Il noto teologo e dantista fu frequentatore affezionato di Don Orione.
PADRE STEFANO IGNUDI AMICO DI DON ORIONE
Padre Stefano Ignudi è noto come teologo e illustre dantista. Apparteneva all'Ordine dei Frati Minori Conventuali. Nato a Genova il 28.2.1865, entrò nell'ordine nel 1886 e si laureò in Teologia e divenne sacerdote nel 1891. Dopo aver insegnato per alcuni anni a Colle Val d'Elsa e a Genova (1891-1895), fu trasferito a Roma ove passò tutto il resto della sua vita. Qui tenne per lungo tempo la cattedra di studi danteschi cui contribuì con le sue numerose pubblicazioni. Particolarmente importante il suo Commento alla Divina Commedia in 3 volumi.
Ebbe incarichi di responsabilità nel suo ordine e vari Dicasteri della Curia romana lo ebbero per collaboratore. Accompagnò e sostenne P. Massimiliano M. Kolbe nella fondazione della "Milizia dell'Immacolata".
Padre Ignudi entrò in contatto con Don Orione negli anni '20 e tra loro si stabilì una stima ed amicizia cordiale, fiduciosa, di reciproco aiuto. Don Orione gli indirizzò lettere fraterne, lo invitò varie volte a predicare corsi di esercizi e a tenere conferenze nelle case della Piccola Opera.
È a lui che Don Orione scrisse: “Serviamo il Signore allegramente, la nostra mistica dev'essere la carità allegra, la nostra dottrina tutta lieta in Domino; la nostra vita lietamente in Domino. Ci sarà il ballo in Paradiso? Io voglio cantare e ballare sempre. Caso mai, il Signore mi farà un reparto speciale per non disturbare troppo i contemplativi”.
DON ORIONE SCRIVE
“La concordia e l'unione degli amici ci arreca un (altro) vantaggio, che è la fecondità spirituale in ogni maniera di opere buone. A questa spirituale fecondità accenna il Salmista con la bella similitudine della rugiada, onde in Oriente si ricoprono, si rinfrescano e si giovano i monti soprattutto. “Sicut ros Hermon, qui descendit in montem Sion” (versetto 3).
Le estive e fresche rugiade che, nei più caldi mesi della Palestina, cadono a fecondare i monti di Hermon e di Sion, non sono che pallida immagine della spirituale fecondità delle anime dei fratelli uniti nel Signore, perché, ove sono anche solo due o tre riuniti nel nome di Dio, Dio è in mezzo di loro e la mano di Dio è sovra di essi, e allora avviene che là, dove finisce la mano dell'uomo, là comincia la mano di Dio.
Là ove vigoreggi la carità di Cristo, ove fiorisca, sotto lo sguardo di Dio, l'amorevole concordia di molti buoni uniti in Domino”. “E tutti sentirete con me, certo, vivissimo il desiderio di cooperare, per quanto è da voi, a quel rinnovamento di vita cristiana – all'“Instaurare omnia in Christo” – da cui l'individuo, la famiglia e la società possono attendersi la ristorazione sociale. Ricordatevi che noi siamo e vogliamo essere i vostri più sinceri e affezionati amici; e vogliamo farvi sentire che vi consideriamo sempre dei nostri”.
PADRE STEFANO IGNUDI RICORDA
Vi sono tanti nomi che si prestano alle più diverse e contrarie applicazioni. Per esempio quello di "Amici". Su molte taverne è scritto: "Osteria degli amici"; sono amici di osteria...; in guardia! Vi sono i "Circoli degli amici"; dagli amici di certi circoli ci guardi Iddio! A volte si parla di "affari tra amici"; e sono affari loschi, tenebrosi. Vi sono gli "amici di borsa, o portafoglio" dei quali un poeta pagano, qui di Roma, scriveva il distico:
“Donec eris felix multos numerabis amicos,
tempora si fuerint nubila, solus eris”. (Ovidio).
Fino a che sarai felice conterai molti amici, ma se i tempi si faranno nebulosi resterai abbandonato da tutti. Per tutte queste specie di amici vale il proverbio: “Da certi amici mi guardi Iddio". Ma vi sono gli "amici" in senso vero; e chi ha trovato un vero amico ha trovato un tesoro. Fra le definizioni del vero amico ve n'è una singolare: “Amico è un uomo che ci conosce a fondo e, nonostante ciò, ci vuol bene”. In questo senso ci è veramente amico Iddio, che davvero ci conosce a fondo e nonostante ciò ci vuol bene. Allo stesso Giuda nostro Signore diceva nell'atto di essere tradito: “Amice, ad quid venisti?”. E glielo diceva di cuore, perché di tutto cuore ne desiderava il pentimento e la salvezza. Pure amici veri ci sono la Madonna, l'Angelo Custode, i nostri cari Santi che ci conoscono a fondo e nonostante ciò ci vogliono bene.
Don Orione è stato, ed è, un amico vero. Amico a molti che egli conobbe a fondo come veri servi di Dio. Oggi è la festa di San Domenico: abbiamo celebrato la Santa Messa al suo Altare in questa chiesa ricca di memorie domenicane. È conosciuta da tutti l'amicizia che legò i due Patriarchi, San Domenico e San Frncesco d'Assisi. I santi si conoscono e si sentono a vicenda amici.
Don Orione fu amico a molti, a tutti, perché tutti conobbe nel comune fondo di creature di Dio. Vedeva tutti nel cuore di Gesù, e per questo tendeva le braccia a quanti mostrassero un dolore: “La nostra carità non serra porte!”. Si trovava egli qui in Roma al suo Istituto del Divin Salvatore. Una povera donna fu mandata a lui: picchia, ed è aperto. Domanda: “Sta qui Don Luigi? quello che prende i poveri?”. E poi a Don Orione che esce dal prossimo parlatorio domanda: “Siete voi Don Luigi?”. E in poche parole esprime la sua miseria e prega di essere ricoverata. Don Orione la ricevette, le assegnò il giorno ed il luogo ove avrebbe dovuto presentarsi. Quella era sul congedarsi quando, come persona cui sovviene cosa dimenticata, soggiunge: “Ma non sono sola, v'è anche mio marito che deve essere ricoverato”. Risponde Don Orione “E portate anche vostro marito!”. Così si concludeva la accettazione, senza tanti documenti o burocrazie. Don Orione era vero amico a tutti, per il solo guardare tutti in Dio. Per quanti incontrava per la via, domandava a Dio che tutti li salvasse.
Ma anche era vero amico a quanti conosceva a fondo, purtroppo, per le loro cattiverie; gente di cui lo stesso nostro Signore, tutto mite ed umile di cuore, diceva che erano "razza di vipere". Don Orione li ebbe a provare, ne ebbe a soffrire, ed anche a profferire: “Mai mi sono sentito così bene, come in mezzo a certa razza di vipere”. E ciò diceva, non con la fierezza del superbo, che si leva dritto dalla cintola in su, ma con la tranquilla sicurezza dell'umile, che guarda e, in Dio, conosce a fondo i suoi nemici.“ Se Dio è con noi chi sarà contro di noi? Si Deus pro nobi, quis contra nos?”. Ed allora ecco l'amico eroico: Diligite inimicos vestros, orate pro persequentibus et calumniantibus vos (amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano e calunniano! Amate, pregate, fate del bene a quelli che vi odiano! Par di sognare. Siamo circondati da un mondo a cui tali insegnamenti e precetti suonano come insensatezze: è, il mondo, l'aiuola che ci fa tanto feroci.
Ma Don Orione non sognava, vedeva gli uomini a fondo, nella realtà delle verità eterne: “Omnes nos manifestari oportet ante tribunal Domini nostri Jesu Christi”. (Tutti, senza eccezione, abbiamo da fare i conti con Dio, che vuole amiamo anche quelli che ci sono serpenti: Da indi in qua mi fur le serpi amiche). E allora, se Don Orione ci è amico e ci fa del bene, pur conoscendoci a fondo, noi dobbiamo ricambiarlo come amici, benché non possiamo ora conoscere a fondo lui, cioè “tutto il cor che egli ebbe”.
Amicizia vuol ricambio di amicizia: l'amicizia vera, non la mala, da cui abbiam pregato Dio che ne guardi. Ed è cantata per loro maggior tortura dai dannati dell'inferno, che ricordano piangendo la stoltezza dell'aver sostenuto che amore a nullo amato amor perdona; no, amore vero a chi male ama amar diniega. Non neghiamo dunque amore al nostro commemorato amico, non si perdoni a prove d'amore. Vos amici mei eritis si feceritis quae praecipio vobis. Quelli che l'hanno conosciuto hanno presente la cara immagine paterna, la sua carità, umiltà, innocenza, mortificazione, dolcezza, il suo vivere sempre alla presenza di Dio. Rendiamoci simili all'amico. Quelli che non videro la persona, ne leggano la vita.
Oh, il bene che fanno queste letture!
Don Orione era un lettore appassionato di agiografia, sin da ragazzo; preferiti erano i libri dei Santi, ed i Santi si sforzava di imitare quanto poteva! Oh, il male che fanno le letture cattive! Un giovane signore, passando in mare tra le isole greche, usciva in declamazioni di delirio ai bugiardi e falsi dei dell'olimpo, sì da parere pazzo. Certo gli tornavano a memoria i classici studiati nelle sue scuole.
Don Orione quando da giovinetto ebbe in Valdocco sotto gli sguardi i monumenti della carità del Cottolengo e di Don Bosco, davanti a quei due giganti della storia vide impallidirsi tutti i personaggi da lui incontrati nello studio dei classici ginnasiali. E noi ora, alla lettura della vita di Don Orione, acclamiamo alle sue virtù, e imitandone i pensieri, gli affetti, le opere, ormai come amici ragioniamo con lui.
Facite vobis amicos ut cum defeceritis recipiant vos in aeterna tabernacula; facciamoci amici i Santi, ché dopo il corso di nostra vita ci vengano incontro all'ingresso della beata Patria.
Un giorno Don Bosco guardò fisso negli occhi il suo giovinetto alunno Orione e gli disse: “Ricordati che noi saremo sempre amici”. Valga anche per noi quella frase e ce la dica Don Orione: “Noi saremo sempre amici”. Suoi amici imitandone le virtù, cooperando secondo le nostre facoltà nelle opere da lui istituite; e amici sempre in Paradiso, nella visione e nel godimento di Dio”.