“Ogni giorno qualche mattone per un mondo più buono”.
Fu allievo di Don Orione, valoroso medico, un vero galantuomo
Il Dott. Giuseppe Cebrelli è uno dei personaggi più noti alla gente di Tortona che abbia solo 30 anni, perché lo vide visitare i suoi malati per oltre un cinquantennio. Sapeva usare finemente sia lo steptoscopio per auscultare il corpo e sia l’orecchio del cuore per capire le pene dell'anima. Lasciava sui suoi passi ricette e buone parole.
Era nato il 12 giugno 1909 ed incontrò Don Orione da ragazzo. Il Beato tortonese si recava spesso al suo paese natale, Casalnoceto, e lui, chierichetto di 7-8, gli serviva Messa e lo vedeva celebrare le varie funzioni. Lo ricordava al santuarietto della “Fogliata” predicare con fervore alla gente che numerosa accorreva dai paesi limitrofi per ascoltare quella sua voce penetrante ed aggressiva (‘sgreusa’, dicevano quelli del paese).
Il padre pensò di far studiare Giuseppe a Tortona. “Allora vado con Don Orione”, disse subito preferendo il collegio “Paterno” alle altre scuole. “Fissato il mensile: 42 lire senza latte al mattino, (il latte avrebbe comportato un supplemento di 5 lire)”, il 10 ottobre 1919 entrai in collegio”, ricordava con ilare precisione il Dott. Cebrelli. “La diversa colazione divideva i collegiali in due categorie: 'i‘suplòn' ’quelli che mangiavano la zuppa) e ‘i lacè’ (quelli che mangiavano latte) che nelle varie attività ginnico-sportive si contendevano il primato quasi a voler dimostrare quale delle due fosse la miglior fonte energetica” (Messaggi di Don Orione, n.44).
Gli anni trascorsi vicino a Don Orione – è ovvio dirlo – furono determinanti ed indimenticabili. Nelle varie occasioni di festa e negli incontri degli Ex allievi, il ricordarli era il pezzo forte ed atteso del Dott. Cebrelli.
Con Don Orione trascorse tutto il tempo della scuola tecnica. Serbava il ricordo della sua incontenibile gioia quando il Fondatore lo invitò e accompagnò a Venezia e a Roma. Vita austera, studio serio… e tanta allegria, tante iniziative: il gioco, il teatro, le feste. “Anch’io ho fatto parte della Banda del Paterno, ero la seconda cornetta; la prima era Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio Silone”.
Ultimata la scuola tecnica con buon profitto, Don Orione volle che egli continuasse gli studi. “Non abbiamo soldi!”, chiuse l’argomento il padre. “Ci penso io!”, tagliò corto Don Orione. E lo inviò con i suoi chierici a Villa Moffa di Bra. Poi proseguì il liceo al Collegio Militare di Roma, l’università all’Almo Collegio Borromeo di Pavia.
Don Orione lo seguiva passo dopo passo, contento. Divenne il suo punto di riferimento di fede, di valori, di progetti. “Ho portato con me, sempre, e tuttora continuo a portare, la sua immagine e la sua reliquia”, testimoniò il Dott. Cebrelli. “L’ho portata nei deserti d’Africa, sulle Alpi, in Albania, in Grecia e in Russia con la Divisione Julia, in Jugoslavia… Ho recitato le sue preghiere, mi sono sempre sentito protetto”. Giuseppe Cebrelli partì, infatti, per la leva nel 1934 e fu congedato a guerra finita, nel 1945. Anche la moglie, Fernanda Presutti, la incontrò mentre era in servizio come Capitano-medico ad Asmara, in Eritrea, colonia italiana. Si sposarono il 3 marzo 1938. Ebbero due figli. Tornato in Italia, il Dott. Cebrelli finalmente poté esercitare la sua professione in condizioni più normali, a Tortona.
Sempre affezionato a Don Orione, divenne il terzo Presidente nazionale dell'Associazione Ex Allievi Don Orione (dal 1956 al 1968). Ad una riunione della Associazione, nel 1981, ricordando il papà, muratore, fiero di aver lavorato per la costruzione delle ardite volte del santuario della Madonna della Guardia di Tortona, commentò: "Noi non riusciremo a realizzare delle 'volte', ma almeno un mattone portiamolo sempre per costruire un mondo più buono, più giusto".
Spese generosamente la sua competenza professionale e la sua ricchezza d’animo prestando servizio medico nell’interminabile pellegrinaggio di casa in casa, ogni giorno. Da anziano, in pensione, volle continuare fedelmente almeno il giro delle case di Don Orione del circondario tortonese. I bambini del Piccolo Cottolengo e di Villa Caritas, i sacerdoti del Paterno e del Santuario, le Suore di Casa Madre e le Sacramentine, i "buoni figli" della Calvina: per tutti aveva sempre, oltre che una ricetta da scrivere, anche una parola di incoraggiamento ed un sorriso amico.
Era uomo di poche parole, riservato ma di grande umanità, fedele e cordiale nei rapporti personali. Assieme al gusto del bene, coltivava anche quello del bello; scriveva e a volte recitava, come complemento di affetti e di pensieri dalle radici profonde, le sue poesie in dialetto di Casalnoceto.
Alla “Calvina”, nell'aprile 1986, già molto segnato dalla malattia, partecipò alla festa di Sant'Innocenzo, patrono di quella casa. Durante il pranzo gli chiesero di dire qualche parola ai convenuti. Si commosse e commosse tutti. Poi spiegò: "Cosa volete... mi sento in famiglia con quella brava gente, li conosco a uno a uno; quei bravi 'ragazzi', mi vogliono bene...".
Morì nel pomeriggio del 11 novembre 1986, all'ospedale di Tortona, dopo alcuni mesi di dolorosa malattia.
Una bella figura, il Dottor Cebrelli, con quel suo senso del dovere privo di ostentazioni, fattivo e sereno; generoso come se ciò fosse naturale, sapendo che il bene paga sempre e per se stesso. Era quasi un abitudinario del bene. E qualcuno glielo rimproverava anche. Ma non si spostava di un “et”: “L’abitudinarietà ai buoni sentimenti non può mai risolversi in insensibilità. Quando qualcuno potrà dimostrarmi che l’abitudine al cibo rappresenta una inutile attività per la vita, solo allora potrò pensare che l’abitudine al bene possa rappresentare la morte dello spirito”.