I ricordi di Suor Maria Krystyna Matejek sono riferiti al periodo che dall'insurrezione di Varsavia (1° agosto 1944) al termine della seconda guerra mondiale (9 maggio 1945)
Il 1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia, scatenando il secondo conflitto mondiale: la Francia e l'Inghilterra dichiararono guerra alla Germania e il 17 settembre le truppe sovietiche invasero il territorio polacco.
La Polonia si trovò nel giro di pochi giorni sotto l'occupazione di due Stati potenti e caratterizzati da regimi totalitari, senza poter contare sull'aiuto militare di Francia e Gran Bretagna, che si astennero da qualsiasi intervento per tutta la durata dell'occupazione. Le autorità tedesche e sovietiche misero in atto arresti, deportazioni di massa ed esecuzioni sommarie, determinando il completo sterminio della classe dirigente polacca. L'Armata Nazionale (Armia Krajowa) all'epoca contava circa 40.000 soldati e l'appoggio dell'intera popolazione civile. Inizialmente gli insorti riuscirono a recuperare il controllo di alcune zone della città, ma presto i tedeschi, dotati di un equipaggiamento militare superiore, riuscirono a sconfiggere l'esercito polacco. Varsavia capitolò il 2 ottobre e tra i suoi morti contò 16.000 insorti e circa 150.000 civili. Varsavia fu totalmente distrutta e anche le perdite materiali e culturali furono enormi.
L'insurrezione di Varsavia (1° agosto - 2 ottobre 1944) è diventata il simbolo di una lotta senza eguali contro un nemico forte ed organizzato, e fu la più grande resistenza armata in Europa contro la Germania nazista.
Questo è soltanto un sintetico compendio di uno dei periodi più "bui” dell'umanità, difficile da dimenticare e che, in effetti, sarebbe ingiusto trascurare. Sarebbe una perdita irrimediabile allontanare dalla memoria le gesta di chi ha combattuto e di quanti hanno dato la vita per liberare il proprio Paese.
Nell'aprile del 1944 a Varsavia entrai nella Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità; lavoravo nel guardaroba dell'Istituto Educativo "S. Antonio", fondato da Mons. Francesco Toporski, in via Barska, a Varsavia, insieme ad alcune suore di Don Orione, suor Maria Salomea e suor Maria Kunegunda, e 6 postulanti tra cui c'ero io.
I ragazzi dell'Istituto erano circa 100 e gran parte di loro all'inizio del secondo conflitto mondiale fu chiamato alle armi. In quel periodo don Wtodzimìerz Michalski era il direttore dell'Istituto e don Biagio Marabotto, un Italiano, era il superiore della comunità. C'erano anche: don Stefan Batory, don Józef Garncarek, don Kazimierz Wójcik, don Józef Kotecirìski, don Henryk Kowalczyk e i chierici Jan Baraszkiewicz, Wtadystaw Winisiewicz, Bozydar Guzowski e Bronislaw Dabrowski, che poi divenne vescovo e segretario generale della Conferenza dell'Episcopato polacco. Complessivamente la comunità che animava l'Istituto era composta da 130 persone (inclusi i ragazzi).
La zona in cui era situata la nostra casa fu, durante l'insurrezione di Varsavia, il centro di combattimenti sanguinosi; tanto che nel parco appartenente all'Istituto si posizionò un gruppo di soldati Tedeschi, che dormiva nelle macchine e di giorno occupava la nostra casa, e che costrinse a spostarci nel rifugio. Il 1° agosto 1944, alle ore 17, gli insorti attaccarono i tedeschi che stavano presso il nostro Istituto e riuscirono a costringere i soldati tedeschi ad abbandonare tale postazione. Nel combattimento presero parte attiva anche i nostri ragazzi, distinguendosi per coraggio e sacrificio, e non risparmiando la propria vita, infatti purtroppo molti di loro furono uccisi durante il combattimento.
Durante gli scontri molti degli allievi e del personale dell'Istituto si rifugiarono nello scantinato che fungeva da rifugio. Lì i nostri ragazzi portarono anche due tedeschi feriti, che avevano bisogno di cure, io andai subito in guardaroba e portai due lenzuola; con don Batory poi lavammo e bendammo le loro ferite. Una volta giunto il dottor Tulczyriski con la moglie a prestare aiuto medico ai feriti, il chierico Jan Kokot, che sapeva bene il tedesco, chiese ai soldati feriti se preferivano andare in ospedale o fermarsi da noi. I tedeschi scelsero di fermarsi presso la nostra casa.
Nel frattempo l'artiglieria tedesca iniziò un violento assalto contro la nostra casa; i vetri e i muri si ruppero, i tubi dell'acqua scoppiarono e l'acqua penetrò fino al rifugio... Fu un momento drammatico.
Le suore e i ragazzi si inginocchiarono e, con le mani alzate, pregando la coroncina alla Divina Misericordia chiesero a Dio di salvarli. Il superiore, don Biagio Marabotto, invitò tutti a recitare l'atto di dolore e ci impartì l'assoluzione generale dei peccati, preparandoci così alla morte, che sembrava ormai imminente ed inevitabile.
Il silenzio era interrotto solo da qualche invocazione a S. Antonio, patrono dell'Istituto.
Aspettando la morte sentimmo le voci dei tedeschi che ci invitavano ad arrenderci; gli chiedemmo di non sparare, perché tra noi c'erano anche dei tedeschi feriti.
I soldati tedeschi, a mano armata, entrarono bruscamente e ognuno di noi in quel momento pensò in cuor proprio che era arrivata la fine. A quel punto intervennero i tedeschi feriti, che dal letto su cui erano stati sistemati parlarono in nostro favore, dichiarando che erano stati trattati bene dai sacerdoti e dalle suore e avevano ricevuto le cure necessarie.
I tedeschi ordinarono a tutti, anche ai soldati feriti, di lasciare il rifugio e di uscire fuori.
Che mistero della Divina Provvidenza! I soldati tedeschi feriti avevano calmato l'ira dei loro compagni e ci avevano salvato anche se per loro eravamo dei nemici... La bontà di Dio non ha confini!
Senza permetterci prendere niente, ci fecero camminare con le mani alzate verso piazza di Narutowìcz e ci rinchiusero in una casa prima abitata dagli studenti: iniziò così la prima stazione della nostra via crucis. Don Marabotto fece giusto in tempo a prendere con sé il Santissimo Sacramento, che era stato nascosto nel magazzino tra i sacchi di farina.
I tedeschi ci ordinarono di restituire la carta d'identità e di metterci con le mani alzate contro il muro sotto la minaccia che ci avrebbero fucilato. Tuttavia in pochi secondi nella piazza si creò confusione, in quanto una donna doveva partorire e il nostro medico, Tuczynski, aiutato da altri dottori, soccorse la donna: tale evento ci salvò dalla morte.
I soldati tedeschi ci dissero che eravamo loro ostaggi e che per un tedesco che fosse stato ammazzato avrebbero ucciso 10 ostaggi; poi ci hanno costretto in un salone, separando i sacerdoti e i ragazzi dall'altra gente.
Nella sala, in cui mi trovai, c'erano circa 500 persone; a causa dell'affollamento non ci si poteva né sedere, né distendere, e una volta al giorno ci portavano da mangiare un po' di minestra d'orzo brillato.
Suor Maria Salomea una volta ricevette una cassetta di uova per una persona malata che curava e allora si poteva mangiare, di nascosto, almeno un uovo crudo. Quello che ci fece più soffrire in quella situazione era la mancanza di spazio...
Lì stemmo 10 giorni, durante i quali una volta il comandante ci avvisò che era stato ucciso un soldato tedesco e che perciò il giorno successivo avrebbero scelto e portato via dalla nostra sala 10 uomini per fucilarli e altri 10 per scavare una fossa per seppellire i morti.
Durante quelle notti di agosto vivemmo ore terribili, guardando le case in fuoco e la capitale distrutta.
Le mogli che avevano perso i propri mariti e le madri che avevano perso i propri figli piangevano e si lamentavano. Dieci donne andarono, in ginocchio, dai tedeschi supplicandoli di lasciarci liberi, ma questi risposero che quello stesso giorno ci avrebbero accompagnato a "Zieleniak" (così fu chiamato un quartiere di Varsavia) e ci avrebbero lasciato nelle mani dei Wlasnowcy (erano gli Ucraini appartenenti all'esercito tedesco) guidati dal generale Kamihski. I tedeschi ci consigliarono di nascondere gli orologi e i gioielli, e ci restituirono la carta d'identità.
Dopo averci ordinato di formare una fila, ci portarono verso "Zieleniak": qui iniziò la seconda stazione della nostra via crucis.
Camminando, vedemmo corpi disfatti, fuoco che spuntava dappertutto e molte case rase al suolo. Arrivammo a destinazione e subito sperimentammo sulla nostra pelle che lì comandavano i "Wlasnowcy".
Appena varcammo il cancello questi ammazzarono il conte Czarniecki, che non voleva essere perquisito. Lo picchiarono con le granate sulla testa, trattandolo con tanta crudeltà e bestialità. Alla fine uno di loro avvicinò alla tempia del conte la rivoltella e gli sparò. Il conte Czarniecki, in un lago di sangue, cadde a terra e il suo corpo fu buttato fuori dal cancello. La moglie del conte chiese al sacerdote di pregare per il defunto... Tutti rimanemmo inorriditi da tanta crudeltà.
Poi ci perquisirono tutti, togliendoci la roba dì valore e perfino le scarpe dai piedi.
La notte fu una delle più difficili...
I nostri ragazzi, intuendo qualcosa, avevano scavato una piccola fossa accanto allo steccato, che avevano coperto con una coperta, e con dei mattoni e un'asse di legno costruirono qualcosa che assomigliava ad un banco, sul quale si sedettero don Michalski e altri sacerdoti con le vesti talari ben allargate, nascondendo in quel modo il nascondiglio preparato dai ragazzi dove io e la moglie del nostro medico potemmo trovare riparo. L'altra postulante si nascose sotto una coperta che doveva "servire" ai ragazzi da cuscino.
Per tutta la notte 12 "Wlasnowcy" camminavano con le lanterne accese cercando giovani donne per poi divertirsi a violentarle; tutta la piazza si era trasformata in un inferno di violenza, di disperazione, di grida disperate e di spavento.
Il giorno seguente, il mattino del 12 agosto, ci dissero, con grande sollievo, di prepararci per la partenza. Ci portarono alla stazione "Dworzec Zachodni", dove ci aspettava il treno diretto a Pruszków. Così è iniziata la nuova tappa della nostra via crucis.
A Pruszków ci sistemarono in un capannone, dove i Polacchi riparavano il materiale rotabile guasto, Passammo lì due notti.
Il nostro medico, il dottor Tulczyriski e la moglie mi proposero di recarmi con loro alla Croce Rossa, per dare aiuto ai feriti. Risposi di no, perché avevo paura di separarmi dal gruppo delle suore, dei preti e dei ragazzi.
Suor Maria Salomea, la signora Bronia e il signor Koralewski, che facevano parte del nostro gruppo, furono destinati a partire con altre persone anziane verso uno dei campi di concentramento, ma poiché arrivarono in ritardo si salvarono e furono indirizzati alla Croce Rossa.
Don Marabotto fu liberato, anche se lui voleva rimanere con noi e andò, insieme agli altri salvati, a Łazniew.
Noi pensavamo: “chissà dove ci porteranno? Forse a Oswiecim (Auschwitz) o in un altro campo di concentramento?”.
Verso le dieci del terzo giorno di permanenza a Pruszków, vennero i tedeschi e ci fecero salire su un treno merci, mettendo anche 80 persone in un vagone senza finestrini, né gabinetti e né appoggi per sedersi. Tutti dovevano stare in piedi. Il treno partì; era il 14 agosto, vigilia della festa dell'Assunzione della Madonna.
Abbiamo viaggiato tutta la notte dirigendoci verso ovest, con poche e brevi fermate nella campagna. Il mattino successivo presto, arrivammo a Żegań. Il fresco del mattino e un po' di acqua fresca ci aiutarono a recuperare le forze, ma ci mancava tanto la S. Messa!
Abbiamo continuato il viaggio, attraversando le montagne Sudety, e nel pomeriggio il treno si fermò a Norimberga. Lì ci diedero da mangiare, nei piatti di carta, un po' di liquido con la segala macinata e dopo quel pranzo così "sostanzioso" dovemmo risalire sul treno chiedendoci dove ci avrebbero portato questa volta.
Dopo tre giorni di viaggio, in piena notte, il treno iniziò a frenare e si fermò. Ci avvisarono che il nostro viaggio era giunto al termine. Ci fecero scendere dai vagoni e ci portarono su una via argillosa per condurci a delle vicine baracche. Il viaggio lungo, fatto in condizioni disumane, ci fece soffrire molto e tutti eravamo esausti.
Ci trovavamo nel campo transitorio a Bietigheim (Germania), dove iniziò una nuova tappa della nostra via crucis piena di umiliazioni e sofferenze.
Ognuno ricevette un numero (il mio era: 72035) e un tesserino per i pasti. Ci sistemarono, poi, nelle baracche con delle brande a tre piani, senza pagliericcio. Ci dovevamo coricare sulle assi nude e coprirci con una coperta mettendo sotto la testa la nostra roba a mo' di cuscino.
Al mattino dovevamo fare la fila per ricevere qualcosa da mangiare. Ci davano una fetta di pane, margarina e tè; per noi, che eravamo molto affamati, era una colazione da re.
Questo campo non fu uno dei peggiori, ma era transitorio, lo e una postulante delle Suore Orsoline eravamo trattate bene e avevamo ricevuto alcuni permessi particolari: potevamo uscire fuori dal recinto per raccogliere le mele, che portavamo ai prigionieri per sfamarli almeno un po'.
lo, nonostante le difficoltà, andavo in cucina a preparare un po' di semolino per il chierico Dąbrowski, che era malato. Condividevo il mio pane con don Wójcik per aiutarlo a sopravvivere. Passato un po' di tempo, i sacerdoti e i ragazzi del nostro Istituto ebbero la possibilità di lavorare in una fattoria e in una fabbrica.
Oltre a noi, suore di Don Orione, c'erano anche delle suore Carmelitane, una di San Vincenzo de Paoli, altre Samaritane. Don Stefan Batory fu il nostro confessore, che costantemente ci incoraggiava.
lo ero fortunata, perché sopra il mio letto c'era una piccola valigetta in cui era stato nascosto il Santissimo Sacramento. La presenza del Signore, così vicina, mi confortava e mi dava la forza per superare le prove difficili.
Questo campo transitorio era gestito dai Russi; i pasti erano poveri e solo di domenica ci davano un pezzetto di carne e le patate. Dopo alcune settimane di permanenza in questo campo, ricevemmo la notizia che ci avrebbero portato a lavorare.
Iniziammo, così, la preparazione dei documenti, facendoci le foto e prendendoci le impronte digitali; salutammo coloro che restavano lì e, un pomeriggio, partimmo. Era iniziata un'altra stazione della nostra via crucis.
Partimmo dalla stazione, ma il viaggio in treno non fu lungo. Dopo circa un ora ci fecero scendere per continuare a piedi. Il tratto a piedi fu lungo, ma a noi suore e al chierico Bronislaw Dąbrowski consentirono di salire su un camion. Dopo un po' il camion si fermò e fecero scendere il chierico Dąbrowski, che aveva una gamba malata e non poteva camminare. Si appoggiò a un pilastro, ma vedendo che non riusciva a sostenersi con le proprie forze, iniziai a piangere, perché credevo che lo avrebbero fucilato. Si sono unite a me le altre suore, piangendo anche loro. Il giorno dopo venimmo informate che il posto dove avevano fatto scendere il chierico era un luogo destinato a tutto il gruppo dei sacerdoti, dei chierici e dei ragazzi del nostro Istituto, che erano costretti a lavorare nella fabbrica "Knor".
Noi, suore Orionine, fummo portate a lavorare in una fabbrica di fili, assieme a quelle delle altre Congregazioni che erano in altri reparti.
Ci trovavamo a Heilbronn (Germania). Durante la permanenza a Heilbronn quello che ci dava più fastidio erano le incursioni notturne degli aerei, il rumore delle sirene; dovevamo alzarci diverse volte durante notte per scendere nel rifugio. lo, con un'altra postulante, ricevemmo una missione speciale: vestite appositamente con gli indumenti protettivi dovevamo salire sul tetto, appena si sentivano le sirene, per spegnere le bombe che si accendevano.
Le difficili condizioni di vita, il lavoro pesante, il dover dormire sulle assi senza pagliericcio, la fame che si faceva sentire in breve tempo ci indebolirono e ci fecero venire diverse malattie; anch'io mi ammalai di dissenteria. Il medico mi fece dare un pagliericcio e io subito lo regalai al chierico Dąbrowski, che era molto più malato di me e non poteva camminare a causa della gamba.
Ogni domenica andavamo a Messa nella vicina chiesa, mentre nei giorni feriali, dopo le preghiere del mattino, facevamo la Comunione prendendo le ostie consacrate dalla piccola valigetta messa sul comodino della nostra stanza.
Nel dicembre 1944, dopo i primi bombardamenti degli Alleati, lasciammo la città Heilbronn, completamente distrutta, prima dell'entrata della Armata Russa, e iniziammo, in vagoni freddi, il viaggio di ritorno verso Cracovia per poi proseguire fino a Varsavia. Da Varsavia ci dirigemmo a Łazniew, dove ci aspettava don Biagio Marabotto, che ci accolse con tanto amore.
Alcune settimane dopo venne a Łazniew suor Maria Monica Rebora, una italiana, e ci portò a Zduńska Wola, dove in luglio 1946 entrai in Noviziato.
Don Kowalczyk fu incaricato di ricostruire l'Istituto Educativo per i ragazzi a Varsavia e il suo primo direttore fu proprio don Bronislaw Dąbrowski.