E' qui riportata una selezione di scritti di Don Gaspare Goggi di diverso argomento. Sono sufficienti ad avere l'idea del pensiero e della tempra di questo giovane Servo di Dio.
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Lavorare per Dio
Alla sorella Teresa, Genova, 24 novembre 1895, Scritti I, 102.
I miei studi, per aiuto di Dio, procedono molto bene: continua pur sempre a pregare il Signore per me, che n'ho tanto bisogno, non solo per poter progredire nello studio, ma anche, ciò che molto più importa, per poter avanzare nelle virtù, senza le quali ogni scienza sarebbe dannosa o, per lo meno, vana.
Tu, d'altra parte, non ti scoraggiare vedendoti nell'impotenza di effettuare i tuoi santi desideri: questo è il tempo della preparazione: quando giungerà il tempo della prova e del fuoco, saprà bene Iddio guidarti per quella via che più crederà conveniente al bene tuo e delle anime.
Com'è consolante davvero il poter lavorare per Dio! Egli sì che sa compensare infinitamente le nostre fatiche; ma il mondo, il mondo traditore, non ha che lusinghe e inganni; l'affaticarsi per desiderio di fama o di beni materiali, che mai valgono ad appagare l'animo nostro, e che nulla durano, sarebbe cosa per lo meno da pazzo.
Alla sorella impaziente e scoraggiata
Alla sorella Teresa, da Genova, 2 marzo 1897, Scritti I, 123.
Mi fanno molto piacere, in genere, le notizie che mi dai della famiglia, ma mi spiace sommamente ciò che dici a tuo riguardo. Che cos'è questo tuo abbattimento morale? Già da tempo me ne hai scritto, ma credevo fosse affare di un momento e non te ne feci alcuna osservazione; invece, a quanto pare, è tutt'altro che cosa accidentale, è proprio un tuo stato normale. Non ignoro la difficoltà che ti costituisce il vivere in un ambiente che pare tutt'altro che adatto alle tue inclinazioni; non nego neppure la quasi impossibilità che avrei io, di vivere in tale stato; ma bisogna ad ogni modo stare con coraggio e fortezza, operando come e quanto piace a Dio, sulla via segnata dal Cielo.
Ché se la vita che ora conduci, non è la tua, può esserne però una preparazione: a questo periodo di inoperosità o almeno di operosità nascosta e di lotte mute e proditorie succederà il periodo dell'azione e della lotta aperta, e tu avrai agio di esplicare in esso quella precauzione e quel senno, acquistati appunto nelle calme e nelle incruenti lotte di queste tue quieti forzate.
Ad ogni modo, se vedi che un tal genere di vita sia proprio del tutto incompatibile con la tua indole, risolviti pure ed abbraccia quello stato che meglio ti aggrada, purché non sia materialmente impossibile il raggiungerlo. Ritieni però sempre che non è privo di frutto, e per ora e per l'avvenire, il tempo speso nel cercare di conoscere se stessi e la natura umana, nel che puoi profittare in modo speciale nelle presenti tue condizioni.
Con la mente, che non riconosce limiti di spazio né di tempo, innalzati alla sublime contemplazione di Dio, e infiamma nel suo amore celestiale il tuo cuore sì che tu possa essere come faro e fuoco in mezzo alle tenebre e le freddure del mondo. Uno che, privo di preconcetti si dia ai più profondi studi, riuscirà bensì a concepire di Dio una idea più maestosa ma non mai più sublime e pura di quella che direttamente dalla Verità stessa viene comunicata ai cuori semplici ed umili.
Il cielo nitidissimo di questi giorni primaverili, il tornar della vita nella vegetazione, l'apparire della letizia negli uccelli, muti da tempo, tutto dà speranza di giorni migliori; e l'avvicendarsi assiduo dei fenomeni fisici e, più ancora, delle nostre ispirazioni e visioni intime è prova indubbia di quella mente sublime la cui Essenza noi, nella nostra miseria raffiguriamo pallidamente nelle immense distese del mare. Fede, speranza e carità, e sempre avanti impavida nel cammino che al Cielo piacerà di assegnarti; non temere di nulla, coraggio! Est Deus in nobis.
Per trovare pace in mezzo alla tempesta
Alla sorella Teresa, da Torino, 16 gennaio 1898, Scritti I, 143.
Povera Teresa! Comprendo il dolorosissimo tuo stato, e ne soffro immensamente. So che il cercare di confortare direttamente nelle sventure accresce ancor più il dolore; ma diventa un dolore che non opprime, anzi solleva, perché è vivamente sentito in tutta la sua grandezza da chi veramente ci ama.
Fatti coraggio e confida in Dio. Il mondo non può darci che amarezze e pianto: poveri uomini, cattivi, ingrati anche senza saperlo, contro il loro stesso volere! Vi ha bensì anche l'ipocrita che freddamente lavora per il male altrui, che gode del dolore del suo prossimo, ma noi dobbiamo ritenerci superiori a tali esseri e compatirli, confortandoci dell'affetto interno dei cari.
Capisco la tua difficoltà o ripugnanza nel dover trattare con gente ipocrita o per lo meno permalosa e piena di sospetti, e ti compatisco. Guarda ad ogni modo di uscirne alla meglio. Iddio è giudice che direttamente vede ogni cosa e non si inganna. La pace dello spirito che deriva dal retto sentire e dal giusto operare è tale un bene che la malignità umana non ci può rapire; quella pace che è balsamo nei dolori e rasserena l'animo in mezzo alle furiose tempeste di questa misera vita.
Cara sorella, siamo nati al dolore e al pianto, tutti, vedi perché chi non ne ha motivi naturalmente è costretto a cercarsene. Quindi non importa cercare né dove né quando né da chi ci sia cagionato il male, ma è necessario in qualsiasi occasione tollerare nobilmente, virilmente senza dover con questo diventare ludibrio di chi vorrebbe calpestare in noi un essere immortale. Fatti coraggio, e mandami buone notizie o almeno notizie.
Col cuore vuoto non si può vivere
All'amico Alberto Roella, 18 febbraio 1900, Scritti I, 186.
Hai distaccato il tuo cuore dal mondo, perché le sue gioie ti parvero indegne della dignità di un uomo; hai respinto da te la gloria perché ti si offriva a patti indecorosi per la tua coscienza: ma non basta. Non basta disprezzare il male; non basta neppure ammirare la grandezza, la sapienza e la magnificenza di Dio Creatore: bisogna operare il bene, e, per operare il bene, è necessario amare.
I prodigi del Divin Maestro tra gli uomini commuovevano ancora più per la loro bontà che non stupissero per la loro grandezza. Ogni azione di Cristo è improntata al più caldo amore per l'umanità infelice; la sua legge è legge di amore.
È inutile, mio caro, col cuore vuoto non si può vivere: così tra il mondo e Gesù Cristo, disprezzando l'uno senza amare l'altro, non puoi durare a lungo; e finirai per cadere tra le spire del senso, se non solleverai presto il tuo spirito a Dio. Considera queste cose, e amami in Cristo.
Di fronte al suicidio di un suo professore
A destinatario sconosciuto, Genova, 26 febbraio 1894, Scritti I, 2.
Stavo ieri nel pomeriggio traducendo un pezzo d'Iliade quando sentii suonare il campanello. Corsi io stesso ad aprire, credendo fosse il portalettere. Erano invece due miei condiscepoli, i quali, senza aspettare alcuna mia domanda, “Non sai ancora”, mi dissero, “Che cos'è successo?”. “Io non so niente”, risposi loro, confuso per quella visita improvvisa. ”Ebbene”, riprese uno di essi, “sappi che il nostro professore di latino e greco si è suicidato”. “Come? Questa mi riesce nuova; quando avvenne questo fatto?”. “Stamattina alla foce del Bisagno”, riprese il mio amico, “e noi siamo venuti ad invitarti al suo funerale, che si farà il giorno delle ceneri”.
Accettato l'invito e ringraziati i miei compagni, tornai in casa, più che afflitto, atterrito. Mentre rimpiango debitamente la fine miseranda di questo mio professore, non posso fare a meno di deplorare questi nostri tempi in cui, sostituita nelle pubbliche scuole, la religione dalla Dea Ragione, sostituiti la verità e il buon costume dall'errore e dalla corruzione generale, tanto di frequente si ripetono simili casi per parte specialmente di persone istruite, le quali dovrebbero essere di guida agli altri nel ben fare.
Certo se quell'infelice avesse avuto conoscenza della nostra religione non si sarebbe ridotto a questo estremo. La nostra vita - chi non lo sa? - è piena di miseria; tutti nella nostra più o meno lunga esistenza lo abbiamo provato. Ma il credente, avvezzo a considerare questa vita come un passaggio e i dolori quale mezzo per risarcire alle proprie colpe, sopporta con rassegnazione tutti i mali della vita, i quali vengono alleggeriti dal dolce pensiero di una vita futura, premio alle nostre fatiche di quaggiù. Invece l'incredulo, pel quale non esiste vita futura, non potendo soddisfare, con i beni di quaggiù al proprio cuore, che non può trovare pace e soddisfazione se non in Dio, trova cosa lodevole il suicidio, come quello che lo libera da una vita odiosa, piena di disinganni.
C'è chi vuol vedere nel suicidio forza d'animo. Errore mostruosissimo: la forza d'animo sta nel sopportare impassibili e rassegnati le avversità della vita; non già nel farsi saltar per aria le cervella con una pistola, come insegnano i filosofanti del nostro secolo, perché, questo è un fuggire davanti le sventure, un liberarsene col modo più abbietto, il suicidio. Ma lasciamo ormai di parlare di cose che destano ribrezzo, e passiamo ad altro.
L'uguaglianza
Articolo pubblicato sul Bollettino dell'Opera della Divina Provvidenza, 18.2.1900, Scritti I, 187.
“E dove sono i vostri dotti perché io mi converta alla vostra religione? Ho veduto le processioni dei credenti: vecchi imbelli e forse anche imbecilli, donne, ragazzi, disgraziati, ecco i seguaci del cristianesimo e in particolar modo della Chiesa Cattolica. Come mai vuoi che io mi rassegni ad abbracciare una religione che raccoglie i suoi proseliti tra i rifiuti della società?”. Così diceva a me un giorno, in tono di vittoria e di sprezzo uno studente propugnatore di quella morbosa aberrazione che si appella socialismo.
“Ma sai – presi a dirgli io – che è per lo meno strano che voi, propugnatori di un'uguaglianza assoluta veniate a parlarci di rifiuti della società? E in che fate consistere la giustizia che reclamate assoluta sulla terra? Forse nel dare a ciascuno secondo il proprio ingegno e la propria dottrina? E allora, abbiate pazienza, voi andate proprio fuori strada: in cambio di sopprimere quella che voi siete costretti a chiamare ingiustizia di natura, stabilite di aumentarla; invece di amare maggiormente e circondare di ogni cura quelli che più furono trascurati dalla sorte, voi li deprimete.
Ah! Povera gente, che volete parlar di giustizia e cominciate col negare Dio, che ne è la base e la vita futura, che ne forma il compimento! Ascoltate, o traviati, le parole di un Dio alle turbe assetate di pace e di giustizia: “Venite a me, o voi tutti, che siete affaticati e tribolati, ed io vi conforterò. Venite a me tutti, saggi e ignoranti, ricchi e poveri, vecchi e giovani, sani e ammalati. Amate Iddio e amatevi tra voi. A ciascuno io renderò secondo il proprio merito, e maggiori frutti esigerò da colui al quale sarò stato più largo in benefizi”.
Ecco l'unico fondamento della giustizia: fuori del cristianesimo il nominare cosa sì santa è una profanazione. D'altra parte anche noi avemmo e abbiamo i nostri dotti, e quali dotti! E si potrebbe anche dimostrare che nessuno è veramente sapiente se non è cattolico. Ma non è questo il più forte motivo che ci rende credenti: gli Apostoli furono poveri pescatori, e quei luminari d'ingegno e di dottrina, che furono parecchi santi, stimavano maggiormente la breve prece di un povero idiota in grazia di Dio che tutti i loro sapienti volumi.
Amate voi sinceramente l'uguaglianza? Ebbene, l'unica via che ad essa possa condurvi, senza aberrazioni e, soprattutto, senza ingiustizie, è quella tracciata da Cristo.
Ricorro a Te, fonte di vita
Articolo pubblicato sul Bollettino dell'Opera della Divina Provvidenza, 27.8.1899, Scritti I, 173.
“Gesù mio, conosco quanto è grande la mia insipienza e la mia miseria, perché senza di Te, fonte di vita, non è che morte sulla terra. Da Te, fonte di vita, emana la luce e il calore che infiamma e rischiara le fredde tenebre del mondo: la luce tua è sapienza che all'umile si rivela con abbondanza, il tuo calore è carità che non vede limiti, che abbraccia cielo e terra, unisce la creatura al Creatore, riconcilia il peccatore con la Giustizia offesa. Orribili sono i miei peccati, ma il Tuo Sangue è sufficiente lavacro alle iniquità degli uomini. Ritorno a Te, e alle beffe del mondo, che mi dirà incapace di vivere, sarà compenso grandissimo la pace che troverò sul tuo Cuore Divino.
Il perché della vita non è altro che amore
All'amico Alberto Roella, Bettole, 22 agosto 1900. Si riferisce a un pellegrinaggio al santuario del Monte Penice (Bobbio) in compagnia di Don Orione e altri due studenti universitari. Scritti I, 194.
Il viaggio da Voghera ai piedi del Penice, fatto di notte e nella luce bianchissima della luna, mi lasciò nella mente un'impressione indimenticabile di soavità. Si viaggiava in vettura, ed era con noi un santo prete (Don Orione) , il quale si recava a predicare al Santuario. Il Servo di Dio ci parlava, con linguaggio ispirato, dell'amore di Gesù Cristo per noi.
Non mai come allora io sentii così vivo l'amore di Dio, il Cui Nome grandeggia per l'universo; e insieme mi appariva chiara la visione di tutte le cose, e vedevo senza velami il mistero e il perché della vita, la quale non è altro che amore.
La carità bruci tutto ciò che è impuro
A Don Orione, Torino, 15 ottobre 1901, Scritti I, 259.
La ringrazio tanto dei suoi santi e autorevoli consigli; preghi il Signore perché, con la sua ardente carità, abbruci tutto ciò che è in me di mondano e di impuro: sento un bisogno grandissimo ed urgente di ritirarmi intieramente dal mondo.
La noia non la conosco neppure di nome
Alla sorella Teresa, San Remo, 3 Luglio 1902, Scritti I, 297.
Di salute, grazie a Dio, sono sempre stato assai bene, meglio assai di quello che tu possa credere o anche immaginare: sempre lieto nel Signore, il quale dà potestà di fare ogni cosa secondo il detto dell'Apostolo: “ Omnia possum in eo qui me confortat ” [“Tutto posso in colui che mi dà la forza”, Fil 4,13].
Se io dicessi che questo mese passò di volo, ciò potrebbe parere esagerazione; eppure è espressione insufficiente. Ti assicuro che, se in vita mia, per grazia di Dio, ebbi ben poche volte a lamentarmi della noia, adesso non la conosco neppure più di nome. Se vedessi come si lavora, e come si sta bene! e come Dio dà la forza e il coraggio per lavorare, e la speranza per non lasciar credere che il nostro lavoro sia inutile.
Via la malinconia!
Al Papà, Genova, marzo 1895, Scritti I, 93-94.
Carissimo papà, quest'anno l'inverno è oltre il solito triste davvero.
Ho sentito che voi avete la tosse e che avete poco appetito: ciò mi è di sommo dolore, ma non mi sconforta quanto il sapere che vi siete dato interamente alla malinconia, la quale certo più che la tosse vi è di danno.
Caro papà, cos'è questa malinconia? Ma non sapete voi, istruito come siete nella nostra santa Religione, che essa è vietata assolutamente da Dio, il quale vuole che lo serviamo tra l'allegrezza? Non sapete che, dopo il peccato, non vi è stato d'animo più da temersi che la malinconia?
Gravi e seri pensieri vengono a turbare la vostra mente, lo so: ma sappiate altresì che Iddio non ci ha imposto di fare ciò che è impossibile, ma di fare quel poco che possiamo e di lasciare il resto nelle sue mani. Da qualche tempo le annate scarse vi rendono quasi impossibile l'amministrazione dei vostri beni. Ma ricordatevi che nulla avviene quaggiù, senza che Iddio lo comandi e lo permetta; e che il giusto, il misericordiosissimo Iddio non manda e non permette i mali, se non per trarne del bene. Quel Dio che ci ha creati dal nulla, che ha dichiarato essere sua delizia il trattenersi coi figli degli uomini, che ha mandato il suo divin Figliolo per la redenzione, con tutto, anche con le sventure cerca la nostra santificazione.
Riconoscendo pertanto in queste nostre miserie la mano onnipotente o la permissione di Dio, fatto quel poco che potete anche per il bene de' vostri affari di quaggiù, vi dovete rassegnare cristianamente nelle mani di Dio. E Lui, che è il padrone di tutto, che ad un solo suo cenno potrebbe far sorgere altri mondi infiniti, non mancherà quando lo creda necessario per la nostra santificazione, di venirci in aiuto anche con grazie temporali.
Ma la rassegnazione cristiana non consiste nel sopportare per forza le nostre miserie, ma nell'accoglierle e tollerarle di buon animo. Iddio non vuole solo che noi accettiamo le nostre sventure, perché non possiamo farne a meno, ma ci comanda di essergliene grati, di ringraziarlo perché ci visita nelle tribolazioni. Tutto quello che fate, le cure che vi prendete sono per noi, lo so; infatti di voi poco vi curate, ma sappiate che a noi sta più a cuore la vostra salute che tutti i beni di quaggiù; tutto sopporteremmo pur di vedervi una volta rassegnato, contento.
Non vogliate con la vostra malinconia renderci tutti tristi. Io piansi e piango tuttora pensando alla condizione dolorosa in cui si trova la nostra famiglia; sì, perché quantunque non sia presente a voi, so che senza il buon umore in una famiglia nulla si può fare.
Quanto alla salvezza dell'anima, di cui mi manifestaste dubbi l'estate scorsa, vi conforti il pensiero di una vita trascorsa continuamente nel servire Dio, sia nelle fatiche che tra le preghiere e l'educazione dei vostri figli. Oh, quanto debbo ringraziare il Signore di avermi dato un padre così santo, che nulla tralasciò per indirizzarmi al bene, che mai mi fu cagione di scandalo, ma sempre di incitamento alla virtù! Di che cosa temete? Un Dio tutto misericordia per chi si pente, un Uomo–Dio crocifisso per voi, i suoi meriti infiniti, i vostri figli che pregano per voi: oh! che argomenti di fiducia e di consolazione! Il paradiso vi è aperto.
L'amore alla verità
Ai fratelli Alberto ed Ernesto Falchetti, 8.12.1901, Scritti I, 263.
Sovente il desiderio di qualche amico, di voi due in modo speciale che per tanti titoli mi siete carissimi, mi punge vivamente, ma io scaccio questo pensiero e mi impongo, come posso, di non desiderare ciò che non è possibile avere. Infatti, la felicità dell'uomo consiste nel fare contro il proprio desiderio; consiste insomma nel cercare la sua apparente infelicità.
È una verità che trova la conferma ogni momento nella pratica della vita. La volontà è arbitrio regolato dalla ragione, la quale è fatta per vedere la verità, che è la vita della nostra vita, che è largitrice agli uomini di tutta la felicità possibile in questa terra di miserie e fattrice di completa beatitudine in un avvenire non lontano.
All'amore di questa santa e cara verità io vi esorto con tutte le forze dell'anima, o miei cari, e questo è il più gran dono che io posso fare ai miei amici, quello cioè di raccomandare l'amore della verità. E siccome questa carissima benefattrice dell'uomo rifulge in modo speciale e pienamente nei Libri Santi, io vi esorto a farne lettura assidua e costante. Il conforto che ne trarrete sarà immenso. Fate ragionevolmente ogni vostra azione e fuggite dal sentimentalismo come dal peggiore e più insidioso nemico: il sentimentalismo, combattendo direttamente la ragione, mira alla distruzione dell'individuo.
Suscita difensori della santa Verità!
Articolo pubblicato sul Bollettino dell'Opera della Divina Provvidenza, 17.1.1900, Scritti I, 183. Questo testo riprende l'affermazione centrale esposta nella sua tesi di laurea su “ Innocenzo III e gli eretici della Francia meridionale ” : la Chiesa difende, attraverso i secoli, il sacro deposito della dottrina affidatole da Dio circondando il dogma con il fulgore della virtù dei santi.
L'errore commina, e cagiona l'immoralità che ci ammorba. Ma Tu, potente Iddio, che in ogni tempo suscitasti opportunamente strenui difensori della santa Verità, armaci alla lotta ché noi siamo servi pusillanimi, e di nostro non abbiamo che il peccato.
Dio, che per carità Ti umanasti, infondi in noi l'amore del prossimo così che la gente ti ami e sia salva. Dio, che ispirasti gli oracoli dei profeti, illumina le menti nostre appena sottratte dal dubbio atroce, affinché si verifichi ciò che sta scritto: “Sperderò la saggezza dei savi e rigetterò la prudenza dei prudenti”.
Il mondo è pieno di codesti stolti sapienti e di codesti prudenti falsi, e la povera gioventù corre incantata dietro la peste del malo esempio.
O Signore, contro il potere delle tenebre, che si è scatenato, suscita la schiera degli eletti tuoi figli della luce e dà loro il lume che copioso donasti al Tuo servo Agostino; la sapienza di cui inondasti San Tommaso; il serafico ardore di cui facesti ricco il poverello di Assisi.
Paladini della libertà
Minuta di Don Goggi per il discorso di Don Orione al Congresso Salesiano degli Oratori festivi e delle Scuole di religione di Faenza (25-28 aprile 1907); Vita di Don Gaspare Goggi , 270.
Lo Stato moderno va man mano confiscando, in nome e per impulso di sette che, per antifrasi, si dicono liberali, ogni genere di libertà. La tirannia di questo nuovo mostro si manifesta più inesorabile là dove natura e ragione reclamano più imperiosamente, e con maggiori diritti, un largo uso di bene intesa libertà.
A nessuno di noi sono ignoti gli sforzi generosi e incessanti, opposti sin da principio, e continuamente, dai valorosi campioni di parte nostra, per impedire allo stato laico il monopolio dell'insegnamento”.
Grazie!
A Don Orione, senza data, Scritti I, 266.
Carissimo Padre in Gesù Cristo Crocifisso, La ringrazio tanto della sua infuocata lettera per mezzo della quale il Signore diede a me e a Volante consolazione e vita.
Che il Signore La benedica, o caro nostro Padre, per i conforti e per i santi e apostolici entusiasmi che ci infonde. Preghi il Signore perché io possa meno indegnamente compiere ciò che Lei mi comanda.
Coraggio!
A Don Orione, senza data, Scritti I, 267.
Carissimo Padre in Gesù Cristo. Si faccia coraggio, caro Padre. Lei sa, per averlo sperimentato più volte e in momenti forse più gravi di questo, che la bontà di Dio uguaglia la Sua grandezza, la quale è infinita. Noi prendiamo vivissima parte al Suo dolore e alla Sua angoscia. Preghiamo caldamente il Signore per Lei e la cara Opera della Divina provvidenza: Iddio ci esaudirà, e ricompenserà la nostra fede in modo grande, come sa fare Lui.
Tutto serve nelle mani di Dio… anche i peccati
Minuta senza data , Vita di Don Gaspare Goggi , 183.
Ah, devo proprio confidare nel Signore! Devo proprio tutto al Signore! E' tutto il Signore, mio buon Padre, che ha fatto così per richiamarmi sul retto sentiero. Sia benedetto il Signore, siano benedetti tutti e tutti gli strumenti delle sante mani del Signore, etiam peccata mea, etiam peccata mea , se questi mi aiutano ora ad umiliarmi e ad amare di più Nostro Signore.
Il Signore ci dilata nella tribolazione
Minuta senza data, Vita di Don Gaspare Goggi , 196.
Pregate un po' di cuore il Signore affinché mi dia pazienza e soprattutto carità. Del resto io mi consolo e godo nella speranza, perché so che il Signore è solito dilatarci nella tribolazione.
La croce ci avvicina a Gesù
Alla sorella Teresa dopo la morte dello zio Vincenzo, 13 maggio 1905, Vita di Don Gaspare Goggi , 255.
Per il povero zio Vincenzo ho già applicato qualche Santa Messa, e qualche altra ne applicherò ancora, come continuo sempre a celebrarne per il povero papà. E prego incessantemente per ciascuno di voi, perché il Signore vi dia la forza di sopportare con santa rassegnazione e con gusto la croce, che per sua benignissima misericordia ha posto sopra le nostre spalle. In ciò vi gioverà molto e sarà di grande conforto all'anima vostra il considerare che sarete tanto più simili e vicini al dolcissimo nostro Gesù, quanto più avrete da patire per Suo amore.
Coraggio! Le nostre forze sono nulle e per noi non possiamo niente; ma Gesù può tutto e noi potremo ogni cosa in Lui. Se ci sforzeremo di far vivere in noi Gesù, nella pazienza, nell'umiltà, nella carità, ogni pena ci si cambierà facilmente in diletto, e non finiremo mai di ringraziarne la benignità inesauribile del Signore Nostro, che ha così tenera e paterna cura di ciascuno di noi. Perché quando, o per angustie o per le tentazioni, ci pare di essere più lontani dal Signore, allora appunto Egli ci é più vicino, e conta ogni nostro sacrificio e segue ogni nostro affanno e ci appresta la corona per la vittoria dei santi combattimenti.
Del resto, non é male che noi sentiamo pena dell'esilio e ci invada quasi una nostalgia della patria lontana. Anche il santo re Davide, là nei suoi salmi, si lamenta che il suo esilio troppo si protrae: ''Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est" [ “Me infelice! Poiché da troppo tempo vivo in terra straniera”, Sal 120, 5 ] . E San Paolo desidera di presto morire per unirsi al suo Gesù: " Cupio dissolvi et esse cum Christo" [ “Desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo”, Fil 1, 21 ] . Ma la speranza e il desiderio delle cose celesti non ci deve far ricusare i travagli della vita presente, dal momento che lo stesso San Paolo ci avverte che non sarà coronato se non colui che avrà legittimamente combattuto fino alla fine.
Coraggio, dunque, e preghiera, e pregate tutti anche per me.
La preghiera Articolo pubblicato sul Bollettino “Piccola Colonia Agricola di Sant'Antonio” di Cuneo, febbraio 1910.
Oh! se tu sapessi, cos'è pregare!
Oh se Dio ti accordasse la grazia di amare la preghiera! Come la tua anima sarebbe serena ed il tuo cuore buono! Come brillerebbe sul tuo viso la gioia dolce e piacevole, anche se le lagrime sgorgassero dai tuoi occhi!
Pregare è, anzitutto, col primo grido che sgorga dal cuore e dalle labbra, un avvertire Dio che vogliamo parlargli, e Dio ha la bontà di essere sempre disposto ad ascoltarci; e - come osare a dirlo? - colla puntualità e l'esattezza d'un servo fedele, a questo primo grido della preghiera. Egli si mostra all'anima con un amore ineffabile: Eccomi, dice, a te che mi hai chiamato; che cosa vuoi da me?
Pregare, è un restare durante tutto il tempo che dura la preghiera, in compagnia di Dio, come in visita presso di Lui, colla certezza che non si annoia mai, qualunque siano gli argomenti dei quali si parla, le domande che gli si fanno... anche quando, non gli si dice niente, e, ad esempio del buon paesano di cui parla il Curato d'Ars, ci si accontenta di guardare Dio, e di essere guardato da Lui.
Ave Maria!
Da articolo per il Bollettino dell'Opera della Divina Provvidenza, 27.8.1899. Dà voce alla preghiera dei pellegrini che ritornano per la festa del santuario della Madonna di Monte Spineto (Alessandria). I, 171.
Ave, Maria! Com'è dolce questo saluto! È il saluto di chi annunciava alle genti la pace da lungo tempo sospirata e pianta; è il saluto che a Te annunciava, insieme con quella del Figlio di Dio, la maternità di tante anime afflitte e desolate che a Te, o Immacolata, doveva presentare il Cristo, lavate nell'onda purissima del Sangue Suo Divino.
Vergine Santissima, cara e dolcissima Madonna mia, con quanta effusione noi piangeremo ai piedi del tuo altare, dopo tanto tempo che non siamo più venuti! Ma tu ci riconoscerai ancora, Madre. Guardaci, siamo i tuoi poveri figli! Ricevi il nostro grido, ed abbi misericordia di noi, o Madre delle divine misericordie! Aprici le braccia e il cuore affinché sul tuo seno troviamo conforto e vita.
O Maria, Madre di grazie ti chiama la voce universale delle genti, che invocandoti da secoli ricevono da Te benedizioni e prodigi. Rendi vana per sempre l'opera dell'inferno e del mondo, raffermando nel cuore ai tuoi figli quella fede, per la quale Tu fosti degna di essere Madre del Verbo. Custodisci e salva il tuo popolo! Più assai dei nemici che un giorno invadevano queste contrade, sono tremendi i nemici spirituali che ci insidiano e tentano colpirci per ogni lato. Considera i tristi e funesti guasti dell'immoralità, della bestemmia e della miscredenza, onde tanti poveri tuoi figlioli vanno contaminati!
O Tu potente, che tutte quante le eresie schiacciasti col tuo piede verginale, fuga col fulmine dei tuoi occhi i nemici immondi, o tutta pura; dirada le tenebre che minacciano confondere i tuoi figli, o fulgida stella del mattino!
Tra le lacrime e la fede di una tenerezza filiale; accogli, o Pia, o Bella, o Clemente la preghiera dell'anima: salva e santifica il tuo popolo.