DON ORIONE E IL CARD. SCHUSTER:
DUE SANTI ALLE ORIGINI DEL PICCOLO COTTOLENGO MILANESE
Flavio Peloso
Davvero “milanese”
Piccolo Cottolengo Milanese. L’aggettivo “milanese”, che il beato Don Luigi Orione volle fin dagli inizi nel nome dell’istituzione di carità che andava sviluppandosi al Restocco, nella campagna fuori Milano, è proprio un qualificativo di quell’opera, nel senso che sorse per l’interessamento e amore fattivo di tanti illustri amici e benefattori milanesi, legata al tessuto sociale ed ecclesiale della Città.
Compie 70 anni il Piccolo Cottolengo Milanese. La ricorrenza di una tappa di vita così importante richiama alla memoria i protagonisti. Questo ricordo si fa preghiera, innanzitutto, perché, come affermava Don Orione, “Il Piccolo Cottolengo è opera della Divina Provvidenza e si basa tutto sulla fede e confidenza in Dio, nostro celeste Padre”. Poi il pensiero va ai protagonisti umani: “Una vera gara di carità si è accesa intorno al nascente Piccolo Cottolengo Milanese – scriveva Don Orione in una lettera del 7 dicembre 1939 -. Da vicino e da lontano, fin dai primissimi giorni, ci è venuto incontro l’aiuto dei buoni Ambrosiani: da chi non ci conosceva, da ricchi e da poveri lavoratori, da bimbi che hanno fatto sacrificio dei loro balocchi e offerto i loro risparmi, da malati di Ospedali, con spontanee sottoscrizioni: soccorsi in denaro, soccorsi in generi d’ogni specie: pane, riso, zucchero, verdure: offerte di carta, mobili vecchi, legna, carbone... E il miracolo, iniziatosi in quel lontano Novembre 1932, andò via via crescendo, e apparve più manifesto ogni qual volta la porta del Piccolo Cottolengo si aprì ad accogliere un povero fratello infelice”.
Per dire quanto sia “Milanese” il Piccolo Cottolengo, basterebbe scorrere la lista – certo ben più ristretta e superficiale di quella tenuta dal buon Dio nel registro del “Lo avete fatto a me” – di quanti si sono fatti strumenti della Divina Provvidenza in questi 70 anni. Vi troviamo i nomi degli Arcivescovi succedutisi nella diocesi ambrosiana dagli anni ’30 ad oggi, con i cardinali Schuster e Montini in primis, e poi Benedetto Galbiati, che segnalò a Don Orione la possibilità di acquistare il Restocco, Carlo Gnocchi, Armida Barelli, l’On. Stefano Cavazzoni, fondatore degli “Amici di Don Orione”, l’architetto Mario Bacciocchi, che progettò il grande complesso edilizio, l’ing. Giuseppe Casolo, i fratelli Gina e Giannino Bassetti, Gian Giacomo e Tomaso Gallarati Scotti, il dott. Pasquale Pozzi, la contessa Antonia Caccia Dominioni, donna Lina Cajrati Crivelli, donna Camilla Sassi, solo per citare alcuni nomi che più facilmente hanno attirato l’attenzione del cronografo. E poi vanno ricordati gli umili, laboriosi e pii orionini, dal venerabile Don Carlo Sterpi, a Don Fausto Capelli, a Don Giuseppe Zambarbieri, a Suor Maria Croce, solo per menzionarne alcuni più noti ed emblematici.
Leggendo le memorie di questa istituzione milanese ho tratto una constatazione: il Piccolo Cottolengo Milanese è nato dall’intesa e dalla collaborazione di due santi, riconosciuti tali già in vita dal sensus fidelium e proclamati ufficialmente Beati dalla Chiesa in tempi recenti: Don Luigi Orione e l’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster. A questi due si limiterà il presente ricordo.
«Guardi, io domando semplicemente la Sua benedizione».
“Venne da me Don Orione, domandando il permesso di edificare una casa, ed io ragionavo con la mia testa:
«Ma don Orione e i soldi? Lei ne ha pochi e io niente. Come faremo? Lei finirà col fare dei debiti e dopo non saprà come pagarli; succederà qualche scandalo per Milano».
«Guardi, io domando semplicemente la Sua benedizione e il permesso di incominciare quest’opera».
Era tanta la venerazione che sentivo per Don Orione che dissi: «Faccia pure».
Non erano passati cinque o sei mesi, ritornò bel bello sorridendo:
«Il terreno l’ho comperato».
Istintivamente mi misi le mani nei capelli: «Oh, Don Orione, come facciamo?».
«Il terreno è già tutto pagato».
L’edificio si è innalzato, edificio della Fede ed edificio della Carità”.
Questo apologo degli inizi del Piccolo Cottolengo Milanese sembra scritto ad arte oppure come fioretto agiografico. E’ invece il racconto a viva voce del Cardinale Schuster di quanto gli era capitato nel novembre del 1932. Un episodio che, per la sua estrema semplicità e straordinarietà, egli non dimenticò più.
Dopo quel primo incontro tra Don Orione e l’Arcivescovo, il Piccolo Cottolengo iniziò a crescere. Il 4 novembre 1933, arrivarono al “Restocco”, un vecchio convento abbandonato, Don Sterpi e 4 Suore, con Suor Maria Croce come superiora, destinate ad assistere quanti la Divina Provvidenza avrebbe affidato alle loro cure. Il 21 novembre successivo, Don Orione stesso accettò la prima assistita: “Deo gratias! Nel nome santo della Divina Provvidenza e del Beato Cottolengo, invocata Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra, oggi accetto Gamella Rosa Carlotta in Zanchetta, nata a Novi Ligure il 7 settembre 1888, e con questa povera malata, resa muta dalla paralisi progressiva, dò principio al Piccolo Cottolengo di Milano. Prego che sia subito accolta con ogni carità, appena si presenterà. Chiedo al Signore di confermare con la sua benedizione questo umile inizio. Pregate per me. Sac. Luigi Orione”.
Nella primavera del 1936, il Cardinale Schuster vedeva per la prima volta il nascente Piccolo Cottolengo durante la sua visita pastorale. Avendone constatato i primi sviluppi, se ne congratulava con Don Orione – allora lontano dall’Italia, in visita alle sue Case dell’America Latina – perché “andava ingrandendosi con la visibile protezione della Provvidenza di Dio”.
Di quest’epoca è anche uno scambio epistolare dei due Beati degno d’essere ricordato. Il card. Schuster ammoniva Don Orione, in tono faceto, a guardarsi bene dall’oro americano e di non tornare in patria ricco, se gli premeva conservare la sua amicizia. Don Orione commentò: “Mesi fa l’Arcivescovo di Milano, Emin.mo Card. Schuster, dopo aver visitato il "Piccolo Cottolengo Milanese", disse al nostro Don Sterpi: Scriva a Don Orione che se tornerà dall'America con del denaro, non lo riconoscerò più per Don Orione. Quando m'è giunta la commissione, ho passato un bel quarto d'ora d'ilarità, poiché proprio in quel momento, ero anche senza scarpe, obbligato a non poter uscire di camera. Nel ringraziare il venerato Eminentissimo, ho potuto tranquillizzarlo dicendogli che, se dall' Italia qualche anima buona non penserà a pagarmi il viaggio, non so se e quando potrò ritornare.
1938: la nuova costruzione
Don Orione tornò in Italia nell’agosto 1937 e, nel dicembre seguente, il senatore Cavazzoni gli organizzò un incontro con gli Amici del Piccolo Cottolengo all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Don Orione aveva annunciato che avrebbe detto solo qualche parola di ringraziamento ma, quando si trovò davanti l’aula magna dell’Università gremita di attenti uditori, gli uscì d’impeto dall’animo uno splendido e commovente inno alla carità cristiana. All’uscita dall’aula tutti volevano avvicinarlo, dargli la mano, toccarlo. Sarebbe stato sommerso dalla ressa senza la protezione di uomini robusti. Quella memorabile conferenza rivelò ai milanesi il grande cuore di Don Orione, vero uomo di Dio.
Il Piccolo Cottolengo si era sviluppato nell’edificio vecchio e intanto si progettava la costruzione di quello nuovo, disegnato dall’ing. Mario Bacciocchi. Il 7 dicembre 1938, il card. Schuster presiedette la cerimonia della posa della pietra fondamentale di un nuovo padiglione. “Malgrado nella solennità di S. Ambrogio – scrisse Don Orione al comm. Pozzi -, egli abbia la mattina il pontificale in S. Ambrogio, e nel pomeriggio la funzione in Duomo, ha mostrato vivo piacere che detta cerimonia della benedizione e posa della I pietra si compia nel giorno stesso del grande Vescovo di Milano, alle ore 14, felicissimo di farla lui”.
Legato a questo evento gioioso, ci fu un retroscena doloroso che mostra lo stampo spirituale di Don Orione. A Milano, era sorta una “bega” per cui non si voleva fosse dato il titolo "Piccolo Cottolengo" a quell’istituzione benefica. Gli argomenti erano speciosi, ma tant’è la cosa era andata avanti. Ebbene, “al termine della cerimonia, quando tutti furono partiti, noi attendemmo Don Orione per salutarlo – racconta il senatore Cavazzoni - ed egli, che aveva accompagnato all'automobile il Cardinale, tornò triste in viso, e quando fummo soli con lui, ci disse: «Bisogna levare la dicitura "Piccolo Cottolengo Milanese" che è scritta esteriormente. S.E. me ne ha pregato, perché quel nome dà fastidio a troppa gente». «Ma parliamone con calma col Cardinale. Cambiare nome è come ripiegare la bandiera, è come subire una sconfitta. Quel nome è legittimo da Lui approvato, è ormai noto a tutta Milano». «No, no! - insiste Don Orione - levate quel nome. I desideri del Vescovo per me sono ordini». E prima della sua partenza, uno striscione copriva all'esterno quel nome già tanto caro ai milanesi”.
Questo era Don Orione: la carità, ma ancor prima vale la comunione ecclesiale. C’è da dire anche che poi, Don Orione volle conoscere direttamente il pensiero del Cardinale perché “solo con la benedizione di Vostra Eminenza, questo chicco evangelico potrà, seminato dalla Divina Provvidenza, svilupparsi sempre di più a gloria di Dio e a salvezza delle anime di tanta povera gente reietta”. Giunse, liberatorio, uno scritto del card. Schuster: “Caro Don Orione, (…) Stia tranquillo e non se ne turbi. Nessuna opera milanese ha preso il nome di Piccolo Cottolengo né quindi alcuno può muoverne querela, che se, dietro l’innocuo nome fosse questione della cosa, bisogna rispondere che la Provvidenza è immensa. Continui pure la Sua opera”.
“La c’è la Provvidenza!”
E’ conservato un Diario del Piccolo Cottolengo, in gran parte pubblicato nel bel volume “La c’è la Provvidenza” (Milano, 1964), testimone della vita di quei primi inizi, quando si toccava con mano la Provvidenza di Dio e il buon cuore dei milanesi, quando in quel mondo del Piccolo Cottolengo si viveva la semplice ed eroica carità fraterna dei primi tempi della Chiesa.
Don Orione, sensibilissimo agli atti di benevolenza che si andavano moltiplicando in favore dei suoi poveri, non si faceva vincere in generosità. Spesso ridava in elemosina, a chi ricorreva a lui per aiuto, ciò che riceveva in beneficenza. Ci fu qualcuno che, meravigliato di questo sistema, a lui quasi abituale, osò osservagli: “Ma, Don Orione, come si farà a costruire il nuovo fabbricato se Lei ridistribuisce le offerte man mano che le riceve?”. “Avete ragione – rispondeva il nostro Padre – ma come si fa a parlare di carità e poi dire di no – con una scusa qualunque – a chi ne ha bisogno? Come si fa a organizzare la carità per il domani, quando non la si pratica oggi, subito, con chi si trova in urgente necessità?”.
Mons. Giuseppe Del Corno per tutta la vita non cessò di ricordare quanto capitò a lui, giovane sacerdote, incaricato dal card. Schuster di costruire una nuova chiesa nella periferia di Milano. Trovandosi in gravi difficoltà finanziarie, nel maggio 1939, si rivolse a Don Orione, che lo animò: «Bisogna blindare la periferia di Milano di chiese, ma bisogna anche che accanto ad ognuna di esse sorgano opere di assistenza religiosa e sociale». E se ne partì con un prestito finanziario molto sostanzioso, preso da un fondo che il Fondatore teneva di riserva per le emergenze della sua Congregazione. Il card. Schuster, prima in angustia per quella chiesa, venne a sapere della faccenda e tornò a incoraggiare Don Del Corno, raccomandandogli però di restituire quanto prima la somma a Don Orione, “perché Don Orione deve provvedere al mantenimento di tanti poveri”. Sulla tavola gratulatoria dei benefattori posta nella chiesa di San Giuseppe dei Morienti, il nome di Don Orione spicca al primo posto.
La prudenza di governo che contraddistinse il card. Schuster non gli impedì di riconoscere la solidità della fede e del progetto di Don Orione. Il 17 gennaio 1940, il giovane segretario di Don Orione, Giuseppe Zambarbieri, ancora laico e, in futuro, sacerdote, direttore del Piccolo Cottolengo e direttore generale della Congregazione, da Tortona fu mandato da Don Orione a portare all’Arcivescovo la pubblicazione che illustrava il progetto delle nuove costruzioni per gli sviluppi del Piccolo Cottolengo Milanese; vi era anche una lettera in cui Don Orione rassicurava il Cardinale che non si sarebbe costruito se non per quel tanto che la Provvidenza avrebbe mandato.
“Ricordo che ero salito in Arcivescovado poco prima di mezzogiorno, con una certa apprensione – racconta Don Zambarbieri -. Non erano sopiti i contrasti sul nome di “Piccolo Cottolengo” e poteva venirne ancora difficoltà. Pensavo alla pena che ne avrebbe avuto Don Orione, con la salute già così compromessa. Da piazza Duomo mi ero portato al Piccolo Cottolengo; con sorpresa ricevetti nel primo pomeriggio una telefonata da Mons. Terraneo, che mi pregava di ripassare da lui. Sono andato subito e lo stupore crebbe quando mi vidi consegnare dal Segretario del Cardinale lo stesso opuscolo che avevo portato poco prima. Sul frontespizio, con uno di quegli impulsi generosi che gli erano propri, l’Arcivescovo aveva scritto di suo pugno una benedizione, con parole profetiche: «La Divina Provvidenza suole edificarsi da sé la casa, senza calcoli burocratici di provvidenze umane. Io, umile vescovo e ministro di Cristo, non posso fare altro che considerare, ammirare e finalmente benedire. È il voto che rinnovo per il nascente Istituto, ripetendo quel del vecchio Patriarca: “Crescere te faciat Deus meus, et donet tibi de rore caeli benedictionem”». La sera stessa ero a Tortona da Don Orione, che lesse, tanto confortato, poi si pose in ginocchio e baciò quelle righe del santo Cardinale, dicendomi: «Vedi: questo è il fine della nostra Congregazione: dare conforto al Papa e ai Vescovi»”.
Dopo la morte di Don Orione
Già da qualche tempo Don Orione soffriva per ripetuti attacchi di “angina pectoris”. Il declino delle sue forze era evidente. Fu per l’ultima volta al Piccolo Cottolengo di Milano il 6 febbraio 1940, accompagnato da Giuseppe Zambarbieri. Don Orione era cosciente della sua prossima fine e volle licenziarsi dai più cari amici milanesi. La prima visita di commiato la fece al Card. Schuster. L’Arcivescovo di Milano comprese che si trattava di una visita tutta speciale: la ricorderà spesso in seguito, con accenti di nostalgia e di ammirazione. Andò poi a confortare alcuni malati che avevano espressamente richiesto la sua benedizione. Prima di lasciare per sempre Milano, desiderò rivedere il Sen. Cavazzoni; lo invitò a pranzo, si trattenne con lui con straordinaria affabilità e tenerezza, e poi l’abbracciò dicendogli: “Le affido i miei poveri della Casa di Milano”.
Un mese dopo, nella notte del 12 marzo 1940, Don Orione moriva a Sanremo. Il card. Schuster, avendo saputo della morte del Fondatore, la stessa mattina del 13 marzo 1940, scrisse a i suoi Figli nel dolore una bellissima lettera: «Miei cari figli, mi giunge pur ora la triste notizia che il vostro buon Padre non è più! Dio se l’è preso con sé, e lo ha sottratto alla tristezza dei nostri tempi! A noi resta il ricordo della sua vita umile e mite, prudente e zelante, piena di dedizione a Dio ed alla Chiesa, austera per sé e benigna verso gli altri. Abbiamo perduto Don Orione in terra, ma lo abbiamo guadagnato in Cielo. Fatevi animo, miei cari figli. Riponete ogni vostra fiducia nel Signore, e continuate le sante tradizioni del Padre vostro, che dal Cielo veglia su di voi e vi protegge. Continuate con Fede l’opera sua. Dio ci benedica tutti».
Il Cardinale si unì poi al moto di devozione e di affetto di quanti vollero che la salma di Don Orione venisse trasportata a Milano. Alla sera del 16 marzo, fu a ricevere il venerato corpo del “padre dei poveri, insigne benefattore dell’umanità dolorante e abbandonata” (Pio XII), che rimase esposto tutta la notte nella basilica di Santo Stefano con enorme concorso di folla. Impressionato da tale spettacolo prodotto dalla santità, qualche anno più tardi, parlando ai giovani chierici del seminario, ricorderà quei funerali. “Voi desiderate un ricordo da me – disse ai seminaristi-. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo, vivo o morto passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di Don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi: ha paura, invece, della nostra santità".
Morto il Fondatore, il card. Schuster continuò a voler bene a Don Orione e al suo Piccolo Cottolengo Milanese. Venne personalmente a inaugurare i nuovi padiglioni sorti successivamente, fu lui a benedire la nuova chiesa che Don Orione volle dedicata a San Benedetto, in omaggio al suo grande amico “benedettino”. L’Arcivescovo si fece sempre più familiare al Piccolo Cottolengo. “Furono molte le sue vite spontanee e quasi all’improvviso – ricorda il direttore di allora Don Fausto Cappelli -, specialmente nel giorno anniversario della morte di Don Orione o alla festa di San Benedetto che corrispondeva anche alla data di inizio del Piccolo Cottolengo; veniva volentieri a impartire la S. Cresima alle bambine malate e godeva commosso delle loro amabili accoglienze; non di rado saliva fino al quarto piano a confortare le ammalate e le degenti croniche. E all’indomani di ogni visita, faceva chiamare in Arcivescovado a ritirare la busta dell’offerta per il pane, per il riscaldamento e per i vari bisogni della Casa. E, alle feste, mandava anche il panettone!”.
Il beato card. Schuster lasciò un segno inequivocabile della sua amicizia con Don Orione ricordando il suo nome - unico presente - anche nel suo testamento spirituale, là dove afferma: “Da parte mia non è mancata la lealtà, congiunta sempre a quella libertà evangelica alla quale un Vescovo non può abdicare: Veritatem facientes in charitate, come mi consigliava Don Orione».
Sguardo sull’oggi
E oggi che ne è del Piccolo Cottolengo Milanese, a 70 anni dalle sue umili e sante origini?
Il “Piccolo Cottolengo” ospita attualmente 330 persone delle quali 220 sono anziani non autosufficienti e 110 sono disabili gravissimi, gravi e lievi. A queste persone, oltre che offrire le varie cure mediche e l'assistenza di cui hanno bisogno, viene assicurato un accompagnamento personalizzato che tiene conto delle loro capacità-potenzialità e fornendo adeguate ai loro bisogni. Al cuore del Piccolo Cottolengo ci sono le comunità dei religiosi e delle suore di Don Orione; collaborano più di 300 collaboratori dipendenti tra medici, infermieri, ausiliari, fisioterapisti, educatori ed animatori; danno un valido aiuto all'opera i volontari, circa 350 tra giovani ed adulti.
La “Casa del giovane” ospita 110 tra studenti e lavoratori, con una notevole presenza di extracomunitari. Un sacerdote orionino si dedica loro a tempo pieno per offrire formazione e accompagnamento spirituale e culturale.
Vi è poi la “Parrocchia di San Benedetto”, di circa 15.000 abitanti, vivace e articolata nei vari servizi pastorali, con oratorio e società sportiva. La “Scuola materna” accoglie 80 bambini. Un “Centro culturale” propone momenti culturali di spettacolo e cineforum. Infine c’è da dire della presenza del Movimento Laicale Orionino, che prolunga l’azione degli emeriti “Amici di Don Orione”. Si tratta di laici “di casa” con Don Orione che si propongono di vivere e comunicare lo stile e il suo carisma dentro e fuori del Piccolo Cottolengo.
La storia continua
Dopo queste memorie storiche e lo sguardo di attualità, a sigillo e augurio per il futuro del Piccolo Cottolengo Milanese non trovo di meglio che riportare ancora una volta la parola dei due santi protagonisti delle sue origini.
Il Card. Schuster benediceva l’arrivo della prima comunità a Milano facendo voti che “La Piccola Opera della Divina Provvidenza sia a Milano come il chicco evangelico di senapa: piccolo ma forte. Dia ogni ben di Dio ai derelitti, ma assicuri anche ai patroni e benefattori quello che talora meno hanno: la grazia del Buon Dio”.
Don Orione, a tre mesi dalla sua morte, scriveva all’amico ing. Casolo: “Noi passeremo, ma ho fede che il Piccolo Cottolengo resterà: umile e grande opera di carità voluta dalla Provvidenza a conforto di migliaia di fratelli infelici, ad onore di questa grande Milano, sempre altamente benefica”.
Entrambi espressero la coscienza di una vitalità che ha sorgenti non umane, in Cielo, e la responsabilità di un compito, qui in terra, a beneficio di persone bisognose di pane, pace e paradiso.
“Ave Maria e avanti!”.