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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione e l’Eucarestia: appunti di storia e spiritualità, in Congregazione delle Cause dei Santi, Eucarestia: santità e santificazione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p.224-228.

Il cristocentrismo ascetico: Gesù, adorato nell'Eucaristia, amato nel mistero della sua Croce e servito nei Poveri.

DON ORIONE E L’EUCARISTIA.

Appunti di storia e spiritualità.

           

Don Flavio Peloso

Trovo utile e stimolante inquadrare questi appunti di storia e di spiritualità eucaristica in Don Orione partendo da alcune affermazioni magisteriali di grande rilievo che lo riguardano.

La prima è presa dal documento della Conferenza Episcopale Italiana, Eucaristia, comunione e comunità del 1986. Al n.47, aveva illustrato come “l’eucaristia educa al martirio” e ricorda come ne siano prova i “molti testimoni, a volte anonimi, di un amore al santissimo sacramento dell’eucaristia che ha sfidato ogni minaccia umana fino al coraggio del martirio. C’è poi tutta la schiera dei campioni della carità che contrassegnano costantemente il cammino nella storia: dal diacono Lorenzo, a s. Vincenzo de’ Paoli, a don Orione”.[1]

La prima è di Giovanni Paolo II. Ricevendo le Piccole Suore Missionarie della Carità dopo il capitolo del 1999, ha invitato a “guardare a don Orione ed al suo esempio di incessante unione a Gesù, adorato nell'Eucaristia, amato nel mistero della sua Croce e servito con infaticabile dedizione nei poveri più poveri?”.[2] Nell’additare San Luigi Orione quale modello di vita eucaristica, il Santo Padre ha sottolineato anche la peculiarità della sua devozione che unisce strettamente intimità con Cristo, conformazione al suo sacrificio e martirio della carità.

La terza è di Benedetto XVI, nell’Enciclica “Deus caritas est” (2006).  Quasi a conclusione, afferma che l’Enciclica  ha lo scopo di invitare a “vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo” e, al n. 40, a prova di ciò, afferma: “Figure di Santi come Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de' Paoli, Luisa de Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta — per fare solo alcuni nomi — rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all'interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore”.

Anche la quarta è di Benedetto XVI. Nella sua omelia del 2 febbraio 2008, in occasione della festa della Vita Consacrata, ha ricordato che “Seguire Cristo senza compromessi, come viene proposto nel Vangelo, ha dunque costituito lungo i secoli la norma ultima e suprema della vita religiosa (cfr PC 2)”. Poi, ha fatto un excursus esemplare di santi che hanno preso il Vangelo come "norma rettissima per la vita dell’uomo"; accenna a san Benedetto, san Domenico, san Francesco e santa Chiara d’Assisi, san Vincenzo Pallotti, e conclude: San Luigi Orione scrive: "Nostra prima Regola e vita sia di osservare, in umiltà grande e amore dolcissimo e affocato di Dio, il Santo Vangelo" (Lettere II, 278).

Questi testi, oltre che essere autorevoli, ci mettono nella prospettiva di inquadrare e comprendere la centralità dell’Eucarestia e della devozione eucaristica di Don Orione come espressione essenziale della sua esperienza di Cristo, e dell’Instaurare omnia in Christo, nell’Eucarestia adorata, nel Vangelo vissuto, nei Poveri serviti.

“Camminiamo nella fede e nell’esercizio della Carità, o Amici e Benefattori carissimi, confortati dagli esempi dei Santi; camminiamo umili e fedeli, ai piedi della Santa Chiesa, Madre e Maestra.

Di due cose abbiamo bisogno: di cibo e di lume. Gesù Cristo ci ha dato il sacro suo Corpo a ristoro della mente e del corpo nostro e ha posto la sua parola a lucerna dei nostri passi.

Amici, senza queste due cose, noi non potremo viver bene: la parola di Dio che è luce all’anima e il Sacramento dell’Altare che è Pane di vita. Sono le due mense vedute dal Profeta Ezechiele, custodite nel tesoro della nostra Santa Chiesa.

Godiamoci il nostro Dio: viviamo in Lui e di Lui, abitiamo con Lui per tutti i giorni della vita e in eterno. E chi potrà mai separarci da Cristo! Per la tua misericordia, o Gesù fa che la tua carità non ci venga mai meno!”.[3]

San Don Luigi Orione, per quanto riguarda il mistero eucaristico, attinse e rinvigorì la grande dottrina e tradizione della Chiesa. Molto egli pregò, molto scrisse, molto praticò e diffuse la vita eucaristica. Ciò era in piena consonanza con la sua visione carismatica dell’“Instaurare omnia in Christo” (Ef. 1,10), orizzonte della sua Piccola Opera della Divina Provvidenza. Ci limitiamo qui a presentare degli appunti su alcune incarnazioni storiche particolari della sua “anima eucaristica”.[4]

 

Fervori eucaristici giovanili

Fu educato a soda pietà eucaristica in seno alla sua famiglia. Basti un ricordo raccontato da Don Orione stesso. Sua madre, vedendo la poca pietà eucaristica di uno dei sacerdoti del paese (Pontecurone, AL), “un giorno andò in sacrestia e gli disse: ‘Ci crede o non ci crede che quello che lei tocca è il Signore? Il Signore non si tratta così…”.[5] E quando, ragazzo, Luigi tornava da Messa, la Mamma gli chiedeva chi avesse celebrato. Se ascoltava che era stato quel sacerdote poco fervoroso, lo rispediva in Chiesa ad ascoltare un’altra Messa.

Orione fu poi per tre anni a Valdocco, all’oratorio di Don Bosco ancora vivente, dove la pietà eucaristica era coltivata in sommo grado. “Fui tre anni con Don Bosco, ma soltanto un giorno non andai alla santa comunione, avendo rotto il digiuno”.[6]

Entrato nel seminario di Tortona, trovò ben altro clima spirituale: “Rimasi quasi scandalizzato di vedere che i chierici facevano la santa Comunione solo alla domenica e qualcuno al giovedì”.[7] Don Orione si distinse per la comunione quotidiana. Lui solo; agli inizi suscitò negli altri supponenza, poi ammirazione e infine imitazione. Fece il sacrestano della cattedrale, per mantenersi negli studi, e alloggiava sui voltoni della chiesa, con una finestrella che guardava all’altare del Santissimo (“Ti veggo di lontan, lampada cara”). Come farà spesso in futuro, già allora amava sostare in adorazione durante la notte.

La Messa di Don Orione

E’ senza dubbio una delle meraviglie più ammirate della vita di Don Orione. “Se avesse visto Don Orione a dire Messa… quell’uomo vedeva il Signore!”, confidava Mons. Magnaghi.[8] Mentre Mons. Del Corno argomentava: “Ho assistito alla Messa di tanti sacerdoti, distinti per pietà, ma non ho mai provato un’impressione così profonda ed indimenticabile come da quella Santa Messa di Don Orione. Ho tirato questa conseguenza: Questo uomo è un uomo che merita fiducia, perché è un uomo che non scherza con Dio!”.[9]

La fama della “Messa di Don Orione” si diffuse anche negli ambienti delle università romane. Succedeva, come vari testimoni hanno ricordato, che quando si spargeva la voce che Don Orione era a Roma e celebrava nella casa di Via delle Sette Sale, lasciavano l’Università per andare alla Messa di Don Orione, quella feriale, senza altra attrattiva che di vedere quello spettacolo di un uomo a tu per tu con Dio. Io stesso ho ascoltato parole di grande stima da parte del Patriarca di Cilicia degli Armeni, S.B. Hemaiagh Ghedighian, il quale incontrò Don Orione quando, nei primi anni '30, studiava al Collegio Romano e all’Apollinare. Anche lui più volte si recò alla Messa di Don Orione.[10]

L’azione vera del Sacerdote, quella per la quale egli è costituito dal sacramento dell’ordine sacro, è la celebrazione del santo sacrificio della Messa. Tutte le azioni più sante, prima e dopo, non valgono una santa Messa. Il santo Sacrificio eucaristico della Messa è il centro della religione cristiana, il cuore della devozione, l’anima della pietà, un mistero ineffabile che ci svela l’abisso della carità divina per cui Dio si dona realmente a noi, ci comunica generosamente le sue grazie e favori”.[11]

 

Le Sacramentine adoratrici non vedenti

All’interno della sua Famiglia religiosa, Don Orione, nel 1927, fondò il singolare ramo delle Sacramentine adoratrici non vedenti.[12] Sono tutte e solo cieche, interamente dedite a “far compagnia a Gesù”, come indicò loro il Fondatore. “Sono il nostro forno di carità” spiegava ai suoi confratelli e suore, “facchini della Divina Provvidenza” impegnati nella carità attiva verso i poveri.

“Le suore Sacramentine vivono – leggiamo al n.15 delle loro Costituzioni -, nel cuore stesso della Chiesa. La loro missione specifica è l’adorazione, il ringraziamento, la riparazione, l’impetrazione in unione a Gesù mediatore e vittima: vivendo lo spirito eucaristico per una vera testimonianza di vita eminentemente apostolica, con vera pietà liturgica e nascondimento fecondo”.[13]

Qualcuno suggerì a Don Orione l’opportunità di mettere le grate per la clausura delle Sacramentine cieche. Ma egli pronto rispose: “Ce l’hanno già. Lasciate che le vedano. La loro serenità è un continuo apostolato”.

 

La "visita eucaristica" per l'unione delle Chiese

Don Orione incluse già nelle prime costituzioni del 1904, dopo essersi consigliato personalmente con Leone XIII, una esplicita finalità "ecumenica", espressione del suo particolare carisma tutto teso a concorrere all’unità interna ed esterna della Chiesa, attorno al suo Pastore supremo, il Papa. Tanto era sentita questa passione per l'unione delle Chiese, che Don Orione volle che un segno quotidiano la ricordasse. A tal fine, nel 1903, compose il testo per la per la “visita eucaristica” di metà giornata, preghiera "stabilita da Gesù Cristo medesimo per l'unione delle chiese separate (alludeva a Gv 17) e approvata dalla S. Chiesa per unire i suoi figli attorno al Suo Diletto e farli vivere in santità!".[14] 

Il testo preparato da Don Orione invita a pregare “pel Nostro Santo Padre il Papa e l'unione delle Chiese separate”.[15] La preghiera veniva recitata nelle comunità della Congregazione tutti i giorni, dopo il pranzo, durante la "visita di adorazione al Santissimo".[16] La tradizione di questa preghiera denota lo slancio ecumenico di Don Orione e come egli avesse chiaro che l'unità della Chiesa non fosse solo frutto dello sforzo umano, ma soprattutto grazia di Dio, frutto di quell’azione misteriosa “conglutinante” (parola a lui cara) che si irradia dal mistero della croce e della presenza eucaristica.[17]

Più tardi il Concilio Vaticano II definirà "la preghiera anima dell'intero movimento ecumenico", "genuina manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati".[18]

 

Al Congresso Eucaristico internazionale di Buenos Aires

Era l’anno 1934. Don Orione fece il viaggio in nave insieme al Segretario di Stato e Legato del Papa al Congresso, il Card. Eugenio Pacelli (poi Pio XII), e ad altri alti Ecclesiastici in rotta verso l’Argentina. Il viaggio si trasformò in un corso di esercizi spirituali; Don Orione ne divenne l’animatore. Poi, quel Congresso Eucaristico di Buenos Aires fu un trionfo e un simbolo. Di fatto, è considerato l’atto di nascita della Chiesa argentina moderna. Attorno alla monumentale croce e all’altare, eretti nello scenario dei “Giardini Palermo”, ben 1.200.000 persone (il 60% degli abitanti del fuoco laicista che era Buenos Aires) ricevette la comunione. Fu una pubblica manifestazione della identità cristiana di questo popolo; fu una sorpresa per il clero e per la gerarchia cattolica, che ripresero coraggio. Nacque, da quel contarsi davanti all’Eucaristia, un piano pastorale globale riassunto in tre direttrici: “Sacramentalizar, enseñar y ganar la calle”.

In questo clima, gravido di possibili ed invocati sviluppi apostolici, Don Orione si trovò animatore ed attuatore. Numerosi Vescovi argentini riconobbero presto in Don Orione il battistrada di quella terza direttiva pastorale del ganar la calle [19] che più necessitava di ardimento, intraprendenza e santità. Gli aprirono le porte e sostennero in ogni modo. Nei tre successivi anni di permanenza in Argentina, Don Orione fondò scuole popolari, orfanatrofi, Piccoli Cottolengo, vere cittadelle della carità, “fari di fede e di civiltà”, secondo l’espressione a lui cara. Rinnovò in Argentina la stagione esuberante del “fuori di sacrestia” lanciato da Leone XIII al movimento cattolico italiano di fine ‘800.

 

L’Eucaristia è la scuola della carità

Convinto che l’Eucaristia “è il fulcro su cui si aggirano tutte le opere della giornata”,[20] Don Orione avvertì fortemente lo stretto legame tra l’Eucaristia e l' apostolato della carità cui egli e la sua Famiglia religiosa si dedicavano. Così come Gesù si è fatto pane per noi, anche noi dobbiamo diventare in Gesù pane per i fratelli. “Tutto deve essere basato sulla Santissima Eucaristia: non vi è altra base, non vi è altra vita, sia per noi che per i nostri cari poveri. Solo all’altare e alla mensa di quel Dio che è umiltà e carità, noi impareremo a farci fanciulli e piccoli con i nostri fratelli e ad amarli come vuole il Signore (...). ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, sta in me ed io in lui’, ha detto Gesù. Vi è cosa migliore che rimanere noi nel Signore e il Signore in noi? (...) La migliore carità che si può fare ad un’anima è di darle Gesù! E la più dolce consolazione che possiamo dare a Gesù è di dargli un’anima. Questo è il suo regno”.[21]

Don Orione, pertanto, fece della pietà e della frequentazione eucaristica (Messa, adorazione, brevi visite al tabernacolo, atti di lode e di riparazione, ecc.) l’elemento chiave della formazione religiosa ed anche della educazione della gioventù e del popolo. “Davanti a Gesù cadono infranti gli idoli del nostro amor proprio, le nostre volontà ed ogni nostra passione. Davanti a Gesù fioriscono nella nostra anima anche le pietre e nascono le virtù cristiane. E’ ai piedi di Gesù che si fortificarono tutte le anime che vollero seguirlo più da vicino”.[22] E giunse a dire: “Chi vuole essere Figlio della Divina Provvidenza deve essere in modo particolare devoto alla Santissima Eucaristia”.[23]

 

Poveri ed Eucaristia

Don Orione volle dare ai Piccoli Cottolengo, case di carità che accolgono malati mentali e fisici gravi, una intonazione di vita quasi “contemplativa” di fronte al mistero del dolore che configura a Cristo sofferente. Trasportò il concetto benedettino dell’ “ora et labora” nella vita movimentata, ma a suo modo serena e contemplativa, di un Piccolo Cottolengo. Tornava sul concetto che in queste Case vi deve regnare la “laus perennis” attraverso preghiere cadenzate lungo le ore del giorno, la celebrazione eucaristica e la comunione quotidiana, il lavoro e il sacrificio per la gloria di Dio.

“Cosa si fa al Piccolo Cottolengo? Si fanno Comunioni. Si prega e si prega! Laus perennis! Orate sine intermissione! La preghiera è il primo lavoro del Piccolo Cottolengo. Gli scemi, i cretini, gli idioti… voci che non sono parola, fanno pietà: Iddio le sa distinguere!”.[24]

Quante volte, scrivendo, Don Orione assicura i destinatari: “farò pregare i nostri poveri per lei”. E questo era il cambio – il più ambito – che tante persone distinte e altolocate nella Chiesa, nella cultura e nella società si aspettavano. Come credenti sappiamo che “il povero grida e Dio lo ascolta” (Sal 34, 7) e che “la preghiera del povero va dalla sua bocca agli orecchi di Dio” (Sir 21, 5).

“Vorrei che lasciaste nei nostri malati e ricoverati la pratica della santa Comunione sacramentale quotidiana. Deve essere un tributo giornaliero di fede e di amore dei nostri poveri a Gesù, che è rimasto in mezzo a noi pel suo grande amore verso le anime nostre. Il Piccolo Cottolengo di Genova deve essere un vero cenacolo ove si riceva Gesù sacramentato possibilmente da tutti, tutte le mattine… Il Piccolo Cottolengo deve essere tutto e solo basato sulla SS.ma Eucaristia: non vi è altra base, non vi è altra vita, sia per noi che per i nostri cari poveri”.[25]

Don Orione definisce le Case di carità “fari di fede e di civiltà… altro che la lanterna di Genova!”: la luminosità è data dalla particolare trasparenza di Dio nei poveri “svelata” dalla carità sofferta e offerta. Le chiama anche “nuovi pulpiti” da cui parlare di Cristo e della Chiesa, “nuove cattedre di civiltà”: è chiaro che i “maestri” sono i poveri, innanzitutto, gli altri sono collaboratori e inservienti.

 

“Vedere e servire Cristo nell’uomo”

È uno degli slogans più noti e ripetuti da Don Orione. È la sostanza apostolica della sua Congregazione che – egli scrive – “è nata per i poveri... vive piccola e povera tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori. Suo privilegio è servire il Cristo nei poveri, più abbandonati e reietti”. [26] Altrove: “Tu l'hai voluta, e hai voluto servirti di noi miserabili, chiamandoci misericordiosamente all'altissimo privilegio di servir Cristo nei poveri; ci hai voluto servi, fratelli e padri dei poveri, viventi di fede grande e totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza. E ci hai dato fame e sete di anime, di ardentissima carità: Anime! Anime!”.[27]

Prima dell’azione verso chi ha bisogno di cura, in Don Orione scatta la contemplazione della “imago Dei”, del volto di Cristo crocifisso, per cui il “servizio” al prossimo e il “culto” a Dio risultano non avere più dei confini tanto netti e separati, anzi si implicano e rafforzano reciprocamente. La medesima kénosis – nascondimento e rivelazione del Dio-con-noi - unisce il Crocifisso, l’Eucaristia e il Povero.

Questo mistero ritorna in tante espressioni, quasi spontanee e ovvie in bocca a Don Orione.

Tante volte ho sentito Gesù Cristo vicino a me, tante volte l'ho come intravisto, Gesù, nei più reietti e più infelici”.[28]

“(Voglio) diventare un uomo buono tra i miei fratelli; abbassare, stendere sempre le mani e il cuore a raccogliere pericolanti debolezze e miserie e porle sull'altare, perché in Dio diventino le forze di Dio e grandezza di Dio”.[29]

Aveva fatta sua e citava con frequenza la frase di Padre Felice dei Promessi Sposi: "Avere l'alto privilegio di servire Cristo nei poveri e negli infermi ".[30] Questa è la motivazione evangelica nell'amore verso i poveri e i sofferenti: questi fratelli rappresentano Cristo nel Calvario, che si ripete oggi nella storia. Don Orione, quando serve e cura le loro ferite sa di curare e servire il Figlio di Dio.[31]

Una tale visione mistica del povero e della carità ispira anche il modo di trattare i poveri e bisognosi: "I nostri cari poveri... non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi loro servi, così si serve il Signore".[32] Ciò si ripercuote anche nell’impostazione delle opere educative-assistenziali, con una intonazione quasi di templi sacri, di case di preghiera e di adorazione continua.

Sviluppare, restaurare, esprimere la “presenza divina nell’uomo”, radice ultima della dignità di ogni persona: questo è il nobile motivo dell’agire educativo e caritativo. Viene da pensare alla contemplazione di Michelangelo che “vedeva” il Mosé dentro il masso informe di marmo e la sua azione era rivolta – e sostenuta nella fatica – a “tirarlo fuori”, a farlo emergere.

L’azione educativa, nei suoi diversi momenti e ambiti, ha sempre bisogno di contemplazione. "Io non vi raccomando le macchine; vi raccomando le anime dei giovani, la loro formazione morale, cattolica e intellettuale. Curatene lo spirito, coltivate la loro mente, educate il loro cuore!" (Lettere I, p.367).

"Amateli nel Signore come fratelli vostri, prendetevi cura della loro salute, della loro istruzione e d'ogni loro bene: sentano che voialtri vi interessate per cre­scerli (...) Non vi è terreno ingrato e sterile che, per mezzo di una lunga pazienza, non si possa finalmente ridurre a frutto; così è l'uomo". (Lettere II, p.558)

Don Ignazio Terzi, successore di Don Orione alla guida della sua Congregazione, ha fatto notare che vedeva in Don Orione lo stesso senso di adorazione e di sacro rispetto in tre tipi di circostanze: davanti all’Eucaristia, davanti ai Vescovi e al Papa, davanti ai Poveri.

 

L'eucaristia "pignus futurae gloriae"

In questi appunti sull’esperienza eucaristica di San Luigi Orione, lascio del tutto alla sua parola l’illustrare il valore dell’eucaristia quale fondamento della speranza e preliminare dell’intima unione con Dio.

            “Questo dono della santa Eucaristia Dio non l'ha riser­vato alle anime vergini o a dei privilegiati, ma l'ha dato per tutti e, quasi direi, di preferenza ai più deboli nel­la virtù e ai più doloranti; agli infermi di ogni languore, ai poveri, ai ciechi per i­gnoranza, agli storpi, a noi tanto imperfetti.

            Sì, a noi afflitti da tanti mali spirituali, a noi tanto peccatori, a noi viene e si è dato il Dio di ogni santità!

            Il nostro posto è dunque là, alla mensa del Signore! Là per essere guariti, là per essere illuminati, per essere conso­lati, nutriti e vivificati della sua stessa vita divina.

            La Chiesa chiama questo sacramento "pignus futurae gloriae", pegno della resurrezione e della gloria futura.  Cos'è questa gloria futura? E in che consisterà quella resurrezione e felicità eterna che ci promette?

            Non sarà, o fratelli, non sarà che una comunione conti­nua: un'unione intima, perenne con Dio, da cui deriverà una conoscenza così perfetta che escluda il mistero. È qualche cosa di sublime, di inebriante: è il Paradiso!

            Ma unioni così intime non si possono addonare tutto ad un tratto. Anche quaggiù, quando si vuole stringere amicizia o unione, si va per gradi, precedono preliminari più o meno lunghi.

            Ebbene, o fratelli e amici miei, anche la Provvidenza ci viene educando gradatamente a questa unione: l'Eucaristia è indirizzata ad abituarci ad essa; e la comunione eucaristica è il celeste pegno e il rannodamento di questa vita colla futu­ra”.

            Eleviamoci dunque in alto, sino a quel sublime mistero e sacramento di amore, e andiamo umili e fidenti a Gesù: l'Eucaristia "è il pane di vita: chi mangia di questo pane, avrà la vita eterna".[33] 

 

“O sacrum convivium[34] in quo Christus sumitur.
Recolitur memoria passionis eius;
mens impletur gratia
et futurae gloriae nobis pignus datur.

O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo,
si fa memoria della sua passione;
l'anima è ricolmata di grazia
e ci è donato il pegno della gloria futura”.

 

[1] Il documento è datato 22 maggio 1986

[2] Messaggio di Giovanni Paolo II alle Piccole Suore Missionarie della Carità, L’Osservatore Romano, 16.5.1999, p.5.

[3] Minuta di lettera indirizzata ad Amici e Benefattori; Scritti 100, 223.

[4] Don Orione anima eucaristica è il titolo di uno studio di Andrea Gemma, Messaggi di Don Orione, 55, Roma, 1983.

[5] Don Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza, I (1872-1893), Roma, p.58.

[6] Parola di Don Orione (Archivio Don Orione, Via Etruria 6, Roma) III, 222.

[7] Don Orione I, 436.

[8] Summarium ex processu (Archivio Don Orione, Via Etruria 6, Roma), 2523.

[9] Summarium, 2524.

[10] Don Orione, un vero spirito ecumenico, p.85. Don Orione, a un prete angosciato dai problemi, indicò con naturalezza la soluzione: “Ma non hai la santa Messa? Non sei sacerdote?”; Summarium 2526. E spiegava: “Tante soluzioni vengono dall’altare, tante decisioni fioriscono sull’altare”; Summarium,  2527.

[11] Scritti di Don Orione (Archivio Don Orione, Via Etruria 6, Roma), Appunti del 1923, p.34. 

[12] Attualmente sono riunite in 7 comunità in Italia, Spagna, Argentina, Kenya, Cile, Brasile, Albania.

[13] Cfr. Costituzioni art.4 e 15 in particolare.

 [14] Scritti, 57, 223.

 [15] Scritti, 57, 112;  anche 17.52;

 [16] Tale tradizione continua tutt'oggi con l'uso della formula antica o di un'altra che ne riprende i temi di contenuto con nuovo linguaggio. Cfr. Comunità orionina in preghiera, Roma,  p. 11-14.

 [17] Unitatis redintegratio 8, Ut unum sint 21-23.

[18] UR  8, Ut unum sint 21-23.

[19] “Ganar la calle” (guadagnare la strada) significava “uscire in piazza”, “andare al popolo”. La Chiesa in Argentina ne sentiva il bisogno per superare una certa “soggezione pubblica”, retaggio di tanti anni di invadenza sociale, politica e culturale del liberalismo. “Fuori di sacrestia!” era invece il moto e l’originalità travolgente di Don Orione: “Dobbiamo andare al popolo e portare il popolo alla Chiesa per Instaurare omnia in Christo!” (Parola VII, 91); “Fuori di sacrestia! Non perdere d’occhio né la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore è là, là dove c’è l’Ostia…, ma con le debite cautele, bisogna buttarsi ad un lavoro che non sia più solo quello che fate in Chiesa” (Lettere II, 77); “Opere di carità ci vogliono: esse sono la migliore apologia della fede cattolica” (Scritti 4, 278). Oggi c’è Papa Francesco a spingere la Chiesa nelle “periferie esistenziali”.

[20] Parola,  III, 35.

[21] Don Orione, Nel nome della Divina Provvidenza, p. 69-70.

[22] Parola, III, 71. Cfr. Sui passi di Don Orione, p.63-64.

[23] Parola, III, 222.

[24] Scritti, 83, 1888.

[25] Lettere I, 535-538.

[26] Spirito di Don Orione 1,25.

[27] Nel nome della Divina Provvidenza, 155.

[28] Nel nome della Divina Provvidenza, 116.

[29] Nel nome della Divina Provvidenza, 82.

[30] "La carità non conosce limiti. Dio è padre di tutti, tutti figli di Dio, fatti tutti a sembianza d'un solo, figli tutti d'un solo riscatto... Chi vive la carità è contento e trova la sua felicità nel servire il Signore e i fratelli, gli uomini, tutti gli uomini senza distinzione, e con diligenza, con fervore, con celeste speranza" (Scritti 80, 281). La pagina più significativa al riguardo è quella dell’“Anime! Anime!", in Nel nome della Divina Provvidenza, 134-137.

[31] Cfr. Mt 25,31-46.

[32] Lettere II, p.22.

[33] Scritti 104, 256-257.

[34] È un testo antico dei vespri del Corpus Domini, attribuito a san Tommaso d'Aquino.

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