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Messaggi Don Orione
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Giorgio Passamonti stava morendo di meningite tubercolare all'ospedale di Lodi. Si prega Don Orione e guarisce inspiegabilmente.

LA GUARIGIONE DI GIORGIO PASSAMONTI
Il miracolo che ha portato Don Orione alla beatificazione del 26 ottobre 1980


All’Ospedale di Lodi, il 7 aprile 1944 c’è un ragazzo – GIORGIO PASSAMONTI - che muore. La cartella clinica reca la diagnosi di meningite tubercolare e la sintomatologia: febbre 40° e oltre, 120 pulsazioni al minuto, strabismo, stridore di denti, vomito, forte cefalea, rigidità nucale…
È il Venerdì Santo. Passa il vescovo per una visita ai malati e la suora gli indica il letto dove Giorgio è in coma ormai da ore: Mons. Calchi Novati lo benedice, confortando la mamma e la nonna. Sul tardi, verso le 22 viene ancora una volta il primario dott. Pedrinoni: rileva lo stato preagonico e suggerisce alla mamma di tener pronti i vestiti perché il figliolo non passerà la notte. La mamma sente la suora che dice all’infermiera: Appena morto portatelo via subito e disinfettate il letto; non aspettate domattina, così potremo ricevere subito un altro malato. Si era in tempo di guerra e urgevano i posti letto.
Poi la stessa suora si rivolge alla mamma: Signora, quando vedrà che Giorgio straluna gli occhi, ci avverta e verremo noi.

 

 

La mamma racconta


Ai primi di marzo 1944 mio figlio Giorgio Vincenzo si ammalava di broncopolmonite per una influenza alquanto trascurata. Era guarito dalla malattia, tanto che, non resistendo alla passione del pallone, andò a giocare e a fare delle corse in bicicletta, nonostante io fossi contraria ed anche il dottore curante glielo avesse proibito.
Ebbe una ricaduta con febbre. La temperatura era molto alta ed io chiamai subito il Sacerdote, Don Carminati, perché lo preparasse spiritualmente e, al tempo stesso, chiamai anche il Dott. Pedrinoni.
Passarono alcuni giorni e la malattia si presentava piuttosto grave. Il ragazzo era rigido, non era capace di deglutire, nemmeno l’acqua, sovente cadeva in delirio, la funzione dei reni era carente, quasi nulla.

Pregai il dottore di dirmi la verità: poteva trattarsi di meningite. Ero preoccupata perché era venuto il Sacerdote, ma non avvisato per tempo, il padre che era lontano, avrebbe potuto non arrivare in tempo a vedere il figlio.
Il medico mi spiegò con certezza: si trattava di meningite tubercolare per cui voleva che fosse ricoverato in ospedale per praticargli la puntura lombare. In ospedale gli praticata la puntura lombare ma, tolto l’ago, il liquido fuoriusciva veloce a causa della forte pressione che era sopravvenuta e tutti restarono meravigliati per avere il ragazzo resistito a tanto.
Venerdì santo: il dottore mi avviso, verso le dieci del mattino, che il ragazzo, molto grave, non sarebbe arrivato a sera. Io, angosciata, mi rivolsi a Don Orione e posi, tra la testa e la borsetta di ghiaccio, una immagine di Don Orione, formato cartolina: l’aveva portato a casa la sorellina che frequentava la scuola presso le Suore Canossiane Io pregavo disperatamente Don Orione perché almeno mi ottenesse la grazia di tenerlo in vita fino al ritorno del papà che, come d’accordo, sarebbe arrivato la mattina del Sabato Santo verso le otto; mi restava solo di chiedere che egli potesse trovare Giorgio ancora vivo; le altre speranze erano ormai svanite.
Verso le tre pomeridiane, tornò Mons. Calchi Novati, perché, avvisato della fase terminale del ragazzo, voleva dargli la benedizione dei morenti: ne rimasi confortata anch’io.

Alle 22 del venerdì, Primario, Cappellano, Suora e un infermiere vennero nella stanzetta, ma uscirono subito perché entrava un nuovo ammalato. La Suora mi raccomandò di stare attenta al ragazzo e quando avrebbe stralunato gli occhi, avrei dovuto suonare il campanello così sarebbe venuta per vestirlo.
Mentre continuavo a pregare, mi accorsi che la borsa del ghiaccio era floscia e andai dall’infermiere a chiedere dei pezzetti di ghiaccio.. Ritornata accanto al letto mi accorsi che l’immagine di Don Orione era caduta: la raccolsi e la rimisi sopra la testa del ragazzo accarezzandolo: scottava, aveva 42° di febbre. Sistemai la borsa del ghiaccio ma Giorgio non dava più segno di vita. Continuai a sperare; mi inginocchiai e continuai a pregare: “Don Orione, ottenetemi la grazia, che almeno arrivi il papà quando Giorgio è ancora vivo.” Mancavano ancora dieci ore al suo ritorno.
Messami una coperta sulle spalle, giacché fa freddo, e sedetti accanto al letto, sfinita. Mi ero appena assopita quando, verso le due del Sabato santo, ebbi un sussulto: Giorgio si mosse; prese la borsa del ghiaccio e la scaraventò lontano gridando: «Che luce, mamma, che sole! Mamma, spalanca le finestre, lascia entrare la luce! Che sole! Che sole! Che luce!» Poi mi prese le mani e mi disse canterellando: «Mamma, sono guarito! Non muoio più. Adesso riposa, è da tanto che non riposi più per colpa mia!» Ci addormentammo tutti e due.

Quando mi svegliai andai a cercare una scopa per far qualcosa e perché il tempo mi scorresse più veloce: al ritorno vedo Giorgio seduto sul letto che mangiava pane e latte. Corsi a chiamare la Suora che, incredula quanto meravigliata, corse a chiamare il Primario. Giorgio fu visitato: la meningite era scomparsa e i polmoni rispondevano bene. Quando arrivò il padre, Giorgio stava bene, mangiava e leggeva. Per due giorni gli rimase un occhio velato, come di un morto ma da Lunedì in poi anche quello divenne normale”.

I medici non potevano che constatare il fatto prodigioso che deposero poi, in tutti i particolari prima al processo diocesano e poi nel processo apostolico celebratosi a Lodi dal luglio all’ottobre 1965.
Sono rimaste famose le dichiarazioni del Primario Dott. Pedrinoni che disse fra l’altro: “Sono pronto a testimoniare, con giuramento, che per me quel ragazzo era morto ed è risuscitato.

Il miracolato, in buona salute, non patì postumi pur dopo così grave infermità. Ingegnere e padre di cinque figli, infinitamente riconoscente al suo Protettore.

Il 29 aprile 1980 Giovanni Paolo II riconosceva questo miracolo, dopo che medici, teologi e lo stesso Congresso dei Cardinali avevano espresso, all’unanimità, il loro giudizio positivo.

Il 26 ottobre 1980 il Santo Padre lo proclamava Don Orione "Beato".

 

 

 

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