Don CARLO GNOCCHI nacque a San Colombano al Lambro nel 1902. Ordinato sacerdote nel 1925, svolse il suo primo ministero sacerdotale a Milano. La sua vita fu segnata dall'esperienza come cappellano militare della divisione "Tridentina" degli Alpini sul fronte di guerra albanese e russo. Terminata la guerra, si dedicò all'opera di assistenza ai bambini mutilati e orfani per i quali fondò, nel 1946, la "Pro juventute". Per essi aprì case ad Arosio, a Monza, a Pessano; l'opera poi si diffuse in altre regioni italiane. Ricevette numerosi attestati di benemerenza per l'attività assistenziale svolta. Morì a Milano nel 1956.
Don Gnocchi incontrò in diverse circostanze Don Orione e ne restò conquistato. "Devo esclusivamente a Don Orione – ebbe a riconoscere – se la mia vita si è indirizzata sulle vie della carità, perché gli uomini dilaniati da una guerra tremenda ha soprattutto bisogno di affratellarsi per risparmiarne le ferite profonde e per ricostruire una nuova società". Fin dai primi difficili avvii della casa di Arosio, l'orionino Don Giovanni Casati, coadiuvato da alcuni chierici, fu braccio destro di Don Gnocchi. Il 19 marzo 1948, i "mutilatini" di Don Gnocchi passarono dalla casa di Arosio all'Istituto di Don Orione a Milano.
Don Gnocchi incontrò in diverse circostanze Don Orione e ne restò conquistato. "Devo esclusivamente a Don Orione – ebbe a riconoscere – se la mia vita si è indirizzata sulle vie della carità, perché gli uomini dilaniati da una guerra tremenda ha soprattutto bisogno di affratellarsi per risparmiarne le ferite profonde e per ricostruire una nuova società". Fin dai primi difficili avvii della casa di Arosio, l'orionino Don Giovanni Casati, coadiuvato da alcuni chierici, fu braccio destro di Don Gnocchi. Il 19 marzo 1948, i "mutilatini" di Don Gnocchi passarono dalla casa di Arosio all'Istituto di Don Orione a Milano.
DON ORIONE PARLA DEGLI ORFANI
“Nella visita fatta a Venezia ho veduto i nostri orfani assai affezionati ai loro Assistenti e Maestri, e ciò mi ha fatto piacere; così mi ha fatto piacere vedere alcuni che si sono fatti quasi Veneziani per meglio riuscire a fare del bene, e altri che si facevano piccoli per avere in mano il cuore dei piccoli.
Di S. Filippo Neri è detto, in una lapide sul Gianicolo a Roma, là sotto la storica quercia, che egli "seppe farsi piccolo coi piccoli sapientemente". Questo è il nostro spirito, o miei cari figli in Gesù Cristo! Con ogni pia e santa e fraterna industria, dobbiamo avvicinare il cuore dei giovani e farci come ragazzi con essi e, raccomandandoci a Dio, prendere in mano, con grande riverenza, l'animo dei giovanetti a noi affidati, come farebbe un buon fratello maggiore con i fratelli più piccoli.
Avviciniamo i giovani come piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso – ma non abitualmente severo – che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro verace bene, e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati, tali da essere di onore a sé, alla famiglia, alla loro città e alla Patria”.
DON GNOCCHI RICORDA DON ORIONE
Poche volte, in verità, ho avuto la fortuna di incontrarmi con Lui (ed ora ne provo un pungente rammarico, che è quasi dispetto contro la mia pigrizia. Avere un santo a portata di mano e non approfittarne... D'altra parte, chi mai avrebbe potuto pensare che il Signore ce lo avrebbe tolto così presto!), ma la sua figura si è profondamente incisa nel mio ricordo. Alcuni tratti della sua persona fisica avevano un rilievo luminoso e rivelatore di una potente interiorità.
Lo sguardo anzitutto.
Gli occhi di Don Orione! Averli visti significa non dimenticarli mai più. Se il suo abito dimesso, l'atteggiamento raccolto, il volto dai tratti comuni potevano farlo passare a prima vista come un buon prete di campagna, bastava che alzasse gli occhi dall'abituale raccoglimento, perché ci si trovasse di colpo in presenza di una personalità d'eccezione. Era come una scoperta improvvisa.
Aveva due occhi grandi, neri, caldi, ma fermi e profondi, di una dolcezza viva e fiammeggiante. Mentre però gli occhi degli uomini grandi conturbano e impongono la loro superiorità, quelli di Don Orione facevano bene, un bene dolce, calmo e profondo. Quando egli ti guardava, ti sentivi avvolgere e penetrare da un alone di calore intimo, di interesse amoroso e di bontà compassionevole. Pur sentendotene penetrato fino all'anima non ne pativi pudore, anzi sentivi bisogno di mostrargli le tue pene e le tue miserie, sicuro di averne compassione e conforto. Il suo era uno sguardo d'amore.
Anche la sua voce aveva un'emergenza non comune. Aveva il timbro inconfondibile della profondità spirituale ed un costante carattere d'animo. Ecco perché anche le parole e le cose più comuni acquistavano sulle sue labbra un potere misterioso di commozione, di novità e di indelebilità. Forse poteva colpire in un uomo contemplativo e di orazione come lui la facilità della parola nella conversazione. Ne fui a tutta prima sorpreso anch'io. Notai però che parlava solo se interrogato; allora, dal suo silenzio umile e meditativo, erompeva pronta e generosa una parola calda, affettuosa e spesso abbondante. Certo la parola era per lui un altro dei "servizi" per il prossimo. Anche le sue mani facevano pensare; quelle mani che avevano la compostezza naturale della preghiera e si muovevano così parcamente, direi timidamente, nella conversazione. Erano mani solide e rudi di lavoratore, di costruttore anzi, che parevano atte a trattare ed a piegare la materia concreta ed inerte. Quante case infatti e istituzioni, in breve volgere di anni, erano sorte miracolosamente per opera di quelle mani di operaio instancabile della carità di Cristo!
Di tutte queste tre cose insieme ricordo l'eloquenza irresistibile e commovente, nel suo primo discorso agli amici milanesi dell'opera sua, nell'Aula Magna dell'Università Cattolica.
Il Senatore Cavazzoni l'aveva preceduto parlando di lui e dello sviluppo prodigioso dell'opera sua in Italia e nel mondo. Intanto, dal suo scranno, l'interessato dava segni visibili di impazienza e di disappunto. Appena disceso l'oratore, Don Orione montò di scatto sul podio. "Non gli credete – disse con impeto quasi audace – tutto quello che il Senatore ha detto è una bugia! Io non ho fatto niente, è la Provvidenza che ha fatto tutto. Io sono un sacco di stracci, nient'altro che un sacco di stracci; un sacco di stracci, capite!" La sua voce in quel momento si era fatta alta, sdegnata, quasi dolorante; le mani tremanti malmenavano convulsamente la povera talare sul petto ansante; e gli occhi accesi erravano sull'assemblea sorpresa e commossa ad implorare credenza. Poi si tacque un poco spossato ed umiliato. I nostri occhi erano velati di pianto ed il cuore si era fatto piccino e spaurito. Forse era la prima volta che s'era affacciato sull'abisso dell'umiltà convinta e sofferta dei santi.