Ricostruzione di una interessante pagina di storia, di arte e di devozione popolare che rese noto Don Orione in tutta Italia.
Don Flavio Peloso
Ispirandosi a San Francesco d'Assisi,il santo tortonese organizzò negli anni Trenta spettacolari rappresentazioni sacre del misteri natalizi, manifestazioni di fede e di arte che attrassero decine di migliaia di persone.
“Quando andrete nell’Umbria avrete la fortuna di andare a Greccio. Io ci fui parecchie volte. San Francesco, tornato dalla Palestina, ancora infervorato dalla visione dei luoghi santi, volle che anche in Italia si facesse il Presepio vivente. Noi dobbiamo tornare ai primitivi tempi, al primitivo presepio, e si fa del bene”. [1]
Ad esprimersi così è San Luigi Orione, colui che, in tempi moderni, rilanciò la tradizione della sacra rappresentazione del presepio vivente, realizzata da San Francesco per la prima volta, nel Natale 1223, a Greccio.[2]
Tommaso da Celano narra che Francesco, nel Natale del 1222, si trovava a Betlemme dove assisté alle funzioni liturgiche della nascita di Gesù nel contesto dei luoghi storici dell’evento. Ne rimase talmente affascinato che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poterle ripetere per il Natale successivo. Il Papa, essendo vietati dalla Chiesa i drammi sacri, gli permise solo di celebrare la Messa in una grotta naturale invece che in chiesa. Quando giunse la notte santa, accorsero dai dintorni i contadini di Greccio ed alcuni Frati che illuminarono la notte le fiaccole. All’interno della grotta fu posta una greppia riempita di paglia ed accanto vennero messi un asino ed un bue. Francesco, che non era sacerdote, predicò e infervorò il popolo a contemplare il mistero del Figlio di Dio fatto uomo.[3]
Con il presepe vivente, il “Poverello d’Assisi” e il “Santo della Divina Provvidenza” intesero di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme, per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù. La rappresentazione dei misteri del Natale di Gesù si collega all’antica tradizione del teatro sacro cristiano che dalle sue origini liturgiche si sviluppò in svariate forme artistiche con scopi catechistici, spirituali e pedagogici.[4]
La ripresa dei presepi viventi nei tempi moderni si deve all’originale iniziativa apostolica di Don Orione.[5] “Siamo stati i primi a suscitarlo: da principio sembrava una cosa da ridere, ma si è fatto del bene!”.[6]
1925: A BRA
Il primo presepio vivente di Don Orione, fu realizzato dai chierici del noviziato-liceo di Villa Moffa di Bra, nel 1925: “Fu una partecipazione corale, un apporto creativo di idee e di iniziative… col bue e l’asinello vivi, e noi novizi nei panni degli angeli, di qualche pastore, di San Giuseppe e della Madonna”, ricorda Don Albino Cesaro che era presente.[7] La sacra rappresentazione ebbe luogo il giorno di Natale, con repliche al 27 dicembre, al 1° e 3 gennaio e, infine, al 6 gennaio con l’aggiunta di nuove scene: la venuta dei Magi, la fuga in Egitto e tutto si concluse nella collina dei Terlapini. La stampa locale, venuta a sapere della singolare iniziativa, diffuse ampiamente la notizia. Per l’occasione, la sperduta Villa Moffa fu collegata con Bra, Torino e Cuneo per favorire l’afflusso della gente. Don Orione non fu presente a queste manifestazioni, ma ne fu entusiasta. Comprese il valore popolare di quella manifestazione sacra, la incoraggiò e la rilanciò come efficace forma di evangelizzazione popolare. “Facciamo tutto con alte intenzioni di bene. Pregate perché possiamo ottenere col Presepio vivente quei risultati religiosi che sono lo scopo precipuo”.[8] “Ci conceda il Signore di poter rappresentare una parte di quei fatti dinanzi agli occhi del popolo cristiano; pregate il Signore perché tutto riesca bene, e tutto possa produrre nei cuori dei fedeli frutti di vita cristiana!”.[9]
1930: A TORTONA
Nel dicembre 1930 Don Orione promosse l’iniziativa del “presepio vivente” nella città di Tortona come grande manifestazione popolare. Da quest’anno molti “Presepi viventi” si susseguiranno a Voghera, Novi Ligure e in altre Case e città della Congregazione.
A Tortona, le locandine avvisavano che “Il 6 gennaio un coro di 150 Angeli osannanti precederà i Pastori e i Re Magi; essi canteranno melodie celesti. I Re Magi avranno un numeroso seguito di guerrieri e di paggi in costume orientale”.
La novità fu accolta con entusiasmo dai cittadini, coinvolse i paesi vicini. Don Orione si impegnò personalmente; coinvolse case, religiosi, suore, chierici e amici della sua congregazione. A Tortona si riversarono da ogni parte centinaia e centinaia di persone, anzi, migliaia, per assistere alla riedizione della pittoresca rappresentazione sacra.
La capanna di Betlemme fu collocata nel cortile dietro il nuovo santuario della Madonna della Guardia, ancora in costruzione.[10] Gran parte dei protagonisti del presepio vivente erano i chierici della Congregazione, “giovanissimi chierici – osservò il “Corriere della sera” che quotidianamente portano la calce e i mattoni, con evangelica devozione, su per le impalcature del Santuario che il loro Don Orione ha voluto dedicare alla Madonna della Guardia”.[11]
Il corteo si mosse dalla cascina Pedevilla, a circa mezzo chilometro da porta Voghera, verso il centro della Città; sostò presso il palazzo dei marchesi Busseti (oggi collegio Dante) che rappresentava la reggia di Erode; giunse infine in piazza duomo dove “anche il vescovo e i canonici, dai balconi ammirano la inconsueta sfilata; la piazza è gremitissima come lo sono tutti i balconi delle case. Al canto del Gloria in excelsis giungono alla capanna sulla quale aleggiano tre angeli. Lo spettacolo è veramente impressionante: Don Orione entra nella capanna, prende il Bambino e benedice la folla”.[12]
E’ questo il momento che Don Orione riservava a sé: dare Gesù da baciare alla folla. Durante tutta la manifestazione se ne era rimasto discreto in disparte, ora usciva allo scoperto: entrava nella capanna, si dirigeva alla mangiatoia, prendeva tra le braccia la statua del bambinello che egli stesso baciava con devozione, scendeva i pochi gradini della grotta e alzava gli occhi alla folla offrendo Gesù. Era molto di più di un atto di devozione e commozione.
Era il simbolo e la finalità di quella manifestazione e di ogni sua invenzione, di un presepio vivente come di un Piccolo Cottolengo, di una festa popolare come di un santuario.
La sacra rappresentazione ebbe buon esito popolare. Fu replicata il 26 e 28 dicembre, il 1° e il 6 gennaio: “Ieri il Presepio vivente andò benissimo, come potrai leggere sul Corriere della sera, Gazzetta del Popolo, Stampa, Italia etc. di oggi”,[13] scrive Don Orione a Don Bruno.
“Non sapete quale servizio abbia fatto il Presepio vivente! A Tortona c’erano molti disoccupati; tutte le officine erano chiuse e si preparavano dei moti. Il Presepio è servito a tenere, per una quindicina di giorni, nella calma la popolazione; sono intanto giunti i rimedi. Il Podestà mi ha mandato una lettera di ringraziamento”.[14]
1931: ANCORA A TORTONA
L’anno seguente, 1931, l’iniziativa si dovette ripetere, per richiesta della gente. La fantasia e l’intraprendenza di Don Orione non avevano confini. Presentò domanda alla Real Casa “per ottenere alcuni dromedari, per brevi giorni, onde dare al Presepio vivente, unico in Italia, vita e colorito più orientale”[15]. Anche quell’anno la manifestazione risultò grandiosa e devota, con grande concorso di gente. A dare un’idea del seguito popolare dell’iniziativa, fu la concessione della riduzione del biglietto ferroviario “del 50%, dalle stazioni viciniori e da quelle di Torino, Milano, Genova, Piacenza, Bologna, con validità dal 5 gennaio p. v. alla mezzanotte del giorno 8”.[16] Un particolare non trascurabile: “Con i doni offerti per il Presepio vivente si dà un pranzo a 200 poveri. (…) Il pranzo, al Collegio Dante, sarà servito dagli Angeli e dai Pastori del Presepio vivente”[17].
Questo è il genio di Don Orione: “unire all’opera di culto un’opera di carità”;[18] Egli, uomo pratico e concreto nelle opere di solidarietà verso gli orfani, i poveri e i più svantaggiati nella vita, aveva una grande fantasia nel bene. “Quest’oggi sono andato in Vaticano a parlare con molti prelati ed uno, per primo complimento che mi ha fatto, mi ha detto: E le pignatte rotte come vanno?[19] Il Senatore Agnelli, Direttore della Fiat a Torino, è stato il primo ad inviarmi del rame. Egli venne anche al Presepio vivente. Questa mattina sono stato da un gentiluomo della Casa Reale per avere i cammelli per l’Epifania. Vedremo. Sapete che le nostre fotografie del Presepio vivente sono state riprodotte a Londra, ad Anversa e a Berlino? Quest’anno per il Presepio vivente ci abbiamo rimesso lire 4.000. Ma quanta gente! Il Podestà mi ha detto: Ma ci fosse un Presepio vivente tutte le settimane: così non avremmo più la crisi!”.[20]
Il Presepio Vivente è una manifestazione di fede e di arte veramente grandiosa con cui si può fare un po’ di bene, tanto bene, ravvivando il sentimento religioso della gente. , perché quello che cade sotto gli occhi resta più vivamente impresso nella memoria, specie dei piccoli e del popolo. Il presepio vivente è una passività, materialmente parlando, ma una attività nelle bilance del bene: è una predica fatta a 30-50.000 persone”
1932: A VOGHERA
Nel 1932, il presepio vivente, che Don Orione presenta come “una manifestazione di fede e di arte veramente grandiosa, unica in Italia”[21] si svolge a Voghera. Don Orione quasi ci scherza: “Sono sempre un po’ fanciullo. Sto allestendo il Presepio vivente; esso richiamerà un 20.000 persone. Quest’anno lo fo fare a Voghera. Il solo stuolo di Angeli è di 200”.[22]
Nel mezzo dell’animato allestimento del presepio vivente, il santo prete faceva giungere la sua parola che dava lo spirito e unità d’intenti a quanti si industriavano fervore nella preparazione. “Le vostre preghiere dovete rivolgerle al Signore con più fervore per ottenere che, per mezzo del Presepio Vivente di Voghera, si possa fare un po’ di bene, tanto bene. Che quella moltitudine di popolazione che verrà a Voghera dopo domani, se, piacendo a Dio, non piovi o nevichi, abbia da sentir passare sull’anima loro un soffio nuovo, un nuovo spirito; soffio e spirito di gioia! E di pace serena, quella pace che gli Angeli fecero sentire ai pastori nella bella, misteriosa notte di Natale. Il presepio vivente è, e deve essere, la scena di una pagina Evangelica riprodotta al vivo. Bisogna pregare, affinché questa riproduzione sparga su tutti i cuori un soffio di bontà cristiana. È il terzo anno che si fa il presepio vivente. Due volte qui a Tortona e quest’anno a Voghera. Si fece e riuscì sempre bene”.[23]
L’esito fu superiore alle aspettative, come ne riferisce un articolo apparso su “La stampa”. “Successo vi è stato e grandioso e lo dimostra la folla convenuta in numero strabocchevole soprattutto dall’Oltrepò e dalla zona montana, con ogni mezzo, per vedere il presepio vivente, e si calcola che oltre 40.000 siano le persone che vi hanno assistito lungo la romana Via Emilia”.[24] “Il Corriere della sera”, sempre del 28.12.1932, fa cenno a Don Orione: “Questo sacerdote dal nome astronomico è un tipico esempio della umana bontà senza riposi, senza ambizioni e senza enfasi. (…) Don Orione ha infine benedetto la folla che ha elevato canti e inni religiosi, conferendo alla scena un significato di viva commozione e di alta spiritualità”.[25]
Dettagliato resoconto dell’evento, venne dato nell’articolo Il Presepio vivente a Voghera del bollettino “La Madonna della Guardia”.[26]
«All'Epifania si è ripetuto il Presepio vivente, che è riuscito anche più solenne e pittoresco del giorno di S. Stefano, per l'arrivo dei Re Magi. Ad assistere all'imponentissimo e lungo corteo era intervenuta una moltitudine immensa di popolo. C'erano tutti i vogheresi e gente venuta anche di fuori, da vicino e da lontano. La folla si era disposta lungo tutta la via Emilia, da piazza Rossella a Borgo S. Pietro, molto tempo prima che il corteo incominciasse a sfilare lento e devoto. Esso era aperto da due trombettieri a cavallo, da un angelo che indicava la Grotta e da altro angelo con la stella; seguiva subito dopo la lunghissima, variopinta teoria degli angioli - duecento - sericamente vestiti con tanto d'ali, che cantavano con grazia tutta celeste delle soavissime melodie.
Poi venivano i pastori in costume; alcuni suonavano la piva, altri recavano doni al Bambino: formaggi, colombi, gallinacci, uccelli, agnellini, pecorine, frutta; altri, ancora, guidavano due numerosi greggi. E dopo i pastori semplici e pieni di fede, ecco i Re Magi che, guidati dalla stella, vengono dall'Oriente, col loro seguito in cerca del Bambino Gesù.
È un gruppo sfarzoso di cavalli e cavalieri che passa destando l'ammirazione del pubblico, e va in piazza del Duomo, dove avviene la simbolica offerta dei doni: la sosta in Municipio, che figurava la reggia di Erode. Qui tutto il corteo si dispiega e si dispone in modo da formare un quadro imponente e stupendo, che ha per cornice una fiumana di popolo, forse 40.000 persone.
Quindi il corteo riprende e va a concludersi alla Grotta sita all'Oratorio festivo S. Bovo. Qui Don Orione parla breve, poi benedice la folla col Bambino».
1933: A NOVI LIGURE
Nel 1933, “si fa a Novi Ligure il presepio vivente. Già sono partiti i manifesti per i dintorni di Genova; avete visto. Don Callegari li porterà nel circondario di Alessandria e in tutti i centri che possono avere comoda comunicazione con Novi”, annuncia ai suoi confratelli un Don Orione particolarmente festoso.
“Noi dobbiamo tornare ai primitivi tempi, al primitivo presepio, e si fa del bene. Avete visto a Voghera quanta gente? E si fa non tanto per i grandi, quanto per i piccoli. Tutti dovete aiutarmi. Avremo a Novi 30.000 o 40.000 persone come niente. C’è chi sa suonare qualche cosa? Il flauto, il clarino, la chitarra o la zampogna. Speriamo di avere quei due zampognari di montagna, li chiamerò.[27] E anche qualcuno di voi deve essere pronto a levarsi la veste e a pitturarsi con due baffoni. Vorrei che tutti vi partecipaste con fervore, con intenso ardore, con entusiasmo per dare al popolo cristiano un ravvedimento nella fede, una luce che faccia del bene. C’è chi sta facendo le cioce. Di voi c’è qualcuno che sa fare le ali degli Angeli o i flabelli? A Roma mi dissero: ma voi mettete in ridicolo le funzioni del Papa! Realmente invece si è fatto del bene. Ricordate a Voghera in piazza del Duomo? A Voghera restarono male quest’anno, perché si aspettavano che lo facessimo ancora lì. Noi invece lo facciamo un anno alla volta dove abbiamo le Case; un altro anno sarà ad Alessandria, e così via. E poi tutti, tutti quelli che sanno di poter aiutare, e specialmente nella musica, bisogna che ci diano sotto con ardore, affinché possa riuscir bene, non per noi ma per gli altri, per il bene delle anime”.[28]
La sacra rappresentazione si tenne a Novi Ligure il 26 dicembre 1933 e il 6 gennaio 1934.
Due giorni prima della rappresentazione, il 4 gennaio 1934, spiega ai suoi Confratelli: “Il Presepio Vivente lo facciamo per ravvivare il sentimento religioso della gente, perché quello che cade sotto gli occhi resta più vivamente impresso nella memoria, specie dei piccoli e del popolo. Il presepio vivente è una passività, materialmente parlando, ma una attività nelle bilance del bene: è una predica fatta a 30-50.000 persone”.[29]
Le due manifestazioni furono riprese e raccolte in un documentario dell’Istituto Luce. Ne scrisse Lelio Cremante, poi docente all’Università di Perugia, evidenziando il coronamento finale della manifestazione sacra. «Alla fine la voce di Don Orione s'alza al di sopra di tutto il gridìo della folla, stabilisce un silenzio colmo di solennità, arresta l'ondeggiare delle file inquiete. Sono parole che prorompono dai precordi, mescolate d'un pianto e d'una gioia sovrumana. Più che parole sono fiamme sfavillanti. Egli, alto sulla folla, benedice l'Italia nel nome del Dio Bambino.[30] Quando egli tace, scoppiano gli applausi. Poi il popolo si riversa incontenibile verso la capanna per il bacio rituale del Neonato».[31]
Giuseppe Zambarbieri, allora studente del Collegio San Giorgio di Novi Ligure e poi superiore generale, assistette alla rappresentazione del 6 gennaio è commentò: “Che regista, Don Orione, nei presepi viventi!”.[32]
Simile commento fece anche lo scrittore e drammaturgo Cesare Meano.
«Oh che regista quel Don Orione! Regista nato quel prete piemontese. Vede? Dall'angelo corifeo, che puntava alta la stella ai pastorelli, fino a Gaspare, Baldassarre e Melchiorre, io modestamente uomo di teatro, toccavo la sicurezza di polso che quell'uomo straordinario aveva partecipato come una porzione della sua anima a ognuno. Non me lo perdevo d'occhio! Riconoscibilissimo per quanto cercasse di confondersi colla massa che faceva ala, con quel suo mantello inzaccherato e le scarpe color fango, con quel cappellaccio da brigante ... buono, tanto buono.
Ma gli occhi! Arrivavano essi come lamina di luce nel giusto tempo ad ognuna di quelle singolari comparse. Giungevano quegli occhi proprio nel momento adatto pure a Erode, quando, da uno dei balconi civici, doveva lanciare - a gesto - la sanguinaria minaccia in direzione della meta, cui aveva indirizzato i Magi.
Ma c'era un momento in cui entrava in scena lui, tutto lui. Quello finale, quando al termine dell'incantevole parata si giungeva alla grotta, e appena finita l'offerta dei doni. In quel momento il mantello gli era caduto dalle spalle, il cappellaccio non c'era più e una bella fronte splendeva. Ecco, se pur non alto di statura, si sollevava allora in alto in alto, nella realtà e nella significazione e, levando le braccia, proferiva poche parole: sei in tutto e non di più. Le contai e ricontai e, senza averle messe in nota, mai le potrò dimenticare: E ora vi benedico col Bambino! Così Don Orione sollevava sui capi della folla china Cristo Infante a benedire e ribenedire”.[33]
Quali erano i segreti, i consigli di Don Orione regista dei presepi viventi? Innanzitutto, sapeva trasmettere a tutti l’idea-messaggio dell’intera rappresentazione sacra: “Il presepio vivente deve essere una predica senza parole”. Questo scopo doveva ispirare e unificare interiormente ed esteriormente i comportamenti degli attori tanto diversi quanto improvvisati.
“Primo: pregare, dare tutto il vostro contributo, non per vanagloria o per superbia, ma per rappresentare al vivo una pagina del Vangelo, e quindi, fare un po’ di bene.
Secondo: chi fa da angelo, da paggio, da pastore, dimentichi di essere Chierico, e sia angelo o paggio o pastore: insomma faccia bene quell’ufficio che fa. Gli Angeli tengano gli occhi bassi, faccia serena, non ridere”.[34] Portava ad esempio il comportamento di un noto e pittoresco personaggio della città: “L’anno scorso quando qui, il fabbro, che molti di voi conoscete, (Balustra) faceva da Re Nero, passando per via Emilia, molti, conoscendolo, lo chiamavano per nome; e lui se ne stava solenne, pettoruto e non dava risposta e, come se non sentisse nulla, andava avanti”. Mentre biasimò che “un Angelo solo non ha fatto bene e questa volta non ci sarà più, non vestirà più da Angelo. Non fece bene perché ha girato un tantino gli occhi in giro.”.[35]
Confidava che l’atteggiamento spirituale dei protagonisti, “modesto, educato, serio”,[36] espresso in “fervore, intenso ardore ed entusiasmo”,[37] avrebbe comunicato ai tanti spettatori qualcosa di sacro, qualcosa di Dio.
“Il corteo sarà diviso così: dinanzi vi saranno gli Angeli e questi daranno la prima impressione. L’esito del presepio in gran parte dipende dalla prima buona impressione. Verranno poi i pastori col gregge, e i pifferari. Dinanzi a loro metteremo i due montanari degli anni passati, della Val Staffora, che col loro continuo suonare metteranno entusiasmo e fervore. Gli altri pifferari, sparsi qua e là, non per far loro torto ma li metteremo in mezzo ai pastori. In fine la cavalcata dei Re Magi col loro seguito. Ci saranno 200 Angeli”.[38]
Sui medesimi principi si basava anche la valutazione di Don Orione, condivisa con i suoi fidi discepoli, circa l’esito della manifestazione.
“Il Presepio Vivente non è un lucro per la Piccola Opera ma un dispendio non indifferente di tempo e di forze. Giorni di preoccupazione per cui siamo obbligati ad estraniarci da altri lavori e doveri. Il Presepio Vivente lo facciamo per ravvivare il sentimento religioso della gente, perché quello che cade sotto gli occhi resta più vivamente impresso nella memoria, specie dei piccoli e del popolo. Il Presepio Vivente, se si dovesse andare coi criteri del vantaggio e della utilità materiale, non si potrebbe fare. Però, se si parte col criterio più alto di un vantaggio spirituale, merita di essere fatto e ripetuto più volte. Vale bene nei valori morali, vale bene qualche cosa. E’ una predica fatta a 30 / 50 mila persone. Che buoni effetti si sono ottenuti dalla giornata di Santo Stefano a Novi Ligure. Quanti uomini, che non baciavano più da 30 / 40 anni Gesù Bambino, sono venuti a baciarlo. Erano più uomini che donne. Fu una scossa salutare”.[39]
UNA TRADIZIONE DA CONTINUARE
Quello di Novi Ligure del 6 gennaio 1934 fu l’ultimo grande presepio vivente organizzato da Don Orione. In quell’anno egli partì per l’America Latina e ritornò in Italia nel 1937. Al ritorno, non poté più realizzarlo, sebbene lo desiderasse. Non si sa bene la ragione: forse fu dovuto alla mutata situazione socio-politica, forse a “gelosie” cui il Fondatore accenna.
Alla vigilia del Natale 1937, animò i suoi figli spirituali a continuare questa manifestazione popolare di fede e raccomandò: “Il presepio vivente dovrà divenire una istituzione della nostra Congregazione e dovremo propagarla nel mondo. Se Dio ci darà vita, lo si farà a Milano: in quei centri grandi non si destano gelosie. Se io non fossi qui nei prossimi anni, vedrete che lo farò in America. Sarebbe meraviglioso passare col presepio vivente davanti al duomo di Buenos Aires: il governo è molto benevolo pel presepio”. [40]
La congregazione orionina è rimasta sensibile alla tradizione dei presepi viventi. Continuò a organizzarne un po’ ovunque. Tra i recenti sono da ricordare, in Italia, quelli di Fumo (Pavia), di Pescara, di Bergamo, di Pietra Ligure. Sempre, a Boston come a Claypole (Buenos Aires) o a Santiago del Cile, come assicurava Don Orione, “il presepio vivente fa un gran bene; esso suscita una impressione indelebile nell'animo”.
Papa Benedetto XVI ha riproposto recentemente il valore del presepio nella pedagogia della fede. “Costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli”, ha affermato il Papa. “Il Presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell’amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme. San Francesco d’Assisi fu così preso dal mistero dell’Incarnazione che volle riproporlo a Greccio nel Presepe vivente, divenendo il tal modo iniziatore di una lunga tradizione popolare che ancor oggi conserva il suo valore per l’evangelizzazione. Il Presepe può infatti aiutarci a capire il segreto del vero Natale, perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Cristo, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9) per noi”.[41]
N O T E
[1] Ai confratelli, 13 dicembre 1933; Parola Vb, 212-214.
[2] È ricordato che, ancora bambino, Luigi Orione faceva il suo Presepio. La buona Mamma Carolina, nonostante la grande povertà, aveva saputo trovare le poche monete necessarie per le modeste e indispensabili figurine. Ogni anno, il piccolo Orione rifaceva il Presepio, ornandolo sempre più e ravvivando fervore, preghiere e “fioretti”. Tutto il vicinato andava a vederlo, ammirato. Quando egli lasciò il paese per andare a studiare, la Mamma alloggò gelosamente le statuine, sussurando in dialetto uno dei suoi proverbi familiari: “Chi leuga, teuva (chi ripone, trova)”. Divenuto chierico, quando aprì il primo Oratorio festivo per i ragazzi di Tortona nel 1892 nel giardino dell’episcopio, egli volle ricostruire ancora un bel Presepio.
[3] L'episodio fu magistralmente dipinto da Giotto in un affresco della Basilica Superiore di Assisi. Il primo presepio fisso, cioè la ricostruzione della scena della natività con scene e con personaggi a tutto tondo, risulta sia stata realizzata per la prima volta nel 1283, ad opera di Arnolfo di Cambio che scolpì otto statuette in marmo rappresentanti i personaggi della Natività ed i Magi. Tale presepe si trova ancora nella basilica romana di S. Maria Maggiore. Inizialmente i presepi con figure di legno o di terracotta, disposte davanti ad un fondale dipinto, venivano allestiti principalmente nelle chiese e nei luoghi sacri. Solo verso la metà del '400 queste rappresentazioni cominciarono ad essere allestite anche all'interno delle case.
[4] Cfr Giovanni Marchi, la voce “Teatro”, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol.IX, coll. 851-880. Vi si trova una menzione anche dei Presepi viventi di San Luigi Orione.
[5] L’argomento è noto; è una pagina della storia di Don Orione molto interessante. Sono apparsi vari articoli e testimonianze sul Bollettino della Congregazione; G. Marchi ne ha scritto su “Messaggi di Don Orione”, I presepi viventi di Don Orione, 37(2005), n.117, pp.83-91. In questo articolo, si cerca di riunire il materiale e le fonti a disposizione per capire la consistenza, il valore e le motivazioni pastorali di questa iniziativa di San Luigi Orione.
[6] Discorso ai confratelli, 24 dicembre 1937; Parola VII, 166.
[7] A. Cesaro, Poesia natalizia di Don Orione, “Don Orione”, dicembre 1975, pp.4-5. Ne parla anche Don Fausto Capelli nel numero del dicembre 1976, p.15.
[8] Ai novizi; Parola Vb, 8-9.
[9] Alla vigilia di una rappresentazione del presepio vivente; Parola VI, 11.
[10] In quell’anno era ancora in costruzione; sarà inaugurato pil 29 agosto dell’anno successivo, 1931.
[11] Il particolare è riferito in un articolo del “Corriere della sera” del 27.12.1930 e ripreso nel Bollettino “La Madonna della Guardia” del 30.1.1932.
[12] DOLM III, 1542-1548.
[13] Scritti 23, 189.
[14] 19 Aprile 1930 (IV, 293)
[15] Scritti 77, 122; 50, 73
[16] Scritti 53, 129.
[17] Scritti 89, 126 e 131.
[18] In molti discorsi e corrispondenza di Don Orione ricorrono espressioni del tipo: “È prassi presso di noi di unire sempre all’opera di culto un’opera di carità”; Scritti 53, 39. “È nostro uso ad un'opera di culto unire possibilmente sempre un’opera di carità”; Scritti 80, 177.
[19] Don Orione allude a un’altra sua nota e originale iniziativa. Quando, volendo costruire una grandiosa statua della Madonna per il Santuario di Tortona, si mise a far portare alla gente, fuori delle chiese ove egli passava a predicare, oggetti di rame e pignatte rotte . Lui accettava i sorrisi e le battute non sempre benevoli e così giustificava le sue stranezze pastorali: “Sapete? Ormai mi danno un nome che nessuno me lo leverà più: mi chiamano il “prete delle pignatte rotte”. E ben venga anche questo nome; basta servire la Madonna”. “Nel bene, se non si è un po’ originali, se si sta sempre lì… si ristagna, si ammuffisce. La novità è mezzo di fare il bene, perché richiama l’attenzione e si interessano gli altri alle iniziative di bene. I ministri del male non hanno vergogna, no, a fare gli originali, gli audaci, i creatori di novità e, perfino, gli strani e i bizzarri!… dovremo averla noi?”; Parola, 17.4.1938. Può valere anche per chi oggi discute su problemi di comunicazione, di linguaggio, di feed-back pastorale.
[20] Ai confratelli, 1 maggio 1932; Va 43-44.
[21] Scritti 62, 36.
[22] Scritti 50, 91.
[23] Ai chierici e probandi di San Bernardino, Tortona, 4 gennaio 1933; Parola Vb, 5-8.
[24] “La stampa” del 28 .12.1932; articolo ripreso in “La Madonna della Guardia”, 1.1.1933.
[25] Molti particolari descrittivi sono presenti in questo articolo del “Corriere della sera” del 28.12.1932, ripreso in “La Madonna della Guardia”, 19.1.1933.
[26] “La Madonna della Guardia”, 28 gennaio 1933, pp. 5-6.
[27] I due zampognari erano "Jacmon" Giacomo Sala al piffero e "Pillo" Carlo Buscaglia alla musa. La foto dei due suonatori, comparve sul Giornale di Voghera del 5 gennaio 1933 e nella rivista Don Orione del dicembre 1973, p. 10 e 11. Notizie in Valter Biella, La Müsa delle "Quattro Province", in Utriculus, 2014, n.48, p. 29-45. Si veda Giorgio Viarengo "Getto", Quel legno suona ancora. Due liutai nel territorio del chiavarese, Comune di Chiavari, Tipografia "Moderna", Chiavari, marzo 1985; Aurelio Citelli e Giuliano Grasso (a cura di), Canti e musiche popolari dell’Appennino pavese, vol. I, I canti rituali, i balli, il piffero. Libretto allegato alla cassetta ACB/CF02, Associazione culturale Baraban, Cooperativa Controluce di Seregno (MI), 1989; vedi sito http://www.appennino4p.it/suonatori2.
[28] 13 Dicembre 1933; Parola Vb, 212-214.
[29] Parola 6, 8.
[30] Queste sono le precise parole della benedizione impartita da Don Orione: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Vi benedico in nome di Dio. Benedico alle Autorità tutte e al popolo; e prego Gesù Cristo che dia all’Italia impero e gloria perpetua. Benedicat vos Deus omnipotens, Pater et Filius et Spiritus Sanctus. E questa benedizione vi accompagni e vi conforti in tutti i passi della vostra vita”; Parola, 6 gennaio 1934, VI, 12.
[31] In “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, gennaio 1934.
[32] Cfr. articolo in “Don Orione”, dicembre 1987.
[33] Trascrizione di Don Gaetano Piccinini, Archivio Don Orione, Roma.
[34] Esortazioni prima di una rappresentazione; 4 gennaio 1933; Parola Vb, 5-8.
[35] Ibidem.
[36] Parola Vb, 5.
[37] Parola Vb, 212.
[38] Parola Vb, 7-8.
[39] Parola, 4 gennaio 1934, Vb, 8-9.
[40] Parola VII, 166.
[41] Discorso all’Angelus, 11 dicembre 2005.