Uno dei 108 rappresentanti di una Chiesa martire. I ricordi di un testimone di Davhau, Don Jozef Kubicki.
N.22666: Don Francesco Drzewiecki
l'uomo che edificava nel Lager di Dachau
Uno dei 108 rappresentanti di una Chiesa martire
I ricordi di un testimone, Don Jozef Kubicki
Al lager di Dachau è legata ad una delle pagine più tragiche e gloriose del Clero polacco: in esso furono reclusi ben 1780 ecclesiastici e di essi 868 vi trovarono la morte. La Chiesa non ha esitato a esaminare gli eventi nella ricerca degli elementi sufficienti per dare a molte vittime la gloriosa corona del martirio. Pensiamo a Massimiliano Kolbe, Tito Brandsma e ad Edith Stein, tra i più noti di una eroica schiera di testimoni di Cristo, periti nei lagers.
I martiri di questi campi non ebbero troncata la vita con un attimo pur eroico di sofferenza: si trattò di un lungo calvario fatto di umiliazioni, ingiurie, maltrattamenti, che prepararono e determinarono spesso l'olocausto conclusivo finale.
Tra gli eroici testimoni della fede e della carità cristiana morti a Dachau, brilla di eminente splendore la figura di Mons. Michal Kozal, vescovo di Wloclawek, e la corona di "socii martires", con lui morti a Dachau. Per 108 di essi è stato il martirio e riconosciuto il titolo di "beati". Appartenevano a 17 Diocesi, all’Ordinariato militare e a 22 Congregazioni religiose: 3 vescovi, 51 sacerdoti diocesani, 21 sacerdoti religiosi, 3 chierici, 7 fratelli coadiutori, 8 suore e 9 laici.
Uno di questi è don Franciszek Drzewiecki, un Orionino, nato a Zduny, il 26.2.1908.
Francesco Drzewiecki entrò adolescente nel seminario di Zdunska Wola (città di San Massimiliano Kolbe) per realizzare la sua vocazione sacerdotale e religiosa nella Piccola Opera della Divina Provvidenza di San Luigi Orione. Dopo gli studi liceali e filosofici, nel 1931 andò in Italia, nella Casa madre di Tortona, per il noviziato e gli studi della teologia.
Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1936. Spese le sue primizie sacerdotali al Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna, una istituzione per handicappati gravi, dove era anche formatore di un gruppo di “vocazioni adulte”.
Ritornato in Polonia sul finire del 1937, Don Francesco continuò la sua attività di educatore nel collegio di Zdunska Wola. Nell'estate del 1939 fu chiamato ad occuparsi della Parrocchia "S.Cuore" e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. Qui lo sorpresero i noti e tremendi eventi bellici, scantenatisi a partire dall'invasione tedesca del 1° settembre 1939.
L'occupazione nazista si trasformò ben presto in persecuzione religiosa, realizzata in modo sistematico e particolarmente violento nella Polonia cattolica. Il 7 novembre di quel 1939, Don Drzewiecki e quasi tutto il Clero della diocesi di Wloclawek, compresi i seminaristi e il Vescovo Mons. M. Kozal, furono arrestati e tradotti in carcere. Iniziava una lunga via crucis di umiliazioni e di sofferenze: Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhausen e infine Dachau, ove giunse il 14 dicembre 1940.
Dai compagni di lager fu ricordato come "l'uomo che edificava con la sua cortesia e premura" , secondo l'espressione di Mons. F.Korszynski nel suo noto libro Jasne promienie w Dachau (Pallottinum, Poznan, p.193).
Tante sono le testimonianze della nobiltà e santità d'animo di Don Drzewiecki. Le più vive e commoventi sono quelle di suo compagno di prigionia, Don Jozef Kubicki, anch'egli Orionino e chierico di 24 anni al momento della reclusione a Dachau. Oggi, Don Kubicki ha 82 anni e vive ad Henrykow, vicino a Zdunska Wola, una casa per uomini “senza tetto”, emarginati, alcolizzati, vagabondi. Ascoltiamo la sua testimonianza.
"Appena giunti al campo, ci hanno condotto alle docce. Qui ci hanno tolto tutte le nostre cose e hanno dato i nuovi abiti (il pasiak) e i nuovi numeri. Don Drzewiecki mi tenne vicino a sé nella fila, così che io ricevetti il n.22665 e don Francesco il n.22666.
Al campo di concentramento, io lavoravo come falegname e don Drzewiecki era stato destinato alle piantagioni. Doveva fare lunghe ed estenuanti marce di trasferimento a piedi, lavora sotto sole, pioggia, vento”.
Al Lager era strettamente vietato farsi vedere pregare. Ma pregavamo ugualmente. Mons. Wladislaw Sarnik ricorda di essere stato con Don Drzewiecki a lavorare nelle piantagioni. Ebbene, mentre erano piegati sul campo di lavoro, tenevano davanti, a turno, la scatoletta dell'Eucarestia e facevano adorazione.
“Ci cercavamo nella folla dei prigionieri – ricorda ancora Don Kubicki. Don Francesco voleva raccontarmi tantissime cose, soprattutto dell'Italia, dove era stato per sei anni, di don Orione, dello sviluppo della Congregazione, ecc. Mi incoraggiava a essere fedele alla vocazione, a resistere, a pensare al futuro.
Mons.Wladislaw Sarnik, compagno di prigionia di don Drzewiecki, lo ricorda "uomo entusiasta, sacerdote buono, uomo di pietà in senso stretto, amico premuroso, sereno, umile (ma nell'umiltà nascondeva la sua grandezza), uomo che non si lamentava mai, che nell'umiliazione si comportava da eroe e che mai si è espresso negativamente dei persecutori". "E' un vero martire", ha commentato di lui l'arcivescovo Mons. Bronislaw Dabrowski.
Venne il tempo in cui don Drzewiecki, lavorando nelle piantagioni si indebolì e si ammalò gravemente e il suo corpo si era molto gonfiato. Stava molto male. Gli mancavano le forze per camminare. Andò al revier (infermeria). Purtroppo, mentre don Drzewiecki si trovava al revier è venuta una Commissione. Tutti quelli che non erano in grado di lavorare ("i mussulmani", li chiamavano) li eliminavano: o con il gas o uccisi in altri modi. Fu così che don Drzewiecki, fu messo in un Block a parte e iscritto per il trasporto di invalidi. Quei viaggi terminavano al forno crematorio. Con il trasporto del 10 agosto 1942, Don Drzewiecki fu portato per l’eliminazione con il gas al Castello di Hartheim, nei pressi di Linz.
“Era mattino presto” – ricorda ancora don Jozef Kubicki nel suo Memoriale. “Avevo finito il turno notturno di lavoro. Nella strada principale avevano condotto gli invalidi per preparare il carico dell'invalidentrasport. Don Francesco, pur sapendo di rischiare, attraversò la strada e mi venne a dare l'addio, con Don Victor Rysztok. Ha bussato alla finestra e io sono saltato su dal giaciglio, mi sono avvicinato alla finestra.
Don Drzewiecki mi disse: Giuseppino, addio! Partiamo.
Ero tanto abbattuto che non riuscivo a dire neanche una parola di rammarico. E don Drzewiecki continuò: Giuseppino non ti dar pena. Noi, oggi, tu domani...
E con grande calma disse ancora: Noi andiamo... Ma offriremo come Polacchi la nostra vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria.
Sono state le sue ultime parole: Per Dio, per la Chiesa e per la Patria" (tratto da Due Orionini al Lager. Memoriale, Roma, 1997).
Don Drzewiecki manifestò in questo supremo e drammatico momento di essere buon pastore "pronto a dare la vita per le sue pecore" (Gv 10,11) e lo espresse nell'offrire, coscientemente e liberamente, quella vita che, all'apparenza dei fatti, gli era tolta iniquamente. Come Gesù. "Io offro la mia vita e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà" (Gv 10,17-18). Per don Drzewiecki, "agnello mansueto condotto al macello", la conformazione a Cristo, vittima e signore della morte, raggiunge il suo apice in quel saluto, prima di salire sul convoglio dell'invalidentrasport: "Per Dio, per la Chiesa e per la Patria".
Don Franciszek Drzewiecki, dopo due anni di stenti, di privazioni, di lavori forzati e di nobile presenza umana e religiosa, fu eliminato. Con il “trasporto degli invalidi” (invalidentrasport) del 10 agosto 1942, fu portato per l’eliminazione immediata con il gas al Castello di Hartheim (Schloss Hartheim), nei pressi della città di Linz. Di quell’invalidentrasport è conservato il documento con la lista manoscritta dei prigionieri.
Il 10 agosto è il giorno della sua morte, quando Francesco Drzewiecki aveva 34 anni di età, 11 di professione religiosa e 6 di sacerdozio.
E' un dovere ricordare. I santi edificano la Chiesa e la società più d'ogni altro.
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