Si è svolta oggi presso il Centro Don Orione in Roma, il 23 giugno 2011, la cerimonia di consegna della medaglia di “Giusto fra le Nazioni” alla memoria di don Gaetano Piccinini. La medaglia è stata consegnata dall’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Mordechay Lewy.
Il superiore generale Don Flavio Peloso ha presentato brevi cenni biografici di Don Piccinini e l’opera svolta per la protezione di Ebrei da lui e dalla Congregazione orionina.
“Siamo contenti di essere arrivati a questa giornata perché l’aspettavamo da tempo”, ha ammesso Bruno Camerini, uno degli ebrei salvati dal religioso e a cui si deve la richiesta ufficiale dell’onorificenza.
“Questo riconoscimento è unico e particolare: è un’occasione per chi non è ebreo di sentirsi parte di questo popolo”, ha dichiarato Livia Link-Raviv dell’ambasciata d’Israele a Roma, che ha ricordato come il titolo di “Giusto tra le Nazioni” sia “l’unica onorificenza civile esistente in Israele”.
Tra i testimoni intervenuti don Giuseppe Sorani, ebreo oggi sacerdote orionino, ha ricordato “la forma d’accoglienza interiore” sperimentata in Don Piccinini che gli ha permesso non solo la protezione ma la ricostruzione della propria dignità.
L’ambasciatore Mordechay Lewy, consegnando la medaglia, con discorso coraggioso ha infine voluto ricordare “quanto il Vaticano e molti religiosi hanno fatto per il popolo ebraico durante la Shoah”.
Desidero salutare lo Spettabile Superiore Generale dell'Opera Don Orione, Don Flavio Peloso, il Sig. Sindaco di Avezzano, Dott. Antonio Floris, Monsignor Andrea Gemma vescovo, i familiari del giusto don Gaetano Piccinini, specialmente il nipote Clemente, della famiglia Camerini, signore e signori.
Sono lieto di aver potuto accogliere l'invito a partecipare a questa cerimonia in onore di Don Gaetano Piccinini che ha aiutato a salvare membri della famiglia Camerini facendo il possibile per alleviare la dura prova cui sono stati sottoposti durante il periodo dell'occupazione. Non mi soffermo dunque sui dettagli della vicenda che la mia collega Livia Link ha già illustrato e del resto sono presenti i testimoni diretti che certamente molto meglio di me possono raccontare la storia.
Vorrei invece accennare molto brevemente ad un argomento ampiamente discusso: l'atteggiamento della Chiesa durante il periodo dell'occupazione nazista a Roma, durante il quale la vita degli ebrei della città è stata messa in serio pericolo, e tanti di loro purtroppo non hanno fatto ritorno dai campi di sterminio.
Senza Don Gaetano Piccinini, e altri uomini e donne come lui, il numero di vite umane spezzate sarebbe stato molto più alto.
A Don Piccinini riconosciamo di non aver dato solo asilo, ma di averlo fatto nel rispetto delle origini e identità di ciascuno.
A partire dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 Ottobre del 1943, e nei giorni successivi, monasteri e orfanotrofi tenuti da ordini religiosi hanno aperto le porte agli ebrei e abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione dei più alti vertici del Vaticano, che erano quindi informati di questi gesti, sarebbe pertanto un errore dichiarare che la Chiesa Cattolica, il Vaticano e il Papa stesso si opponessero alle azioni volte a salvare gli ebrei.
E' vero piuttosto il contrario: hanno prestato aiuto ogni qualvolta hanno potuto. Il fatto che il Vaticano non abbia potuto evitare la partenza del treno che portò al campo di sterminio, durante i tre giorni trascorsi dal rastrellamento del 16 ottobre fino al 18, può solo aver aumentato la volontà, da parte vaticana, di offrire i propri locali come rifugio per gli ebrei.
Gli ebrei romani ebbero una reazione traumatica. Essi vedevano nella persona del Papa una sorta di protettore e si aspettavano che li salvasse ed evitasse il peggio. Bene, sappiamo tutti cosa è successo, ma dobbiamo anche riconoscere che quello partito il 18 ottobre 1943 fu l'unico convoglio che i nazisti riuscirono ad organizzare da Roma verso Auschwitz.
Questo desideravo condividere con Voi. non vi trattengo oltre e Vi ringrazio nuovamente per avermi invitato.
Genio, intraprendenza, cuore di un orionino al centro di una rete di protezione di Ebrei durante gli anni dello sterminio.
Discorso di Don Flavio Peloso
(cfr articolo in L'OSSERVATORE ROMANO, 23.6.2011, p.5)
Sono don Flavio Peloso, sono il Superiore generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Congregazione alla quale apparteneva, e appartiene, Don Gaetano Piccinini, l'onorato con questo riconoscimento di Giusto fra le Nazioni da parte di Yad Vashem e, tramite Yad Vashem , dalla nazione israelitica.
Desidero dare il benvenuto a tutti voi. Ho già fatto delle conoscenze molto interessanti e commoventi. Infatti, questo evento ha richiamato qui persone che da decenni non si incontravano più dopo essere stati accolti, protetti e promossi nella vita dalla cura, dalla sensibilità umana e spirituale di Don Gaetano Piccinini e della Famiglia Orionina, con lui partecipe di questa opera meritoria.
Sono qui oggi con duplice ruolo; di padre della Famiglia Orionina, ma anche di chairman , di capotavola.
Innanzitutto, desidero presentare, al centro del nostro tavolo, il signor Ambasciatore Mordechay Lewy , Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. È Livia Link Raviv , Consigliere per gli Affari Pubblici dell'Ambasciata d'Israele a Roma, particolarmente dedita e personalmente entusiasta di questa iniziativa. Siete i benvenuti principali. Siamo onorati di avervi qui con noi.
Al tavolo della presidenza c'è un volto noto a noi di Famiglia Orionina. È il dottor Mario Macciò , amico di Don Orione, amico di Don Piccinini. È stato colui che ha promosso e coordinato le pratiche e quanto serviva per giungere a questo riconoscimento.
In mezzo a noi, poi, c'è colui che ha promosso personalmente questo riconoscimento, il signor Camerini, Bruno Camerini , che vorrei ringraziare mentre lui ringrazia Don Piccinini. Questo suo atto di riconoscenza ci onora e che ci fa sentire lei ancora come ex allievo e amico di famiglia. Vedo nella prima fila anche le sorelle Camerini. C'è Mons. Andrea Gemma , già vescovo di Isernia e Venafro, orionino e discepolo di Don Piccinini. C'è il sindaco di Avezzano, il signor Antonio Floris ; Avezzano è la città natale di Don Gaetano Piccinini, una città che egli lasciò a 11 anni, subito dopo il terremoto. Fu accolto da Don Orione, accorso nella Marsica, entrò nella Famiglia del suo soccorritore. Con Don Orione poi si identificò e ne divenne figlio e imitatore tra i più eccelsi.
Se noi Orionini siamo la famiglia morale di Don Gaetano Piccinini, devo dire che sono presenti anche i suoi familiari naturali; per tutti, segnalo la presenza del nipote Clemente Piccinini .
A tutti il grazie per essere intervenuti. Passiamo al programma.
Innanzitutto, spetta a me delineare qualche breve tratto biografico di Don Gaetano Piccinini e il significato della sua azione per il bene di tanti salvati ebrei in quel tempo della persecuzione.
Don Gaetano Piccinini (Avezzano 1904 - Roma 1972) perse la famiglia a causa del terremoto della Marsica del 1915 e fu raccolto da Don Luigi Orione. Il Santo gli fece da padre e Piccinini si identificò affettivamente e spiritualmente con lui divenendo religioso e sacerdote tra i suoi Figli della Divina Provvidenza.
Laureato in Lettere , fu Direttore e Preside in diversi Istituti Orionini. Fu promotore di molte nuove aperture di case e opere in Italia meridionale, in Inghilterra e negli USA. Fu a lungo consigliere generale della Congregazione.
Era uomo di grande ingegno intellettuale e di notevoli capacità organizzative che seppe magnificamente valorizzare in tante imprese di bene. Era una specie di “ Bertolaso ” della nostra Congregazione. Si lanciava in tutte le grandi emergenze. Quella che ricordiamo con questa medaglia, per la salvezza di molti Ebrei, è solo una delle emergenze cui Don Piccinini si dedicò con passione durante la seconda guerra mondiale.
Don Piccinini inventò in Congregazione e realizzò un collegamento di protezione civile. Oggi, lo ricordiamo perché ha fatto fronte, personalmente e coinvolgendo molti di Congregazione, all'emergenza degli Ebrei da salvare, di tanti che per il solo fatto di essere appartenenti al popolo di Israele venivano perseguitati e condannati in quella che storicamente è conosciuta come “ ha Shoah”, che, come il signor Ambasciatore mi ricordava, è parola unica, intradotta e intraducibile, come anche il Santo Nome.
Successivamente, Don Piccinini si occupò degli orfani e mutilatini del dopo guerra , organizzando una dozzina di grandi istituzioni in Italia, tra cui quella di Monte Mario. Il giorno dopo della liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, arrivò a da Don Piccinini una telefonata da una autorità vaticana che segnalava il problema di tanti ragazzi nelle strade di Roma, senza famiglia, esposti a pericoli di ogni genere. Per risolvere il problema c'erano due case vuote, due grandi edifici della Gioventù Italiana del Littorio . Piccinini accettò subito, non sapeva come fare, con quali risorse, ma aveva un grande cuore e aveva una Famiglia alle spalle. Accettò e iniziò. Ebbene, proprio in questo luogo noi ci troviamo oggi a celebrare una rivincita della carità, una rivincita di solidarietà. Quei due grandi edifici divennero il Centro Don Orione di Monte Mario per Orfani e Mutilatini, e molto altro. Vorrei segnalare la presenza in questa sala di alcuni ex allievi, di alcuni di quei primi allievi accolti qui in quei tempi difficili.
Ci furono anche altri interventi strategici di “protezione civile e spirituale” operata e organizzata da Don Piccinini. Fu tra i primo a giungere in soccorso nell' alluvione del Polesine (1951), si lanciò con tempestività e saggezza – sempre con la collaborazione di religiosi, laici e suore orionine - nel terremoto dell'Irpinia (1962), nel disastro del Vajont (1963), fino al terremoto della Valle del Belice (1968) in Sicilia, a Gibellina.
La sua vita e la sua attività instancabile si fermarono il 29 maggio 1972, lasciando un grande ricordo per la sua integrità sacerdotale, per il suo apostolato lungimirante e intraprendente, per la profonda vita interiore, il culto dell'amicizia, la promozione del laicato.
Nel periodo delle leggi razziali, a partire dal 1938, era Direttore dell'Istituto di Novi Ligure (AL) e contemporaneamente Preside del Pontificio Istituto scolastico “San Filippo Neri”, nel quartiere Appio a Roma. Durante la seconda guerra mondiale operò soprattutto a Roma e si prodigò per soccorrere tante persone di razza ebraica, spesso rischiando la propria vita. Mantenne anche successivamente rapporti di amicizia con le persone salvate, come nel caso di Bruno Camerini, il richiedente ufficiale dell'onorificenza di “Giusto fra le Nazioni”, perché da lui salvato.
Don Gaetano Piccinini è la punta elevata dell'azione in favore degli Ebrei condotta da molti altri Confratelli e in varie case della Piccola Opera della Divina Provvidenza di San Luigi Orione. Questo capitolo di storia, rimasto necessariamente nella discrezione, è stato recentemente ricostruito nel mio studio Orionini in aiuto degli ebrei negli anni dello sterminio (Messaggi di Don Orione, 2003, n.112, pp. 75-106) e nel libro di Mario Macciò, Genova e “ha Shoah”. Salvati dalla Chiesa (Il Cittadino, Genova, 2006).
Anche recentemente, sono venuto a conoscenza di nuove pagine di solidarietà ardita e generosa che hanno per protagonisti religiosi e case di Don Orione di tutta Italia. Immancabilmente poi, quasi sempre, risulta che il coordinatore, da un capo all'altro dell'Italia, era lui, Don Gaetano Piccinini. Ho trovato commovente il fatto che i Confratelli, furono fedeli alla consegna di assoluta riservatezza di quelle operazioni. Il più resterà per sempre nascosto.
Ho studiato personalmente questo capitolo di storia della Congregazione in soccorso degli Ebrei. Sono rimasto sorpreso nel conoscere tante vicende generose e coraggiose. Continuo a venire a sapere di nuove pagine di questa solidarietà per la salvezza di ebrei in pericolo. Ci sono miei confratelli che solo da pochi anni si sono decisi a parlare, a dire qualcosa di quei fatti. Penso fra tutti a Don Giovanni Battista Lucarini, pioniere in Cile, che solo cinque anni prima della morte mi disse qualcosa dei rischi passati ad Alessandria per nascondere e mettere in salvo Ebrei. Eppure, poi ho trovato il suo nome in libri di storia a motivo della sua collaborazione con il cardinale Maurilio Fossati di Torino.
Ebbene, a questi nostri confratelli era stato detto di non parlare di queste vicende. Obbedienti alle consegne dei superiori, non hanno parlato. Solo qualcuno ha cominciato a dire qualcosa, quando ormai stava per andare nella casa del Padre. Hanno conservato segreti terribili e gloriosi con discrezione e umiltà. In Congregazione, abbiamo cominciato a ricostruire qualcosa di quegli avvenimenti; solo adesso, perché non c'è più il rischio di orgoglio inopportuno o di rinnovare tensioni che si auspicano superate. Ora, ricordare è un'opera civile ed educativa. Per questo, con grande piacere, ringrazio ancora una volta l'iniziativa di Yad Vashem . Accogliamo la onorificenza a Don Piccinini perché mette in luce pagine di vita, che fanno bene alla società civile e alla nostra Famiglia Orionina.
Tra i salvati risultano anche alcuni personaggi famosi del mondo ebraico italiano. Tra tutti è da ricordare il famoso scultore Arrigo Minerbi , ospitato, sotto falso nome e con ruolo di professore, nell'Istituto San Filippo Neri di Roma. E' opera sua la grande statua detta “ La Madonnina ”, alta 9 metri, che si erge su Monte Mario benedicente Roma. Con Arrigo Minerbi, al San Filippo Neri, c'era anche Ettore Carruccio , eminente matematico e fisico. Ma ogni vita è preziosa agli occhi di Dio e lo era per Don Piccinini che cercò di salvarne il più possibile.
Qualcuno prima di iniziare questa cerimonia mi ha chiesto: da dove veniva questo impulso salvatore a Don Piccinini? Evidentemente, veniva dal suo buon cuore. Questo impulso gli veniva anche dagli esempi di Don Orione; un ex allievo ebreo di quei tempi mi ha confidato, poco fa, qui, che fu Don Orione stesso a raccomandarlo a Don Piccinini.
E poi, Don Piccinini aveva un collegamento particolare con la Segreteria di Stato. Con Papa Pio XII? Don Piccinini ebbe incontri con il Papa, ma non possiamo affermare che Pio XII sia intervenuto personalmente. Il trait d'union tra Segreteria di Stato e la Congregazione, come sappiamo bene, fu Monsignor Giovanbattista Montini, all'epoca Sostituto della Segreteria di Stato e poi Paolo VI. Mons. Montini si onorava e alcune volte partecipava al circolo degli Amici di Don Orione di Roma. Il famoso voto alla Madonna per la liberazione di Roma del 1944 fu promosso in sinergia tra Don Piccinini e Mons. Montini. Era Mons. Montini che interpretava e trasmetteva a Don Piccinini e ai Superiori della Congregazione i desideri di Pio XII.
Non possiamo dire altro, perché non abbiamo documenti, ma sappiamo qual è il ruolo di un Sostituto della Segreteria di Stato e la sua relazione con il Papa. M olto probabilmente segnalava anche precise persone e situazioni di Ebrei per i quali “fare qualcosa”. Questo “fare qualcosa” andava dalla protezione, nascondendo, alla promozione di molti di essi negli studi, nel prepararli al futuro. Non pochi Ebrei prima sono stati salvati, poi sono cresciuti in nostre case e poi lanciati nella vita.
Nel nostro Archivio Don Orione abbiamo trovato lettere e testimonianze di alcuni di questi ebrei protetti e accolti in istituti della Congregazone. Al riguardo, desidero ringraziare gli archivisti Don Giuseppe Vallauri e Patrizia Martinez .
Nel quadro di queste vicende, mi ha particolarmente sorpreso trovare una lettera di Raffaella Lantini, moglie dell'on. Ferruccio Lantini, ministro delle Corporazioni del governo fascista, scritta a Don Piccinini per chiedergli di aiutare la famiglia della signora Ottolenghi: “ Li metto nelle vostre mani e sotto la protezione di Don Orione ”. Sarà poi l'avv. Giuseppe Ottolenghi, nel decennale della Liberazione, insieme al Presidente della Comunità Israelitica di Roma, a consegnare a Don Piccinini il primo attestato con scritto: “ 1945-1955. Gli Ebrei d'Italia riconoscenti a Don Gaetano Piccinini ”.
Questa nostra cerimonia si riassume in una parola: GRAZIE. Dove c'è solidarietà, giustizia, dove c'è cuore, fiorisce il grazie reciproco, intrecciato, testimoniato.
Come superiore generale della Famiglia Orionina, devo dire che questo riconoscimento di Israele a Don Gaetano Piccinini è molto gradito perché onora un Confratello degnissimo, la Congregazione e la Chiesa. Per noi Orionini, in particolare, costituisce stimolo a coltivare uno stile di carità senza confini che mostri la maternità universale della Chiesa. Come diceva Don Orione, “ la carità non guarda se chi bussa abbia un nome, una religione, una patria, ma solo se abbia un dolore ”.
MEDAGLIA DI GIUSTI FRA LE NAZIONI A DON GAETANO PICCININI
(ROMA 23.06.2011)
Livia Link-Raviv, consigliere dell’Ambasciata di Israele per gli affari pubblici
Sono onorata ed emozionata di essere qui oggi a rappresentare il mio Stato, lo Stato d'Israele, in una cerimonia così importante e toccante.
Saluto Don Flavio Peloso, Superiore Generale dell'Opera Don Orione, che ringrazio anche per l'ospitalità qui oggi presso la Sala Congressi del Centro Don Orione.
Saluto e ringrazio per la sua presenza Sua Eccellenza Mordechay Lewy, Ambasciatore dello Stato d'Israele presso la Santa Sede.
Saluto e ringrazio il sig. Clemente Piccinini, nipote del Giusto Don Gaetano Piccinini, e che riceverà il riconoscimento in sua memoria, e saluto i sopravvissuti Bruno, Mirella e Carla Camerini, e la signora Sandra Terracina, figlia della signora Marisa Camerini, che purtroppo per motivi di salute non può essere qui oggi con noi. Grazie di essere venuti qui oggi con i vostri familiari a ricordare con noi il miracolo avvenuto in quei terribili giorni.
Siamo qui oggi per onorare la benedetta memoria di Don Gaetano Piccinini con la Medaglia di Giusto tra le Nazioni.
Il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni è unico e particolare - Un termine del mondo ebraico applicato a una persona di fede non ebraica - Questo è il modo dell'Ebraismo di abbracciare sotto le sue ali queste nobili persone che, avendo salvato degli ebrei, sono diventate, in un certo senso, parte del popolo ebraico. Così come dice un passo del Talmud: Chi salva un essere umano, è come se salvasse il mondo intero.
L'integrità morale e l'umanità di noi tutti è messa alla prova ogni giorno, ogni ora, di fronte a infiniti dilemmi; ma la prova più difficile e dura che la Storia ci ha riservato è stata senza dubbio la Shoàh.
In quell'ora, di fronte alla macchina di sterminio nazista, nel momento più buio dell'Umanità, vi sono state delle singole persone, rette e virtuose, che hanno saputo riportare la luce.
In quell'ora, nel pieno del “male assoluto”, queste persone hanno mostrato l'umanità nella sua forma più nobile, tendendo la mano a un altro essere umano, pur mettendo a rischio le proprie vite.
La loro moralità non ha consentito loro di restare indifferenti alla sofferenza e al dolore. Essi hanno compreso che potevano compiere una scelta, e che anche un singolo essere umano può fare la differenza.
Provate a immaginarvi in una situazione simile a quella della famiglia Camerini, una normale famiglia romana.
Emarginati dalla società già per le Leggi razziali, nell'ottobre del 1943 sono anche costretti a fuggire fisicamente, perché ricercati dai Tedeschi che occupano Roma e che rastrellano tutte le case degli ebrei della Capitale.
Il padre di famiglia, Umberto Camerini, è fuori casa per cercare un rifugio, e assiste alla grande retata nazista nel ghetto di Roma. Chiama la moglie Erlina per avvisarla e le dice di nascondersi presso la vicina di casa, assieme ai figli Bruno, Marisa, Mirella e Carla.
Poi grazie alla mediazione di un suo cliente di lavoro, il sig. Renato Castellani, il signor Umberto entra in contatto con il loro salvatore, Don Gaetano Piccinini, presso l'istituto San Filippo Neri, dell'Opera Don Orione, in Roma.
Don Piccinini in pochissimo tempo trovò un rifugio e una sistemazione per tutta la famiglia Camerini: i due genitori in due conventi; le figlie Marisa e Carla presso un orfanotrofio gestito da suore, e i figli Mirella e Bruno, in un altro orfanotrofio, la “Casa dell'Orfano”.
Don Piccinini si preoccupò di loro anche dopo, andando a trovarli spesso per confortarli e per far loro coraggio. Egli fu mosso esclusivamente da motivi umanitari, come sempre confermato da tutte le persone da lui aiutate. E la sua sensibilità e il rispetto per la dignità umana, lo portarono addirittura a far assegnare al piccolo Bruno delle mansioni che gli permettessero di non essere presente alle preghiere cattoliche, per rispetto della sua fede.
Il suo rapporto umano e di amicizia con la famiglia Camerini è proseguito anche dopo la fine della guerra, fino alla morte del giusto Don Gaetano Piccinini, nel 1972.
Don Piccinini e l'Opera Don Orione, sono dunque un altro esempio dell'importante ruolo positivo, non sempre ricordato abbastanza, che svolse la Chiesa nel salvare la vita a molti ebrei durante le terribili persecuzioni della Shoàh.
Siamo dunque di fronte a un reale e concreto caso di salvataggio di vite umane, ad altissimo rischio della propria vita, e senza alcuna ricompensa.
Lo Stato di Israele, in quanto stato del popolo ebraico, ha sentito il dovere morale di perpetuare la memoria di questi giusti con una legge di Stato che decreta la nascita dell'istituto Yad Vashem.
YAD VASHEM – è appunto l'Istituto per la Memoria dei Martiri e degli Eroi della Soah, creato nel 1953, al fine di commemorare i sei milioni di ebrei assassinati dai nazisti e dai loro collaboratori. I suoi compiti prioritari sono la rimembranza, la ricerca e l'educazione mediante l'insegnamento della Shoàh.
Al suo interno, una speciale commissione giuridica assegna la medaglia di Giusto fra le Nazioni.
Per capire l'importanza di questo riconoscimento, basti dire che esso è l'unica onorificenza civile esistente in Israele.
In Italia sono stati riconosciuti, fino ad oggi, circa 490 Giusti fra le Nazioni. Ma oggi la coscienza non è più di singole persone: il paese intero, le stesse istituzioni italiane si sono impegnate a preservare e trasmettere la memoria, e a educare e insegnare la Shoàh.
Primo Levi esprime secondo me in maniera migliore il senso di questa cerimonia, parlando del suo amico e salvatore Lorenzo Perrone, e scrive che grazie a lui è ancora vivo – cito – “non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza … che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio … una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi.” (Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1958, pag. 153).
È però importante ricordare anche che a fronte della Shoàh c'è stata anche una rinascita, c'è stato il rinnovamento, la ripresa. La migliore rivincita su chi perseguiva il nostro male è stato il progetto sionista. All'intenzione di sterminare è stato risposto con la vita, alla volontà di distruggere, con la costruzione.
Il popolo ebraico, non A CAUSA ma NONOSTANTE la Shoàh, è finalmente ritornato alla sua patria storica, e in essa conduce una vita dinamica e fervente. Lo Stato d'Israele gode oggi di un progresso tecnologico tra i più avanzati al mondo, di una popolazione variegata e di una cultura ricchissima. Persino di fronte alle continue minacce esterne, Israele mantiene la sua forza, grazie proprio alla determinazione nel preservare il proprio carattere democratico.
Così noi continueremo a costruire il nostro futuro: con la memoria e il rispetto dell'eredità del passato, ma con lo sguardo saldo e deciso verso il futuro.
Grazie per la vostra presenza.
Nel settembre 1943 avevo quasi 15 anni , e si andava concludendo un quinquennio di faticosa e dolorossissima sopravvivenza. Dal 1938, per le leggi razziali, praticamente ero stato messo in strada, privato della casa, della scuola, del vitto, con una famiglia dispersa. Potei sopravvivere attraverso la benevolenza di qualche amico che ci poteva accogliere qua e là. Io e mio fratello, per lunghissimi 5 anni, abbiamo insieme faticato per sopravvivere. C'era da domandarsi quello che poi avrebbe scritto Primo Levi: Se questo è un uomo …, privato della dignità, privato della identità e lasciato senza alcuna speranza.
Subito dopo il settembre del 1943 , con l'armistizio, Roma è stata occupata dai nazisti e quindi è cresciuta la minaccia di una deportazione che non lasciava scampo, per cui non erano più possibili nascondigli.
Ecco, in un quadro così penoso, pesantissimo, appare questo gigante buono della favola, Don Piccinini, il quale si fa subito premura di dare una protezione che era forse la cosa più urgente: protezione. Ma quello che a me ha colpito in quel momento - perché ormai ero un ragazzo abbastanza attento alle situazioni - non è stato tanto il fatto di trovare una protezione, ma il modo con cui affrontava questo problema.
Aveva una grande serenità d'animo, una grande discrezione senza far domande, senza definire la situazione; con una forma di accoglienza proprio interiore, senza dar peso e neanche mostrare paura delle situazioni, del contesto. Sembrava per lui tutto facile. Come se proteggere un ebreo in quel momento fosse una cosa scontata ed ordinaria, semplicissima. Vi provvedeva senza timori, senza preoccupazione. Ma in più aggiungeva un senso di paternità molto rispettosa della mia realtà umana che naturalmente per cinque anni era stata calpestata. Riusciva con questo suo atteggiamento discretissimo e delicato, e con un sorriso premuroso a provvedere senza dare peso, senza atteggiamenti di superiorità, di condiscendenza.
Vedere in lui un agire da padre, facile e tranquillo, ha impressionato in quel momento un ragazzo di 15 anni che invece veniva da un percorso lunghissimo di smarrimento. Potete immaginare come abbia subito trovato sollievo non tanto dalla protezione stessa, ma quanto da questo suo atteggiamento molto personale che praticamente ha ricostruito la mia dignità, la mia identità. Mi ha fatto scoprire che non ero più sotto l'interrogativo di Primo Levi; aveva ricostruito questa dignità, questa identità e mi scoprivo veramente un uomo non un emarginato dal genere umano.
Poi è arrivato il 4 di giugno 1944 e la liberazione .
Voglio ricordare due piccolissime circostanze. Le voglio riferire come testimonianza, proprio perché sono state la conseguenza di questo atteggiamento vissuto e offerto da don Piccinini.
Con una nuova coscienza, dopo sei anni di sofferenza, restituita, ritrovata, ho visto il 4 di giugno partire da Roma gli ultimi soldati tedeschi, con questi sydecars, con moto; avevano tutti la mia età, ormai sedicenne, avevano tutti la mia età. Erano poveri ragazzi, coperti di polvere di fango e di tristezza, di appesantimento. Lasciavano Roma sconfitti. Sarebbe stato per me molto facile in quel momento, esprimere rappresaglie, operare cioè, non diciamo in forma vendicativa, ma come uno sfogo di rappresaglia dopo sei lunghissimi anni di pena. Ma don Piccinini aveva, appunto, ricreato in me una coscienza umana per cui ho lasciato che quei tedeschi, giovanotti come me, potessero prendere senza soffrire la via di casa, anche perché pensavo che non dovevano le mie mani aggiungere una rovina alla mia vita già tanto marcata.
E poi, subito dopo, un altro fatto. Don Piccinini, pochi giorni dopo l'entrata degli americani in Roma, mi ha affidato la custodia di un ufficiale nazista, in divisa. Me lo aveva affidato perché lo nascondessi per un paio di settimane portandogli da mangiare, portandogli gli abiti civili. Per alcuni giorni parlai con questo ufficiale, ancora convinto che la guerra l'avrebbe vinta, ancora convinto che gli ebrei dovevano tutti essere sterminati. È naturale che non gli ho detto nulla. L'ho aiutato per quanto possibile, sempre in forza di questa coscienza umana restituita, ricostruita, benedetta dalla dolcezza, dalla forza di don Piccinini. Mi ha fatto pensare, guardando questo ufficiale: anche questo è un uomo .
Bruno Camerini è uno degli Ebrei salvati da Don Piccinini ed è colui che ha fatto la petizione per il conferimento della onorificenza di "Giusto fra le Nazioni"
Innanzitutto saluto tutti i presenti, Don Flavio Peloso che ci ospita, a sua eccellenza Mordechay Lewy, rappresentante dello stato di Israele, tutte le altre autorità, il sindaco, sua eccellenza il vescovo Andrea Gemma.
È per me una giornata particolare. Mi si affollano molte idee, molti ricordi.
Innanzitutto e prima di tutto, ho ammirato qui, oggi, quel senso di amore del prossimo anche non conosciuto che aveva Don Piccinini. Quell’amore del prossimo che io, già come ebreo, conoscevo. Mi sembra di ricordare che il Levitico riporti la prescrizione dell’amore del prossimo. In Don Piccinini ho visto un ulteriore sviluppo di questo basilare principio della tradizione giudaica, e poi cristiana, dell’amore del prossimo. In lui era sviluppato in una maniera ancora più spinta. L’amore del prossimo veniva da lui praticato a rischio anche della propria vita. Infatti, accogliere, proteggere degli ebrei, allora, voleva dire rischiare almeno il campo di concentramento. Ritengo che Don Piccinini fosse particolarmente cosciente di tale rischio.
La sua azione è stata forse anche una sua interpretazione di questa prescrizione. Non era solito, per quanto io ricordo, fare prediche. Non era il profondo teologo; era l’uomo di azione. Questo amore del prossimo lo praticò nella vita di tutti i giorni, di quei giorni terribili. Questo è stato poi anche l’insegnamento per noi tutti, ma in particolare per voi che proseguite la sua opera oggi, seguendo il suo insegnamento.
Il suo comportamento di grande rispetto della persona, che giustamente l’amico Don Giuseppe Sorani ha voluto evidenziare, lo vorrei evidenziare anche io.
Io venivo, per un dono divino - non era davvero un mio merito o una mia scelta -, da una famiglia ebraica, profondamente ebraica, di tradizione antica, con una trasmissione dai genitori ai propri figli. Ricordo nostra madre, quando prima di andare a letto, la sera, a noi bimbetti piccoli metteva la Kippah sulla testa e iniziava “Shema yisrael Adonai eloheinu Adonai echad” etc., e dicevamo quelle prime parole della nostra preghiera.
Ebbene, quando io fui accolto da Don Piccinini, gli chiesi umilmente di rispettare la mia tradizione e l’insegnamento che avevo avuto. E lui, posso dire da veramente anticipatore dei tempi, prima del Vaticano II, disse né si e né no, ma fece di tutto perché io potessi proseguire in questo mio desiderio. Durante le funzioni della Messa, mi metteva al telefono oppure mi mandava al cinema Induno a controllare i biglietti. E così continuò fino a quando, poi, con molta delicatezza, essendo aumentato il rischio della vita, disse a mia madre che forse era necessario che io fossi presente alle funzioni religiose, e questo per la mia salvezza. Mia madre disse “si va bene”. E lui in quell’occasione rispettò.
Un altro punto che non sono mai riuscito a comprendere totalmente è come Don Piccinini riuscisse ad accogliere tutti, ma non solo ebrei. Io ricordo prigionieri polacchi, renitenti alla leva, partigiani, comunisti, allora chiaramente contro la Chiesa. Accoglieva senza chiedere niente. Bastava essere delle persone che avevano dei pericoli.
Ma anche lui correva dei pericoli, perché al palazzo degli esami, di fronte alla casa di via Induno, c’era un comando della Wehrmacht, e perciò anche lui correva pericolo e molto. E poi meraviglia come sia riuscito a darci da mangiare, a decine e decine di persone, in quel tempo. Noi abbiamo potuto in tutti quei giorni avere alimenti, alloggio. Non si sa come lui sia riuscito, lui che aveva solo la sua tonaca e la fede. Con la forza della fede trovava da mangiare e in quei giorni non era davvero facile.
Da Don Piccinini, io non ho avuto solo la salvezza della vita, che prima di tutto me l’ha data Kadosh Baruch Hu, il santo benedetto che egli sia, ma ho avuto anche questo insegnamento per la mia vita successiva: la necessità di sentirmi vicino, anche come ebreo, ai fratelli cristiani.