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Messaggi Don Orione
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Appunti di una conferenza tenuta a Pontecurone il 18 maggio 2024, con cenni all'esperienza di Maria Cuttica Coggiola.

 

Don Orione negli anni del modernismo

Flavio Peloso

 

Movimento modernistico e problemi dottrinali

Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell'enciclica Pascendi (1907) di Pio X per definire un complesso di errori in vari i campi della dottrina cattolica (Sacra Scrittura, teologia, filosofia, culto).

Il tempo storico in cui il movimento si sviluppò fu il tardo pontificato di Leone XIII, morto nel 1903. Le origini prossime del modernismo sono riconoscibili nell’americanismo (condannato dalla lettera apostolica Testem benevolentiam, 1899) e nel protestantesimo liberale, due correnti di idee che in nome del progresso mettevano al centro l’azione e l’arbitrio dell’individuo, sminuendo la portata soprannaturale della storia della salvezza, della Fede e della Chiesa.

Il principale teologo e divulgatore fu il sacerdote irlandese Georges Tyrrell (1861-1909), protestante convertito, che identificò la rivelazione con l'esperienza vitale (religious experience), che si compie nella coscienza di ognuno, affermando che la Rivelazione “non può venire a noi dal di fuori” ma è una creazione dell’interiorità umana.

Distinguiamo:

MODERNITÀ: è la relazione e il continuo adeguamento al mondo che cambia.

MODERNIZZAZIONE: indica i processi e le tensioni di cambiamento delle mentalità, costumi, strutture, leggi (comprese quelle ecclesiastiche) al mondo che cambia.

MODERNISMO: è una patologia della modernità e della modernizzazione che che avviene senza il rispetto dell’identità e delle sue leggi interne.

Il termine “modernismo” nella storia della Chiesa di inizio Novecento indica sia l’atteggiamento di dialogo con la modernità, molto presente (Pio X fu egli stesso un grande riformatore e modernizzatore della Chiesa) e sia la corrente dottrinale ispirata ad una nuova visione di religione fondata sull’esperienza umana (antropocentrica) ,ma svuotando la verità storica della rivelazione e della relazione con Dio.

Il modernismo colpiva al cuore il cristianesimo, riducendolo a un fenomeno di vita interiore, che nasce nell’uomo, da un suo bisogno, da un “movimento del cuore” (“immanenza”) e non da Dio che entra in relazione con l’uomo con fatti, parole e culminato con l’incarnazione di Cristo Gesù.

Secondo questa visione - molto diffusa anche oggi - Dio non è oltre ma dentro l’uomo. Non è trascendente ma immanente all’uomo, un suo sentimento, uno slancio vitale.

È noto che Pio X, ancora cardinale, scelse come motto instaurare omnia in Cristo (Ef 1, 10) – e Don Orione prima di lui - che, di fatto, è la risposta all’instaurare omnia in homine che, semplificando, può essere considerato il motto modernistico.

L’immanenza antropologica è il virus che trasformò in patologia (modernismo) le istanze di modernità e di rinnovamento vastamente avvertite nella Chiesa tra fine ‘800 e inizio ‘900.

Non fu facile distinguere tra modernità e modernismo.

A fare chiarezza giunse l’enciclica Pascendi e l’azione promossa da Papa Pio X, il quale, oltre alla ferma difesa dell’ortodossia della Chiesa, minacciata dal modernismo, promosse un vasto programma di riforme  di studi teologici, liturgia, curia pontificia...

Come scrisse Pio X nella Pascendi, il modernismo non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra verità rivelata, ma nel cambiamento radicale del fondamento della stessa verità: “La verità viene dall’uomo… si evolve con lui, con lui per lui” (Proposizione 58 del Decreto Lamentabili). Il relativismo che tutto riduce opinione, oggi dominante, è il pieno compimento del principio modernistico

Su questa ricorrente minaccia alla fede cristiana si pronunciarono le Encicliche Pascendi di Pio X, Humani generis di Pio XII e Fides et Ratio di Giovanni Paolo II.

 

L’atteggiamento di Don Orione

L’azione di Don Orione negli anni del modernismo va inquadrata nella sua coscienza del carisma di impegno per l’unità della Chiesa. Fu una forma di “ecumenismo interno” alla Chiesa, in quanto si trattava di tenere nell’unità della Chiesa un movimento e delle persone che erano ai margini della comunione ecclesiale, a rischio di separazione e, in alcuni casi, anche formalmente separati con sanzioni disciplinari fino alla scomunica.

Condivise del modernismo l’atteggiamento di modernità, la volontà di tenere la Chiesa agganciata al treno (trend) della modernità, anzi “alla testa dei tempi”. Significativo fu il suo atteggiamento di fronte alla democrazia, cioè all'emergere in Italia dei fermenti innovatori e modernisti nel campo sociale. In uno scritto del 1905, osserva:

“Noi viviamo in un periodo di transizione dell'umanità. Avviene intorno a noi un rivolgimento radicale della società, nel metodo dei governi umani, nelle relazioni della vita umana. Queste mutazioni possono riassumersi in una parola: è l'ora della democrazia, della sovranità, dei poteri temporali. Finora la Chiesa trattò con le dinastie, ormai dovrà trattare coi popoli [...]. Ora la democrazia avanza e la Chiesa, non temiamo, le saprà dare il battesimo”.[1]

Don Luigi Orione condivise pienamente la linea di contrasto al modernismo di Pio X, ma privilegiò l’attenzione e la vicinanza alle anime da salvare.[2]

Per questo suo atteggiamento ci fu chi lo accusò di modernismo presso il Sant’Ufficio. La lettera fu fatta pervenire, confidenzialmente, a Don Orione stesso e Papa Pio X, tra il serio e il faceto, lo fece inginocchiare davanti a sé e recitare il Credo e concluse: “Uno che recita il Credo così non può essere modernista”.

Don Orione fu vicino a molti cattolici e sacerdoti coinvolti nella crisi di quegli anni e incorsi nelle censure vaticane.

Fra i sacerdoti con i quali Don Orione tenne i rapporti ci fu Romolo Murri (1870-1944), che cercò di tenere “agganciato”, senza per questo approvare la sua disobbedienza all'autorità ecclesiastica. Gli propose di scrivere anche sulla sua rivista “La Madonna”.[3] Don Orione gli lanciò un estremo appello all'obbedienza che però non fu raccolto:

“So bene che tu sei di Gesù Cristo e del suo Vicario e della Santa Chiesa, ma mi pare che tu dovresti fare qualche cosa di più di quanto fai e sacrificare ogni cosa all'obbedienza più filiale e più umile al Santo Padre”.[4]

Non meno ricca di carità profonda, di stima sincera fu la sua amicizia con il barnabita Giovanni Semeria, amicizia che era iniziata a Genova agli inizi della Piccola Opera, e si protrasse fino alla morte del barnabita, avvenuta nel 1931. Fu molto a contatto con lui durante il periodo dei soccorsi ai terremotati di Messina.

Poi subentrarono in Semeria inquietudini intellettuali e religiose, ma nel momento della difficoltà Padre Semeria ricorse a Don Orione. “Vi scrivo in un momento di desolazione interiore che però si riannoda a parecchi altri momenti d’oscurità, tenebre, specie in materia religiosa. Mi aggrappo in questi momenti alla fede, per timore di fare uno sproposito, e di dare scandalo”. [5] Andò a incontralo in Svizzera per consegnargli il lungo elenco di 88 sue proposizioni sospette di modernismo e averne le risposte da portare al la Segreteria di Stato. Nell’udienza del 30 maggio 1916, Don Orione le presentò al Papa, il quale dichiarò “chiusa” la causa di Padre Semeria”

Più complessi e ben documentati sono stati i collegamenti con il più noto dei modernisti italiani, Ernesto Buonaiuti, protagonista di un drammatico braccio di ferro con l'autorità ecclesiastica, che si concluse nel 1926 con la scomunica maggiore, che vietava ai fedeli ogni tipo di contatto con chi ne era colpito.

Orione avvicinò Buonaiuti con la carità fraterna, innanzitutto, e condusse un tentativo di recupero alla comunione ecclesiastica.[6]

Buonaiuti ebbe per Don Orione parole che sconfinavano quasi nella venerazione, pur conoscendo la sua ortodossia e fedeltà papalina. Il 20 giugno del 1932 Buonaiuti mandò a Don Orione, che festeggiava i sessant'anni, il seguente messaggio:

“Anche il lebbroso spirituale - quegli che è nell'ostracismo - sapendo di quale carità primeggi il cuore del festeggiato, vuole essere, ultimo tra gli ultimi, presente, sulla soglia della casa benedetta, a dire tutto l'impeto della sua devota riconoscenza e del suo ardente voto beneaugurante”.[7]

“Amico santo e venerato, auguri, auguri, auguri dal proscritto e dalla sua madre, sempre addolorata. Il ricordo delle Parole ch'Ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio. Attendo l'ora del Signore! Sento l'azione della preghiera ch'Ella innalza per me. Dio la benedica nel suo grande lavoro, sempre!”[8]

Forse nessuno come Tommaso Gallarati Scotti, aristocratico milanese, biografo di Antonio Fogazzaro, pure coinvolto nella crisi modernista, ha meglio descritto l’atteggiamento di Don Orione in queste relazioni complesse e difficili con esponenti del modernismo.

“Il privilegio della mia conoscenza profonda di don Orione viene appunto da questo, che la nostra, oso dire, amicizia (se si può parlare di amicizia con un simile uomo) data precisamente da quel 1908 in cui ci trovammo insieme in un'opera sociale e religiosa, a Messina, dopo il terremoto. La prima impressione che ebbi fu di meraviglia perché questo piccolo prete, non elegante, di nessuna apparenza (solo gli occhi erano meravigliosi quando si accendevano per le cose di Dio e degli uomini), quest'uomo così modesto, così poco discorsivo - poche parole e molti fatti - aveva intorno a sé un alone, non dico di simpatia, che è una parola banale, ma di venerazione, sin d'allora, che mi faceva meraviglia. Quest'uomo rappresentava in quel momento la Santa Sede, che aveva avuto fiducia in questo piccolo prete così da farne il distributore di elemosine, della larga carità del Papa, ma con una funzione ancora più profonda, più penetrante; era una funzione morale di rappresentante del Papa…. Questa posizione eminente di don Orione non veniva solo dalla fiducia che il Papa metteva in lui [...], ma era in qualche modo accompagnata dalla grande considerazione che egli godeva da parte delle autorità politiche e civili.

Io parlai allora con uomini che erano molto lontani dallo spirito di don Orione, dalla fede religiosa di don Orione, e che, in un momento di divisione tra i due poteri molto marcata, rappresentavano il polo opposto di don Orione. Parlo di Sonnino, di cui tutti sanno qual era lo spirito nettamente anticlericale; parlo di Leopoldo Franchetti, altissima anima, generosissima nel comprendere i bisogni del Mezzogiorno… Ebbene, questi due uomini parlavano di don Orione come di un grand'uomo. Erano affascinati da don Orione come da chi avesse dentro di sé qualcosa da dire al mondo, non solo all'Italia. Erano commossi quando parlavano con don Orione, erano umili di fronte a don Orione.

Che cosa c'era dentro, in quest'uomo? io mi domandavo. Che cosa è? Dov' è avviato? Qual è il suo destino? Vescovo, forse? Papa? Solo oggi posso dire: tutti sentivamo il Santo, il Santo che è al di sopra di tutti, che abbraccia tutti, che com­prende tutti”.

L'originalità di Orione era la santità, riconobbe Gallarati Scotti. Per questo egli sapeva conciliare "la camicia rossa e la tonaca nera" e sapeva parlare agli uomini di Stato e agli uomini di Chiesa.

“L'uomo aveva una straordinaria intelligenza; ma, secondo me, quello che faceva di lui un grande psicologo era la carità stessa. Riusciva a penetrare nel cuore e nella mente degli altri e capiva tutto [...].

Quando si parla di modernismo e della posizione di don Orione nel modernismo, io devo dire che forse l'unica persona che fu larga e comprensiva con chi poteva avere momenti di dubbiezza e di tormento, l'unica persona che ebbe comprensione fu don Orione e in Orione il Papa ebbe una piena fiducia, lasciandogli tutta la libertà nei suoi rapporti con queste anime turbate [...]. Comprese i laici, comprese i sacerdoti, e non solo li comprese nelle questioni intellettuali, di cadute, di esitazioni, di colpe, ma comprese altre colpe, altre esitazioni, altri allontanamenti [...]. Io so quanti furono trattenuti nella Chiesa da questa opera di pura carità, che non voleva sopraffare, carità paziente, come quella di cui parla S. Paolo: paziente, intelligente, discreta, che sa che non si conquistano certe posizioni se non col tempo, se non con l'amore”.[9]

 

              Note su Maria Cuttica Coggiola

Il questo quadro di contesto storico si colloca l’incontro con una interessante figura di donna: Maria Cuttica Coggiola, che non esito a definire moderna, modernizzatrice, ma non modernista sebbene vissuta nel tempo del modernismo del Primo Novecento. Ce ne parlerà Maria Grazia Milani che ha dedicato un libro alla famiglia di Luigi Coggiola e Maria Cuttica.

Maria Cuttica fece parte di un “circolo novatore” di Torino particolarmente vivace, attivo e benemerito. Fu in relazione anche con esponenti di quel “modernismo dottrinale” (ospitò Sabatier), traendone motivazioni e idee di rinnovamento, senza essere per questo “modernista”.

Non risulta in lei alcuna idea o dottrina di quel modernismo immanentista e antropocentrico che colpiva al cuore la fede cristiana ritenendola un’espressione dell’uomo e non un incontro storico di Dio che si rivela e agisce. Ricordiamo che questo modernismo fu condannato e non la modernità.

Il movimento di modernità e di modernizzazione era diffuso nella cultura del tempo ed anche nella Chiesa. Certo ci furono anche movimenti conservatori, ma questo fa parte delle normali dinamiche della Chiesa che “di popolo” e “cattolica” e non una élite o un circolo selettivo progressista oppure conservatore.

Maria Cuttica Coggiola fu protagonista di modernità e di rinnovamento modernizzatore, a Torino e nel Piemonte, soprattutto nell’ambito della emancipazione e della promozione culturale e sociale della donna. Era una urgenza molto sentita e attuata anche in ambito cattolico, sebbene il tema del femminismo fosse pubblicamente dominato dalle emancipazionismo di tipo liberale e socialista con principi e modalità contrari ad alcuni cardini essenziali del concetto di donna, di famiglia, di relazioni sociali dell’antropologia cristiana.

Don Orione su sensibile e sostenne la crescita del femminismo cristiano. È noto il suo scritto degli anni Venti.

È cristiano, è caritatevole occuparsi del femminismo o meglio della famiglia cristiana.
L'attacco contro questa fortezza sociale che è la famiglia cristiana, custodita e mantenuta dall'indissolubilità del matrimonio, ora latente ancora, vedete che domani diventerà furioso.
Il femminismo è una parte ed importantissima della questione sociale, e il nostro torto, o cattolici, è quello di non averlo compreso subito. Fu grande errore.
Il giorno in cui la donna, liberata da tutto ciò che chiamiamo la sua schiavitù, madre a piacer suo, sposa senza marito, senza alcun dovere verso chicchessia, quel giorno la società crollerà più spaventosamente all'anarchia più che non abbia crollato la Russia al bolscevismo. 
Troppa poca gente ancora comprende la questione femminista. Confessiamolo francamente, noi cattolici abbiamo trattato il femminismo con una leggerezza deplorevole. Si vanno ancora oggi ripetendo dai più severi i vecchi scherzi di Molière, le spiritosaggini dei Gaudissarts. Ma noi qui vediamo che il ridicolo non ammazza nulla, e meno che meno il femminismo. Esso si è insinuato da per tutto, formando leghe e comitati, ispirando riviste e giornali, trattando tutte le questioni che interessano la donna”.[10]

Maria Cuttica Coggiola promosse una emancipazione femminile umanistica, sulola base di saldi principi morali e cristiani, dal senso delle relazioni familiari e sociali. Promosse il genio e il ruolo familiare e sociale della donna, nella diversità, nella reciprocità e nella complementarietà.

Maria Cuttica Coggiola non era certo partecipe del pensiero di Stuart Mill che definiva “il matrimonio l'ultima forza di schiavitù legalizzata ancora esistente” che ispirò il femminismo dominante al tempo di Maria Cuttica e non solo.

Simile visione non faceva certo parte del suo bagaglio culturale né della sua esperienza di sposa felice di Luigi Coggiola, madre di sette figlie, nonna forte e dolce di tanti nipoti, donna impegnata culturalmente e socialmente.

Se fosse stata modernista di pensiero… certo non sarebbe stata insignita nel 1922 del titolo di “Dama dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro” dalla Segreteria di Stato vaticana.

 


[1] Così scrisse nella rivista «La Madonna», II, n.3, 31 marzo 1905; Scritti 57, 155 e anche  61, 215; 98, 192.

[2] Si veda al riguardo il volume Don Orione negli anni del modernismo[2] che documenta come tra Orione e i modernisti non c'è stato alcun contatto filosofico o teologico, ma un incontro leale e di sincera carità.

[3] Aurelio Fusi, La Madonna e la democrazia. Una riflessione a partire da una singolare richiesta di Don Orione e Don Murri, MdO 39 (2007), n. 122, 45–63.

[4] Flavio Peloso, Una rete di rapporti, in Don Orione negli anni del modernismo, 100.

[5] Ha studiato questa relazione Antonio Lanza, Don Orione e padre Semeria. Una lunga e fraterna amicizia, in Don Orione negli anni del modernismo, 123-217, e la Nota di Lorenzo Bedeschi a p. 349-352.

[6] Documenti e alcuni manoscritti autografi presenti nell'Archivio Don Orione, citati e pubblicati da Flavio Peloso, Don Orione e Buonaiuti con documenti inediti, in Don Orione negli anni del modernismo, 223-265, e anche Don Orione e Buonaiuti un’amicizia discreta in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, 1/2002, 121-147. Ernesto Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Laterza, Bari, 1964.

[7] Don Orione negli anni del modernismo, 336.

[8] Ivi, 337.

[9] Discorso di Gallarati Scotti in N. Raponi, I rapporti di don Orione con il movimento cattolico, Pio X e il modernismo, in La figura e l'opera di don Luigi Orione (1872-1940), 159-160.

[10] Scritti 61, 115-116.

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