sostenitore contemporaneo nel Buyse.
Nell’Esperimentation en pédagogie egli sostiene che la pedagogia dovrà essere fondata sulla “osservazione” e sulla “esperienza”. Perché l’esperienza sia veramente scientifica ci si dovrà concentrare nello “sforzo per misurare i fatti pedagogici, studiandone le condizioni, onde risalire alle loro leggi”.
“La pedagogia – continua il Buyse – porsi al di sopra delle cosiddette “dispute dialettiche” per applicarsi alla “verità scientifica”, mediante il rigore delle argomentazioni di fatto e della “dimostrazione” che da sola è capace di rivelarci la “verità vera”. (29)
Ci si accorge come il Buyse al di sotto dei fatti oggettivati, delle esperienze, non sospetti neppure il darsi della “soggettività”, della presenza efficiente dell’ “atto personale”; non si pone neppure perciò il problema critico per accertare i limiti entro cui è possibile l’esperimentazione pedagogica.
Egli taglia netto la pedagogia in due: riduce tutto a rigorosa e scientifica esperienza e relega nel campo delle “dispute dialettiche” la filosofia pedagogica.
Altra nota che balza evidente è che il soggetto dell’educazione che per la filosofia dell’educazione è realtà teleologica, diventa realtà meccanica per la scienza sperimentale dell’educazione.
Sfugge al Buyse l’autentico concetto di pedagogia come sintesi schiettamente filosofica di fatto e valore, di a priori e di a posteriori; teoria della spiritualità del processo educativo e speculazione risolutiva dei dati empirici della sperimentazione. (31)
ALCUNI CRITERI DI RICERCA
Da queste brevi analisi abbiamo visto come questi diversi sistemi non diano un’adeguata soluzione al “problema della pedagogia”.
Catalfamo propone alcune idee base.
La ricerca pedagogica non può essere assunta nella sua purezza “formale”, prescindendo dal suo contenuto, appunto perché è questo che la circoscrive e la determina. Atto e oggetto della ricerca sono intrinsecamente solidali. (32)
Il problema critico della pedagogia viene a consistere nella richiesta di una “sistemazione razionale” dei concetti che esprimono oggetti e rapporti attinenti all’educazione. È da tale sistemazione che può scaturire logicamente la fondazione teoretica della pedagogia. (34)
La verifica del problema epistemologico della pedagogia attraverso l’esame di alcune fondamentali posizioni (Dewey, Gentile, Herbart, Buyse) ha fatto intravedere la direzione precisa nella quale è possibile cercare questa fondamentazione: si tratta di costituire la pedagogia come forma autonoma della filosofia, e come specificazione interna della filosofia.
A tale costituzione non giunge Herbart arrestandosi al concetto della pura “deduzione”, né giunge il Gentile con la “identificazione” della pedagogia nella filosofia, né il Dewey, svuotando il contenuto intrinseco la scienza dell’educazione, né giunge, infine, il Buyse, tagliando in due tronconi il corpo della pedagogia.
Per fondare e definire il concetto di educazione occorre porre come punto di partenza un dato oggettivo: il fatto stesso dell’educazione come si rivela nell’esperienza. Dalla mediazione di questo fatto risaliremo alle idee fondamentali. (34)
La ricerca del fondamento pedagogico si risolve in una ricerca di schietto sapore filosofico…infatti la filosofia cerca di risalire all’intima essenza delle cose, dei fatti, dell’esperienza.
L ‘ E S P E R I E N Z A
1 – Mediazione razionale dell’esperienza
Stabilito il carattere filosofico della nostra ricerca e analisi dell’esperienza pedagogica, occorre superare un “atteggiamento antimetafisico” che vuole sfuggire la “metafisica dell’esperienza” per ridurla a semplice catalogazione, descrizione, statistica.
C’è un passo obbligato da valicare: l’esigenza di “mediare”, di “giustificare” l’esperienza, la vita.
È l’esigenza di un fondamento filosofico al di là di quello che possono essere poi le forme concrete attraverso cui si determina e realizza l’esperienza.
Siamo qui di fronte ad un necessario “rinvio” dalla fenomenologia, dall’esperienza alla metafisica; metafisica non presupposta all’esperienza, ma da questa implicata, mediata. (50)
Qui starà pure il fondamento del personalismo pedagogico che si propone di unificare le “esperienze”, i “fatti educativi” nella persona come unità fisica, razionale spirituale, misurata e misura di tutte le esperienze.
2 – Caratteri dell’esperienza
Abbiamo detto che la mediazione filosofica si fonda sul reale, sull’esperienza che poi trascende e critica. Ecco alcuni caratteri risultanti dalla analisi della struttura dell’esperienza.
a) Storicità: ogni esperienza è la “risultante” di una serie di esperienze che la precedono e la “premessa” di una progressione che seguirà.
La storicità però, per quanto spieghi il dinamismo dell’esperienza non è sufficiente a caratterizzare l’esperienza nella sua universalità.
b) Trascendentalità: la storicità, il procedere sempre oltre una precedente determinazione, ci fa cogliere una prospettiva trascendentale nella esperienza dell’uomo. Se questa trascendentalità dell’esperienza non ci fosse, si arresterebbe anche la storicità dell’esperienza intesa come progresso che trascende precedenti determinazioni.
Non è tutto. Ogni fatto dell’esperienza esprime insieme “positività” e “negatività”, sufficienza e deficienza, determinazione e indeterminazione, realizzazione e progettazione dovute ai suoi aspetti storico e trascendentale. (56)
Da qui nasce l’altra grande categoria dell’esperienza: la problematicità.
c) Problematicità: come soluzione che porta con sé un nuovo progetto, come compiutezza parziale in tensione verso la perfezione totale. E ci sfugge il limite cui tende ad adeguarsi l’esigenza della problematicità dell’esperienza. (57)
Occorre insomma andare “oltre” l’esperienza onde afferrare il significato radicale perché alla scienza sfugge il senso totale dell’esperienza in cui opera.
La scienza può isolare, descrivere, mediare i fenomeni in quanto fenomeni, ma non può cogliere la realtà, l’essenza che sta sotto. Grave errore sarebbe però ignorare o negare questa realtà.
Ecco il punto di partenza, il fondamento dell’indagine filosofica dell’esperienza.
Dice Blondel: “È qualcosa che rimane del tutto trascendente alle scienze, pur essendo ad esse immanente e consentendo con la sua presenza che si sviluppino e si incrementino”.
3 – L’uomo, principio unificatore dell’esperienza
Le categorie dell’esperienza (storicità, trascendentalità, problematicità) postulano una unità generatrice e determinante, un centro di iniziativa. (59)
Questa unità non sarà l’Assoluto, altrimenti come spiegare l’imperfezione, il processo storico, la problematicità?
Tale unità non è neppure l’idea o l’Idea alla maniera Hegeliana, perché la “idea” come assoluta logicità espelle naturalmente i motivi irrazionali (volontà, emozione, condizionamenti, ecc.) presenti nell’esperienza. Questa unità non si può neppure ridurre alla “soggettività trascendentale”, se così fosse non si darebbe né bisogno di progresso, né problematicità.
Quale risposta dare?
Identifichiamo questa unità in una “realtà”, in un esistente che, attuandosi come principio di organizzazione e di produzione, si sporge oltre le determinazioni dell’esperienza e, sporgendosi le oltrepassa. Un esistente che nel determinato insinua l’indeterminazione, dalla soluzione estrae il problema e nel continuo immette il discontinuo. (60)
Eccoci ad un punto fermo.
Siamo partiti dall’esperienza per risalire al fondamento metafisico, ebbene: “l’esperienza come storicità, trascendentalità e problematicità postula un esistente che associ strettamente storia, trascendimento e problema. Questi è l’uomo “attore” della storia, “principio” di trascendimento, ”autore” del problema”. (61)
Questi è l’uomo determinante l’esperienza, che la filosofia ci presenta irriducibile alle analisi della conoscenza scientifica e alle sintesi astratte del calcolo matematico.
È l’uomo in atto come conoscente: è l’uomo che unifica, compendia e concentra la molteplicità degli elementi in una totalità organica che costituisce il mondo vitale dell’esperienza.
Ora possiamo introdurre il termine più esatto per definire questo soggetto come “atto originale, determinante e costruttivo”. (63)
A questo punto il discorso si apre a descrivere e caratterizzare il mondo interiore della persona.
L A P E R S O N A E LE SUE CARATTERISTICHE
1 – Originalità
Il “conosci te stesso” è la prima grande rivoluzione personalista che si conosca” – ha osservato Emmanuel Mounier in “Personalismo”.
È da questa convinzione che partiremo alla”scoperta della persona”.
La persona la si può definire sintesi originale del conoscere e del volere.
Ogni uomo ha il suo sguardo e il suo sorriso da non potersi confondere con quelli di nessun altro.
La personalità è questa “irrepetibilità” e “unicità” dell’atto con cui ci manifestiamo e ci distinguiamo dagli altri. (69)
2 – Trascendentalità sull’esperienza
Ed è per questa personalità che noi costituiamo l’esperienza, pur essendo in essa necessariamente costituiti. Emergiamo dalla esperienza attuando una “posizione di trascendenza” (69)
Quindi grave errore sarebbe classificare, studiare ed educare l’uomo solo in base alle leggi dell’esperienza, perché la persona “trascende” la sua situazione, la sua esperienza.
La persona esce in effetti dal determinismo delle sue condizioni naturali, storiche, sociali, per determinarsi ulteriormente, decidendo della sua situazione.
Per tutto ciò reca un “potere” che è più del determinismo e lo supera e per quanto determinata essa sia, non è mai impedita radicalmente di farsi a sua volta determinante.
3 – Libertà
Tale ”potere” fondamentalmente è la libertà.
Senza la libertà non vi sarebbe né oltrepassamento, né storia, né problematicità dell’esperienza.
L’atto personale è costitutivamente atto libero.
L’atto libero è fondante l’esistenza di una persona; è una prova che qualsiasi determinismo non è mai talmente determinante da impedire la richiesta di una determinazione personale. (71)
Il determinismo non è soppresso, né rifiutato, ma è adottato e posto al servizio di un “finalismo” che è interiore alla persona, determinandone la libera scelta sul piano dell’esperienza.
La persona si sporge oltre il determinato, perché si determina, non ripete perché innova, non si acqueta in una soluzione perché ha il potere di tendere oltre il soluto. (71)
In virtù della libertà la persona, che è “finita” manifesta un potere sull’ “infinito”.
4 – Finalità
Continuiamo il nostro cammino alla scoperta del mondo della persona.
Dall’analisi dell’esperienza abbiamo scoperto l’esistenza di un atto personale, che è necessariamente atto libero; ora indagheremo per scoprire come quest’atto sia pure un atto finalizzato.
Non c’è libertà senza un fine e non c’è atto libero senza un ideale cui tendere.
Alla libertà bisogna riconoscere un “movente”, perché è rispetto ad esso che si effettua e si determina.
La volontà come determinazione di un atto libero è dunque il determinarsi della persona per qualche cosa, un riferirsi intenzionale ad un termine voluto, la adesione ad una causa finale comunque presente alla volontà. Alla volontà sarà dunque necessaria la mediazione della conoscenza. (72)
5 – Apertura ai valori
Al concetto di finalità dell’atto personale è intrinsecamente legato il concetto di valore.
Il valore costituisce la finalità per l’uomo.
L’uomo non può chiudersi in se stesso, in una sussistenza compiuta e definitiva: un “dappiù” irriducibile rompe la quiete apparente in cui spesso dissimula la parzialità della sua sufficienza. (74)
Il “valore” rappresenta dunque, l’ideale che incide sulla determinazione, esprimendo al di là di essa un “dappiù” ineluttabile. (75)
È il “valore” che spiega la tensione trascendentale della libertà che dà vita all’atto personale.
A riguardo Blondel afferma: “nell’essenza finita dell’uomo c’è un infinito che passa”.
Il fatto che la persona trascenda la propria esperienza è dato dal fatto che il valore è trascendentale.
Il valore si costituisce così come norma dell’esperienza dandole un contenuto, una sostanza.
Siamo ben lontani dalle posizioni degli sperimentalisti, dei praticisti, degli strumentalisti che hanno svuotato l’esperienza da ogni contenuto e valore intrinseco.
6 – Apertura a Dio, valore supremo
Vasta è la gamma della scala dei valori, ma immancabilmente ci porta a porre Dio al vertice.
L’affermazione della persona postula necessariamente l’affermazione di Dio persona: di Dio che è intelligenza, volontà, legge e amore.
Una sproporzione irriducibile si esprime nella nostra vita e nell’esperienza tra la “determinazione” e il “valore”. Noi sormontiamo ogni determinazione esigendo un “dappiù” che viene dal valore: abbiamo sempre un ideale da raggiungere, un compito da realizzare; ci muoviamo nell’intervallo tra l’esistenziale e l’ideale, richiedendo ansiosi di colmarlo. Ciò perché nell’intimo della nostra coscienza si annida l’esigenza dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno. Diveniamo e vogliamo essere; abbiamo l’esistenza e aneliamo alla consistenza. (79)
Per vivere e voler vivere abbiamo bisogno di una speranza che ci salvi dal nulla e ci assicuri nell’essere: Dio è questa speranza; abbisognamo di una fede che garantisca dalla dissipazione e dall’oblio il nostro essere: Dio è questa fede; abbisognamo di un amore che appaghi infinitamente il nostro bisogno di amare e di essere amati: Dio è questo amore.
Il Dio della fede, della speranza e della carità è il Dio della persona umana, il Dio che la istituisce e fonda come dignità e valore.
All’origine del dinamismo personale, in virtù del quale siamo esseri pensanti, volenti e amanti, si esprime dunque un appello profondo dell’Assoluto, una speranza dell’Infinito, un’aspettativa dell’Eterno.
Una presenza di Dio non come idea, ma come vita. (80)
L ‘ E S S E N Z A D E L L ‘ E D U C A Z I O N E
Svelato e fondato filosoficamente quello che è il mondo interiore della persona, possiamo ora indagare sull’aspetto più pedagogico della questione: come estrarre, rendere maturo, autonomo e operante questo mondo personale attraverso l’azione pedagogica.
Tutta l’analisi fino a qui condotta ci ha portato necessariamente all’affermazione della persona come trincio del dinamismo dell’esperienza; è alla persona, dunque, che bisogna risalire per qualificare il “rapporto educativo” che si rivela come un aspetto della “comunicazione interpersonale”.
1 – Comunanza e comunione
Siamo a conoscenza della “bipolarità” della comunicazione: alla “comunanza”, che è comunicazione da funzione a funzione e sfiora la persona senza penetrarla, si oppone la “comunione” che si fonda sulla “reciprocità spirituale” come amore.
La comunanza resta all’esterno della persona, sospesa al tenue filo di un interesse oggettivo, la comunione scende nell’intimità dell’essere personale e implica un accordo e una convergenza interiori. (100)
“Trattare la persona come un essere presente, come un soggetto, significa riconoscere che non lo si può definire, classificare, che è inesauribile, colmo di speranze: significa fargli credito”. – così Mounier, sempre acuto e preciso, descrive l’atteggiamento sincero di “comunione” tra persone.
2 – Comunione e amore
È possibile un insegnamento senza amore, una azione sulla coscienza senza penetrazione nella coscienza e, insomma, una promozione senza Caritas?
A che si ridurrebbe il rapporto educativo se dovesse appiattirsi alla superficie della pura funzionalità?
Si è soliti insistere sull’amore come condizione fondamentale del rapporto educativo, ma è chiaro che l’amore è possibile introdurlo nella trama di questo rapporto, solo in conseguenza di una filosofia personalistica dell’educazione. Là dove non si riconosce la persona come “interiorità” non è possibile instaurare un rapporto d’amore.
Svuotando la persona dell’interiorità si viene immancabilmente a recidere la radice dell’amore: l’educazione non può che decadere a mera funzionalità, a rapporto estrinseco ed esteriore.
È per questo che l’educazione deve avere la sua attuazione iniziale nella famiglia, che è una società di comunione e non di comunanza. (100)
Il rapporto educativo è rapporto da persona a persona, non da funzione a funzione; esso implica una partecipazione e una adesione che si realizzano nell’interiorità.
Senza amore non c’è incontro di spiriti, né apertura di coscienza. L’opera educativa si ridurrebbe al freddo esercizio di un mestiere e allo sterile adempimento di una funzione.
L’educazione in tal modo, staccandosi dal tronco vivo della spiritualità, si risolverebbe nell’addestramento che fa leva sugli automatismi fisici e psichici, ignorando le inesauribili risorse della personalità.
Il maestro è maestro quando lega a sé in rapporto d’amore la spiritualità nascente dei suoi scolari. (101) “Questo perché – afferma Mounier in “Il personalismo” – l’amore si volge alla persona al di là della sua natura, vuole il suo compimento come persona, come libertà quali che siano i suoi pregi o le sue sventure, che non hanno più un valore essenziale nei suoi confronti”.
3 – Rapporto di funzione e rapporto di persone
Dove manca la comunione vengono ad instaurarsi nella loro freddezza l’automatismo e la meccanizzazione. In tal caso la mancanza di comunione impedisce di riconoscere il vero volto dello scolaro e di cogliere integralmente i suoi tratti umani.
È il pericolo di tanta pedagogia della nostra epoca che ha dilatato l’idea di funzione fino al punto di provocarne un’espressione assoluta. (101)
In alcune forme dell’educazione comunista traspare in maniera sconcertante il potenziamento della funzionalità, nella misura in cui si sostituisce il “sociale” al “personale” in maniera netta e assoluta.
Accade di conseguenza, che i cosiddetti rapporti personali fra gli scolari, in quanto “rapporti d’amicizia” e di “cameratismo” vengono repressi e condannati.
Su tale argomento si legga “I miei principi pedagogici” di A. S. Makarenho.
Per certo sociologismo, l’uomo dev’essere educato in vista della sua “ funzione” nell’ordine sociale, come “strumento” per edificare quest’ordine sociale.
Alla funzionalità dell’educando fa riscontro la funzionalità dell’educatore che è soprattutto il “funzionario” della società e non il messaggero dei valori e il missionario della verità.
Il rapporto educativo, così compresso e inghiottito dalla funzionalità si matura in puro “addestramento” e si svuota del suo genuino significato personalistico di “comunicazione di umanità” (102)
A proposito Luigi Stefanini afferma che la “comunicazione di umanità” è possibile soltanto con un “attivismo multilaterale”, cioè con la collaborazione di molti uomini, perché in ciascun uomo si esprime soltanto una faccia dell’umanità. Molteplici sono le persone che concorrono all’educazione, non solo il maestro a scuola e i genitori in famiglia, ma anche il Ministro di Dio in Chiesa, il direttore sportivo in palestra, il sindacalista in fabbrica, l’oratore politico in piazza, il regista a teatro e al cinema, il bibliotecario al circolo di lettura, il conferenziere…
Ed Emmanuel Mounier conferma tale affermazione nel suo “Personalismo”: “La persona ci appare come una presenza volta al mondo e alle altre persone, senza limiti, confusa con loro in una prospettiva di universalità. Le altre persone non la limitano, ma anzi, le permettono di essere, di svilupparsi; essa non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri.
4 – Cultura ed educazione
Ancora una riflessione prima di concludere il discorso circa l’essenza della pedagogia la faremo sul significato di “cultura”.
La cultura è l’autentico legame tra l’esperienza e l’educazione in quanto la cultura esprime la realizzazione dei valori.
Il problema dell’educazione diventa immancabilmente anche il problema della cultura. In essa, infatti, si saldano l’esperienza, i valori, la personalità. (111)
Siamo al punto, ormai, di concludere circa il problema dell’educazione. Cos’è l’educazione? In che consiste la sua essenza?
5 – Definizione personalistica di “educazione”
Raccogliendo gli elementi fin qui considerati, possiamo definire l’educazione.
L’educazione è un’attività che promuove un processo: quel processo in virtù del quale si realizzano i valori: di conseguenza richiede la “trasmissione” della cultura.
L’educazione è promozione di cultura, e poiché la cultura si attua nella personalità, è promozione della personalità. (115)
L’azione educativa è la formazione della personalità. Il maestro, la scuola, la società, la famiglia educano nella misura in cui promuovono l’espansione della persona verso l’orizzonte dei valori e nella misura in cui attuano il valore reale della persona.
Il rapporto educativo è tale a patto che susciti l’entusiasmo per i valori ideali e l’amore per i valori reali: per realizzarsi effettivamente ha bisogno di questo amore e di questo entusiasmo: come tale è “comunione” e “invocazione”.
In quanto l’educazione ha tra i suoi fini l’adesione ai valori reali, implica necessariamente la socialità e la religiosità. La socialità si realizza nella produzione di valori comuni: è lavoro. La religiosità si realizza nel culto di una comune speranza: è religione.
Religiosità, moralità, socialità, cultura e lavoro costituiscono dunque il contenuto più autentico del compito educativo. (116)
IL MAESTRO
L’indagine sui fondamenti del “personalismo pedagogico” è giunta a maturazione. Vale la pena, quasi a corollario, soffermarsi un po’ per vedere quali possono e debbano essere le caratteristiche del maestro e del metodo nel mondo didattico del personalismo pedagogico.
Non è all’espressione dei valori che guarda con intelletto d’amore l’educatore con la sua arte, bensì alla efficienza dei medesimi nella coscienza dell’educando.
L’attività educativa è perciò indipendente tanto dalla etica quanto dall’estetica: occupa una sfera autonoma e specifica della “praticità”.
Non di meno l’educare implica necessariamente anche un momento tecnico, quantunque tecnica non possa essere mai per la sua concernenza con la realtà intelligente e libera della persona. (125)
L’educatore non educa le strutture biologiche e psicologiche, ma di queste strutture si serve per “svolgere” la personalità.
Per usare termini scolastici dobbiamo dire che la pedagogia è “recta ratio factibilium” oltre che “recta ratio agibilium”.
Il maestro non può perdere di vista la persona e i valori, per indugiare a considerare la natura empirica dell’educando: se questo facesse si comporterebbe da “psicologo” e non da “educatore”.
C’è in effetti educazione quando il maestro opera la sintesi tra le determinazioni empiriche degli scolari con le quali si trova quotidianamente alle prese, el’idealità trascendentale dei valori,che instancabilmente tiene d’occhio con l’intelletto e con la volontà. (127)
IL METODO DIDATTICO
Il rapporto educativo è rapporto tra persone e tra soggetti i quali si determinano in virtù della libertà.
Psicodiagnostica, psicotecnica, sociologia, ecc. : queste tecniche, per quanti sforzi facciano, non sono e non mettono in essere la pedagogia, fino a quando i loro dati non entrano nella concreta sintesi in cui opera l’elemento speculativo, che i mezzi rapporta, collega e media in relazione ai fini e ai valori dell’educazione.
A quali principi dovrà allora ispirarsi una dottrina dell’insegnamento adeguata?
Occorre riferirsi ancora, e sempre, alla persona.
È necessario riaffermare il carattere di originalità e di novità dell’atto personale. Ciascun individuo è persona perché rappresenta una realtà irripetibile. Di conseguenza il rapporto educativo, nella misura in cui nasce dall’incontro di due realtà irripetibili, acquista necessariamente carattere di irripetibilità. (132)
Il metodo è naturale che non potrà non significare e realizzare la maniera specifica e originale con cui la persona del maestro compie l’atto educativo e, al tempo stesso, il modo particolare con cui il discepolo domanda che sia compiuto. (133)
Stabilire un metodo prescindendo dai modi di apprendimento di ogni scolaro, quale persona irripetibile, significa intellettualizzare il rapporto educativo fondandolo sull’idea astratta dello scolaro, dedotta dagli elementi comuni e generici della personalità.
Non meno intellettualistica e astratta poi è la pretesa di voler prescindere dalle qualità e dalle risorse dell’educatore.
Il “Personalismo”, come sempre, chiede l’adeguata e realistica valutazione delle persone.
Il problema dell’insegnamento ciascun maestro lo risolve poi a suo modo. Deve possedere però un bagaglio oggettivo di cognizioni e di abilità, senza le quali non gli riuscirebbe di dare una soluzione personale e adeguata alla personalità dell’alunno.
“Il metodo nasce ogni giorno, ogni ora, ogni momento” – dice l’Idealista – e ciò è vero. Ma è vero altresì che nasce qualora siano dati i presupposti della sua efficacia operativa e possegga intrinsecamente un criterio di validità.
Ciò è sufficiente per riconoscere l’inconsistenza del puro soggettivismo didattico e per proporre il concetto di una didattica che si esprime e si realizza soggettivamente (personalisticamente), ma che trae da criteri oggettivamente validi le condizioni del suo esito soggettivo. (135)
La prospettiva di una didattica personalistica respinge, in sostanza, la pretesa di arrivare ad un metodo unico, oggettivo e universale, perché questa pretesa contrasta con il principio della personalità del rapporto educativo, ma fa sua l’esigenza di stabilire una criteriologia che comprende i dati teoretici e determina la capacità di risolvere ogni particolare problema di insegnamento.
Determiniamo e definiamo il contenuto della didattica, come dottrina dell’insegnamento. Rifiutato il concetto della didattica normativa, scartato anche il principio della pura inventività, lo strumento più adeguato per intraprendere l’opera didattica sarà una ipotesi di soluzione, uno schema operativo che consenta la ricerca in atto della soluzione. La “ipotesi”, si badi, non è la soluzione, ma il criterio della solubilità, che assicura al maestro la capacità della soluzione.
L’ipotesi infatti dovrà risultare da una sintesi originale tra:
1 – gli ideali e i valori educativi che si vogliono promuovere;
2– i dati conoscitivi relativi alla personalità dell’alunno (psicologici, sociologici, biologici, culturali)
3 – i dati di esperienza e di esperimento relativi al problema didattico in questione. (136)
Come vediamo nell’ipotesi di lavoro, scienze ausiliarie ed esperienza pedagogica hanno la loro importanza.
È necessario concludere che il metodo sarà la “personalizzazione e la “storicizzazione” di codesta ipotesi mediante la verifica e la rettifica di essa.
Il metodo sarà perciò l’esito personale di una ricerca soggettiva guidata da criteri oggettivi di solubilità.
E si potrà sempre dire che il metodo è il maestro.
N O T E C O N CL U S I V E
Siamo giunti al termine della nostra ricerca dei fondamenti della pedagogia personalistica.
Prova della sua validità è il costatare come essa risponda a tutte le istanze che una retta e adeguata concezione dell’uomo pone.
Mentre nel naturalismo e nel socialismo l’uomo è considerato solo un “individuo” derivante dall’evoluzione naturale e sociale, una “parte” del tutto cosmico, nel personalismo l’uomo è considerato una “persona”, un “tutto” autocoscienze e libero, superiore alla natura in cui e di cui vive, superiore alla società nella quale opera, perché proviene da Dio e a Dio farà ritorno dopo una prova della sua responsabilità.
Non si negano i livelli precedenti, ma li si trascende e li si integra in una visione più autenticamente umanistica perché l’uomo è considerato un valore, un fine che ha dignità e non può mai essere trattato come mezzo.
Infatti l’uomo è una persona spirituale, condizionata ma non determinata dalla sua natura fisica e dal suo ambiente sociale. Così l’educazione non può considerare l’uomo un mezzo per il dominio della natura o per la costruzione della società, ma deve considerarlo un fine, anzi il “fine” della sua azione. (Viotto)
Non ci si arresta più al livello deterministico dei “bisogni” e degli “interessi” come fa il naturalismo, ma ci si porta al livello libero dei “doveri” morali e sociali.
Se la persona è riconosciuta nella sua dignità e nel suo valore, non è però considerata autosufficiente.
Così l’educazione riacquista il suo più autentico significato umanistico, non è più “allevamento” biologico o sociologico nel rapporto individuo-natura o individuo-società, ma “educazione”, sforzo autocostruttivo per trarre dai condizionamenti fisici, psichici, sociali, ambientali della individualità naturale la libertà spirituale della persona.
La vita e l’educazione ritrovano il piano del “dover essere” accanto al piano dell’ “essere” per cui l’educazione è sforzo di autoperfezionamento secondo una verità, un valore, una legge oggettivi, ma pur anche soggettivi, nel senso che vengono attivamente e originalmente conquistati dalla persona nell’interiorità della coscienza.
Il personalismo non rifiuta l’ “attivismo”, ma lo pone al suo giusto posto come attivismo spirituale, nel senso che solo la persona, cosciente e libera, può essere veramente attiva.
Il personalismo non rifiuta nemmeno la “socialità”, ma la fonda sulla persona, che non è persona se non è sociale.
La pedagogia personalistica si pone quindi come una revisione critica dei motivi del naturalismo e del socialismo per accettarli su di un piano più valido liberati da ogni riduzionismo.
L’educando come persona, resta al centro dell’azione educativa.
Luigi Stefanini afferma: “Il fine immediato dell’educazione è la maieutica della persona, e ogni altra finalità, essa stessa personalisticamente intesa, è da conseguirsi attraverso la mediazione della persona del singolo”.
Si ha un personalismo nel fine, nel metodo, nel contenuto e nell’organizzazione dell’educazione.
Personalismo teleologico, per cui il “fine del processo educativo è la persona compiuta” secondo la individualità della sua situazione sociale, ambientale, psichica…
Personalismo metodologico, perché solo la persona può educare la persona; i sussidi didattici, le tecniche metodologiche, le costrizioni ambientali, non possono sostituire l’azione personalistica dell’educatore.
Personalismo di contenuto, perché l’uomo in una concezione personalistica non è solo il “fine” e il “mezzo”, ma è anche il “contenuto”.
Non si tratta solo di educare l’uomo con l’uomo, ma anche di insegnare l’ “umano”, di comunicare l’”umanità”.
Il centro di interesse permanente per la pedagogia personalistica è l’uomo, in tutte le sue espressioni di individualità e di socialità, di natura e spiritualità, di temporalità e di eternità, distinte, ma integrate nella sintesi unitaria e originale della persona, centro e misura di tutto.
E in questa rispettosa e fiera celebrazione dell’uomo possiamo ritrovare quell’anelito che faceva esclamare al Salmista:
Se guardo il cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che hai fissato,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure tu l’hai fatto poco meno degli angeli
Di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani
tutto hai posto sotto i suoi piedi.
(Salmo 8)
B I B L I O G R A F I A
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