Una visione d'insieme e organica della spiritualità orionina.
UNA SPIRITUALITA' "DALLE MANICHE RIMBOCCATE"
UNIFICAZIONE INTERIORE DI AZIONE E CONTEMPLAZIONE IN DON LUIGI ORIONE
Don Flavio Peloso
"Se si osserva la multiforme attività caritativa, a cui si dedicano il Figli e le Figlie di Don Orione, così pure se si considera la mole enorme di iniziative benefiche da lui personalmente intraprese, non si può trattenere una giusta ammirazione davanti ad un servitore della Chiesa così fedele e generoso".(1)
Con questa osservazione Giovanni Paolo II inizia la sua riflessione su Don Orione nella Lettera commemorativa del cinquantesimo della sua morte. Una tale constatazione, non priva di una certa sorpresa, è normale in chiunque conosca il beato Don Luigi Orione e la sua Piccola Opera anche solo un po'. Corrisponde alla verità dei fatti e delle sue intenzioni.
Don Orione richiamò spesso ai suoi fratelli di Congregazione uno stile apostolico intraprendente, "popolare", "dalle maniche rimboccate", dinamico.(2)
"Nella luce di gloria del divino Risorto e sotto la guida dei legittimi pastori, dobbiamo promuovere una forte opera di penetrazione cristiana specialmente tra il popolo lavoratore; lavorate a riportare a Gesù Cristo e alla Chiesa le classi degli umili, le masse dei lavoratori, tanto insidiate...".(3)
In data 12.1.1930 scrive ai suoi "Cari figliuoli di San Paolo in Brasile":
"Ci vuole un illuminato spirito di intrapresa, se no certe opere non si fanno: la vostra diventa una stasi, non è più vita di apostolato ma è lenta morte e fossilizzazione. Avanti, dunque! Non si potrà fare tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d'occhio mai la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dove è l'Ostia; ma, con le debite cautele, bisogna che vi buttiate ad un lavoro che non sia più solo il lavoro che fate in Chiesa".(4)
"Dobbiamo essere santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini da essere, più che i santi della Chiesa, i santi del popolo e della salute sociale".(5)
Don Orione avvertiva che un simile tipo di presenza apostolica rispondeva ad una esigenza interiore di fedeltà evangelica, ma anche alla missione della Chiesa nei nuovi tempi e ai bisogni della gente. Ricordiamo che a partire dalla fine del secolo scorso, fenomeni sociali (industrializzazione, urbanizzazione, ecc.), ideologie e progetti politici stavano sgretolando la tradizionale coesione dei popoli attorno alla Chiesa e alla fede. Don Orione avvertiva i segni di un preoccupante allontanamento delle masse dalla fede cristiana con conseguente disorientamento e avvilimento di civiltà. Si incontrano spesso nei suoi scritti degli sguardi "a tutto campo" sulla scena storica della società del suo tempo.
"I popoli sono stanchi, sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta e vuota la vita senza Dio".(6)
"Senza Cristo tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria del passato, tutto va distrutto, tutto muore".(7)
"Siamo Figli della Divina Provvidenza! Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; l'ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vince in una infinita misericordia".(8)
Lui era un prete, era entrato nella passione per la salvezza degli uomini attinta soprattutto ai piedi del Crocifisso. Il bisogno dei fratelli ("i popoli sono stanchi, sono disillusi") e la fede in Dio ("siamo Figli della Divina Provvidenza") furono le due molle potentissime che sostennero l'azione di Don Orione a livelli apostolici altissimi.
"La Chiesa e la società hanno oggi bisogno di anime grandi, che amino Dio e il prossimo senza misura, e che si consacrino come vittime alla carità, che è ancora quella che può far ritornare gli uomini alla fede".(9)
"Anime e anime! E lavorare con umiltà, con semplicità e fede, e poi avanti nel Signore, senza turbarci mai. E' Dio che solo conosce le ore e i momenti delle sue opere e ha tutto e tutti nelle sue mani! Avanti con fede vivissima, con confidenza intera e filiale nel Signore e nella Chiesa".(10)
Don Orione, sensibilissimo alla missione della Chiesa, avvertiva lo stacco che andava crescendo tra clero e popolo, tra religione e società, tra devozione e costumi. La fede e il vangelo, pur profondamente radicati nella tradizione del popolo, sembravano quasi ininfluenti sui nuovi problemi e interessi della vita famigliare, sociale, culturale. Le masse operaie, soprattutto, erano attratte, sedotte e travolte da altre ideologie e costumi. Occorreva un nuovo modo di essere "sale e lievito del mondo", un nuovo modo di "seminare e arare Cristo nel popolo". Era l'urgenza della Chiesa in quel tempo. Ma anche oggi.(11)
E' da ricordare che Don Orione prende il suo primo "stampo" di pensiero e di azione - da chierico - nell'epoca della Rerum Novarum (1891), nel fiorire delle iniziative sociali, culturali e religiose dell'Opera dei Congressi; è chierico a Tortona nel seminario di Mons. I. Bandi, che per la sua azione e le sue Lettere Pastorali è denominato "il vescovo dell'azione sociale", e che fa rimbalzare negli scritti e da ogni pulpito un motto (di Papa Leone XIII), "Clero fuori di sacrestia!", con il quale intendeva lanciare clero e laici insieme ad una pastorale più incarnata, meno amministrativa e più apostolica, popolare.(12)
Occorreva però un nuovo stile di prete, una nuova spiritualità. La Provvidenza dispose che in questo clima "nascesse" Don Orione. Tra mille difficoltà pratiche e contrasti d'ogni tipo, Mons. Bandi lo riconobbe come "suo", anzi "prete come lo si vuole dalla Chiesa e dai nuovi tempi".
Un prete di "fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il Vangelo di Gesù Cristo... quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane. Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci risvegli da questo sonno 'che poco è più che morte'. E' necessario una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli del Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede! E deve essere una fede applicata alla vita. Ci vuole spirito di fede, ardore di fede, slancio di fede; fede di amore, carità di fede, sacrificio di fede!".(13)
La "salus animarum", che si identifica con la gloria di Dio, fu per Don Orione la "suprema lex" di tutta la vita, e guidò il moltiplicarsi delle sue iniziative e delle sue attività.
Queste prime osservazioni prendono tutto il loro peso solo conoscendo a fondo la vita di Don Orione: quanto fece, quanto lavorò, quanto si sacrificò per la causa di Cristo e delle "Anime". Si consumò.
"Olocausto, martirio, immolazione, consumazione, sacrificio...": sono tutte parole care e abituali, e "di fuoco", nell'esprimersi di Don Orione.
"Col nostro olocausto, con la nostra consumazione null'altro vogliamo che giungere a trarre gli umili, i piccoli, le turbe al Papa e alla Santa Chiesa: vogliamo unificare tutti in Cristo, nel Papa e nella Chiesa".(14)
Una vita-"olocausto" fu la decisione degli anni giovanili (ricordiamo il "do un calcio a tutto... per abbracciarmi alla croce di Cristo"(15), e fu ascesi e martirio quotidiano, fu esempio e insegnamento costante di Don Orione. In certi suoi scritti diventa poesia, lirica mistica, giubilo e pianto del cuore, come nelle famose pagine dell'"Anime, Anime!" del 1939.
"Non saper vedere e amare nel mondo che le anime dei nostri fratelli. Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di traviati, anime di ribelli alla volontà di Dio, ... anime bianche come colombe, anime cadute nella tenebra del senso, ... anime orgogliose del male, anime avide di potenza e di oro, ... anime smarrite che cercano una via: tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salve tra le Sue braccia e nel Suo Cuore trafitto!
La nostra vita e tutta la nostra Congregazione deve essere un cantico insieme e un olocausto di fraternità universale in Cristo. Vedere e sentire Cristo nell'uomo. Dobbiamo avere in noi la musica profonda e altissima della carità. Per noi il punto centrale dell'universo è la Chiesa di Cristo e il fulcro del dramma cristiano, l'anima. (...) La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sè a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente e moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell'inferno, perché io per la misericordia tua, la chiuda. Apostolato e martirio: martirio e apostolato".(16)
Occorre partire da pagine come questa per capire qualcosa di Don Orione, senza ridurlo a fondatore di una grande "multinazionale della carità".
La dinamica apostolica di Don Orione è davvero sorprendente: attività senza posa, incontri e relazioni a non finire. Fondò una Famiglia religiosa che, alla sua morte, era già ramificata (religiosi preti, coadiutori ed eremiti; suore di vita attiva e sacramentine cieche adoratrici) e largamente diffusa in Italia e in numerose altre nazioni con decine e decine di istituzioni. Fu viaggiatore instancabile, da un capo all'altro dell'Italia e due volte in Sud America (1921-22 e 1934-37, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay); uomo delle imprese di bene gigantesche, nate da una imprevedibile inventiva di carità e di ragione, di fiducia nella Divina Provvidenza e di prudenza lungimirante.(17)
Non era mai fermo, per sé. Viene proprio da pensare all'"amor est in via" di San Bernardo: l'amore è sempre sulla strada, in movimento. Fu predicatore ricercatissimo, animatore di missioni popolari e di imponenti pellegrinaggi. Fu consigliere e amico di tanti sacerdoti, vescovi; varcò spesso i vari portoni dei Dicasteri romani; cinque Papi gli mostrarono particolare fiducia. Ebbe una rete di rapporti con persone d'ogni categoria sociale che lascia stupìti. Fu scrittore facile, esuberante, appassionato, instancabile: l'epistolario conservato,(18) di mole impressionante, mostra come egli estendesse anche nelle ore della notte, scrivendo, la sua azione di sacerdote totalmente dedito agli altri.
In questo dinamismo apostolico, teso sempre sulla corda, Don Orione coinvolgeva i suoi della Piccola Opera della Divina Provvidenza, religiosi, suore, amici, ex allievi.
"Lavoro, lavoro, lavoro! Noi siamo i figli della fede e del lavoro. E dobbiamo amare ed essere gli apostoli del lavoro e della fede. Noi dobbiamo correre sempre per lavorare sempre di più. Avere cura della salute, ma lavorare sempre, con zelo, con ardore per la causa di Dio, della Chiesa, delle anime. Guardare il cielo, pregare, e poi... avanti con coraggio e lavorare".(19)
Con la franchezza che gli era solita, interveniva appassionatamente a spiegare, a correggere, a stimolare. Durante il periodo messinese scrive ad un confratello:
"... io però sono stanco di gente che non fa niente e che cresce con una specie di fatalismo mussulmano addosso, e che aspetta tutto da Dio, mentre noi qui si è sfiniti di dolore e di lavoro. Ma che razza di pietà è quella!".(20)
"Il nostro Istituto non è tanto una società di quiete, ma di azione e di sacrificio per la carità. Il vero spirito dell'Istituto è spirito di umiltà e di amore inscindibile alla Chiesa, ma è anche spirito di carità che rende alacri e operosissimi coloro che ne sono investiti. La più umile carità guida i suoi passi ai piedi del Papa e dei Vescovi, una grandissima immensa attività nella carità di Cristo e del suo Vicario in terra. E non ci stanchiamo di fare il bene perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo (Gal 6, 9-10)".(21)
E' facile indugiare a presentare l'"attivismo" di Don Orione. Tutte le sue giornate erano piene, faticose, sacrificate, ricche di bene e di croci. Erano uno "sfacchinare da un'Ave Maria all'altra".(22) Eppure la giornata di Don Orione si presentava, allo stesso tempo, come un'incessante preghiera, una costante elevazione, cuore a cuore, a Dio. Don Orione è ricordato come "uomo di preghiera" non meno che come "uomo di carità attiva". Soprattutto da chi gli è vissuto più da vicino. I testimoni lo ricordano fisso in Dio: questo, il motore di tanto dinamismo esteriore. Era il suo segreto.
Negli atti del processo di beatificazione si incontra il racconto di un episodio assai illuminante.
"Ancora vivente Don Orione, tra i confratelli ci si era posto il quesito quale fosse l'aspetto più profondo, giustificativo di tutta la vita e l'azione del nostro Padre; le risposte furono varie, ponendo la spiegazione del 'fenomeno' Don Orione alcuni nella carità, altri nella sua pietà, altri in altri particolari della sua personalità; ad un certo punto intervenne a metterci zitti e d'accordo il compianto Don Biagio Marabotto che ci chiese: 'Ma dite: che cos'è che spiega tutto in Don Orione?... Non è Dio? Ecco cos'è, soprattutto, Don Orione: un uomo che vive di Dio".(23)
"Un uomo che vive di Dio": a questo punto il nostro discorso entra veramente nel vivo. Come riusciva Don Orione a conservare viva la sua intimità con Dio, lui così aperto e dentro alle esigenti vicende quotidiane? Come faceva un uomo così attivo a trovare il tempo per pregare? Come pregava? Quali erano i suoi mezzi ordinari di preghiera?
A simili domande è sempre difficile rispondere, ma è possibile raccogliere alcuni sicuri elementi, riprendendoli dalle testimonianze di chi gli è vissuto accanto e dalle parole di Don Orione stesso. Sono indicazioni utili anche all'uomo d'oggi, sempre alla ricerca di tempi e forme di preghiera che lo sostengano e proteggano "proteso a Dio" nei ritmi incalzanti e dispersivi della vita moderna.
Don Orione era sollecito, pur tra tanto lavoro, nell'unirsi alle pratiche di pietà della vita comune, insieme ai suoi confratelli. "Anche quando si ritirava tardi alla notte - cosa abituale - era sempre il primo a trovarsi in Cappella al mattino. Le preghiere che non poteva fare in comunità le recitava quand'era in viaggio, con chi lo accompagnava. Quante volte, tornando da Milano o da Genova, abbiamo recitato insieme il rosario, le preghiere della sera, ecc. e poi diceva: 'Adesso abbiamo fatto il nostro dovere'. Taceva e si raccoglieva continuando a pregare mentalmente. Diceva qualche volta:'Non ti scandalizzare se mi vedi raramente andare in Cappella a pregare... lo vedi quanto lavoro ho! Sai, ci mando spesso il mio Angelo Custode a salutare Gesù"(24)
Era fedelissimo alla meditazione, preferendo abbreviare di molto il poco sonno piuttosto che mancare al mattino alla preghiera e alla meditazione, ben sapendo che il gran lavoro della giornata gli avrebbe impedito di trovare altri momenti calmi e riservati da dedicare al Signore.(25)
Don Orione - ricorda Don A. Perduca - usava e insegnava tre sorta di orazioni: mentale, vocale, vitale. La meditazione, quando era a Tortona, egli stesso la leggeva e commentava mirabilmente, in cappella. Raccomandava specialmente di farla al mattino, perché più raccolti... 'A ben meditare - diceva - è necessaria la presenza della nostra anima, cioè stabilire bene il silenzio in noi, sia esteriore che interiore, poi la presenza di Dio'".(26) "Una delle raccomandazioni che ricorrono più di frequente negli scritti ai suoi religiosi, riguarda appunto la necessità di attendere con impegno alla meditazione".(27)
"E' nel mattino, prima di qualsivoglia distrazione e comunicazione con gli uomini, che bisogna pregare e ascoltare Dio. La prima ora tutta a Dio! Allora Iddio parla, Iddio ara le anime, Iddio lavora in noi, Iddio plasma il nostro spirito: Iddio vivifica, Iddio rischiara, e lo splendore di Dio sta sopra di noi; nella meditazione sentiamo il tocco di Dio".(28)
Insegnava ciò che lui sperimentava. Così lo ricorda Don A. De Paoli. "Al mattino pregava lungamente, profondamente assorto e dava l'impressione di un'ape che si getta sul fiore, per raccogliere il nettare. Egli appariva appunto immerso nel suo Dio per trarne forza e luce nelle ardue opere quotidiane. Durante la giornata, che era sempre satura di lavoro, di croci, di difficoltà, lo si vedeva calmo e sereno perché il suo cuore era pieno di Dio. Ai colpi, che gli venissero da qualunque parte, esclamava invariabilmente: Mio Gesù, quanto siete buono!".(29)
C'è una lettera di Don Orione rivelatrice della esperienza e del suo insegnamento al riguardo; è del 4.1.1938 e tratta della 'dimensione contemplativa' della vita, come diciamo noi oggi, cioè dello 'spirito di orazione', come diceva lui.
"L'immagine del Divino Maestro, il quale, in mezzo alla predicazione si ritira sul monte a pregare e meditare, sia la nostra immagine prediletta. Ricordiamoci, o fratelli, che pur nel lavoro della vita attiva non cessa per noi l'obbligo dell'orazione. E' l'orazione che ci eleva a Dio, ci fa parlare con Dio, ci unisce a Dio, ci santifica in Dio. L'ottima parte è l'unica cosa necessaria: il dovere di pregare".(30)
Fondamento della "spiritualità dalle maniche rimboccate", come vissuta da Don Orione, era la Santa Messa, durante la quale egli viveva e gustava il mistero che celebrava. Molti restarono affascinati dalla fede e pietà che trasparivano da tutta la sua persona durante il sacrificio eucaristico.
"Andava all'altare dopo devota preparazione e conservava nella celebrazione un atteggiamento molto raccolto, tanto da destare l'ammirazione dei presenti. Mi consta che parecchie persone, sapendo del luogo e dell'ora della celebrazione della Messa detta di Don Orione, si portavano di proposito ad ascoltare la Messa detta da lui. Anche il ringraziamento della Messa, prolungato a secondo del tempo a disposizione, era espressione della sua fede e del suo amore a Gesù Eucarestia".(31) Lo stesso Visitatore Apostolico, l'Abate E. Caronti testimonia: "Io rimasi edificatissimo ogni volta che vidi Don Orione celebrare: ho sentito anche qualcuno confidarmi che ad assistere alla Messa di Don Orione si sentiva scosso".(32)
"Era preciso nelle cerimonie; compreso del grande atto che compiva; il suo volto sembrava quasi trasfigurato. La S. Messa era per lui una sorgente di energia e di conforto e tale la considerava anche per gli altri. A un sacerdote che si confidava con lui di sentirsi solo e sconfortato, egli diceva: 'Non avete la Messa?'".(33)
Per Don Orione l'eucarestia era veramente "il culmine e la sorgente" di tutta la vita spirituale. Il contatto con questa sorgente si esprimeva anche come devozione eucaristica. Don C. Sterpi ricorda: "(Don Orione) visitava frequentemente Gesù in Sacramento e di lui conserviamo la preghiera della visita al SS.mo Sacramento. La volle composta di concetti precisi, teologici. Sostituì questa preghiera a quella di S. Alfonso, perché, accostandoci a Gesù Eucarestia, la nostra devozione fosse non solo un prodotto di sentimenti, ma frutto di convinzione nel mistero eucaristico, e in quell'atto vi partecipasse, col cuore, anche la mente".(34) "Erano frequenti i contatti, pur brevi, con Gesù custodito nel tabernacolo nella Cappella interna, vicina alla sua camera. Restava in adorazione fino a notte inoltrata".(35) E "quando giungeva in qualche Casa, i primi passi erano per portarsi in Cappella, per una visita al Santissimo".(36) Lo considerava "il Padrone di casa".(37)
Alla sera, libero ormai da tutto e da tutti, si fermava a lungo in chiesa. "E' capitato anche a me - ricorda un confratello - di sorprenderlo nel cuore della notte, in preghiera nella cappellina di Casa Madre di Tortona: inginocchiato sulla predella dell'altare, con la testa appoggiata all'altare, in confidente abbandono".(38)
La recita del Breviario gli era motivo di conforto, di gaudio e di nutrimento spirituale. Molte volte nel suo parlare e nel suo scrivere si rifà a qualche testo della liturgia delle ore. "Nelle prediche, nelle lettere, nella conversazione, spessissimo ricorrevano alle sue labbra frasi, spunti, citazioni dell'ufficio del giorno".(39) A Don D. Mogni rimase impresso che "una volta, a Tortona, gli annunziarono una telefonata da Genova, mentre egli recitava il breviario con i sacerdoti. Non volle muoversi, e questo mi edificò assai".(40)
Don Orione seminava la sua giornata di preghiere, brevi invocazioni, rosari, giaculatorie, visite eucaristiche. Era un modo per coltivare il contatto continuo con "il Cielo" e per sentirsi continuamente "alla presenza di Dio". Vale la pena di leggere alcune testimonianze di queste forme semplici di preghiera, alla portata di tutti, soprattutto di quelli che vivono una vita movimentata come quella di Don Orione.
"Le giaculatorie lo tenevano in continua unione con Dio. Egli visse, si può dire, in continua preghiera. Si vedeva, per esempio, dopo una conversazione, raccogliersi subito a dire giaculatorie".(41) "Prima di mettersi in viaggio recitava una breve preghiera con chi lo accompagnava. Trovandosi in treno, estraeva la sua corona e recitava il rosario: non un giorno, che mi sia trovato in viaggio con Don Orione, ho notato che egli lo abbia tralasciato. Faceva largo uso di giaculatorie e di pie invocazioni. Quante volte l'ho sentito interrompere qualche lavoro a cui stava attendendo, o qualche conversazione con le parole: Gesù! Gesù!, oppure Cara Madonna!, pronunciate levando gli occhi al cielo... Don Orione era nemico dei formalismi nella pietà; voleva che fosse spontanea, espansiva, che venisse dal cuore e soprattutto mirava che essa portasse poi alla mutua carità e all'adempimento del proprio dovere".(42)
"Non si poteva parlare con lui senza che Don Orione introducesse un pensiero religioso. Ogni qualvolta si andava da lui per qualche necessità o gli si raccomandava un malato, la sua prima parola era una esortazione ad invocare l'aiuto del Signore".(43)
"Nella sua stanza aveva il grande Crocifisso. Non posso dire quante volte Don Orione si sia rivolto a guardare, nella giornata, Gesù pendente dalla croce, né quante volte abbia piegato il ginocchio e pregato dinanzi a quell'immagine. Certo, lo aveva il Crocifisso, nella sua stanza per rivolgere e frequentemente, il suo sguardo al Signore".(44)
Un altro modo con cui Don Orione coltivava l'intimità con Dio fu la devozione alla Madonna, vissuta come un contatto, una compagnia del "Cielo" nella consuetudine quotidiana. Don Orione viveva e operava "tutto con Maria": era una pietà di figlio, semplice, essenziale, popolare, senza astruserie né sentimentalismi. Tutto vedeva, invocava, riceveva tramite la Madonna.
Abbiamo indugiato nella descrizione di questi mezzi usati da Don Orione nella sua vita spirituale per constatarne la ordinarietà e la possibilità dell'utilizzo da parte di religiosi e laici del nostro tempo. Con questi modi Don Orione ha custodito e sviluppato fino all'eroicità il dono della Grazia di Dio. Con questi mezzi fu un contemplativo nell'azione. Molti ne videro il risultato.
Numerosi testimoni, religiosi e laici, hanno manifestato l'impressione che tutta la giornata di Don Orione fosse una meditazione continua, o meglio, una contemplazione. "Il mio stupore andò crescendo nel vedere come Don Orione sapesse unire - ed è così difficile - una attività sorprendente e senza soste con una vita di continua unione con Dio. Don Orione viveva di fede e alla presenza di Dio".(45) Era un apostolo e non un "manager della carità".(46)
Un laico, il Prof. Domenico Isola, Direttore sanitario del Piccolo Cottolengo di Genova, così descrive l'unità spirituale del facchino della Provvidenza. "Don Orione possedeva il fascino che viene dalla pienezza della Grazia e che diffonde attorno a sé la Grazia medesima; chi lo ascoltava - di qualunque argomento si trattasse - era ammirato dalla profonda sua convinzione di quanto diceva, e ne rimaneva a sua volta radicalmente convinto; era edificato dalla sua fiducia in Dio, e se ne sentiva egli stesso pervaso; ammirava il "facchino della Provvidenza" nelle sue instancabili fatiche, e sentiva lo sprone e la gioia di affiancarsi a lui, nelle sue opere di bene. Quanti lo avvicinarono ebbero la esatta sensazione di trovarsi al cospetto di una figura di gigantesche proporzioni morali, di un uomo nel quale, in felice armonia d'intenti, agivano il naturale e il soprannaturale. Così e non altrimenti si spiega l'influsso che Don Orione esercitò sull'anima di quanti ebbero la sorte di conoscerlo e di avvicinarlo; i radicali mutamenti spirituali da lui operati in tante persone che erano rimaste ostinatamente lontane da Dio, l'ascendente da lui così dolcemente esercitato su ogni categoria di persone, gli aiuti che da ogni parte giungevano, perché le sue Opere si perpetuassero".(47)
"Sebbene la vita di Don Orione fosse, come diceva lui, una "ruota", dava la massima importanza e voleva che avesse il primo posto la pietà. 'Tutto si può nascondere, meno che la mancanza di pietà'. Ricordava il monito di Paolo a Timoteo “Exerce teipsum ad pietatem, pietas ad omnia utilis est” e quello di S.Bernardo a Papa Eugenio III “Vae tibi, si fons devotionis in te siccatus fuerit”(48) Quanto insisteva su questi concetti!
"L'uomo tanto vale quanto prega. Del nostro lavoro tanto resta quanto è cementato dalla orazione".(49) "Vogliamo essere bollenti di fede e carità. Ogni nostra parola dev'essere un soffio di cieli aperti: tutti vi devono sentire la fiamma che arde il nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore, trovarvi Dio e Cristo. Per conquistare a Dio e afferrare gli altri occorre prima vivere una vita intensa di Dio in noi stessi, avere dentro di noi una fede dominante, un ideale grande che ci arda e risplenda...".(50)
Don Orione viveva così immediatamente ed esclusivamente "di fede", "di Dio" che il rapporto con Dio era l'occupazione unica, esclusiva, indivisa della sua giornata. La dedizione apostolica era una incarnazione di questa comunione e da essa derivava la sua efficacia.
"Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio e molto del mondo: viviamo una vita spirituale tisica, manca quella vera vita e di Cristo in noi, che ha insita in sé tutta la aspirazione della verità e del progresso sociale, che penetra tutto e tutti, e va fino ai più umili lavoratori. Ci manca quella fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il vangelo di Gesù Cristo".(51)
Dunque, ricaviamo questa constatazione: nella vita di Don Orione, e nello stile di vita che trasmise ai suoi figli spirituali, l'attività non è contraria all'intimità con Dio, anzi è "parte" viva dell'intimità con Dio.
Don Orione era un grande contemplativo nell'azione. Non solo la sua anima viveva in Dio, ma Dio viveva nella sua anima. Per questo il lavoro, le tante persone e problemi che lo occupavano "non lo disturbavano", perché il suo era un continuo muoversi con Dio, in Dio e per Dio. Giustamente è stato osservato che quando Don Orione nel suo programma di vita spirituale afferma 'Mi getterò stanco la sera fra le braccia di Gesù' addirittura fa capire che il suo apostolato (leggi fatica, preoccupazione, ecc.), nel suo carisma, non è di per sé ostacolo, ma quasi 'conditio sine qua non' per alimentare la preghiera stessa. "Non adora Dio quantunque stanco, ma piuttosto vi riesce bene appunto perché stanco, in quanto la sua stanchezza è stata la preparazione aurea per l'unione con Dio".(52)
La povertà di sé (anche come stanchezza di energie) e la consumazione per amore sono le migliori condizioni per mettersi davanti a Dio e permettere che Dio viva nell'anima.
Guardando a Don Orione, viene da pensare che il felice assioma del libro, che ha formato generazioni di religiosi e di cristiani, del Padre Chautard,(53) "la preghiera, anima dell'apostolato", andrebbe completato, nella mistica orionina, con il reciproco "l'apostolato, corpo della preghiera". Non è che la preghiera, l'intimità con Dio "si esauriscono" nell'apostolato, nel servizio attivo, anzi da questo trovano ricarica, sostanza, verità.
Tale integrazione di preghiera e apostolato, di contemplazione e azione fa parte della più autentica tradizione spirituale cristiana. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, dedicato ad "Alcuni aspetti della meditazione cristiana", segnalando le tentazioni di psicologismo o di dubbio spiritualismo disincarnato presenti in certe tecniche e forme di preghiera non consone con la tradizione cristiana, al n.28 afferma: "L'unione abituale con Dio, o quell'atteggiamento di vigilanza e di invocazione dell'aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la "preghiera continua", non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. (...) La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio"(52).
Per dirla con parole di Don Orione, "segno di avere spirito di orazione è avere il cuore affocato e infiammato d'amore a Dio e del prossimo. Avere i pensieri sempre e generalmente rivolti e tendenti alle cose buone, celesti e zelare la gloria di Dio".(55)
5. LE VIE DELL' UNIFICAZIONE INTERIORE
Abbiamo accennato, per rapidi tratti, all'esperienza di "santità dalle maniche rimboccate" di Don Orione, riconoscendo in lui un insigne modello di "mistico nell'azione".
Don Orione pose l'unificazione di azione e contemplazione a base della vita della nuova Famiglia religiosa da lui fondata. Già nel primo documento carismatico, il "Pro-memoria sulla Compagnia del Papa" (17-18 giugno 1899) scriveva:
"La Compagnia del Papa vivrà della doppia vita contemplativa ed operativa, ritenendo quella come il substrato necessario per l'efficace completamento dell'altra".(56)
L'esperienza e l'insegnamento di Don Orione offrono alcune chiare indicazioni per il superamento di quel dualismo nella concezione della vita cristiana che ha percorso, con differenti esiti teorici e pratici, tutta la storia della Chiesa. E' il dualismo che tende a porre da una parte la "spiritualità" e dall'altra l'"azione", quasi come due mondi separati e, talora, anche in opposizione.(57)
Da questo dualismo hanno origine sia certe forme di "spiritualismo" che di "secolarismo" attuali, accomunate dalla riduzione della spiritualità a fatto individuale, intimista. L'esperienza di Dio potrebbe rendere più motivato e credibile l'uomo d'azione, ma senza suggerirgli anche che cosa fare di fatto, senza incidere sulla vita e sulle sue leggi, dettate da altri "legislatori". Si assiste così al fenomeno di cristiani che nell'azione (sociale, culturale, economica, politica, ecc.) si conformano senza troppi problemi alle supposte leggi intrinseche dell'attività cui si dedicano e diventano spirituali nel momento in cui curano la loro anima. Ma l''esperienza spirituale cristiana non offre solo dei perché dell'azione (cfr. 2 Cor 12,15), ma ispira anche il cosa e il come dell'azione.(58) Allora si ha l'unificazione interiore.
Il conformismo, oggi indotto con metodi più raffinati, sembra quasi una "scelta" ineluttabile. Vivere la legge evangelica del lievito, del sale - che agisce su tutta la pasta -, e della luce - che illumina tutta la stanza - è difficile. La fede nell'incarnazione, però, ci porta a ritenere che la "spiritualità" non sia solo un optional etico, una spinta interiore ad agire; è anche il contenuto e il progetto dell'agire, frutto del "lasciarsi guidare dallo Spirito". L'integrazione di fede e vita, di spiritualità e secolarità, è esigita come fedeltà allo Spirito e come evangelizzazione della vita nuova in Cristo.
Dopo questa riflessione, che fa intravedere l'importanza pratica del discorso sull'unità di contemplazione e azione, torniamo alla nostra ricerca più direttamente interessata a Don Orione. Egli fu tutto spirituale.
L'unificazione interiore è evidentemente, e principalmente, un "dono di Dio", un effetto dello Spirito Santo. Fu l'azione dello Spirito, custodito in un cuore puro, a mantenere Don Orione "sempre in uno stato di ebbrezza spirituale", secondo la felice espressione di Don G. De Luca.(59) Lo Spirito Santo opera una trasformazione di tutto l'essere umano e di tutta la vita dell'uomo, anche nelle sue potenze ordinate all'azione, facendone lo strumento di Dio. Quando l'uomo non soffoca lo Spirito ed anzi si lascia ispirare dallo Spirito in ogni azione, abbiamo il mistico.
Don Orione fu strumento docile di Dio soprattutto nella sua azione. Ciò appare evidente: è autenticamente un mistico ed è pienamente un attivo dalla concretezza sorprendente, per quantità e qualità di risultati. Questo fatto caratterizza l'esperienza di santità di Don Orione rispetto ad altre "vie" mistiche, compresa quella benedettina, che egli per certi aspetti riconobbe come "sua",(60) ma che conserva un certa distinzione tra "ora et labora", mentre in Don Orione l'azione appare essere in se stessa via dell'esperienza di Dio. D. Barsotti - profondo esperto di spiritualità - arriva a riconoscere una vera identificazione: "La contemplazione in Don Orione è l'azione medesima".(61) E' un dato ampiamente illustrato dalla vita e dagli scritti del Beato e testimoniato da chi l'ha conosciuto. Vediamo di approfondirne qualche ragione.
Come risposta alla particolare mozione dello Spirito, quali furono le scelte vissute e insegnate da Don Orione per custodire e corrispondere al dono, alla vocazione di "mistico nell'azione"?(62)
La risposta è molto impegnativa; si è già riflettuto(63) e molto resta ancora da capire; e da vivere, per capire. In questa riflessione ci limiteremo a presentare due scelte fondamentali per realizzare l'unificazione dinamica di azione e contemplazione: l'obbedienza alla volontà di Dio e la carità verso il prossimo.
6. L'OBBEDIENZA ALLA VOLONTA' DI DIO
Punto d'incontro della mistica orionina, tesa tra azione e contemplazione, è l'obbedienza, il "fare la volontà di Dio". "Non chiunque dice 'Signore, Signore' entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del padre mio" (Mt 7,21).
Don Orione aveva sempre la coscienza (lo cercava) di essere là dove Dio gli dava appuntamento (obbedienza), dove Egli si faceva trovare e servire: per questo era sempre in contemplazione nell'azione. "Diceva: bisogna cercare di fare tutto, sempre alla presenza e per amore di Dio, il che porta a stare sempre bene uniti a Dio, anche in mezzo agli affari ed occupazioni del proprio ufficio".(64)
Essere dove e come vuole la volontà di Dio è la regola semplice per fare esperienza di Dio nelle realtà quotidiane. Non c'è un solo momento in cui Dio non si presenti sotto le sembianze dei fatti quotidiani, di qualche pena, di qualche esigenza o di qualche dovere. Tutto quello che avviene in noi, attorno a noi e attraverso di noi, contiene e nasconde la sua azione divina. "Se squarciassimo il velo e se fossimo vigilanti e attenti, Dio si rivelerebbe a noi incessantemente e noi godremmo della sua presenza in tutto quel che ci accade; ad ogni cosa diremmo: Dominus est, è il Signore!".(65) Si esce dalla contemplazione non quando si esce di chiesa, o dai momenti cosiddetti 'spirituali', ma quando si esce dalla volontà di Dio. L'obbedienza incolla l'uomo alla presenza di Dio: sempre, dovunque, comunque.
È facile fare memoria di esempi e insegnamenti di Don Orione al riguardo.
I Confratelli che gli sono vissuti accanto ricordano espressioni che fiorivano spontanee e convinte sulle labbra del loro fondatore e padre. "Quel che Dio vuole, ripeteva spesso" e "Sia fatta la volontà di Dio!".(66) Il Servo di Dio Frate Ave Maria ha osservato molto opportunamente: "Don Orione ha lasciato ai suoi figli spirituali i sette fioretti della Divina Provvidenza, che cominciano tutti con la lettera effe; il primo è fede e l'ultimo è fiat voluntas Dei".(67)
"Anche nei contrasti e nelle difficoltà - testimonia Don A.Bianchi - l'ho sempre visto sereno e calmo, non ho mai notato in lui uno scatto di impazienza o udito una parola di lamento, anzi ripeteva rassegnato: Pazienza! E' il segno che Dio dispone così!".(68) "Talvolta, chiedendogli noi se egli si sarebbe trovato in qualche posto, rispondeva che al mattino no sapeva dove egli avrebbe finito a rotolare la sera; che avrebbe visto che carta gli seminava il Signore"(69)
Don Orione volle suggerito anche nello stesso nome, da lui scelto per i suoi seguaci, "Figli della Divina Provvidenza", il fondamentale atteggiamento filiale di fiducia, di adesione docile, costante, ai voleri di Dio.
"I figli della Divina Provvidenza devono essere figli dell'obbedienza: o non sono veri figli della Divina Provvidenza".(70)
Nelle prime Costituzioni, stampate nel 1912, Don Orione dedica il n.28 alla "Indifferenza religiosa nell'ubbidienza" che significa disponibilità a tutto,
"a spendere anche la propria vita, ove lo richiedesse, la maggior gloria di Dio e il servizio del prossimo, ad imitazione di G.C. Redentore e Signor Nostro, Qui fuit oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Fil. 8)".(71)
Quante obbedienze eroiche nella vita di Don Orione. Alcune sono note. Le più restarono come suo "segreto martirio". Ne ricordo una.
Il parroco di Lonigo (Vicenza) con un intervento forse anche ben intenzionato, ma concretamente non corretto, voleva chiusa la casa-oratorio di Don Orione, la prima presenza della Piccola Opera nel Veneto (1908-1912), già ben avviata e benvoluta dalla gente. Fu per Don Orione un'obbedienza - "olocausto" di un vero bene. Leggiamo questa lettera scritta a Don Caldana, quando ormai la decisione era praticamente presa. Sarà tutto chiaro.
"E' stato riferito a me, vostro fratello, che è vostro desiderio che i piccoli miei fratelli della Divina Provvidenza lascino Lonigo; solo Voi non vorreste che ciò si sapesse, e Vi recasse dei disturbi. Ora io vengo a Voi nel Signore, come già sono venuto quando Nostro Signore mi ha portato a Voi, e Vi dico: se così desiderate, subito in Domino Vi accontento, e tutti partiranno silenziosamente e umilmente, e nessuno saprà mai nulla, né ora né mai, perché così piace al Signore che si faccia tra di noi figli della Sua Chiesa, da buoni fratelli.
Solo vi supplico in Domino, (e vi dico di non offenderVi, poiché scrivo a Voi con affetto sincero in Gesù Crocifisso, e del Suo amore mi pare di veramente amare Voi e il Vostro popolo) che prima di rispondermi, Vi raccogliate un po' in Voi stesso e con Nostro Signore, per un'ora davanti a Lui nel SS. Sacramento, affinché la decisione che farete sia piena di carità e di Dio, e tale che in punto di morte non Vi abbia a dare tormento, ed io farò similmente, e farò dopo ciò che Iddio vi ispirerà.
E, in qualunque modo, vorrete pregare per me, come farò io per Voi. Et Deus charitatis et pacis sit semper nobiscum!".(72)
Questo è uno di quei casi in cui si pone alla persona il dilemma tra un'esistenza anche esteriormente buona ed efficace nel bene, ma in cui si propone in fondo un certo successo di sé, ed un'esistenza di servizio nell'obbedienza, "in croce e crocifissi con Cristo" riconoscendo effettivamente il primato assoluto di Dio nella propria vita. Uno si trova come "crocifisso" tra le esigenze del bene e le esigenze dell'obbedienza e ne esce solo per l'esperienza interiore che gli fa conoscere che c'è un'unica volontà di Dio da discernere nella "voce" di Dio che comanda nei superiori (e negli eventi della vita) e in quella che chiede di servirLo nei fratelli.73
Ci vuole la compagnia interiore di Dio per entrare nel mistero della croce, che è mistero di obbedienza, che è adorazione della Sua sempre buona ed efficace Volontà, che è sacrificio di sé, che è resurrezione e santificazione.
In uno scritto, ricco di sapienza teologica e ascetica, Don Orione sviluppa approfonditamente la sua riflessione sul "fare la volontà di Dio". Alcuni passaggi.
"Che è la Volontà di Dio? Direi che è Dio stesso. Fuori della Volontà di Dio (sapientissima, santissima, ottima) non v'ha più bene, ma illusione di bene.
Nella conformità alla Volontà di Dio dimora tutta la virtù e la felicità delle anime cristiane. Volontà di Dio paradiso mio.
La conformità alla volontà di Dio è l'unica via della pace e della felicità. Trasforma in bene tutti i mali, in felici avventure tutte le calamità; nella Volontà di Dio dobbiamo sempre riposare, anzi godere.
Nella vita cristiana non si fa mai molto, se non quando si fa molto la volontà di Dio, con aurea indifferenza. Fiat, fiat Voluntas tua!".(74)
Il contenuto della preghiera è il disegno di Dio; l'obiettivo dell'azione esterna è l'"Instaurare omnia in Christo" (Ef 1,10). Preghiera e azione portano entrambe ad una adesione sempre più piena al Regno di Dio. Questa è la convergenza di preghiera e attività apostolica.
Con la preghiera il cristiano si abitua a guardare il mondo con lo sguardo del Padre; impara e fa sua, sempre di più, la volontà di salvezza del Padre; è reso a Lui "famigliare" ("Chiunque fà la volontà del Padre mio, questi è per me fratello, sorella e madre" Mt 12,50). In fondo, che cosa chiede ogni preghiera cristiana? "Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra".(75) Con l'azione il cristiano si abitua a vivere da figlio, da servo, da collaboratore di Dio prolungando la sua azione provvidente di creazione e di redenzione, l'unica che valga, che abbia riflessi nell'eternità.
"Nell'obbedienza è grande sapienza: la sapienza che abbraccia il tutto. Non è il far molto all'esterno che conta davanti a Dio, ma l'avere un cuore umile, retto, obbediente. E la semplice obbedienza è virtù tanto cara agli occhi di Dio, che sola basta a santificarci. La strada dell'obbedienza fu la strada di Gesù Cristo, di Maria SS., di S.Giuseppe e dei Santi: è la strada della santa immolazione con Cristo, della pace e della felicità".(76)
Don Orione sovente indicò la Famiglia di Nazaret quale modello di vita quotidiana attiva e contemplativa, semplice, sacrificata, condotta nell'obbedienza alla volontà di Dio. Parlando delle "lezioni" di Nazaret e della santa Famiglia, Don Orione osservava:
"In questa famiglia si lavorava molto; anche nella nostra famiglia religiosa ci deve essere il lavoro continuo; non solo pregare, ma anche lavorare. La vostra è vita contemplativa e di lavoro insieme. Quando siete davanti al Santissimo Sacramento, pregate, state tutte in Dio, non pensate a niente, perdetevi, per così dire, in Dio. Quando, però, operate, compite bene il vostro dovere come e perché lo vuole il Signore".(77)
Il SI' obbediente unifica azione e contemplazione in colui che ama Dio e serve il prossimo. Via alla santità è conoscere e rispondere SI' alla volontà di Dio. Leggiamo al riguardo un'altra bella pagina di Don Orione.
"Fiat! Pronunciatela questa soave parola, o figli e amici miei, pronunciatela ad ogni respiro, ad ogni battito del cuore, ad ogni movimento delle labbra. Dio la comprenderà sempre nel modo in cui volete che egli la comprenda, ora come preghiera, ora come atto di fede, nel dubbio, come atto di speranza nel timore, e sempre come atto di amore.
Fiat! Nelle vostre mani dunque, nelle vostre mani, o mio Dio! ... Lavorate, lavorate questo fango, o mio Dio, dategli una forma e poi spezzatela ancora: essa è vostra e di chi fa per Voi, e non avrà mai più nulla a ridire... Sofferente, innalzato, abbassato, utile a qualche cosa od inutile a tutti, io vi adorerò sempre e sarò sempre vostro, o mio Dio! Nessuno mi staccherà da voi!
Nelle gioie e nei dolori sarò sempre tuo, o dolcissimo mio amore Gesù. Solitario ed ignorato, come il fiore del deserto, errante come l'uccello senza nido, sempre, sempre, Signore e amore soavissimo dell'anima mia, uscirà dalle mie labbra la parola sottomessa di quella che mi hai dato per Madre: Fiat! Fiat! Sia fatto di me secondo la tua parola!".(78)
C'è un'espressione tipica che caratterizza l'esperienza spirituale orionina in un grappolo di virtù essenziali, tra le quali spicca l'obbedienza: come stracci. Don Orione la visse e la propose con insistenza come regola pratica di vita. Ad esempio, ad un giovane che vuole seguirlo nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, scrive così.
"Se ti piace essere uno straccio di Dio, uno straccio sotto i piedi di Dio, sotto i piedi immacolati della Madonna SS.: se ti piace essere uno straccio sotto i piedi benedetti della Santa Madre Chiesa e nelle mani dei tuoi Superiori: questo è il tuo posto. Noi siamo e vogliamo essere nulla più che poveri stracci: si tratta in una parola, e uscendo di metafora, DEL SACRIFICIO TOTALE DI TE STESSO e nell'esterno e nella vita interiore, sacrificio e d'intelletto e di raziocinio e di tutto te stesso. Va avanti alla Madonna, mettiti come uno straccio, di più, come un figlio, ma bambino nelle Sue mani e poi decidi come fossi in punto di morte e avrai deciso bene".(79)
Il rinnegamento di sé, la docilità, la disponibilità nel servire sono le espressioni dell'umiltà, condizione indispensabile per fare esperienza di Dio: solo il povero serve e, ancor più, solo del povero Dio si serve!
"Noi siamo stracci nelle mani del Signore, della Divina Provvidenza... siamo stracci nelle mani della Chiesa, al cui servizio noi unicamente siamo, con devozione piena e perpetua... E la grazia e fortuna è tutta nostra, se Essi si servono delle nostre miserie per fare qualche cosa di bene nella Santa Chiesa".(80) "E' tutto il Signore e la Santa Madonna che fanno queste cose: io sono un ciabattino della Divina Provvidenza".(81)
"Di mio in questa Piccola Opera non c'è che le storpiature; tutto il resto è la Mano del Signore".(82)
Di fronte all'esigenza di una vita spirituale unificata, praticamente, il punto essenziale è di conoscere ad ogni momento la volontà di Dio sulla nostra vita; né la preghiera e né l'attività sono un assoluto, ma sono ordinate al "fare la volontà del Padre".(83)
7. LA CARITA' VERSO IL PROSSIMO
Un secondo caratteristico punto di incontro tra azione e contemplazione nella mistica orionina è l'esercizio della carità verso il prossimo. Più solitamente la carità verso il prossimo è considerata come un effetto dell'esperienza di Dio, come una conseguenza e una manifestazione dell'amore verso Dio. Nella spiritualità orionina è molto evidenziato che è anche causa, via all'esperienza di Dio. E' un aspetto molto noto. Lo richiamiamo con un episodio-simbolo rimasto nascosto, ma significativo.
Durante l'opera di soccorso di Don Orione, immediatamente dopo il terremoto della Marsica (1917), un alto funzionario del Ministero degli Interni andò a incontrarlo.
"Infatti, ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano - è quel funzionario a ricordare -, e fui colpito da questo prete in così cattivo arnese, che correva qua e là, ovunque portando fiducia. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave tra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano! Mi guardava come quando da ragazzo ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre. Poi mi chiese: “A che punto siamo in fatto di religione?”. Io gli risposi: “Tabula rasa”, e lui: “Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?”, ed io: “Eh! Se mi si mostra!”, e Don Orione: “Vedi ogni giorno di fare un pochino di bene”".(84)
Questo dettaglio di vita rivela la sapienza evangelica di Don Orione. Anche Sant'Agostino rifletteva: "Siccome tu Dio non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo, amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (cfr. Gv 4,20)... Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti condurrà il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente?".(85)
La carità fa vedere Dio: era l'esperienza quotidiana di Don Orione ed era anche la sua via apostolica. Impartendo direttive a Don Adaglio per i primi sviluppi dell'Opera in Palestina, richiama un importante principio:
"Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa, nata e sgorgata dal Cuore di Gesù; opere di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi della fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio".(86)
La vita di Don Orione è tutta fiorita di episodica che rivela la sua "strategia della carità", secondo l'espressione del Cardinal Luciani, poi Papa Giovanni Paolo I.
Don Orione incontra Dio nell' 'uomo': "Servire negli uomini il Figlio dell'Uomo";(87) "Nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio".(88) Don Orione aiuta a incontrare Dio nell'uomo attraverso la carità. E' questa la sua via di evangelizzazione, il suo modo di essere apostolo, la sua "Piccola Opera" per contribuire ad "Instaurare omnia in Christo". E' la via che costituisce il suo carisma di fondazione, così descritto nel I Capitolo delle Costituzioni:
“Fine speciale della Congregazione è diffondere la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, specialmente nel popolo; trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede Apostolica, nella quale, secondo le parole del Crisologo, il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda (ad Eut. 2). E ciò mediante l'apostolato della carità fra i piccoli e i poveri”.(89)
E' una "via" che oggi si inserisce con nuova e accentuata attualità nelle mutate situazioni della Chiesa e nel continuo richiamo di Papa Giovanni Paolo II per "una nuova evangelizzazione". Il programma pastorale della Conferenza Episcopale Italiana per gli anni '90 ha per titolo: "Evangelizzazione e testimonianza della carità".
Leggiamo un passaggio del Documento dei Vescovi italiani "Evangelizzazione e testimonianza della carità".
"La verità cristiana non è una teoria astratta. E' anzitutto la persona vivente del Signore Gesù, che vive risorto in mezzo ai suoi. Può quindi essere accolta, compresa e comunicata solo all'interno di una esperienza umana, nella quale la consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità di vita. Questa esperienza ha un volto preciso, antico e sempre nuovo: il volto e la fisionomia dell'amore. Sempre e per sua natura la carità sta al centro del vangelo e costituisce il grande segno che induce a credere al vangelo. (...)
La 'nuova evangelizzazione', a cui Giovanni Paolo II chiama con insistenza la Chiesa, consiste anzitutto nell'accompagnare chi viene toccato dalla testimonianza dell'amore a percorrere l'itinerario che conduce alla fede e alla Chiesa. Per sottolineare questo profondo legame fra evangelizzazione e carità abbiamo scelto l'espressione "vangelo della carità". (...)
Il "vangelo della carità" ha saputo scrivere in ogni epoca pagine luminose di santità e di civiltà in mezzo alla nostra gente: è ininterrotta la catena di santi e di sante che con la forza del loro amore operoso hanno dato testimonianza al vangelo e reso più umano il nostro paese. E' una eredità che dobbiamo custodire, approfondire e rinnovare".(90)
Don Orione è pienamente dipinto, e vorrei quasi dire "spiegato" in queste parole dei Vescovi italiani, scritte dopo 50 anni dalla sua morte. Potremmo ricordare fatti e insegnamenti della sua vita e vi troveremmo una consonanza spirituale e pastorale grandissima.
"La nostra predica è la carità": per Don Orione evangelizzare era, prima di tutto, aprire un Piccolo Cottolengo, un orfanotrofio, era occuparsi dei bambini, dei vecchi, era - in una parola - compiere le opere della carità. "La carità apre gli occhi della fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio".(91) Ma, anche qui, Don Orione avverte contro un attivismo superficiale, facile a insinuarsi nelle opere di bene:
"Il Signore ci giudicherà secondo le opere, e secondo la carità delle opere, perché anche le opere senza la carità di Dio che le valorizzi davanti a Lui, a nulla valgono".(92)
"Meditiamo ciò che dice Gesù Cristo al cap.7 di S.Matteo, dove ci insegna che potremmo dannarci anche con fare gran lavoro, ma non quello che è veramente grato a Dio. “Multi dicent mihi in illa die: Domine, Domine, in nomine tuo prophetavimus, et in nomine tuo virtutes multas fecimus!”. Ingannati! Confidavano in un falso zelo! “Et tunc confitebor illis, quia nunquam novi vos!”. E' grande istruzione questa che ci dà Gesù Cristo; con essa ci mostra che non basta lavorare molto e affannarci e alzare edifici: non basta voler fare del bene e molto, ma bisogna farlo bene, per meritare e salvarci. San Paolo Apostolo rassomiglia il missionario che lavora mosso da falso zelo, da zelo non secundum scientiam Jesu Christi, lo rassomiglia, dico, a colui che corre, ma all'impazzata, a chi dà gran colpi, ma non fa che percuotere l'aria inutilmente.
Mio caro Don Alessandro, ricorda sempre: non quello che fa grandi cose esterne edifica la sua casa sulla pietra, secondo la parabola del Vangelo, ma quello che sta umile e fedele. Lo zelo è solamente buono se è obbediente".(93)
Don Orione vive di amore per il suo Signore ("Dio solo!"); è appassionato di Gesù, e vive il suo rapporto con Lui mediante il suo rapporto con i fratelli bisognosi di aiuto, di pane, di dignità e di fede; per questo in Don Orione l'azione è contemplazione ed è apostolato. E' la carità ad operare questa unificazione.
"Amare Dio e amare i fratelli: due fiamme di un solo sacro fuoco. Ed è di questo fuoco che vogliamo vivere e consumarci: questo è il fuoco che ci deve trasformare, trasportare e trasumanare. Charitas Christi urget nos!".(94)
"La carità ha fame di azione: è un'attività che sa di eterno e di divino. La carità non può essere oziosa".(95)
La preghiera alimenta la carità dell'azione. L'azione alimenta la carità della preghiera. E ambedue avvicinano sempre più a Dio. Don Orione vive la sua unione con Dio in Cristo, proprio nel donarsi concretamente agli uomini. Nel suo servizio iperattivo egli vive una santità che non lo isola dagli uomini e non lo separa da Dio. E' la carita' che unifica la sua vita turbinosa e apparentemente disordinata.
Ma chiediamoci: cosa c'e' in questa esigenza incalzante di "fare di più", di correre; perché questa brama mai soddisfatta di arrivare a tutto, a tutti. Ancora una volta dobbiamo rispondere: è la carità che unendo l'uomo a Dio e ai fratelli gli chiede tutto, di più. Don Orione l'esprimeva con il motto paolino, usuale sulle sue labbra, "Charitas Christi urget nos! Noi siamo dei servi inutili, ma è la carità, l'amore di Cristo e dei fratelli che ci anima, che ci spinge, che ci incalza. Sia gloria a Dio".(96) "Spesso si parla di apostolato per la conversione del mondo a Gesù Cristo... Questo santo amore, che prende nome di carità, è il risultato della comunione con Gesù Cristo. E' il fervore della Grazia onde non può stare e ha bisogno di espandersi, charitas natura diffusiva est. La carità è diffusiva".(97)
Viene in mente il serafico ritornello del Servo di Dio Frate Ave Maria: "Il Signore s'accontenta di poco, ma non dice mai basta".(98) E' la dinamica dell'amore. Questo spiega lo smisurato "crescendo" delle opere di Don Orione. Non ha mai detto "basta" ed anzi, fino alla fine sentì di dover dire "nunc incipio", ora incomincio.
C'è una lettera-confessione scritta da Don Orione giovane a Don Carlo Perosi, concittadino, amico e padre (poi cardinale), in cui si intravedono gli impulsi all'azione provenienti dall'esperienza mistica. "Mi pare che il nostro Signore Gesù Cristo vada chiamandomi ad uno stato di grande carità, per cui in certi momenti il Signore mi preme il cuore e allora bisogna che pianga o rida di carità grande e corra, ed è una cosa che non si può ben dire, ma è fuoco grande e soave che ha bisogno di dilatarsi e di infiammare tutta la terra. Caro Signor Don Perosi, mi perdoni se le dico questo, ho timore che sia superbia, ma è una cosa ben più grande ancora che non le so dire. Sento un grandissimo bisogno di gettarmi nel Cuore del nostro caro Signore crocifisso e di morire amandolo e piangendo di carità; e mi pare che nostro Signore deve essere molto adirato con me: perché gli dico sempre che sono tutto suo e poi non lo sono mai".(99)
Questo è il "cuore senza confini, perché dilatato dalla carità di Cristo".(100) Questa è la legge dell'amore che ha spinto Don Orione all'azione, all'immolazione totale di sé. Non era un idolatra del "fare", ma un mistico, un "pazzo della carità",(101) che si serviva di tutto per poter immergersi sempre più nell'amore di Dio e delle Anime.(102)
Giovanni Paolo II nell'omelia della beatificazione con felice espressione evidenziò proprio questa realtà. "Dalla sua vita, tanto intensa e dinamica, emergono il segreto e la genialità di Don Orione: egli si è lasciato solo e sempre condurre dalla logica serrata dell'amore!".(103)
"Dobbiamo essere una profondissima vena di spiritualità mistica, che pervada tutti gli strati sociali: spiriti contemplativi e attivi: 'servi di Cristo e dei poveri'... Portiamo dentro di noi, e ben dentro di noi, il divino tesoro di quella carità che è Dio e, pur dovendo andare tra la gente, serbiamo in cuore quel celeste silenzio che nessun rumore del mondo può rompere, e la cella inviolata dell'umile conoscimento di noi medesimi, dove l'anima parla con gli angeli e con Cristo Signore".(104)
"Portare dentro di noi, e ben dentro di noi, il divino tesoro di quella carità che è Dio" è la condizione per alimentare e unificare la vita apostolica.
"La carità è come il fiume montano, ha la sua sorgente in alto. Andiamo alla sorgente, alla sorgente pura e viva. Amiamo gli uomini in Dio - dice Sant'Agostino - ma unicamente pure a causa di Dio: questa è la vera e sola carità, che è il carisma più perfetto perché è il precetto proprio di Cristo nostro Signore, anzi si direbbe l'unico precetto, poiché tutto si incentra e sintetizza qui, nell'amore più sacro e più dolce, amore di Dio e del prossimo. E chi non lo vive, chi lo viola, chi non l'osserva, non è più compartecipe della vita di Cristo e della sua Chiesa".(105)
Don Orione attivo, conosceva bene le tentazioni dell'attivismo; Don Orione molto in mezzo alla gente, conosceva i rischi del "mondo". E ne avvertiva i fratelli.
"Dovete erigere nel vostro cuore delle mura impenetrabili, delle mura di fuoco, dentro le quali non vi possa entrare altro che lo Spirito di Dio che è santo fuoco di dolcissimo amore di Dio e delle anime. Le vostre mura morali, le mura del vostro cuore sono l'Eremo più bello, e sono l'amore di Gesù Crocifisso, Dio e Redentore nostro Santissimo, e l'amore del prossimo: i due grandi e supremi sacri amori e comandamenti della carità".(106)
"Pietà ignìta", insisteva don Orione , "non a gocce di rugiada e sospiri": egli intendeva educare ad una forte ispirazione e unificazione interiore operata dalla coscienza, nella quale risuona la voce e l'amore di Dio. (107)
Così, in Don Orione "uno dei più grandi mistici italiani" (Don D.Barsotti), nell'umile Figlio della Divina Provvidenza, mediante l'obbedienza e la carità verso il prossimo, avviene l'unificazione interiore di azione e contemplazione, di missione e consacrazione.
8. COME MARIA
Quando si conclude una riflessione sulle cose della fede, sulla vita cristiana, è quasi istintivo ripensare il tutto guardando a Maria, e accorgersi - se non si è caduti in qualche gratuito razionalismo o in superficiale sentimentalismo - che "in Maria è avvenuto proprio così".
Nell'esperienza di umiltà di figlio, che "fa la volontà del Padre" e che "per amore suo serve i fratelli è riconoscibile anche l'impronta mariana più profonda della vita di Don Orione.
Don Orione visse di Maria - contemplativa e attiva per eccellenza - l'atteggiamento spirituale fondamentale: "Sono la serva del Signore: si compia in me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Maria è la creatura più umile e la più abbandonatamente attiva nelle mani della Divina Provvidenza. La risposta che diede all'angelo quando si limitò a dirgli "fiat mihi secundum verbum tuum" esprimeva l'esperienza religiosa del popolo d'Israele ricondotta all'essenziale dell'obbedienza a Dio e dell'amore al prossimo. Al "fiat mihi" di Maria corrisponde il "fiat voluntas tua" di Gesù e quello di ogni cristiano che con la preghiera e la vita si rivolge al "Padre nostro".
"Fiat! E' una piccola parola, dolce ricovero innalzato dal buon Dio in mezzo a questo deserto sì arido e difficile da attraversare che si chiama vita. Fiat! Questa parola non si può dire che a Voi, o mio Dio, perché a Voi solo possiamo pienamente confidarci, dedicarci, abbandonarci interamente". (108)
Come Maria, Don Orione non vide altro, non volle altro: servire, amare, fare la volontà di Dio!
"Già altre volte vi ho detto - parlava ai suoi chierici - che per amare veramente il Signore, la Madonna, le cose sante, la Chiesa, bisogna farsene quasi una fissazione... Sapete cosa significa essere fissati in una cosa? Vuol dire non veder altro, non amare altro, non voler altro che quella cosa...
Noi dobbiamo essere fissati unicamente in quello che riguarda l'amore e la gloria di Dio e della Vergine Santissima e la salvezza delle anime...
Qual' era lo stato della Madonna verso Gesù? Voi lo sapete: non viveva altro che per Lui! Non parlava che di Lui e per Lui, soffriva e pregava volentieri per Lui; direi, pensava quello che pensava Gesù - se gli fosse stato possibile - tanto il suo amore desiderava essere vicino in sentimenti, pensieri e affetti a quello di Gesù... vivere all'unisono, in tutto, con Gesù". (109)
Questa è l'unificazione interiore di azione e contemplazione in Don Orione. Come Maria.
NOTE
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1. GIOVANNI PAOLO II. Messaggio alla Piccola Opera della Divina Provvidenza in L'Osservatore Romano, 12-13 marzo 1990, p.4.
2. "Dobbiamo essere dinamici - e non marmotte - nella carità verso i più umili e più abbandonati nostri fratelli" in Lo spirito di Don Orione I, p.76.
3. Scritti 94, p.258.
4. Lettere II, p.77.
5. In cammino con Don Orione. Lettere, Roma, 1972, p.325.
6. Lettere II, p.216.
7. Scritti 53, p.9.
8. Lettere II, p.369 e anche Scritti 94, p.258; 57, p.122; 61, p.113-118. Alcuni studi di carattere storico: TERZI I. Il momento storico in cui operò, p.29-36 e DEL MONTE A. La scelta sociale di Don Orione, p.92-100 in Don Orione nel centenario della nascita:1872-1972, Roma, 1975; TERZI I. La Chiesa dovrà trattare con i popoli, (Messaggi di Don Orione, n.20); PELOSO F. L'ambiente tortonese in cui si formò il giovane Luigi Orione, Seminario di studio dell'Istituto Teologico "Don Orione", Tortona, 1984; AA.VV. Don Orione "un uomo dal popolo e per il popolo", Ed. Maxmi, Alessandria, 1989 (soprattutto il contributo del Prof. G.Sisto, p.25-63).
9. Lo spirito di Don Orione I, p.125.
10. Lettere I, p.81 e 458-459.
11. Una società come la nostra, che tende al materialismo della vita e contemporaneamente sente l'ansia di Dio, necessita di testimoni del mistero, necessita di segni vivi del vangelo.
12. Cfr. TERZI I. Don Orione e il seminario di Tortona (Messaggi di Don Orione, n.46) e PELOSO F. Don Orione, "figlio di Tortona" (Messaggi di Don Orione, n.63).
13. Don Orione. La scelta dei poveri più poveri. Scritti spirituali, A cura di A.Gemma, Città Nuova, Roma, 1979, p.220-221.
14. Lettere II, p.264-265 e 148. "Alle anime, al popolo come faremo amare Cristo? Come salveremo, noi, i fratelli e il popolo? Con la carità che si fa olocausto, ma che tutto vince, con la carità che unifica e instaura ogni cosa in Cristo", Ex processu, p.1021.
15. Scritti 35, p.7.
16. In cammino con Don Orione, p.328-331.
17. Mons. Francesco Olgiati riconosce che l'"instaurare omnia in Christo" costituisce l'ispirazione fondamentale di Don Orione: "egli abbraccia il mondo e vuole ricondurlo a Cristo. Il suo programma è vasto, come è vasta la Chiesa", Don Orione in Vita e Pensiero 31(1940), p.155.
18. L'Archivio conserva raccolti oltre 120 volumi dattiloscritti, di 300-400 pagine l'uno, di lettere di Don Orione.
19. Lettere I, p. 251. "Noi, o cari miei figli, dobbiamo essere grandi lavoratori: i lavoratori dell'umiltà, della fede, della carità! Grandi lavoratori delle anime: grandi lavoratori della Chiesa di Gesù Cristo nostro Dio e Salvatore! Ma che dico lavoratori? E' poco, troppo poco! Dobbiamo essere i facchini di Dio! Chi non vuol essere e non è facchino della Provvidenza di Dio, è disertore della nostra bandiera" in Lettere I, p.470. Cfr. Parola V, p.230-233; X, p.52-54; "Lavoriamo! Lavoriamo!" in La Piccola Opera della Divina Provvidenza (febbraio 1934), p.14-16.
20. Lettera dell'11.8.1911: Scritti 11, p.84. Faticare, sfacchinare sono termini ricorrenti nella formazione orionina. Cfr. Don Orione. La scelta dei poveri più poveri, o.c., p.219-220.
21. Scritti 79, p.315.
22. Cfr. Lettere I, p.168.
23. Ex processu, p.993. Ma Don Orione stesso insegnò ai suoi chierici e confratelli: "Voglio mettervi a parte di un grande segreto. Qual'è il grande segreto per riuscire nelle opere di apostolato, per ottenere dei risultati soddisfacenti nel nostro lavoro, nel campo della carità cristiana? Questo segreto è l'unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio. In altre parole è l'orazione intensa. Tutto quello che si fa si trasforma, così, in oro, perché tutto si fa per la gloria di Dio e tutto diventa orazione", Parola (26.9.1937) VII, p.56-59.
24. Testimonianza di Don G. Zambarbieri, Ex processu p.714-716.
25. Testimonianze di Don C. Sterpi, Ex processu, p.22, e di Don G. Zambarbieri, p.715.
26. "Era solito ripetere che con l'orazione potremo tutto, senza l'orazione potremo niente": testimonianza di Don A.Perduca, Ex processu, p.72.
27. Testimonianza di Don E. Sciaccaluga, Ex processu, p.235-236.
28. Lettere I, p.445-459.
29. Ex processu, p.318.319.
30. I>Lettere II, p.519-523.
31. Testimonianza di Don A. Perduca, Ex processu, p.66-67. Don G. Zambarbieri: "Già nel vestire i paramenti mi appariva tutto compreso del grande atto che stava per compiere. Non c'era pericolo che pronunciasse parola o si volgesse in giro. Si portava all'altare con gli occhi bassi, con una gravità e modestia che erano già di per sé manifestazione viva di una fede veramente grande. Durante tutti i momenti del santo Sacrificio appariva profondamente raccolto. Non c'era in lui alcuna fretta di pronunciare le parole... Non c'era in lui alcuna affettazione, ma la massima naturalezza nei gesti... Non era lungo nel celebrare: mi pare non impiegasse più di 25 minuti... Anche quando doveva partire prestissimo, si alzava magari nel cuore della notte, non toglieva alla Santa Messa neppure un secondo", Ex processu, p.716-717.
32. Ex processu, p.186. Sono molte le testimonianze in questo senso. Don A. De Paoli: "In Brasile, servendogli la Messa, io rimasi più volte commosso dalla sua gravità e devozione. So che molti facevano sforzi per assistere alla sua Messa... Un sacerdote, che non era in regola con Dio, mi disse: 'A veder celebrare Don Orione, si converte l'anima più indurita'. Ed egli infatti si convertì" (p.317). Il Can. Paleari della Piccola Casa di Torino al Direttore del Seminario vescovile: "Vuole assistere alla Messa di un santo? ... C'è Don Orione che sta per celebrare, e assisterà alla Messa di un santo!" (p.6-7). Frate Ave Maria: "Don Orione celebrava con devozione la S. Messa, tanto che io preferivo ascoltare la Santa Messa celebrata da lui, perché mi aiutava nel raccoglimento" (p.9).
33. Testimonianza di Don E. Sciaccaluga, Ex processu, p.233. Altre testimonianze su "la Messa di Don Orione" di Mons. F. Cribellati p.37; Suor M. Rosaria p.94-5; Don V. Gatti p.226; Don D. Sparpaglione p.144.
34. Ex processu, p.20.
35. Testimonianza di Don A. Perduca, Ex processu, p.67.
36. Testimonianza di Don E. Sciaccaluga, Ex processu, p.233.
37. Testimonianza di Don G.Zambarbieri, Ex processu, p.716.
38. Testimonianza di Don G. Zambarbieri, >I>Ex processu, p.715. Molti ricordano questa abitudine di Don Orione; anche l'Abate Caronti: "Mentre ero Visitatore, capitandomi di pernottare alla Casa Madre di Tortona in una cameretta attigua alla Cappella, più di una volta, per non dire quasi sempre, recandomi in Chiesa di notte per la recita dell'Ufficio, trovai Don Orione in adorazione" (p.186-187).
39. Testimonianza di Don D. Sparpaglione, Ex processu, p.141.
40. Ex processu, p.327.
41. Testimonianza di Don A.Perduca, Ex processu, p.72.
42. Testimonianza di Don C. Pensa, Ex processu, p.175-176. Cfr. anche Don G. Zambarbieri, p.715.
43. Testimonianza di Don G.Zambarbieri, Ex processu, p.714.
44. Testimonianza di Don A.Perduca, Ex processu, p.67.
45. Testimonianza di Don G.Piccinini, Ex processu, p.530 e di Don G.Zambarbieri, p.714. Questo di 'camminare alla presenza di Dio' fu l'insegnamento di Don Bosco prima e di San Pio X poi. Lo volle affidare, come estremo ricordo e insegnamento ai suoi religiosi, nell'ultima 'buona notte' dell'8 marzo 1940.
46. L'espressione, anche simpatica, attribuita a Don Orione (Cfr. ad es. Avvenire, 25.10.1990) rischia di essere fuorviante.
47. Ex processu, p.280. Simili osservazioni sono presenti con particolare calore nelle testimonianze di persone laiche. Il Sen. L. Federzoni: "Si vedeva in lui un uomo pieno di fede", p.613.
48. Testimonianza di Don G.Zambarbieri, Ex processu, p.714. Ricordando di un religioso che non perseverò, Don Orione ammoniva: "Nelle opere esteriori e nello studio si esauriscono tutte le facoltà, l'intelligenza e la memoria e la vita, come è successo per (...): non aveva mai un momento per raccogliersi, per rientrare in se stesso, per essere religioso...! Fece sì grandi passi, ma fuori strada. Il lavoro di certa gente non serve 'ad aeternitatem' (per l'eternità). Dunque, lavoro, sì, ma con zelo vero, prudente, pio; uno zelo sostenuto da soda pietà". Scritti 55, p.199ss; cfr. Parola (30.10.1924) III, p.65.
49. Scritti 54, 174. "Coll'orazione potremo tutto, senza orazione non potremo niente. E' coll'orazione che si fanno le cose. Noi potremo piantare e innaffiare, ma solo Dio può dare l'incremento", Lettere II, p.124. In un discorso di fuoco, a questa constatazione Don Orione aggiunse: "... E se molte volte avviene che si ottiene senza pregare, l'uomo allora edifica un sepolcro a se stesso. Dice il Tasso: Non edifica chi vol gli imperi / su fondamenti fabbricar mondani, / ma ben move ruine, ond'egli oppresso / sol costrutto un sepolcro abbia a se stesso (Canto I). Questi versi del Tasso sono la traduzione del 'Nisi Dominus aedificaveris domum, in vanum lavoraverunt qui aedificant eam'", Parola VII, p.56-59.
50. In cammino con Don Orione, p.324.
51. Don Orione. La scelta dei poveri più poveri, o.c., p.135.
52. TERZI I. Atti e Comunicazioni della Curia Generalizia della Piccola Opera della Divina Provvidenza (1986), p.8.
53. DOM CHAUTARD, L'anima di ogni apostolato. Una recente edizione a cura di B.Martelet, Ed.Paoline, Roma, 1984.
54. In Acta Apostolicae Sedis 82(1990), p.362-379.
55. Lettere II, p.521.
56. Lo spirito di Don Orione I, p.30-31. Nelle prime Costituzioni manoscritte, quelle del 1904, di forte ispirazione apostolica-attiva, al n.14 tra le caratteristiche di idoneità leggiamo: "... principalmente quanto più daranno segno di avere indole contemplativa, tanto più saranno idonei alla vita sacerdotale". Al n.18, nel contesto del voto di povertà, è riproposto il medesimo slancio contemplativo: "... ciascuno tutto intento, per quanto possibile in questa vita, alla contemplazione, e sciolto da ogni altra cura mondana, possa dire con verità: 'O Signore, porzione di mia eredità e di mio calice, Tu sei quegli che mi restituirai la mia eredità' (Salmo XIV)".
57. E' un problema molto vivo anche oggi, forse ancor più radicalizzato dalla nuova e più potente ondata di secolarismo che porta all'esclusione o, quanto meno, all'emarginazione dell'esperienza di Dio nell'esistenzialmente irrilevante.
58. Capita, a volte, che delle istituzioni sociali, assistenziali, educative, ecc. si ritengano "religiose" perché hanno un locale riservato per la "cappella", o perché vi si programmano "momenti" religiosi, mentre poi sono pienamente conformate a strutture e regole di conduzione dettate dalla "mentalità di questo mondo".
59. G. DE LUCA, Don Orione. Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1963. p.35. Questo sacerdote colto, grande letterato ed esperto di spiritualità, ha lasciato dei meravigliosi appunti sulla personalità di Don Orione. "Pensavo che egli fosse uno dei molti che si danno alle opere, riuscendo nella Chiesa quel che nel mondo riescono i grandi impresari... così io pensavo sulle prime di Don Orione; se non che via via che a lui mi feci vicino scopersi che in lui la sua azione non era tutto; per quanto vastissima era il meno. Il più in lui era altro; ed era non soltanto il più, era il tutto. Dentro di lui viveva una vita segreta, ed era tutta la sua vita, e questa era una vita di amore; quell'amore che si è detto, il quale non conosce fine né confine perché non conosce fine né confine Iddio", p.86-87.
60. "Oggi è S. Benedetto, festa che ci ricorda l'ora et labora, il quale è un po', in sintesi, il nostro programma, il riassunto dello spirito della nostra piccola Congregazione" in Parola (21.3.1938) VIII, 215. Lo spirito di S. Benedetto è anche spirito della Congregazione: Ora et labora. Pregare e lavorare; lavorare molto e pregare ancor di più" in Parola (20.3.1939) X, p.124-126.
61. Cfr. DIVO BARSOTTI, Elogio della santità cristiana, Ed. Santi Quaranta, Treviso, 1990; alle pagine 121-138 dedica un interessante capitolo all'approfondimento di alcuni aspetti caratteristici della spiritualità di Don Orione. Spiegando l'affermazione sopra riportata, dice: "La sua vita non lo separa dagli uomini, non lo sottrae al mondo. Egli vive in un bisogno di solitudine, egli vive in un bisogno di silenzio, ma il silenzio e la solitudine rimangono solo interiori... In questa solitudine intima vive la sua unione con Dio... ed è in forza di questa sua unione che egli entra, è spinto nel mondo, vive fra gli uomini, opera per loro, è a loro servizio", p.129-130.
62. E' importante per noi orionini e per quanti condividono la spiritualità di Don Orione rispondere a questa domanda. Diversamente perderemo quella originalità, tanto ammirata nel fondatore, oppure oscilleremo, come tanto cristianesimo attuale, tra azione e contemplazione senza quella sintesi vitale, vera risposta al secolarismo già denunciato da Don Orione e oggi di proporzioni impressionanti.
63. Alcuni riferimenti bibliografici per uno studio della spiritualità di Don Orione: VACCARI A. Un apostolo della carità: Don Luigi Orione in La Civiltà Cattolica 91(1940), p.90-104; OLGIATI F. Don Orione in Vita e Pensiero 31(1940), p.147-155; Lo spirito di Don Orione, A cura di Don Carlo Sterpi, Emiliana Editrice, Venezia, 1941 (soprattutto l'Introduzione, p.9-30); Sacerdote Luigi Orione. Lettere scelte, A cura di Don Domenico Sparpaglione, Ed. Paravia, Torino, 1947 (soprattutto l'Introduzione, p.V-XXVIII); DE LUCA G. Don Orione. Profilo biografico; nove scritti commentati, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona, 1963; MONDRONE D. Don Luigi Orione. Divagazioni tra agiografi e pagine sparse in La Civiltà Cattolica 132(1981), p.138-151. Sono fondamentali gli approfondimenti di Don I.TERZI, tra i quali: Spiritualità orionina in Rivista di ascetica e mistica 23(1972). p.205-213; La spiritualità del beato Luigi Orione nella luce del rinnovamento post-conciliare in Vita consacrata 17(1981), p.283-297; La nostra fisionomia nella Chiesa. (Per un commento alle Costituzioni), Ed. Don Orione, Tortona, 1984. Sono da segnalare infine alcuni Quaderni della collana "Messaggi di Don Orione" quali: MOGNI P. Servire negli uomini il Figlio dell'uomo, n.22; FERRONATO E. L'inno della carità, n.23; TERZI I. Don Orione maestro e padre spirituale, n.58; BARSOTTI D. La spiritualità del beato Luigi Orione, n.59; GEMMA A. Don Orione: la carità fatta persona, n.65; BARSOTTI D. Fare di Cristo il cuore del mondo, n.75.
64. Testimonianza di Don A.Perduca, Ex processu, p.72.
65. DE CAUSSADE J.P. L'abbandono alla divina Provvidenza, Ed.Paoline, Roma, 1979, p.169.
66. Testimonianze di Mons. F. Cribellati e di Don A. Perduca, Ex processu, p.41 e 72.
67. Testimonianza di Frate Ave Maria, Ex processu, p.11.
68. Ex processu, p.102; cfr. anche Prof. D. Isola, p.276.
69. Testimonianza di Suor M. Stanislaa Bertolotti, Ex processu, p.270.
70. Lettere II, p.166. Cfr. la "Circolare sull'obbedienza" in Lettere II, p.153-175.
71. Al n.13 è detto che scopo della "prima probazione" e del Noviziato è far far sì che i vocati "riescano indifferenti ad ogni cosa di questo mondo, solleciti di un solo affare, cioè di santificarsi servendo Dio nella Chiesa e nel Papa, secondo l'ubbidienza per tutta la loro vita ed eziandio nella stessa morte".
Il Rosmini, illustrando la IV massima di perfezione "abbandonare totalmente se stesso nella Divina Provvidenza", spiega che ciò esige "essere disposto con eguale facilità e contento a mutare quando a lui si manifesti la divina volontà, o quella dei suoi superiori che tengono le veci di Dio, e il suo animo sarà sempre costituito e conservato in quell'aureo stato di indifferenza che raccomandava tanto sant'Ignazio", ROSMINI A. Massime di perfezione, Ed.Paoline, Roma, 1978. p.68-69.
72. Scritti 68, p.23. Al medesimo parroco, Don Attilio Caldana, personaggio di spicco della scena ecclesiale e sociale veneta, che probabilmente si era accorto di aver usato parole forti nei suoi confronti, Don Orione in altra occasione, da Messina, scrive: "Io penso che chi ha tanto patito e ami il Signore, si trovi nella impossibilità di avversare, e solo senta il bisogno di compatire e di amare, e di fare del bene nel silenzio. Tre o quattro anni fa (prima della sofferta esperienza messinese tra i terremotati, n.p.) la pensavo diversamente, e le sue cartoline mi avrebbero fatto un'impressione diversa da quella che mi hanno fatto oggi: oggi mi hanno fatto del bene, e le dico proprio che non ho pensato male", Scritti 72, p.145.
73. "L'esito delle nostre opere e della nostra santificazione dipende da questo; se noi sapremo rinunciare alla nostra volontà e farci sommessi al Superiore e avere un'anima sola con lui; se sapremo vincere ogni ripugnanza in contrario per amore di Dio, e pregare la Madonna SS.ma di aiutarci in questa santa vittoria di noi stessi. Oh, come l'obbedienza crescerà la carità, e come nella santa Carità crescerà l'Opera e la nostra perfezione", Scritti 81, p.122.
74. Scritti 55, p.13. "Tutto il segreto della spiritualità consiste nell'amare Dio e servirlo unendosi alla sua santa volontà": è il titolo del Cap. 10 del già citato Abbandono alla divina Provvidenza del DE CAUSSADE, un classico della teologia ascetica, p.168-182.
75. Frate Ave Maria, con la saggezza dei semplici, esprimeva questa esperienza così: "Parlando al Signore, anche se si incomincia col chiederGli quello che piace a noi, si conclude col preferire la Divina Volontà alla nostra", Epistolario III, p.136.
76. Lettere II, p.171.
77. Parola (10.1.1932) in Don Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, p.342 ss.
78. La scelta dei poveri più poveri, o.c., p.144-146.
79. Scritti 42, p.57-58. Va detto chiaramente che il 'tertium comparationis' nell'analogia dello straccio, è l'obbedienza, l'assoluta e libera disponibilità nelle mani di Dio, il quale si serve delle tante "mani umane" per guidare e chiamare a collaborazione il suo servo obbediente. Altri significati dello "straccio" (povertà, umiltà, adattamento, ecc.) sono importanti, ma derivati, complementari.
80. Parola (27.8.1937) VII, p.4-5.
81. Scritti 41. p.161.
82. Scritti 49, p.123.
83. E' un tema classico della teologia spirituale e dell'ascetica; cfr. C.A. BERNARD dedica un capitolo a I rapporti tra preghiera e azione nel suo trattato Teologia spirituale, Ed.Paoline, Roma, 1983, p.418-430.
84. Ex processu, p.540.
85. S. AGOSTINO, Trattato su Giovanni, 17, 7-9 in CCL 36, 174-175.
86. Lettera del 19.3.1923, Scritti 4, p.280.
87. In cammino con Don Orione, p.324. Anche i testi della Messa in onore del Beato Luigi Orione ricordano questa esperienza. L'orazione propria dice: "O Dio, che hai concesso al beato Luigi Orione, sacerdote, di amare Cristo tuo Figlio nella persona dei poveri..."; e il brano evangelico è quello dell'"avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero.. nudo.. malato.. carcerato: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 31-46).
88. Lettere II, p.330.
89. Il Cap.I delle Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenza fu scritto da Don Orione a Buenos Aires e inviato con lettera del 22 luglio 1936, Scritti 59, p.25-27. Uguali concetti, con diversa veste letteraria, sono presenti nel Cap.I delle Costituzioni delle Piccole Suore Missionarie della Carità, datato 12.9.1935, Scritti 18, p.147.
90. C.E.I. Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per gli anni '90, EDB, Bologna, 1990 (Documenti Chiese locali, n.6), n.9-10.
91. Lettera del 19.3.1923; Scritti, 4,280. Pensavo a queste espressioni semplici e vere del Fondatore nel leggere un discorso di Giovanni Paolo II in occasione del Convegno dell'Università Lateranense "La carità come ermeneutica teologica e metodologia pastorale" in AAS 79(1987), p.1215.
92. Alle Suore di S.Sebastiano Curone (19.6.1920), Scritti 39, p.80.
93. Lettera a Don Alessandro Chiwilovicz (Zdunska Wola), da Tortona 20.3.1928, Scritti 32, p.122-124.
94. Lettere II, p.397. "L'amore di Dio e dell'umanità non formano che una cosa sola", Scritti 14, p.340. "Il nostro cuore dev'essere un altare su cui arde il fuoco della carità e il fuoco che arde deve essere la nostra stessa vita: il fuoco dell'amore a Dio verso il Cielo, il fuoco dell'amore del prossimo verso i fratelli", Scritti 79, p.339.
95. Le più belle pagine di Don Orione, p.102. Il cristiano mostrerà la sua devozione a Dio se "professerà l'occupazione più continua, sicché non avvenga giammai di perdere né pur un briciolo di tempo, pensando spesso che il tempo è preziosissimo"; così A. ROSMINI nelle sue Massime di perfezione, o.c. p.76.
96. Tratto dalla lettera scritta da Buenos Aires, nel marzo 1936, giustamente conosciuta come l'"inno della carità", Lettere II, p.327 ss. "La carità comanda di non appartarci in una comoda bastevolezza, ma di sentire e avere compassione fattiva per i dolori e i bisogni degli altri, dai quali non dobbiamo riguardarci separati, mentre sono una sola cosa con noi in Cristo", Scritti 80, p.283. E' la visione mistica dell'altro, del prossimo ("sono una sola cosa con noi in Cristo") a muovere il cristiano all'incontro, alla "compassione"!
97. Scritti 80, p.281.
98. Epistolario IX, p.18.
99. E' tutta da leggere questa lettera del 4.4.1897! Lo spirito di Don Orione I, p.27-29.
100. Scritti 102, p.32.
101. Questo epiteto, caro all'agiografia orionina, ha suggerito anche il titolo della biografia di Don Orione scritta da A. Pronzato: Don Orione il folle di Dio, Gribaudi, Torino, 1980.
102. Cfr. sopra, in nota n.59, l'osservazione di Don G. De Luca.
103. In Acta Apostolicae Sedis LXXII (1980) p.1087-1088.
104. In cammino con Don Orione, p.325-326.
105. Scritti 80, p.280.
106. Lettera a Don Draghi e agli Eremiti di Sant'Alberto, 18 maggio 1923.
107. Lì, nella coscienza, l'uomo trova l'unità spirituale, per questo egli deve "mantenere un raccoglimento abituale dello spirito", Lettere II, p.521. Lì, l'uomo si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio - della cui voce la coscienza risuona - e con se stesso. "La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo" (Gaudium et spes 16).
108. Don Orione. La scelta dei poveri più poveri, o.c., p.144-146.
109. Don Orione nella luce di Maria II, p.775.