Il detto popolare e consiglio di vita spirituale fu nella bocca di vari santi.
LAETARE ET BENEFACERE… E LASCIAR CANTAR LE PASSERE
Una curiosa e saggia regola di vita spirituale
Don Flavio Peloso
Questa espressione mi è sempre risultata molto simpatica e di notevole saggezza pedagogica. L’ho trovata più volte in Don Orione, certamente l'ha conosciuta da Don Bosco.
Chi ha coniato questo detto popolare tanto espressivo ed efficace?
Innanzitutto, l'espressione Benefacere et laetari,[1] ovvero “fare il bene ed essere lieti” è tratta dal libro del Qoèlet, (3,12) che aggiunge anche “non fare attenzione a tutte le dicerie che si fanno” (7, 21).
Un’altra fonte più prossima è riconoscibile nel Canto III dell'Inferno, al verso 51. Virgilio presenta a Dante i vili (o "ignavi"), cioè "coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo", e di loro dice: «Fama di loro il mondo esser non lassa; / misericordia e giustizia li sdegna: / non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
Questo celebre verso della Divina Commedia di Dante è diventato poi un detto popolare con numerose varianti: non ti curàr di lór, ma guarda e passa.
E l’invito a “lasciar cantar le passere” quando e da chi fu aggiunto?
San Luigi Orione (1872-1940) certamente usò più volte l’espressione completa “Laetare et benefacere e lasciar cantare le passere”. Se trovano tracce negli scritti.
In una minuta diretta al Piccolo Cottolengo di Genova si legge: “In Domino e in Domino vuol dire anche in pace di spirito, in laetitia. Gaudete in Domino semper. Servite Domino in laetitia. Laetare et bene facere e lascia cantar le passere”.[2]
“Vedi, caro D. Sciaccaluga, stiamo fermi nella umiltà, nella carità, nella orazione, nel mortificare, e poi non lasciarci scoraggiare; andare avanti: laetare et benefacere e lasciar cantar le passere e sibilare il serpente”.[3]
Ad un altro: “Non ti curar di lor ma guarda e passa. Sta come torre ferma, niente banderuola. A fronte alta, a bandiera spiegata. Laetare et bene facere e lasciar cantar le passere.[4]
Il santo tortonese certamente attinse il detto da san Giovanni Bosco (1815-1888) e dall’ambiente di Valdocco ove fu studente negli ultimi anni di vita del santo. Nelle Memorie biografiche di Don Bosco è riportato alcune volte.[5] Mi è stato riferito che, attualmente, è una delle sue citazioni più conosciute in Germania.
Allora l'espressione è frutto della pedagogia amorevole e lieta di Don Bosco? Pare di no.
Padre Luigi Anglesio, nella sua testimonianza al processo di canonizzazione di san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), riferisce che il santo “Oltre il poco caso che era solito a fare di sifatte opinioni (ingiurie o detti ingiuriosi), soleva dire alle volte: Laetare et bene facere e lasciar cantar le passere”.[6]
Ma occorre risalire ancor più anteriormente. Infatti, il motto è ricordato come tipico anche di un altro santo, Ignazio da Santhià (1686-1770), che lo canterellava ai tipi più lacrimosi o più scrupolosi: "Laetari et benefacere e lascia cantar le passere!" (Positio, p.205).
Dunque, veniamo a scoprire che questo detto popolare della pedagogia cristiana ha attraversato tre secoli ed è stato diffuso da santi piemontesi, in epoche successive.
La paternità della frase è da attribuirsi a sant’Ignazio da Santhià, salvo diversa prova, ma sta il fatto che il Cottolengo, Don Bosco e Don Orione l’hanno assunta con una tale convinzione e calore da farla propria. I santi si copiano gli uni dagli altri senza problemi di copyright. Certamente anche san Francesco Faà di Bruno (1885-1888),[7] san Luigi Guanella (1842-1915),[8] fino al Papa san Giovanni XXIII (1881-1963)[9] diedero questo consiglio pedagogico, tra il serio e il faceto, ma efficace.
L’espressione Laetare et benefacere… e lasciar cantar le passere è un invito alla serena libertà nel bene, senza i condizionamenti dei commenti e dicerie di basso conto. Il chiacchiericcio non merita che sprechiamo troppo tempo. È il bene che merita tutta l’attenzione. Laetare et benefacere… e lasciar cantar le passere per non cadere in giochetti e beghe che umiliano più che difendere il bene e la propria persona.
[1] Laetari è infinito presente di laetōr (rallegrarsi); laetare è imperativo da laeto (rallegrati); usando i due infiniti la dizione esatta è laetari et benefacere.
[2] Scritti 83, 190.
[3] Scritti 117,64.
[4] Scritti 80, 314.
[5] Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco VI, p. 3, e X, p. 540.
[6] Positio, Sessione D, vol. 9, p. 556.
[7] Summarium, p. 59, 100.
[8] Luigi Guanella scrive nei suoi Cenni biografici di suor Chiara Bosatta (1907-1908), al cap. XI: “Sapeva ripetere quel proverbio che aveva appreso e che dice: Laetari et benefacere, e lasciar cantar le passere”.
[9] Giornale dell’anima, n.517. «Questo chiacchierare da parte specialmente degli sfaccendati e degli interessati non si potrà impedire… Bisogna, come si dice “laetari et benefacere e… lasciar cantar le passere”… e continuare a far del bene con calma e alla luce del sole»; Giovanni XXIII, Il lupo, l’orso, l’agnello, San Paolo, 2013, p. 159..