Spunti dall’esperienza di Don Orione per il nostro tempo di ristagno civile
CAMMINARE ALLA TESTA DEI TEMPI
Spunti dall’esperienza di Don Orione per il nostro tempo di ristagno civile
Don Flavio Peloso
“Camminare alla testa dei tempi” è uno degli slogan più citati di Don Orione. Cosa può significare per questo nostro tempo caratterizzato dalla velocità tecnologica e dal ristagno di civiltà senza speranze affidabili?
Relazione, non relativismo
L’espressione di Don Orione è tratta da una sua lettera di carattere pedagogico, del 5 agosto 1920, indirizzata a Don Carlo Pensa e ai chierici dei due Istituti di Venezia. “I tempi corrono velocemente, e sono alquanto cambiati e noi, in tutto che non tocca la morale, la dottrina e la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare coi tempi e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda; per poter tirare i popoli e portare la gioventù e i popoli alla Chiesa e a Cristo, bisogna camminare alla testa. E allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo” (Sui passi 179).
Don Orione ha avuto sempre vivo il senso del cambiamento, la percezione delle diversità, la necessità della duttilità ai tempi, ai luoghi e alle culture. Non facciamone però un patrono del “relativismo” introverso attuale, piuttosto un modello di “relazione” con i tempi, i luoghi e le culture.
Una delle caratteristiche più tipiche del Santo della Provvidenza è proprio la modernità, intesa non come adesione ingenua alle novità che, come le onde del mare, si alzano e si sostituiscono senza progresso, quanto piuttosto come atteggiamento spirituale attivo. Si tratta di “camminare alla testa dei tempi e dei popoli” – come egli dice - per “togliere l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo”. Sì, perché è in Dio il progresso e la grandezza dell’uomo.
Giovanni Paolo II definì “fedeltà creativa” l’autentica modernità, come anche scrisse a noi Orionini: “Fedeltà creativa in un mondo che cambia: sia questo orientamento a guidarvi per camminare, come amava ripetere Don Orione, ‘alla testa dei tempi’”.
Chi è all’avanguardia?
Non dimentichiamo che Don Orione usa le espressioni “alla testa dei tempi” e anche “all’avanguardia”, “in prima linea”, soprattutto in senso apostolico. “Dobbiamo essere in prima linea. Dobbiamo ardere di grande fervore, di santa passione, di forza apostolica” (Parola Vb, 125). “Noi dobbiamo essere all’avanguardia. Dobbiamo essere apostoli e seminatori di fede. San Paolo dice che chi ha fede cammina come uno che ha la lucerna in mezzo alla caligine. Lucerna pedibus meis” (Parola III, 39).
Il dinamismo intraprendente non è solo atteggiamento sociologico o tratto psicologico, ma è uno slancio frutto di fede, di vita di Dio. “Chi ha fede cammina come uno che ha la lucerna in mezzo alla caligine”, per questo va avanti, è all’avanguardia. La fede imprime ottimismo, fiducia e intraprendenza perché “l'avvenire è di Cristo” e “togliere l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo” è un’azione di futuro, di avanguardia.
“Non dobbiamo essere dei rimorchiati, ma sempre all’avanguardia in tutto ciò che c’è di buono, di bello, di vero, e tale da onorare e tenere alto il Nome della Chiesa” (Parola IX, 294). Tra gli ambiti in cui essere alla testa dei tempi, “non dobbiamo essere secondi a nessuno nell’amore al Papa, nell’amore del prossimo e di Dio. E anche negli studi; anche in questo vogliamo essere all’avanguardia” (Diario Scoccia 80).
Il ristagno di civiltà
Questo spirito audace, intraprendente, di prima linea è certamente un contenuto specifico e insistito della pedagogia di Don Orione, una virtù personale e collettiva.
“Esto vir et non frasca. Questo è lo spirito della Congregazione. Dobbiamo essere pieni di volontà, di dignità, di dinamismo coraggioso. Vivere audacemente ed occorrendo temerariamente per le anime, per la Chiesa, non per noi. Se era per fondare una Congregazione che non portasse una virtù viva ed una nota – attenti bene – d’avanguardia su tutti i campi del bene, ve l’ho già detto tante volte, era perfettamente inutile fondarla. Noi dobbiamo essere una forza nelle mani della Chiesa, una forza di fede, di apostolato, una forza dottrinale, capaci di grandi sacrifici” (Lo spirito I, 109s).
Don Orione fu all’avanguardia nei fatti e non nelle parole, “di parolai ne abbiamo piene le tasche” (Scritti 61, 114). “Non dico già solo di essere religiosi, ma dico di essere apostoli. Un grande scrittore disse: Chi non è apostolo, oggi è apostata. Voglio che la Congregazione sia una forza, una forza grande! All’avanguardia dobbiamo essere” (Parola Vb, 125).
Forse è paragonabile alla nostra epoca di ristagno di civiltà la situazione di routine fiacca e comoda trovata da Don Orione quando fu in America Latina dal 1934 al 1937 (Argentina, Brasile, Uruguay, Cile). Cercò di reagire con i suoi religiosi. Scrive al confratello Don Pietro Migliore: “Cominci, anche pel Sud America, l’epoca del dinamismo e l’era eroica ed apostolica della Congregazione! Non voglio, non devo lasciarvi morire in un bicchier d’acqua. I primi a restar male, a sentire di non essere all’avanguardia apostolica del bene, certo dovete essere voi stessi” (Scritti 29, 266).
Alla testa dell’umanesimo
“Camminare alla testa dei tempi” vuol dire anche orientarli secondo Dio e aprirli ad un autentico umanesimo, adottando il criterio di San Paolo “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Tes 5, 12).
A noi oggi è richiesto più coraggio di testimonianza pubblica, buttando via quello spirito di timidezza che diventa accondiscendenza: “Chi non è apostolo, oggi è apostata”.
D’altra parte, non confondiamo l’essere alla testa dei tempi con l’essere sulla cresta dell’onda delle ultime novità, del trend dominante, dei social. Anche il moto ondoso dei mari, che tanto impressiona, non è in realtà che un moto apparente che non sposta nulla, mentre sono le "correnti submarine", profonde e nascoste, che rinnovano e portano calore e vita nelle regioni che toccano.
Don Orione seppe immettersi e dare impulso alle correnti profonde della storia con la dinamica della carità. Non cedette ad andamenti superficiali: “Io tremo quando vedo che la società orgogliosa del progresso materiale lo separa dal morale e dall’intellettuale” (Scritti 56, 27). Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Sollicitudo rei socialis”, fa proprio la distinzione tra progresso e sviluppo, affermando che questo “non può consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella maggiore disponibilità dei beni e servizi” (n.9).
Lo sviluppo è elevazione, perfezionamento. Non è solo “andare avanti”, ma “andare verso” il maggior bene umano e spirituale, personale e sociale. “La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità” (Sui passi, 262). Come orionini, possiamo concludere che, oggi, essere alla testa dei tempi significa essere in prima linea con la carità motore dello sviluppo umano. “La carità di Cristo, che ci infiamma il petto, è luce, è vita è civiltà”. Solo la carità salverà il mondo.