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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Milano 7 dicembre 1938. Il card. Schuster benedice la prima pietra del nuovo gruppo di padiglioni del Piccolo Cottolengo Milanese
Autore: Ignazio Terzi



IL SERVIZIO, PROLUNGAMENTO DELLA PREGHIERA
Il Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B.

 

di Don IGNAZIO TERZI

 

La santità nella Chiesa

Si afferma, e a ragione, che dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha preso più profonda coscienza della sua natura e del Mistero che la costituisce. Ciò coinvolge pure la Canonizzazione dei santi, in quanto essa è la forma più efficace per presentare al mondo quella “nota” fondamentale della Chiesa che è la “Sanctitas”, definita a Nicea.

Certo vi è nella Chiesa una santità, per così dire, “intrinseca”, come quella dei Sacramenti, che crediamo per Fede, ma non sperimentiamo sensibilmente. Proclamando un santo invece si offre una testimonianza facilmente percepibile e che realizza l'evangelico giudicare dai frutti la bontà dell'albero che li produce e che, nel caso nostro, è la Chiesa.

Testimonianza stimolante sulla quale si è espresso magistralmente San Gregorio Magno: “Nella esposizione delle Sacre Scritture si conosce come la virtù si possa trovare e praticare, ma nel racconto delle gesta straordinarie come la virtù sia stata di fatto trovata e praticata” (Dal “Prologo dei Dialoghi”).

Cristo resta l'unico “santificatore” (cfr. LG, 42) e modello, imitabile però in diverse forme, dando la varietà degli “esemplari” che la Chiesa propone alle categorie di persone.

 

Duplice modello: Monaco e Pastore

Ora noi ci accostiamo con devozione riconoscente alla singolare figura del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, benedettino e Arcivescovo di Milano. Non possiamo dimenticare un giudizio su di Lui dato da Don Zambarbieri nella Pasqua del 1934 “Pochi vogliono bene a Don Orione e alla Congregazione come S. Em.za Schuster”.

E i rapporti fra le due grandi Anime furono sintetizzati dalla comune continua ricerca di Dio e servizio dei Fratelli, pur con percorsi e aspetti antitetici.

Di modesta estrazione sociale, figlio di un sottufficiale zuavo pontificio bavarese, che presto lo lasciò orfano, Alfredo nasce a Roma, non lungi dal Vaticano, l'8 gennaio 1880. Dopo una puerizia tutta “altarini e cerimonie” trascorsa con la mamma Anna Tutzer e la sorellina Giulia, a soli 11 anni egli entra nell'Abbazia di S. Paolo. Non come oblatino, ma studente seminarista. Sarà però rapidamente affascinato dall'ideale monastico che lo porterà a professare il 13 novembre 1889. Mai avrebbe cambiato questa sublime vocazione, incrementata dalla santa familiarità con il Servo di Dio P. Placido Riccardi, nella fedeltà alla “massima” dell'Abate Oslander “Stiamocene con Dio, noi monaci”. Nessun egoismo spirituale, ma solo il contenersi consapevolmente nel chiostro per amor di Dio e dei fratelli” (cfr. Biografia del Cad. Schuster, Abbazia di Vibaldone, pag. 49).

P. Ildefonso (nome assunto con la professione) saprà, già come monaco, coniugare il silenzio claustrale con uffici impegnativi: Maestro dei Novizi, Professore di Musica sacra, consultore presso la Congregazione dei Riti e finalmente Abate nel 1918. Ma nel 1929, tramite la ferma volontà del Vicario di Cristo, Papa Pio XI, si svela il misterioso piano di Dio che farà del Monaco, il Pastore della Diocesi prima del mondo come numero di parrocchie e certo una delle più impegnative, Milano.

Il novello Cardinale Arcivescovo scrive: “Quando un Abate deve sobbarcarsi il carico episcopale e pontificio, non farà altro che allargare i termini assegnati dalla Regola e invece che pensare che egli occupa le veci di Cristo nel solo suo piccolo monastero, pensa tremebondo e medita che egli tiene ormai nella propria Diocesi e nella Chiesa universale il posto del Salvatore. “Così fecero Gregorio Magno, Gregorio VII, i beati Vittore III, Urbano II e tanti altri… e divennero santi”.

Quella Diocesi che serbava ancora viva memoria dei Cardinali Ferrari e Tosi, non tardò, quasi con stupore, a proclamare il nuovo Pastore, monaco, “Novello San Carlo” tanto seppe brillantemente inserirsi nell'alveo ambrosiano percorso dai predecessori. Ma il monaco non venne mai meno “Sento sempre la nostalgia del chiostro” ripeteva sovente.

La sua presenza fu paragonata a “un turibolo d'oro fumigante che profumava tutte e tutti” (Carlo Marcora, Un uomo secondo il Vangelo, 19547) E quale pastore infaticabile cadrà sulla breccia durante la quinta delle sue laboriosissime Visite pastorali.

 

Sintonia con Don Orione

“Io sento quando un'anima è di Dio. Ho avuto qui Don Orione quando non era ancora conosciuto. Eppure sentivo che vi era in Lui qualcosa di straordinario. Notavo in Lui tanta umiltà, tanta serenità, sovrannaturalezza che comprendevo di trattare con un'anima totalmente posseduta da Dio”.

Così confidenzialmente dichiarava il Cardinale rifacendosi al primo incontro del 1931 con il nostro Fondatore. I santi si intuiscono fra loro. Il cammino di Don Orione poteva anche dirsi antitetico a quello del cardinale in quanto egli aveva immediatamente intuito che per raggiungere la massima unione con Dio, doveva buttarsi subito – fino a consumarsi – nel servizio dei più bisognosi, laddove solo l'obbedienza aveva tolto Schuster dal monastero. Tanto amato e rimpianto.

Ma le posizioni inizialmente distinte avevano raggiunto una piena sintonia. “Nihil Operi Dei praeponatur!” era sempre il motto del Cardinale che vedeva nel servizio dei fratelli solo il prolungamento dell'orazione, mentre Don Orione vedendo Cristo nei bisognosi, scopriva pure la via diretta all'adorazione contemplante.

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