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Quand'era vivo lui – di questa nostra corta e greve esistenza – a Milano veniva tutte le settimane, e i martedì milanesi di Don Orione erano diventati in breve tempo una istituzione, convegno di carità per gli amici, che venivano a scaldarsi al fuoco dei suoi grandi occhi neri e brucianti e del suo cuore materno; convegno di dolore per la muta ed assidua teoria di sofferenti che andavano a lui per chiedere alla sua povertà doviziosa l'elemosina del conforto materiale o spirituale.
Poi la cara consuetudine s'era bruscamente interrotta: e pareva a noi tutti di soffrire di una vaga orfanezza.
Ma ora Don Orione ritorna, con l'aria consolidata e trasfigurata dei santi, per inaugurare l'opera sua miracolosamente adulta. Dal giorno della sua morte è stata come una vampata. Le mura sono cresciute impetuose, gli amici si sono moltiplicati, i padiglioni sono andati allineandosi luminosi e sorridenti; il sogno di Don Orione ha cominciato ad avverarsi. “Io penso – aveva detto un giorno contemplando il plastico del progetto generale – io penso ai tanti e tanti poveri che verranno a prendere possesso di una casa così lieta e serena anche nelle sue linee architettoniche; li vedo già a centinaia, a migliaia sparsi nelle corsìe, raccolti in chiesa a pregare per voi, cari amici e benefattori … ma Don Orione non vedrà ultimato il Piccolo Cottolengo Milanese…”
E con lui torna a noi il suo messaggio più vivo e urgente che mai, per la riprova dei fatti e per la durezza dei tempi.
Il Significato di Don Orione! Non è così facile trovarlo come l'apparente chiarezza e semplicità della sua vita potrebbe far credere. Più ci si pensa a distanza e più ci appare profondo, anzi misterioso.
C'è qualche cosa nella sua figura che ci sfugge ancora, qualche cosa che egli coprì inflessibilmente con geloso silenzio e con pudico riserbo, qualche cosa di troppo grande ed augusto per essere rivelato a noi. E quando l'accostavamo, era proprio la intuizione oscura di questa vita profonda e segreta che ce lo rendeva così alto, e in questo senso così lontano dalla nostra povertà e miseria.
Ho qui sott'occhio una sua fotografia presa all'uscita dall'Università Cattolica, dopo la memorabile adunata del 1937. La folla lo stringe da ogni parte, fin quasi a seppellirlo, curiosa, affettuosa, ma egli è solo, è lontano da tutti; raccolto, quasi rannicchiato su se stesso, il cappello sgualcito sugli occhi e la mano sulla bocca, come a trattenere qualche cosa di irrompente.
Ma io penso che quel suo felice e incomunicabile segreto altro non fosse che la prepotente in abitazione di Dio in lui; di quel Dio che lo abitava e lo moveva dal profondo, col quale era in colloquio incessante, che a volte gli traluceva improvvisamente dal sorriso luminoso e nella fiamma dei grandi occhi, neri e penetranti.
Senza questo non si spiega il prodigio della sua vita umile e doviziosa, il miracolo di questo poverissimo che muore a 68 anni improvvisamente, lasciando nel mondo un meraviglioso complesso di opere, di questo oscuro popolano che suscita ondate di entusiasmo trionfale intorno alla sua bara, di questo semplice e indotto delle risorse della scienza ufficiale, che affascina e conquista al primo incontro gli uomini della più raffinata cultura, della politica, dell'industria e della nobiltà.
Qui è il segno inconfondibile di Dio, di quel Dio che usa scegliere gli ultimi, secondo il mondo, per rovesciare e confondere i disegni della sufficienza umana e donare alla società le sue opere più durevoli e più feconde.
E come Don Orione sentì chiaramente e vigorosamente espressa la divina “strumentalità” della sua persona al servizio della Provvidenza! “Io non sono nulla. Io sono uno straccio, un povero straccio nelle mani di Dio!”
Per questo non voleva mai chiedere nulla direttamente ai suoi amici, tutto “dovendo” venire dal Signore, unico e vero padrone delle sue opere (tratto questo, non molto frequente, di aristocratica umiltà e rispettosa delicatezza verso gli amici) e per questo ancora volle prendere a prestito per le opere sue più caratteristiche persino il nome: Piccoli Cottolengo; quasi a mettere le sue creazioni caritative nel solco già celebre e ben definito di un'altra istituzione e a velare timidamente la propria persona dietro quella di un altro fondatore e padre di poveri.
Il significato di Don Orione è dunque un messaggio di umiltà e di abbandono in Dio per questo nostro secolo ancora troppo pieno di sé e malato fino alle ossa di umanismo; ma è nello stesso tempo un messaggio di amore ai fratelli per questo tempo di ferro e di lotte. Raccogliamo anche questo con riverente amore.
La vita di Don Orione insegna, con l'efficacia irresistibile delle opere, che una cosa sola durevolmente e universalmente vale, in vita e oltre la morte: la Carità. Le altre cose tutte, cui tanto teniamo, l'ingegno e la cultura, le ricchezze e la posizione sociale, la casta e il sangue, finiscono per dividere gli uomini e metterli qualche volta gli uni contro gli altri, ferocemente. La carità non mai. La carità unifica e salva. È un valore assoluto, universale e costante, per tutti i tempi e per tutti gli uomini. L'unico valore spirituale nel quale tutti si trovano concordi. Di quella concordia unanime e prodigiosa di intenti e d'amore che s'è fatta da ogni parte in questo, a questo defunto più vivo che mai, a questo umile ormai così noto, a questo povero che continua a diffondere, anzi a moltiplicare nel mondo le sue ricchezze per la consolazione di molti.
Perché, dopo tutto, una cosa sola vale ed è urgente per tutti: Fare del bene.
Don Carlo Gnocchi