Relazione tenuta da Roberta Fossati al Convegno DON ORIONE E IL NOVECENTO, Pontificia Università Lateranense (Roma, 1-3- marzo 2002).
DON ORIONE E DONNE DEL NOVECENTO
Roberta Fossati
Roberta Fossati è laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici presso l’Università degli Studi di Urbino. Si occupa di storia dei movimenti di emancipazione femminile e di storia della cultura religiosa dell’età contemporanea. Sull’intreccio fra questi due temi ha pubblicato diversi studi, fra i quali il libro Elites femminili e nuovi modelli religiosi nell’Italia tra Otto e Novecento (1997); Alice Hallgarten Franchetti e le sue iniziative alla Montesca (1987-88); Protezione degli animali e coscienza religiosa (1991-92), Modernismo e questione femminile (2000). Ha approfondito anche i problemi metodologici relativi all’utilizzo delle fonti orali e delle fonti qualitative in generale negli “Women’s studies”. Ha scritto diverse voci dell’opera Il fascismo. Dizionario di storia, personaggi, cultura, economia, fonti e dibattito storiografico (1998). E’ socia fondatrice e membro del Direttivo della Società Italiana delle Storiche.
Vedi anche: DON ORIONE AND WOMEN OF THE TWENTIETH CENTURY e La donna cristiana in tre scritti di Don Orione.
1. Nel corso della sua vita, don Luigi Orione ebbe contatti e relazioni importanti sia con alcune protagoniste della cultura emancipazionista novecentesca, sia con figure femminili non di primo piano, ma comunque significative per lo scambio spirituale che avvenne e per la collaborazione che si instaurò nella concretezza delle opere benefiche. Il mio intervento si propone una ricognizione, quasi un censimento di questi nomi, soprattutto sul versante delle donne del laicato cattolico e di quelle non dichiaratamente cattoliche, ma comunque coinvolte da problematiche religiose.
A tal fine, mi è sembrato utile seguire una periodizzazione, che, pur semplificando, permetta di collegare nomi, relazioni e attività alle vicende storiche italiane della prima metà del Novecento.
Intenzionalmente, è rimasto escluso da questo mio studio tutto l’importante capitolo delle relazioni di Don Orione con le suore in genere e, in particolare, con le Piccole Suore Missionarie della Carità, la congregazione da lui fondata, perché già oggetto di altri approfonditi studi.
2. Si può identificare un primo periodo con l’azione svolta da don Orione all’indomani del terremoto calabro-siculo del dicembre 1908, quando egli si recò a Messina per prestare la sua opera a favore degli scampati. In un’atmosfera caratterizzata dalla grave emergenza, operavano associazioni filantropiche, prima fra tutte il Patronato Regina Elena, la cui filosofia politica improntata al laicismo appariva divergente rispetto all’azione caritativa connotata in senso cattolico. Come la lettura di alcuni documenti epistolari e memorialistici ha messo in luce, lì si realizzò una quasi inaspettata possibilità di collaborazione, in un profondo rispetto delle diversità di modi di intendere e vivere la fede cristiana, con la presidente del Patronato, Gabriella Spalletti Rasponi. Attraverso l’incontro fra don Orione e la contessa, favorito dalla fiducia riposta in loro, rispettivamente, dal mandato di papa Pio X e della regina Elena, fu possibile attuare iniziative di assistenza alle popolazioni colpite, soprattutto nella fascia più debole, quella dei bambini rimasti orfani. L’azione comune si rinnovò nel 1915 in seguito al terremoto di Avezzano; essa fu nutrita dalla fede nel primato della “carità” da parte di don Orione, da un lato, e dalla convinzione del primato del “bene morale” da parte della Spalletti Rasponi, già partecipe a Roma negli anni di fine Ottocento dei cenacoli interconfessionali dell’Unione per il bene italiana.
Nella ricostruzione di questo periodo si disegnano anche le iniziative di alcune giovani donne, appartenenti alle élites aristocratiche e borghesi che si prodigano a favore dei terremotati, compiendo così il loro tirocinio nell’azione sociale. Molti nomi incominciano ad essere noti alla storia delle donne del primo Novecento. I documenti dell’Archivio di don Orione permettono di ampliare il quadro storiografico esistente e di mettere a fuoco altri nomi e volti, per esempio quello delle sorelle Gina e Bice Tincani, inserite nel gruppo delle Unione donne cattoliche italiane e responsabili della formazione catechistica degli orfani. Legate dall’affetto e dalla solidarietà cristiana ad un’altra sorella, all’epoca già in convento a Vigevano come suora domenicana, la seguiranno nella vocazione religiosa negli anni seguenti.
3. Il secondo periodo di fondamentale interesse riguarda gli anni della Prima guerra mondiale, quando, in un’altra ben più estesa e tragica emergenza, gli interventi assistenziali di don Orione si diressero verso coloro che il conflitto aveva reso ancora più poveri, primi fra tutti i bambini, in particolare gli orfani, e le donne che, come è noto dalla storiografia di ogni guerra, sono destinate, nelle situazioni generalmente precarie, a reggere le sorti della vita quotidiana, garantendo un minimo di normalità.
In altri modi, lo sforzo bellico e la crisi, specialmente dopo la rotta di Caporetto, coinvolse anche le élites del nostro Paese, fino ai suoi vertici militari. In questo senso, risulta esemplare la lettura del carteggio fra la contessina Carla Cadorna, figlia del generale Luigi Cadorna, e don Orione, che apre alcuni squarci riguardo al discusso ruolo del padre nella conduzione della guerra, e che tocca l’altalenante vicenda della crisi psichica ed esistenziale che ebbe come protagonista nel 1916 il barnabita padre Giovanni Semeria, cappellano al Comando supremo. Negli anni della guerra, inoltre, ebbero una certa consistenza le vicendevoli richieste di aiuti, mediazioni, collaborazioni fra don Orione e la contessina Cadorna, attiva nell’istituzione dei Laboratori Femminili Romani per l’Assistenza civile durante la guerra.
4. Un’attenzione specifica meriterebbero i documenti del travagliato dopoguerra, fra i quali uno scritto sul femminismo cattolico e il noto “proclama alle lavoratrici delle risaie” apparso sul periodico “La Val Staffora” del 18 maggio 1919, in cui don Orione mostra insieme al suo forte senso di appartenenza alla Chiesa cattolica, una coraggiosa apertura alle istanze proprie del cattolicesimo sociale e del lavoro femminile operaio.
5. Risulta forse più complessa e richiede maggiori cautele la ricerca che concerne relazioni ed attività nel ventennio del regime fascista nel nostro Paese; fra l’altro, per quanto riguarda in generale la storia delle donne e della cultura femminile, gli studi appaiono tuttora meno consistenti rispetto a quelli sull’età giolittiana. Riguardo a questo periodo, sono da tener presenti, inoltre, due prolungate assenze di don Orione dall’Italia. Egli è oltreoceano, in effetti, nel 1921-22 e nel 1934-37.
Lavorando su questi anni, poi, ci si imbatte nella ricostruzione di alcune biografie femminili della generazione che, giovanissima verso la fine dell’Ottocento, percorre in molti casi tutta la prima metà del Novecento. Fra queste possiamo ricordare i nomi di Adele Costa-Gnocchi, Adelaide Coari, Maria di Campello, Teresita Friedmann-Coduri e, non ultima, Ada Negri.
6. La biografia della maestra e pedagogista Adele Costa-Gnocchi, che rielaborò i principi montessoriani nell’ambito della formazione religiosa infantile, apre più direzioni di ricerca. Don Orione e la Costa-Gnocchi si ritrovarono nell’azione concreta in favore dell’inserimento sociale di numerosi ragazzini in difficoltà: in questo campo la pedagogista fu attiva nell’operare le necessarie mediazioni con alcune aristocratiche italiane dedite alla filantropia. In questi decenni che videro casi di lacerazioni spirituali e culturali dovute agli strascichi drammatici della crisi modernista d’inizio secolo, la Costa-Gnocchi tentò anche di ritessere i legami di affetti e di fede che si erano spezzati fra Ernesto Buonaiuti e la Chiesa di Roma, sostenuta in questa azione dal prete umbro don Brizio Casciola e da don Orione.
7. Ma il caso più ricco e documentato resta probabilmente quello di Adelaide Coari, maestra e pedagogista, che si sentì e si proclamò sempre del tutto cattolica e pienamente “emancipazionista”. Il primo incontro con don Orione avvenne nel 1911, in un momento di crisi spirituale per la maestra milanese; l’amicizia e la stima si rinforzarono nel periodo dell’assistenza ai militari e alle popolazioni durante la Grande guerra. E’ noto che risulta centrale nella biografia della Coari, oltre al periodo di “Pensiero e Azione” e della sua partecipazione al Fascio femminile democratico-cristiano dei primi del secolo, la sua attività nel “Cenacolo di Lentate” (dal 1925) e nel “Gruppo d’Azione per le Scuole del Popolo” (dal 1926), esperienze che vennero bruscamente interrotte per ordine del partito fascista nel 1934 e il cui studio rimanda a quello dei rapporti fra gruppi e associazioni cattoliche da un lato e regime mussoliniano dall’altro, dopo la Conciliazione del 1929.
La Coari prestò la sua testimonianza al processo di beatificazione di don Orione: questi documenti, insieme a numerosi altri di tipo autobiografico (lettere, diari, memorie) solo in parte editi, ci parlano delle diverse occasioni di incontro e di scambio con don Orione, fino alla nascita di veri progetti di lavoro comune. Alla Coari fu più volte affidata la delicata gestione di alcune opere orionine. Entrambi proseguirono in quegli anni nell’azione sociale sorretta da un’aperta manifestazione della fede, venendo infine in qualche modo a patti con il fascismo, probabilmente per poter proseguire nel loro lavoro, ma con una diffidenza di fondo, un senso critico mai spento, verso le sue pretese di costituire un orizzonte egemonico e totalizzante.
8. C’è poi un capitolo che riguarda le numerose figure femminili di benefattrici e beneficate, che ci rivelano l’esistenza di un’intensa corrente di empatia, fiducia, generosità, ricerca del senso autentico della “carità” che scorreva in entrambe le direzioni. Fra i tanti nomi di benefattrici che i documenti archivistici conservano, ricordiamo qui, per esempio, quello di Angela Solari vedova Queirolo, “la più grande benefattrice del Cottolengo genovese”, con la quale don Orione rimase in contatto epistolare anche durante i periodi trascorsi oltreoceano.
Risalta invece nel caso di Maria Gambaro, appartenente ad una nobile famiglia di benefattori, sempre genovesi, la sensibilità di don Orione agli aspetti personali, già messa in luce dai suoi biografi, che lo descrivono attento e generoso su questo piano. Solitudine, depressione, difficoltà soggettive e familiari nel percorso di una vita femminile che stenta a trovare la sua strada in una vocazione certa, trovano accoglienza in don Orione, che non le nega, non le sottovaluta, proponendole però di trasfigurarle in una prospettiva di fede.
9. Buona parte delle figure femminili fin qui citate rientrano in quel vasto quadro di attivismo, di generosa dedizione al lavoro sociale, soprattutto assistenziale e pedagogico, che caratterizzò a partire dall’età giolittiana la cultura femminile italiana; sia nelle sue componenti dichiaratamente laiche sia in quelle del “femminismo cristiano”, esse si mostravano tese alla ricerca di una precisazione dei diritti e dei doveri che avrebbero dovuto formare la “donna nuova”.
Mi sembra dunque che don Orione potesse ben incontrarsi con questi propositi di azione sociale attenta alle necessità dei più poveri e deprivati. Ma egli manifestò un’altra, forte esigenza spirituale, che esiste sempre, anche in periodi di grande attivismo, in alcune personalità particolari: infatti, come è noto, egli additò la possibilità ad alcuni fra quelli (e quelle) che percorsero un cammino al suo fianco, di una via “mistica”, addirittura eremitica.
10. Forse in questa chiave può essere letto l’aiuto, prudente ma generoso, che egli accettò di dare all’esperienza di “Maria Minore”, al secolo Valeria Pignetti, fondatrice nel 1926 del discusso Eremo di Campello in Umbria ed amica e grande estimatrice di Ernesto Buonaiuti. La storia di questa complessa relazione è stata illuminata dalla recente pubblicazione del carteggio. Colpisce come, nonostante alcune profonde affinità spirituali, la mediazione e il sostegno che don Orione offrì, più volte sollecitato da Maria, per il proseguimento sereno dell’esperienza dell’Eremo di Campello non abolisse nei due interlocutori la consapevolezza delle differenze, delle distanze, ma come fosse viva in tutti e due la convinzione che la radice capace di salvare ogni rapporto umano si trovi alla fine soltanto, come entrambi amavano ripetere, “in Domino”.
11. Si potrebbe allargare il discorso all’attenzione che don Orione ebbe per i “lontani” e, potremmo dire, le “lontane” dalla vita attiva nella Chiesa, come per esempio la poetessa Ada Negri: lo stanno a testimoniare alcune lettere di quest’ultima e gli appunti della Coari. Documenti che, inoltre, dal punto di vista della ricostruzione della storia delle donne, contribuiscono a confermare l’effettiva esistenza di una fitta rete di relazioni che unì molte protagoniste dell’emancipazionismo di primo Novecento, prolungandosi, in altri contesti e con altri sfondi, nei decenni successivi, durante i quali alcune vissero nella fede cattolica e all’interno della sua pratica, altre proseguirono in modi più individuali la loro ricerca religiosa. Emblematici, in questo senso, sono i nomi di Teresita Friedmann-Coduri, presente ad inizio secolo nell’Unione per il bene e collaboratrice della rivista milanese “In Cammino”, o di Angiolina Dotti, una delle fondatrici della già citata rivista “Pensiero e Azione”, che si rivela orientata, nella sua vecchiaia, verso il protestantesimo.
12. Si è qui parlato delle donne, appartenenti a svariate classi sociali, con le quali don Orione ebbe i suoi rapporti più profondi e significativi. Un capitolo a parte, cui dedico questo breve cenno, potrebbe riguardare il tema della presenza della madre Carolina Feltri nella sua infanzia e nella sua vita in generale. Vorrei solo non dimenticare, come le biografie a lui dedicate hanno messo in luce, che egli crebbe in una famiglia povera e che, non a caso, nelle sue numerosissime iniziative, fu esemplare nel saper utilizzare anche scarse risorse per ottenerne il massimo benessere per gli altri, a partire dai più deprivati; fu capace, in altre parole, di realizzare così quel “lavoro di cura” che la sociologia contemporanea considera una delle migliori capacità femminili e che, effettivamente, non può che essere trasmesso per “via materna”.