I documenti d’archivio permettono di ricostruire la relazione discreta e profonda tra lo “stratega della carità” e il burocrate dello Stato.
Al funzionario del Ministero degli Interni, incontrato sui luoghi del terremoto, ad Avezzano nel 1915, Don Orione rivelò il suo segreto.
Don Flavio Peloso
Vedi : Don Orione al terremoto di Avezzano, 1915: testimonianze
Ernesto Campese,[1] conobbe Don Orione ad Avezzano all’epoca dei soccorsi dopo il terremoto della Marsica, nel 1915. Egli era Segretario di Prefettura del Ministero degli Interni, personaggio eminente e noto per i suoi studi e libri sul tema della disoccupazione: L’assicurazione contro la disoccupazione in Italia,[2] Il Fascismo contro la disoccupazione,[3] I caratteri della disoccupazione operaia in Italia.[4]
Nella Marsica, con epicentro ad Avezzano, il 13 gennaio 1915, si ebbe un terribile terremoto che devastò tutta la regione: i morti rappresentarono l’80% della popolazione e furono circa 30.000. I primi soccorsi arrivarono solo dopo due giorni e tra i primi soccorritori, giunto il giorno 18, vi fu Don Orione. Egli ebbe poi l’incarico da parte del regio Patronato Regina Elena di sovvenire ai minorenni e orfani in collaborazione con l’incaricato ministeriale dei soccorsi, Ernesto Campese. I ragazzi orfani raccolti furono 4673, dei quali 1128 poi ebbero accoglienza stabile in case e strutture educative. Don Orione manifestò in questa terribile circostanza il suo cuore di padre e l’abilità organizzativa riuscendo a sistemarli negli istituti della sua piccola Congregazione e in altre istituzioni ecclesiastiche e laiche.[5]
A motivo dello speciale ruolo che ricopriva nel Ministero degli Interni, Ernesto Campese fu incaricato di coordinare i soccorsi della Marsica. Egli faceva base ad Avezzano e girava per gli altri paesi colpiti dal sisma, per controllare assieme ad altri colleghi il movimento logistico dei soccorsi predisposti dallo Stato. Volle conoscere Don Luigi Orione, ecclesiastico già resosi famoso per l’opera di soccorso a Reggio Calabria e Messina distrutte dal terremoto del 1908, che stava ora organizzando l'opera di soccorso per gli orfani. Ne rimase conquistato.
Della corrispondenza all’epoca dei soccorsi si conserva solo un biglietto di visita autografo del tempo del terremoto, datato 12 marzo 1915: “Nel ritornare a Roma, lascia all’ottimo Don Orione, un deferente cordiale saluto. 2.III.1915”
Pur proclamandosi apertamente agnostico, il Campese coltivò stima e devozione altissime verso Don Orione e verso la sua Congregazione che continuò a frequentare anche dopo l’opera di soccorso. Tant’è che ad un raduno degli Amici di Don Orione di Roma si presentò spontaneamente a dare una testimonianza su Don Orione “nel gennaio, mi pare, del 1948”, come egli poi scrisse. La sua testimonianza dovette essere particolarmente toccante e lasciò una grande impressione in tutti, tanto più che veniva da uno che affermava di ammirare in Don Orione l’uomo eroico più che l’uomo santo.
Quando, a fine anni ’40, si cominciarono ad organizzare le testimonianze per il Processo apostolico, qualcuno ricordò quella bella e autorevole testimonianza e lo si volle contattare. In un appunto anonimo della Postulazione si legge: “A Roma, Via C. Maratta, N° 2 bis (San Saba) abita il Gr. Uff. Dottor Ernesto Campese – che era Commissario ad Avezzano, subito là inviato dopo il terremoto. È già venuto due volte a portare offerte per gli orfani – dice che è ateo, non ha fede – ma può narrare parecchi episodi de Direttore - che stima come super uomo – superiore. Se volete, potete anche scrivergli dicendogli aver saputo da me il suo nome e indirizzo”.[6]
Don Roberto Risi, il postulatore della causa di beatificazione di Don Orione, raggiunse Ernesto Campese e gli chiese di scrivere qualcosa del suo ricordo di Don Orione. Campese glieli invia con lettera del 10.4.1949.[7]
6 aprile 49
Caro Don Risi, tempo fa, da Ortona,[8] mi chiesero cenni sulla vita di Don Orione – quelli che narrai ai Suoi “figli” nel gennaio, mi pare, del 1948 – affinché servissero per testimonianza nella causa di beatificazione.
Non risposi.
Ma, ora, è proprio Lei che mi chiede d’inviarLe quei cenni.
Ah! Don Risi, don Risi, Lei sa che io non so dirLe di no!
Ecco dunque, su per giù, in sintesi, quanto dissi.
Ma, La prego, don Risi – qualunque sia l’uso che intende fare del dattiloscritto – di rispettarne la integrità: affinché sia sempre ben chiaro, di fronte a chi venera don Orione sugli altari, che io invece, lo venero come Eroe della carità, nella vita e nelle opere di misericordia, che i discepoli, nel Suo nome, vanno moltiplicando nel mondo.
Mi creda, caro don Risi, con affetto
Suo E. Campese
Con la lettera, Ernesto Campese accompagnò tre fogli dattiloscritti di ricordi riguardanti Don Orione sui luoghi del terremoto della Marsica.
Questi figli di Don Orione – quanti io ne abbia avvicinati – hanno, chi più chi meno, il modo di fare e di trattare del loro Padre spirituale. Figuriamoci Don Risi, che fu tra i compagni e discepoli primogeniti!
Le sue linee fisionomiche – di Don Risi – non ricordano, certo, Don Orione. Ma, se egli ti accoglie, a lui sconosciuto, e se ti stringe la mano, e se t’invita a dirgli che cosa vuoi, ecco che da lui si effonde quello stesso alone di spiritualità che era proprio di Don Orione... E non gli si può dire di no.
Così, io non ho potuto dirgli di no – a Don Risi – quando mi ha pregato di venire qui, fra gli amici di Don Orione, per narrare qualche episodio, a me noto, della mirabile opera da Lui svolta nella Marsica dopo il terremoto del 1915.
L’ho prevenuto – Don Risi – che le mie parole avrebbero potuto sembrare fuori tono, perché la mia venerazione per la memoria di Don Orione non nasce da un sentimento religioso. Ma – avrà pensato Don Risi – proprio perché dissonanti e profane, le mie parole troveranno più direttamente la via per giungere ai vostri cuori…
13 gennaio 1915 – Un telegramma monco, stroncato a metà dall’interruzione della linea telegrafica, avverte il Ministero dell’Interno che una grave sciagura si è abbattuta su Avezzano. Il Ministero invia le prime spedizioni di soccorso. Segretario di Prefettura in servizio presso il Ministero, mi si ordina, fra i primi, di accorrere sul posto.
Avezzano è spianata al suolo. La neve alta già ricopre e livella le macerie. Pochi superstiti, in una ebetudine senza lagrime, sostano là dove parenti e amici, travolti dal crollo immane, potrebbero essere dissepolti dalle scarse squadre di soccorso, vivi o morti. Rari colpi di fucile e di rivoltella tengono a bada i lupi e gli uomini sciacalli.
Ma, presto, si diffonde la più terrificante notizia: tutta la Marsica è stata colpita dal terremoto.
Ad Avezzano vengono accentrati affrettatamente i depositi di materiale per i primi soccorsi: pane, latte condensato, cacao, cognac, tende, coperte, abiti, medicinali.
Mi sopraggiunge l’ordine di percorrere con una colonna di camions i comuni del mandamento di Pescina. I camions scaricano i soccorsi: ritornano ad Avezzano; ricaricano e ripartono, per ricongiungersi alla colonna che, senza mai sostare, continua il suo periplo.
Durante questo periplo, mi si dice che ad Avezzano un certo Don Orione, un prete, sta organizzando l’opera di soccorso per gli orfani. Che sia benedetto! Fra tanto martirio, quello degli orfani – bambinelli e lattanti – era quello che più moveva a pietà. E che potevo fare io, se non lasciare qualche coperta e qualche scatola di latte condensato?
Abbandono per breve tempo la colonna e corro ad Avezzano.
- Dov’è Don Orione?
Mi indicano un vasto tendone. Mi avvicino. Vagiti di bimbi. Entro. Don Orione è lì. Non vedo gli altri; vedo Lui. Seduto su di uno sgabello; ciascun braccio sostiene un bimbetto; li ballonzola sulle ginocchia, li acqueta con la ninna-nanna e chiede i biberon; chiede, insiste: «datemi i biberon!».
Questi è dunque Don Orione. Un piccolo prete striminzito; una tonaca frusta e impillaccherata; e due piedoni grossi così, in scarpacce ingobbite e scalcagnate. Ma quella sua testa piegata sul collo magro, e quegli occhi – gli occhi di Don Orione – che ti guardano tristi e mansueti!
Si, Don Orione, fu a quel primo vederti che mi diventasti caro.
Un padre. L’animo di mille padri nel corpo mortale di un padre solo!
Presto ci mettemmo d’accordo. Gli orfani che avrei incontrato sul mio cammino li avrei inviati a Lui con i mezzi di cui potevo disporre, o glieli avrei segnalati perché avesse pensato Lui a rilevarli. E, quando li segnalavo, Don Orione accorreva o mandava; ma preferiva accorrere Lui.
Poi il tendone fu sostituito da una baracca; alla baracca se ne aggiunsero altre; dalle baracche i bambinelli venivano smistati sui treni che raggiungevano Roma e, infine, presso gli orfanotrofi dell’opera «Regina Elena» o «Don Guanella».
Quanti orfani ha salvati dalla morte Don Orione, e quanti ne ha educati alla vita religiosa o civile! Che ne sarà, oggi, di quei bambinelli che io vidi fra le Sue braccia…
Una seconda volta incontrai Don Orione. Non ricordo precisamente dove; certo in uno dei comuni del mandamento di Pescina. Anche quella volta – come lo avevo notato nel primo incontro – i bottoni in alto della veste talare non erano agganciati; una trascuratezza un po’ contadinesca, ma densa di significato: Non voglio impacci!
Così lo rividi: pel vento gelido la veste gli aderiva alle gambe magre.
Oh! Don Orione: ma i pantaloni ce li avete Don Orione? A me pare che siate in mutande, Don Orione!
E Lui non risponde; ma più piega il collo e sorride furbescamente. È una birichinata: ne ha fatta ancora una di birichinata…
Bisogna stargli sempre dappresso (mi dice il discepolo che l’accompagna). È un benedett’omo che dà tutto quello che ha. Se non gli badasse, finirebbe con l’andare in giro mezzo nudo…
Una terza volta l’ho rivisto ad Avezzano. Ormai l’organizzazione filava sulle rotaie e Don Orione ne gongolava, e lasciava un po’ fare ai suoi collaboratori. Lo si poteva intrattenere anche in discorsi che non riguardassero gli orfanelli e le opere di soccorso.
Fu allora che – interrompendo a mezzo non so quale mia interiezione – Egli mi disse, strizzando l’occhio: «Ma, allora, tu non ci credi! ». E continuò: «Beh, non importa. Se è stabilito che tu debba credere, crederai. E, se no, quello che importa è che tu faccia del bene…».
Don Risi mi ha mostrato alcuni ritratti, dipinti ad olio, di Don Orione: quelli che sono nella Casa Madre.
Le pare che siano somiglianti? Mi domanda Don Risi.
No, Don Risi: questi non sono Don Orione… Qui vedo Don Orione con la veste talare ben modellata; Don Orione a testa dritta; Don Orione dal colorito roseo; Don Orione dagli occhi folgoranti.
No, Don Risi, in questi dipinti non vedo Don Orione.
Don Orione è quello che io ricordo ad Avezzano: la veste impillaccherata; il colletto sbottonato; le guance pallide e smunte, la testa piegata sul collo in abbandono; e gli occhi… i suoi occhi, tristi e mansueti, velati da infinita pietà.
Alcuni anni dopo, Don Gaetano Piccinini, un orionino nativo della Marsica,[9] fu chiamato a tenere una conferenza al raduno degli “Amici di Don Orione” di Roma del 5 giugno 1955. Durante il suo intervento, i suoi ricordi andarono all’epopea di Don Orione nella sua Marsica e accennò a quanto aveva testimoniato Ernesto Campese sullo stesso argomento in un precedente raduno.
Un ascoltatore, presente tanto al raduno del 1955, in cui parlò Don Piccinini, quanto a quello del 1948, in cui parlò Campese, si ricordò che quest’ultimo aveva raccontato anche un altro episodio che gli era rimasto assai impresso. Lo scrisse in un Appunto che conserviamo. Eccolo.
D. Piccinini nella relazione al Raduno degli Amici del 5 giugno 1955 ha accennato all’intervento di un raduno romano del Signor Campese Ernesto incaricato del Ministero dell’Interno in occasione del terremoto di Avezzano… Riferisco le parole dette da quel Signore in quel raduno.
Mi sono incontrato con D. Orione una volta in Avezzano… dovevamo recarci verso via… che era piuttosto lontano dal luogo dove eravamo e poi con le macerie che ingombravano le strade bisognava andare cauti…
Macché mentre camminavamo ecco che inciampo… e mi scappò fuori una bestemmia ma di quelle grosse… era scappata… rimasi un po’ male per la compagnia… e stavo osservando il mio D. Orione come avrebbe reagito… Si fermò un istante e mi guardò con quel fare che usava mia mamma da bambino… Si era fermato un momento… anch’io guardavo Lui in volto… con quello sguardo amorevole e severo ad un tempo senza profferir parola… poi ad un tratto sbottò fuori: “E in quanto a religione come stiamo?... risposi… tabula rasa. Sa, Le dissi… io non sento il bisogno di Dio… non lo vedo… Dio.
Alle mie parole stette un poco come meditando e poi mi disse parole non mai più dimenticate, non solo, ma che ho cercato sempre di tradurre in pratica… Faccia un po’ di bene tutti i giorni… tutti i giorni si sforzi di compiere un’opera buona e vedrà che poi lo sentirà Iddio… lo vedrà Iddio…”.
Questo episodio, gustoso in sé e di grande valore simbolico, non appare tra i ricordi scritti da Campese stesso. Probabilmente, non lo annotò perché toccava un aspetto più personale e religioso.
Quando giunse il momento delle audizioni dei testimoni al Processo Apostolico di Tortona per la beatificazione di Don Orione, Campese accettò di portare la sua testimonianza. Venne ascoltato nell’udienza del 18.11.1964.
Si presentò dicendo: “Campese Ernesto, di fu Antonio e fu Lamanna Elisa, nato a Napoli il 2 gennaio 1882, domiciliato a Roma in Via Carlo Maratta 2/A, pensionato, celibe, già Vice Prefetto, Direttore Centrale dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale. Non sono né parente né affine con Don Orione, e mi sono presentato dietro invito, ben lieto di testimoniare sulle virtù eroiche di Don Orione, da me ritenuto venerando eroe della carità. Conobbi Don Orione durante il terremoto di Avezzano, quando vi dirigevo squadre di soccorso per incarico del Ministero degli Interni”.[10]
Riferì sostanzialmente alcuni di quei ricordi di cui aveva già scritto negli Appunti per Don Risi. Invitato a rispondere ad altre domande inerenti la vita e le virtù di Don Orione, “il teste dichiarò: La mia conoscenza di Don Orione è stata puramente occasionale e non saprei cosa altro aggiungervi”.[11]
Al medesimo Processo apostolico di Tortona, fu chiamato a testimoniare anche Don Gaetano Piccinini. Egli, nella sua testimonianza, inserì anche quell’episodio raccontato a voce dal Campese al Raduno Amici di Don Orione e poi trascritto dall’anonimo uditore.
“Un funzionario del ministero degli Interni, il quale, non invitato, venne a parlarci in un raduno di Amici, e ci dichiarò di avere conosciuto Don Orione forse prima di noi.
Infatti - egli diceva - ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano, e fui colpito da questo prete in così cattivo arnese, che correva qua e là, ovunque portando fiducia. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave fra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano! Mi guardava come quando da ragazzo, quando ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre. Poi mi chiese: «A che punto siamo in fatto di religione?». Io gli risposi: «Tabula rasa», e lui: «Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?», ed io: «Eh! Se mi si mostra!», e Don Orione: «Vedi ogni giorno di fare un pochino di bene». Oggi egli è un benefattore della nostra Casa dell'Orfano in Trastevere, in Roma”.[12]
Resta da dire che Ernesto Campese morì il 1° novembre 1973, lasciando in eredità alla Piccola Opera della Divina Provvidenza di Don Orione la sua villa in Via Maratta 2a, in Roma, “destinata a luogo di riposo e di studio per gli orfani assistiti dall’Opera”.[13] Continuò, dunque, fino alla fine, a “fare un pochino di bene”.
Sul Bollettino della Congregazione “Don Orione”, nel gennaio 1974, fu pubblicata la notizia della sua morte con il testo completo dei suoi Appunti di ricordi di Don Orione.[14]
Valeva la pena riscattare dall’oblio dell’archivio la memoria di quest’uomo, Ernesto Campese, sia per la freschezza di parola e di meraviglia con cui ha ricordato Don Orione e sia perché egli, inconsapevolmente, tocca con estrema lucidità un punto fondamentale della storia e della spiritualità dello “stratega della carità”.
Ogni santo, soprattutto ogni fondatore portatore di un carisma, ha avuto una particolare esperienza di Dio riconosciuto attraverso le vestigia della sua divinità. Ad esempio, San Benedetto contempla Dio nella sua Maestà, San Domenico nella Verità rivelata, San Francesco nella Natura creata. Ebbene, Don Orione contempla Dio nell’Uomo. “Nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio”.[15] Egli coglie in modo carismatico la identificazione evangelica di Cristo nel Povero e nel Fratello in genere.[16]
Conseguentemente, anche la modalità per coltivare l’esperienza di Dio dipende dalla sensibilità carismatica: per i Benedettini sarà soprattutto l’opus Dei, la divina liturgia; per i Domenicani sarà lo studio e la predicazione; per i Francescani la pratica di vita semplice e povera. Per Don Orione il modo per coltivare (e trasmettere) l’unione con Dio è “l’esercizio della carità verso il prossimo”.[17]
Questo egli visse. Questo egli trasmise non solo ai suoi discepoli, ma a tutti, anche a laici a “tabula rasa in fatto di religione”.
La carità verso il prossimo non è solo un’espressione di apostolato ma anche di ascetica; non è solo un effetto dell'esperienza di Dio ma anche è anche causa dell’esperienza di Dio, via e pedagogia a Dio, proprio in quanto è “vedere e servire Cristo nell’uomo”.[18]
È il segreto di Don Orione.
«Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?».
«Vedi ogni giorno di fare un pochino di bene».
[1] Nacque a Napoli il 2 gennaio 1882, da Antonio e Lamanna Elisa, e morì il 1° novembre 1973, a Roma.
[2] Roma, Ministero Economia nazionale, 1927, p. 446.
[3] Roma, Ed. del Littorio, 1929, p.378.
[4] Roma, Ed. del Littorio, 1930, p.622.
[5] Si veda la ricostruzione storica di Giorgio Papasogli, Vita di Don Orione, Gribaudi, Milano 2004, pp. 562 (V ed.), p.245-273. Ignazio Silone, che a Pescina perse casa e famiglia, descrisse Don Orione nel suo “Incontro con uno strano prete” , un capitolo del libro Uscita di Sicurezza (Vallecchi, Firenze, 1965), in Ignazio Silone. Romanzi e saggi, vol. II: 1945-1978, I Meridiani Mondadori, Milano, 1999, p.767-784; Giovanni Casoli, L’incontro di due uomini liberi. Don Orione e Silone, Ed. Jaca Book, Milano, 2000, pp.170. Autorevole testimonianza che anche la Relazione di S.E. Mons. Pio Marcello Bagnoli al Santo Padre sul terremoto del 13 gennaio 1915, pubblicata in Messaggi di Don Orione 37 (2005), n. 116, 81-88. Infine, Giovanni Paolo II, durante la sua visita del 1984, ricordò che la Marsica “Durante quella dura prova, si vide sulle rovine fumanti e tra le vittime doloranti l'eroica figura di Don Orione. Questo umile e povero prete, intrepido ed instancabile, divenne testimonianza viva dell'amore di Dio”; Discorso durante la visita ad Avezzano, 24.3.1985.
[6] In Archivio Don Orione, Roma (citato ADO), cartella Campese Ernesto.
[7] Nella carta c’è il logo, il motto Inter libros quies, il nome: Ernesto Campese. Lo stesso testo è conservato sia dattilografato che autografo con correzioni.
[8] Più probabilmente si tratta di “Tortona”, casa madre della Congregazione orionina.
[9] Gaetano Piccinini (1904 - 1972) fu raccolto da Don Orione, all'età di 11 anni, dalla sua nativa Avezzano e indirizzato all’Istituto Santa Maria di Roma, assieme a un gruppo di orfani del terremoto marsicano. Volle diventare religioso e sacerdote “come Don Orione”. Riconosciute le sue eccezionali doti intellettuali e religiose, il Fondatore lo lanciò nel campo dell'apostolato della sua Piccola Opera quando era ancora giovane chierico. Fu direttore e preside nei collegi di Novi Ligure e di Roma. Durante la seconda guerra mondiale si prodigò per soccorrere quanti avevano bisogno di aiuto, tra cui tanti ebrei. Ricoprì vari incarichi nella direzione generale dal 1946 al 1969. Fu personalità geniale per visione, intraprendenza e capacità organizzative. Avvicinò e coinvolse nel bene moltissime personalità di ogni ceto e ruolo. Si dedicò anche all’apostolato della penna pubblicando alcuni libri di memorie (Roma tenne il respiro - 1955, La scheggia di Monte Pellegrino - 1955, Quel tuo cuore Don Orione - 1963) e numerosi articoli su «La Piccola Opera», «San Giorgio» e «L'Amico». Cfr Domenico Sparpaglione, “Don Gaetano Piccinini, fuoco divampante di carità”, “Messaggi di Don Orione”, (18)1977, n.38.
[10] Verbale dell’audizione, Archivio della Postulazione, Proc. F. 667.
[11] Così nel Verbale dell’audizione, cfr nota precedente. Nella volume del Summarium a stampa del Processo, a p.640, troviamo la seguente notula: “Testis XXV - Doctor Ernestus Campese. Generalia testis: Filius quondam Antonii et quondam Elisae Lamanna; natus Neapoli, die 2 ianuarii 1882; tempore examinis an. 82. Vir laicus, quondam Provinciae Praefecti vices gerens. Moderator Instituti Nationalis Socialis Praevidentiae. Domicilium Romae habens, Via Carlo Maratta 2/A (Proc. f. 667). Testis qualitas: De visu a Postulatore inductus. Scientiae causa: Servum Dei cognovit post terrae motum in regione Marsorum, cum esset dux eorum qui, ex praecepto Supremi Consilii Internis Negotiis praepositi, calamitate affectis succurrebant. Servum Dei magna prosecutus est admiratione, quem viderat, plena sui abnegatione, in aliorum auxilium, sui iactura, accurrentem; eum proinde semper magnopere coluit. Ambitus testimonii: De mirabili Servi Dei caritate. Tempus examinis: Sessio CXXIX.a (Proc. ff. 666-668), die 18 novem. 1964”.
[12] Archivio della Postulazione, Summarium, 549.
[13] Il testamento olografo di Ernesto Campese consta di 2 fogli e di 4 pagine, datato 15 luglio 1972. Dall’atto di morte risulta che Ernesto Campese morì all’Ospedale San Giovanni di Roma, il 1° novembre 1973, alle ore 7.10, celibe, domiciliato a Roma, Via Baccio Pontelli 5.
[14] Il testo dei ricordi sono preceduti da una notizia: “In età avanzata è recentemente scomparso il dott. Ernesto Campese, già funzionario del Ministero degli Interni. Più volte il Direttore generale lo aveva visitato recandogli il pensiero memore dell’Opera, che lo riconosceva uno dei più affezionati Amici di Don Orione, del quale custodiva personali memorie. Si erano incontrati sulle rovine di Avezzano dopo il terremoto del 1915, stimandosi reciprocamente, collaborando nei rispettivi incarichi, dando ciascuno il meglio di sé a salvezza di tanti poveri orfani. Ernesto Campese ha lasciato una testimonianza di immenso valore della carità eroica di Don Orione. Pubblicandola nell’anniversario di quel triste gennaio di 59 anni or sono, intendiamo ringraziare ancora una volta chi l’ha scritta e implorargli dalla Divina Bontà la pace eterna e la gloria riservata agli operatori di bene a conforto dei più piccoli sofferenti”; Bollettino “Don Orione”, gennaio 1974, p. 3-4.
[15] Nel nome della Divina Provvidenza, p.107.
[16] Niente di nuovo o di esclusivo in questi carismi. Tutto è già nel Vangelo. Di nuovo e di esclusivo è la concentrazione, l’intensità e la condivisione comunitaria dell’esperienza evangelica per il bene della Chiesa. Per approfondimenti, indico due studi orionini: Ignazio Terzi, La nostra fisionomia nella Chiesa, Ed. Don Orione, Tortona, 1984; Aa.Vv. Sui passi di Don Orione, Dehoniane, Bologna 1996; e due studi di esperti esterni alla Congregazione: Divo Barsotti, Don Orione. Maestro di vita spirituale, Ed. Piemme, Casale M., 1999; Giuseppe De Luca, Elogio di Don Orione, con altri scritti e commenti su di lui, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1999.
[17] Naturalmente questa modalità va congiunta con le altre della vita cristiana è certo la più tipica in Don Orione per accentuazione, per insistenza, per immediatezza di motivazioni.
[18] “Vedere e sentire Cristo nell’uomo”, Nel nome della Divina Provvidenza 135; “Servire negli uomini il Figlio dell’Uomo”, ibidem, p.141 e Scritti 97, 251; L’espressione è costruita con molte varianti, quella più classica e ricorrente (più di 100 volte) è “Cristo nei poveri”. “Noi vogliamo, in umiltà grande, amare e servire Gesù Cristo nei poveri”; Lettere II, 440; “L'altissimo privilegio di servir Cristo nei poveri”, Lettere II, 479; “Amare i poveri è amare Gesù: servire i poveri è servire Gesù… Oh, se io potessi farvi vedere Gesù Cristo nei poveri!” Scritti 7, 107; “Noi vediamo nei poveri le membra di Gesù Cristo, e in essi amiamo il nostro Dio”, Scritti 72, 217.