Relazione al Corso di formazione per dirigenti delle scuole orionine. Montebello (Pavia), 3 luglio 2023.
MESSAGGI DI DON ORIONE AGLI EDUCATORI
Don Flavio Peloso[1]
EDUCATORI TALENT SCOUT
Don Orione incontrò ogni tipo di bambini, ragazzi, giovani. Vedeva in essi un germoglio, una potenzialità per il futuro, un investimento di vita... un dono di Dio.
Don Orione fu un eccellente talent scout per capacità innata, per amore del bene, per amore del futuro dei giovani. Talent scout è chi in una società sportiva, in una impresa o nel mondo dello spettacolo, ha il compito e l’arte di trovare persone di talento da promuovere. Per fare questo ci vuole istinto, competenza, passione.
Ogni genitore, ogni educatore e chiunque ha a che fare con i giovani dovrebbe essere un talent scout, per scoprire i talenti di ciascun ragazzo o un giovane,[2] per farglieli riconoscere ed aiutarlo a svilupparli.
Ignazio Silone (1900-1978), un adolescente tratto dalle macerie del terremoto della Marsica del 1915, fu da lui accolto e avviato agli studi superiori. “Ero un ragazzo del ginnasio… Accanto a molte debolezze, paure, viltà, che erano e sono la materia grezza dei miei rimorsi, portavo in me una dimensione, scavata nel più profondo di me stesso, scavata quasi a mia insaputa, nei primi anni di vita, in cui ogni parola del genere di quelle che don Orione diceva, aveva una risonanza vivissima”.
Quando vedeva buoni talenti di studio o di arte nei giovani, Don Orione li incoraggiava e li sosteneva nello studio sino a livelli di perfezionamento. Fu così con Ezio Carabella (1891-1964), aiutato a Ognissanti e poi rinomato compositore di musica,
Al giovane Filiberto Guala quasi comandò: “Tu farai grandi cose nella vita. Io ti chiedo un impegno: quando ti diranno che devi fare una cosa molto difficile, e tutti dicono di non farcela, e ti dicono che non c’è nessun altro che la possa fare, in coscienza tu la devi fare”. Filiberto Guala divenne un grande manager, protagonista della ripresa economica nel dopoguerra in Italia, presidente della Rai e, infine, monaco trappista.
Don Orione fu talent scout dei suoi religiosi. Pur nelle ristrettezze economiche in cui versava la Congregazione, Don Orione avviò agli studi numerosi suoi chierici “di buona mente e di buono spirito” nelle Università romane. A Gaspare Goggi disse chiaramente: “Prima professore e poi sacerdote”.
La sua arte di talent scout ebbe un successo del tutto eccezionale con quel giovane di 18 anni, Cesare Pisano, ridotto al fantasma di sé stesso dopo essere divenuto cieco per un tragico sparo in faccia a 12 anni. «Allora io ero disperato, non avevo fede... Don Orione, con grande paterno amore, mi dette dello stordito. Oh, stordito, mi disse… Tu devi vedere la luce; tu devi avere la sapienza dell'uomo giusto, e sta certo che non ti annoierai”. Cesare Pisano si riprese e seguì Don Orione per farsi santo. Ricordò poi che, al “Paterno” di Tortona, la presenza di Don Orione “agiva sovra il mio spirito come un potente fuoco di carboni su un pezzetto di legno verde, che in esso è gettato, che al principio suda, fa fumo, ma alla fine si converte anch’esso in fiamma”. Oggi è ben conosciuto come il venerabile Frate Ave Maria.
Chi sa vedere e sa far vedere il futuro ai giovani: questi è un educatore talent scout. Don Orione aveva chiaroveggenza e fiducia nella Divina Provvidenza. Sapeva tradurre gli ideali in realtà e sapeva elevare la realtà agli ideali. Un buon educatore deve avere la concretezza dell’uomo pratico e la consuetudine nel discernere i talenti per mettersi al riparo sia dai rischi del sognatore e sia dalla miopia del pragmatico.
VITA COME VOCAZIONE E PROGETTO
È raccontato che Michelangelo, per giorni girò attorno ad un grande blocco di marmo informe; lo squadrava, lo palpava, lo abbracciava.
Ad un certo punto, prese a scalpellare con foga entusiasta.
«Lo vedo! Lo vedo!», ripeteva.
Vedeva il Mosè ancora dentro il masso informe di marmo. Tutta la sua azione – affrontata con fatica – era rivolta a “tirarlo fuori”, a farlo emergere.
Ogni persona è una vocazione. Ed è un progetto.
L’azione educativa, nei suoi diversi momenti e ambiti, ha sempre bisogno di visione e di azione.
Giovanni Paolo II aveva appena ascoltato Bob Dylan esibirsi nella sua canzone simbolo “Blowing in the wind”,[3] assieme ai 300.000 giovani convenuti a Bologna per il Congresso Eucaristico del 1997. Al termine, egli prese la parola e disse: “Poco fa un vostro rappresentante ha detto, a vostro nome, che la risposta alle domande della vostra vita ‘sta soffiando nel vento’. È vero! Però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice ‘vieni!’ (cfr Gv 3,8; Ap 22, 17)” .[4]
Comunque, c’è chi lo chiama destino e chi la chiama ispirazione dello Spirito. Sempre di destinazione si tratta. Ed è questa che motiva e sostiene l’impegno del viaggio della vita.
Per svolgere il compito educativo occorre "farsi prossimo" ai giovani. “Tutte le buone aspirazioni dei giovani vi trovino pronti ad intenderle, e siano confortate e rianimate dallo splendore della nostra fede immortale. Nessuna parola sia senza pensiero: nessun pensiero senza anima: fate che nessuna anima di giovane sia senza Dio. Indirizzate le intelligenze e cuori ai grandi beni della vita. Che le lettere, la scienza, la virtù, con l'educazione dello sport, tornino ad essere quelle indissolubili sorelle che troppi si adoprano stoltamente a separare”.[5]
Queste le indicazioni per la relazione educativa:
Educatori umili e decisi, non avviliti dal male, non assuefatti all’inedia del “tanto non serve a niente”, ma coscienti che “dove finisce la mano dell’uomo, comincia sempre la mano di Dio, la Provvidenza di Dio”.[6] Così l’educazione diventa risposta alla desolazione per la perdita di senso e di speranza che affligge il mondo d’oggi e che stronca tanti giovani.
EDUCARE AL SENSO (orientamento e sapore) DELLA VITA
E’ nota l’esperienza di Viktor Frankl,[7] uscito vivo dal lager di Türkheim, alla fine dell’aprile 1945. Al lager consolidò alcune convinzioni che, nella sua professione di psichiatra, già aveva intuite prima di entrare in quel luogo spaventoso. Egli notò che i più resistenti, fra gli infelici che popolavano i campi di concentramento, erano quegli uomini che ancora avevano uno scopo da realizzare, una persona amata da raggiungere, per i quali cioè la vita conservava un significato, una vocazione, un senso.
Il filosofo Federico Nietzsche sosteneva che «chi ha un perché per vivere sopporta quasi ogni come». Vicktor Frankl ne trovò la conferma nei lager: «Un uomo pienamente consapevole di questa responsabilità nei confronti dell’opera che l'attende o della persona che lo ama e che l'aspetta, non potrà mai gettare via la sua esistenza. Egli sa bene il ‘perché’ della sua vita, e quindi saprà sopportare quasi tutti i ‘come’».[8]
La vocazione è scoprire il senso della vita che sta al centro del bene-essere della persona. Mentre per Sigmund Freud «nel momento stesso in cui si cerca di capire il senso della vita si è malati»,[9] Viktor Frankl aveva la prova e affermava che «lungi dal rivelare una malattia mentale, colui che si sforza per trovare un senso alla sua vita dimostra, piuttosto, la sua umanità”.[10]
E’ il male-essere, invece, a derivare dalla mancanza di senso nella vita.
Valga la parabola di Gelsomina, incantevole personaggio del film La strada[11] di Federico Fellini. Presa dallo sconforto, accanto al rozzo Zampanò, piange e pesta i piedi: “Io non servo a nessuno. Mi sono stufata di vivere. Che ci sto a fare io in questo mondo?”. E supera la disperazione, un giorno, ascoltando le parole del “Matto”, uno stravagante saltimbanco: “Tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Anche questo sasso (e lo prese tra le mani), vedi, anche questo sassolino serve a qualcosa. E anche tu, Gelsomina, con quella testa da carciofo, servi a qualcosa”. Da quel giorno Gelsomina cominciò a pensarci e a diventare donna.
Ho ripreso l’esperienza biografico-professionale di Frankl e la parabola di Gelsomina per dire quanto sia ineludibile il tema della vocazione nella vita di una persona. È il centro vitale. È la ragione del suo profondo bene-essere.
“Inquieto è il mio cuore finché non riposa in te, Signore” (Sant’Agostino).
“Può il mondo riempire il cuore dell’uomo? Il cuore dell’uomo, se non è soddisfatto, non è contento. Ci vuole un bene che non sia terreno per accontentare l’uomo! Ci vuole Dio!” (Don Orione).
Quindi, aiutare il ragazzo/giovane a riconoscere la propria vocazione e il senso complessivo della vita è il più grande servizio che si possa rendere ai giovani.
CAMMINARE INSIEME
“Abbiate il coraggio del bene”. Un educatore mette in movimento altri giovani se ha il coraggio del bene, se con la sua esperienza personale (che inevitabilmente trapela dalle parole e dai gesti) comunica che il bene ha una vitalità propria, discreta e potente come il seme, come il lievito. Bisogna credere al proprio impegno perché – diceva Don Orione - “dove finisce la mano dell’uomo, comincia sempre la mano di Dio, la Provvidenza di Dio”.[12]
Senza Dio, la speranza umana ha il respiro corto e viene meno il coraggio del bene: «Chi me lo fa fare?».
Don Orione scrisse quasi una ricetta rivolgendosi madri:
“Qualunque sia il fanciullo che volete rendere buono e virtuoso: fate il bene davanti a lui, fate del bene a lui stesso, fate fare del bene a lui.
Siate perseveranti, tenete vostro figlio a questo regime, pazientemente e costantemente, in questa atmosfera di bene da vedere, di bene da ricevere, di bene da fare”.
La speranza si coniuga con i verbi di movimento (fare, agire, camminare, costruire…).
La speranza si coniuga al plurale, NOI.
Va vissuta insieme con il gruppo, con la famiglia, la società, la parrocchia…
“Quando ero giovane” (anni ‘70), nella cultura dominante – non solo quella dei libri e dei convegni, ma tra la gente, nei gruppi d’ogni tipo, nei discorsi, nelle prediche come nelle canzonette - si respirava fiducia collettiva nel progresso dell’umanità. “Verso un mondo migliore cammineremo insieme”[13] era una delle canzoni simbolo della mia gioventù; la cantavamo anche in chiesa, in seminario a Villa Moffa.
Personaggi come John Kennedy con la visione della “nuova frontiera” o Martin Luther King con il suo “sogno un mondo migliore” o Papa Giovanni XXIII che apre un Concilio per il “rinnovamento della Chiesa” lanciavano sogni planetari che aggregavano sentimenti, mettevano in moto energie, progetti.
Un ottimismo collettivo un po’ illudeva e un po’ sosteneva l’impegno educativo.
L’individualismo pervade idee, sentimenti e costumi e sta asfissiando la speranza personale e collettiva. C’è aria di chiuso, di preconfezionato, manca l’ossigeno degli spazi aperti, degli orizzonti larghi e alti, dei quali ha bisogno l’e-ducazione che è sviluppo, cammino verso il futuro.
Oggi, parte importante dell’impegno dell’educatore consiste nel vivere e nel condurre alla socialità, nel far sperimentare l’insieme, favorire le relazioni, la partecipazione, il coinvolgimento sempre più ampi che abbraccia la famiglia, il proprio ambiente di vita, la parrocchia, la società, la Chiesa. Tutto quello che si fa per “fare insieme”, per “fare famiglia”, per “fare comunità” (civile e ecclesiale), fa entrare in un movimento vitale e vincente, carico di speranza, di avventura, di sviluppi.
La speranza, motore dell’educazione, come la libertà è partecipazione.
Voglio essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo, come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura, che cammina dentro un bosco,
con la gioia di inseguire un'avventura.
Sempre libero e vitale, fa l'amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo, compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero.
Non è neanche il volo di un moscone.
La libertà non è uno spazio libero.
Libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero come un uomo,
come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero.
Non è neanche avere un'opinione.
La libertà non è uno spazio libero.
Libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero come un uomo,
come l'uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l'entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo,
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.
La libertà non è star sopra un albero.
Non è neanche un gesto o un'invenzione.
La libertà non è uno spazio libero.
Libertà è partecipazione.
Giorgio Gaber
[1] Relazione al Corso di formazione per dirigenti delle istituzioni educative, Montebello 3 luglio 2023.
[2] Non si tratta di coltivare solo gli eccellenti di talenti, ma tutti: ognuno deve eccellere rispetto a se stesso. Né scuola elitaria per pochi, né democraticismo a basso livello per tutti.
[3] Traduzione di Mogol: Quante le strade che un uomo farà e quando fermarsi potrà? / Quanti mari un gabbiano dovrà attraversar per giungere e per riposar? / Quando tutta la gente del mondo riavrà per sempre la sua libertà? / Rit. Risposta non c'è, o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà. Il Papa ha citato il ritornello nella traduzione più letterale: La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento. The answer, my friend, is blowin' in the wind, the answer is blowin' in the wind.
[4] Discorso di Giovanni Paolo II all’incontro con i giovani, Bologna, 27 settembre 1997.
[5] Scritti 26, 164.
[6] Scritti 81, 286.
[7] Victor Frankl (1905-1997), medico e psichiatra, filosofo e psicoterapeuta, saggista e conferenziere di fama mondiale, è il fondatore della logoterapia.
[8] Citazione tratta da Uno psicologo nei lager, Ares. Frankl racconta la sua esperienza nei campi di concentramento nazisti.
[9] Forse è per questa diffusa convinzione che oggi molti, di fronte all’inquietudine esistenziale, ricorrono allo psicologo invece che al sacerdote, prendono un antidepressivo o droga invece di fare comunione con Gesù o compiere un atto di carità al prossimo.
[10] Viktor Frankl, Un significato per l'esistenza, Città Nuova. Frankl era convinto che se manca l’orizzonte del trascendente l’esistenza viene privata di ogni significato ed è destinata a precipitare nel vuoto della nevrosi. L’inquietudine sospinge la vita verso un “oltre” e un “di più” di compimento: “inquieto è il mio cuore finché non riposa in te, Signore” (Confessioni, I,1,1). “Può il mondo riempire il cuore dell’uomo? Il cuore dell’uomo, se non è soddisfatto, non è contento. Ci vuole un bene che non sia terreno per accontentare l’uomo! Ci vuole Dio!” (Scritti 57, 170).
[11] Il film è del 1954, vinse il premio Oscar ed è considerato tra i migliori film di tutti i tempi.
[12] Scritti 81, 286.
[13] Verso un mondo migliore cammineremo insiem / una terra promessa dove regna l’amor. / Se per mano m’accompagni più strada noi farem / non fermarti amico, ma vieni anche tu. / Sarà un viaggio lungo, faticoso il cammino / ma l’amore ci guida, tu lo sai, tu lo sai. Altre canzoni rappresentative di questo clima di speranza nel futuro era We shall over come, il cui titolo è stato tradotto con Noi la spunteremo, Noi ce la faremo, Noi riusciremo a superare. L'autore della canzone è Pete Seeger, che si ispirò a uno spiritual negro del XIX secolo. La fama popolare della canzone venne con la sua adozione come "inno" del movimento per i diritti civili” di Martin Luther King, cantata da Joan Baez fin dal 1963. Interessante notare che il soggetto passò da io a noi due, noi tutti.