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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi, novembre 2022, p.3-4.

Valori sociali e politici che degenerano in patologie.

LE INFEZIONI DELLA SOCIETÀ.

UN RIMEDIO C’E’.

 

Sovranismo, nazionalismo, populismo, mondialismo.

Ci sono dei termini, quali sovranità, nazione, popolo, mondialità, che, di per sé, indicano dei beni ma che nella biologia sociale possono diventare una patologia.

Sovranismo e nazionalismo sono fenomeni che, se anche sono stati relativizzati temporaneamente sulla scena sociale mondiale dai problemi planetari della pandemia e della guerra militare in Ucraina ed economica nel mondo, nascondo la reazione a problemi reali, che sussistono, e si ripresenteranno. Indicano, oggi, l’atteggiamento politico di chi si propone la riconquista, o almeno il riequilibrio, della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in reazione alle dinamiche centraliste ed egemoniche della globalizzazione economica (mondialismo) che hanno affievolito la sovranità degli Stati a favore di un ordine sovrastatuale. D’altra parte, però, quando la sovranità nazionale si chiude in sé stessa, perde l’equilibrio delle relazioni e della concertazione nella comunità dei popoli e provoca una infezione culturale degenerativa.

C’è un altro termine che sentiamo continuamente ripetere: populismo. Solitamente designava l’atteggiamento contrario all’autorità, in forma dispotica o democratica che fosse, con l’appello diretto alla volontà del popolo. Oggi emerge anche un populismo che si dice alla ricerca di nuove forme di partecipazione democratica in reazione alle frustrazioni di natura politica ed economica.

In un contesto di post democrazia politica, esautorata dalla dittatura economica potentati che governano il mondo, i politici poco contano e la gente si sente indifferente, non rappresentata, anche arrabbiata. La reazione più evidente è l’astensionismo o il voto dato a chi in quel momento rappresenta la protesta. Fa pensare che in Italia sia cresciuta la stima popolare verso molte amministrazioni locali, nelle quali normalmente c’è un po’ più di relazione e di effettiva attenzione ai cittadini rispetto alla politica nazionale.

L’affermarsi di rapporti politici malati fa prevedere che possano avere successo soluzioni altrettanto malate. Il bisogno di effettiva “sovranità” può corrompersi in sovranismo. La “nazionalità” che esprime una identità che si riconosce attorno a storia, cultura e beni comuni può infiammarsi in nazionalismo e diventare un’infezione terribile. La responsabilità e la rappresentanza popolare possono essere ingannate con la droga del populismo.

Che fare?

Non esistono sistemi socio-politici perfetti, ma solo qualcuno migliore di altro. Meglio non perdersi in chiacchiere.

Quello che si può fare è curare attentamente le relazioni in ogni istituzione umana, sociale, culturale o economica, affinché non si ammali e degeneri: dalla gestione della propria famiglia, a quella della scuola, di un’impresa, di un comune, o di una parrocchia o diocesi.

Don Orione, disincantato, avvertiva: “Vedete questi capelli bianchi? In tanti anni vidi tanti cambiamenti, di cose e di uomini, anche tra i membri dell'elemento ecclesiastico”. La storia insegna che la degenerazione avviene inevitabilmente quando nelle istituzioni umane si sviluppa un’introversione autocentrica che divide sempre più, fino a provocare la disgregazione. Arriva il momento in cui “ogni regno diviso in sé stesso va in rovina” (Lc 11, 16).

Il principio attivo

Prendo una terza indicazione dall’esperienza cristiana, articolata nella dottrina sociale della Chiesa. Gesù non ha rifiutato le strutture politiche e i modelli sociali del suo tempo – non migliori di quelli attuali -, ma vi ha gettato il lievito del Vangelo per e-ducarli, per tirarli fuori dalle introversioni, per farli evolvere in giustizia maggiore, in bene superiore, in libertà più fraterna.

Il lievito del progresso sociale dell’annuncio di Gesù è la rivelazione della paternità di Dio e della fraternità umana. Questo è l’antivirus, questo è “il sale e il lievito” della vita personale e sociale che preserva dalle infezioni egocentriche e, anzi, amalgama qualunque impasto umano e sociale. Finché la paternità di Dio sarà considerata un optional etico religioso, anche la fraternità sarà un optional limitato a quelli del proprio partito, del proprio popolo, della propria lobby, del proprio club di interessi. La fraternità, se non è assoluta, diventa partito, fonda la divisione e non la comunione universale.

Avere identità etniche, culturali e anche politiche non è certo un problema. Problema è dimenticarsi, o non sapere, che “la nostra patria [il Padre] è nei cieli” (Fil 3,20): senza quella “patria nei cieli” si finisce –inevitabilmente - per assolutizzare le “patrie qui in terra”, sempre più chiuse difensive e aggressive, sempre più ristrette fino a ridursi al minimo, alla “patria dell’io” egocentrico.

Istituzioni e appartenenze civili prendono il loro giusto valore e posto nella vita personale e sociale quando rispettano, per fede o anche solo per ragionevolezza, la prima regola della vita: Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me.

Con realismo paziente

Con queste parole so di “fare il prete”, cioè continuo a seminare il lievito evangelico. Adora il Signore Dio tuo e ama il tuo prossimo. Questa non è utopia, ma il realismo paziente ed efficace del “lievito”.

Nell’attuale contesto sociale ed ecclesiale, molto frammentato perché molto egocentrico, Papa Francesco continua a incoraggiare a “creare ponti e non muri”, a mettersi in relazione con tutti, ad “andare alle periferie”. Ai cristiani ricorda che “la parrocchia è casa di tutti, non un club esclusivo”. Don Orione diede e chiese di “dare alla carità un compito sociale” (Scritti 45, 118), frutto di “quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane” (Scritti 104, 85).

Ci siamo illusi e ci stiamo illudendo – questa si è utopia! – che possiamo essere democratici e liberi senza la fraternità. E ci siamo illusi e ci stiamo illudendo che ci sia fraternità senza paternità, la paternità di Dio.

Ognuno fa i propri discorsi e progetti, ma noi, cari Amici di Don Orione, cerchiamo di “seminare e di arare Cristo nella società” (Scritti 79, 300) con la nostra vita quotidiana, mediante la carità. Poi, certo, ci vogliono le tante e complesse intermediazioni. Ma senza la fraternità le infiammazioni e le infezioni egocentriche di istituzioni e aggregazioni umane diventeranno sempre più una pandemia.

Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita: famiglia, amore di patria, ingegno, arti, scienze, industrie, progresso organizzazione sociale. Senza Cristo, tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria del passato, tutto va distrutto, tutto muore!” (Scritti 53, 9)

Questo è il nostro primo e fondamentale contributo politico. “La nostra politica è la carità che non vede partito; è la politica del Pater noster; è fare del bene a tutti, siano bianchi, siano rossi; siano credenti siano miscredenti; deve consistere nel grido ‘Anime, Anime’ (Scritti 71, 97).

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