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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Il Governatore Cesare De Vecchi arriva a Rodi, ove c'era l'Istituto Orionino di Acandia.
Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: 292. Tracce del rapporto tra Don Orione e il Ministro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, “Messaggi di Don Orione”, 3/2012, n. 139, p.53-65.

Una ricostruzione delle tracce del rapporto con Don Orione dell'importante Ministro del governo Mussolini con materiale dell'Archivio storico Don Orione (Roma).

Tracce del rapporto di Don Orione 

con il ministro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon.

Flavio Peloso

 

Cesare Maria De Vecchi, conte di Val Cismon[1] è stato un generale e un politico italiano di spicco nella prima metà del ‘900.

Nacque  a Casale Monferrato, il 14 novembre 1884. Fu un eroe pluridecorato della prima guerra mondiale. Si definì “cattolico militante e monarchico senza riserve”. Fu eletto deputato nel 1921 e, nel 1923, partecipò come quadrumviro alla marcia su Roma, anche se non approvò questa scelta. All'interno del movimento fascista fu esponente di spicco dell'ala di tendenza monarchica e moderata.

Dal 21 maggio 1923 al maggio 1928 fu governatore della Somalia Italiana. Dal giugno del 1929 fu il primo ambasciatore presso il Vaticano dopo il Concordato, carica che mantenne fino al gennaio del 1935, quando divenne ministro dell'Educazione Nazionale. Fu l’apice della sua carriera politica.

Nel novembre del 1936, dopo essersi recato in visita a Rodi per assistere ad alcune inaugurazioni, presentò a Mussolini la richiesta di assumere il governatorato dell'Egeo. Il Duce approvò la richiesta, e De Vecchi divenne "Governatore del Possedimento Italiano delle Isole dell'Egeo", fino al 27 novembre 1940. Questa sua richiesta di nuovo incarico, meno prestigioso e fuori dall'Italia, fu determinata dagli scontri che il De Vecchi ebbe con Starace e Farinacci, allora alla guida del movimento fascista.

Il 24 luglio del 1943, anche De Vecchi fu convocato per la seduta del "Gran Consiglio del Fascismo" e votò in favore dell'ordine del giorno Grandi, che esautorava Benito Mussolini. Dopo la liberazione di Benito Mussolini e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, fu condannato a morte in contumacia al processo di Verona. De Vecchi si salvò anche grazie alla protezione dei salesiani che lo tennero nascosto in Italia. Procuratosi un passaporto paraguayano, si trasferì nel giugno 1947 in Argentina. Ritornò a Roma  solo nel giugno 1949 e vi morì il 23 giugno 1959.

I brevi cenni biografici di un personaggio di primo piano come il De Vecchi, in un periodo tanto controverso, sono qui ricostruiti solo quel tanto che basta per contestualizzare i suoi contatti con Don Orione,[2] testimoniati dalle carte dell’Archivio storico Don Orione di Roma.[3]

Il rapporto tra i Due si mosse a un livello di stima e di interessi alti, di religiosità e di opere di bene. Certamente la loro corrispondenza risente dell’ossequio che, per diverse ragioni,  avevano l’un per l’altro, e rivela un tratto sempre sincero, cordiale e in qualche caso affettuoso.

Sappiamo che Don Orione ebbe con le istituzioni e le personalità del governo fascista relazioni improntate al rispetto e alla lealtà dovute alle autorità e alle leggi,[4] ma con libertà di coscienza e di azione guidata dal superiore interesse della carità. «La nostra politica dev’essere la politica del Pater Noster. Stiamo nel puro campo religioso e non vogliamo, a qualunque costo, sconfinare»,[5] questa era la sua direttiva ai religiosi. Risulta che Don Orione coltivò rapporti più personali soprattutto con quei politici la cui identità “cattolica” gli appariva particolarmente caratterizzante. Ad essi si rivolgeva per trovare aiuto nelle questioni di vita e di sviluppo della Congregazione. Tra questi fu Cesare De Vecchi, “tutto vecchio Piemonte, tutto monarchia, tutto Re e Patria”, secondo la definizione di Gioacchino Volpe, ma anche cattolico convinto.

Le tracce delle relazioni tra i due sono riferite agli anni 1934-1940, quando Don Orione ricorse più volte al De Vecchi per perorare la causa delle sue istituzioni quando questi fu Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, poi Ministro dell’educazione nazionale e infine Governatore di Rodi e delle Isole dell’Egeo.

I primi documenti si riferiscono all’incontro tra i due in occasione della canonizzazione, nel 1934, di due grandi santi: San Giuseppe Benedetto Cottolengo e san Giovanni Bosco.

Alla canonizzazione del Cottolengo Don Orione fu posto tra gli invitati d’onore, vicino all’ambasciatore Cesare De Vecchi: “Io l’avevo visto altre volte; ci siamo parlati”.[6] Ebbe modo di rivedere il De Vecchi,  pochi giorni dopo, il 4 aprile 1934, quando il Ministro dell’Educazione tenne in Campidoglio, “presente il Duce,[7] il discorso “più o meno storico”[8] di commemorazione di Don Bosco.

Quando alla fine di settembre del medesimo anno, Don Orione partì per l’Argentina, assieme al Card. Eugenio Pacelli e alla Delegazione pontificia che partecipava al Congresso Eucaristico internazionale di Buenos Aires, inviò un messaggio al ministro De Vecchi che era, allora, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede: “Destinatario Eccellenza Devecchi Conte Val Cismon - Ambasciatore Sua Maestà Re Italia  presso Santa Sede - Via Flaminia – Roma / Da bordo Conte Grande per visitare miei Istituti Sud America prego Vostra Eccellenza gradire mio devotissimo saluto stop / Lavorerò difendere scuole cattoliche et italiane”.[9]

Giunse rapida la risposta al telegramma, come veniamo a sapere in un passaggio di lettera del 5 ottobre 1934 di Don Orione a Don Sterpi: “Domattina saremo a Rio de Janeiro… Il Santo Padre ci ha inviata una consolante benedizione per Marconigramma, e pure Sua Eccellenza De Vecchi e Sua Eccellenza Parini inviarono telegrammi molto cordiali e confortevoli”.[10]

Don Orione, rimase in America Latina tre anni, in Argentina, Brasile, Uruguay e Cile, continuando a seguire le vicende delle sue istituzioni in Italia mediante una fitta corrispondenza con il suo vicario Don Carlo Sterpi.[11]

Quando si presentò il rischio di esproprio del terreno della Congregazione nel quartiere Appio di Roma, dove si voleva costruire l’importante collegio “San Filippo Neri”, Don Orione scrisse al suo vicario Don Sterpi, il 26 gennaio 1935: “Se il terreno di Ognissanti corresse pericolo, rivolgetevi a sua Eccell.za De Vecchi, ora ministro della educazione nazionale. Egli sa che su quel terreno edifichiamo un grande istituto centrale per le scuole e missioni italiane all'estero; e sa anche che voglio accogliere vocazioni di fanciulli dal Tirolo, Gorizia Bolzano[12] e formarne buoni sacerdoti e buoni italiani per mandarli nei paesi redenti e così avere un clero sicuro. Don Piccinini conosce bene De Vecchi, e vi potrà giovare”.[13]

In una lettera autografa del 15 febbraio 1935, il conte Cesare De Vecchi rispose a Don Orione: “ Mio caro Don Orione, La ringrazio della sua cara lettera del 25 Gennaio. Ella sta facendo del gran bene e la Provvidenza la assiste in modo veramente visibile. In lei sono le grandi tradizioni della nostra terra, pie, umane, patriottiche, intrecciate in uno spirito che assicura la terra al Cielo. Si abbia la espressione della mia più viva cordialità. De Vecchi di Val Cismon”.[14]

Con simile tono di calorosa ammirazione e religiosità il neo ministro dell’Educazione Nazionale si espresse nella lettera del 30 aprile successivo: “Caro Don Orione, ho ricevuto con sommo piacere il Bollettino Pasquale da lei redatto, e ho letto le belle parole con cui Ella diffonde nella patria favella la cristiana carità fra le genti a noi lontane. Con tutto il cuore partecipo anch’io alla benedizione della prima pietra del Piccolo Cottolengo Argentino, opera santa che le fa grandissimo onore e accresce nuovo merito a tutti i meriti da Lei precedentemente acquistati. Si abbia i miei più affettuosi pensieri e un saluto cordiale. Aff. Di Val Cismon”.[15]

Anche in occasione del Natale 1935, il conte De Vecchi fa giungere a Don Orione in Argentina il suo pensiero augurale: “Roma 26 dicembre 1935-XIV. Reverendo e caro Don Orione, La ringrazio dei Suoi auguri e li ricambio di tutto cuore a Lei e alle molte e sante opere di bene. Vedo che queste opere Sue fioriscono ovunque e con profondo ammirato compiacimento assisto al favore che la Provvidenza manifesta palesemente a Lei ed alle Sue sante fatiche. Preghi anche un poco per me e mi abbia sempre aff. De Vecchi di Val Cismon”.[16]

Nei rapporti con le autorità, come era nel suo stile, Don Orione andava anche oltre gli interessi istituzionali ed estendeva la sua attenzione ad aspetti umani personali, come quando scrisse al De Vecchi perché “ho visto che gli è morta la madre”.[17] Il Conte rispose prontamente con un biglietto autografo: “Roma 11 marzo 1936-XIV. Grazie, caro Don Orione, del Suo costante, affettuoso pensiero che mi è sempre tanto caro. Aff. De Vecchi di Val Cismon”.

Del 4 aprile 1936, abbiamo ancora un cenno sulla questione aperta del terreno nel quartiere Appio di Roma. Don Orione scrive a Don Sterpi: “Mandatemi i dati per il terreno di Roma e scriverò al Ministro De Vecchi, facendogli presente che là apriamo un Seminario per le Missioni Italiane all’Estero e per le vocazioni sacerdotali dei paesi redenti, già sotto l’Austria. Gli avevo parlato di questo progetto, che egli aveva visto tanto, tanto bene, perché quel clero giovane fosse cresciuto a Roma e fosse vincolato di maggiore unità e non avesse più spirito di diffidenza e ostilità”.[18] Il problema poi si risolse felicemente con la costruzione del grande Istituto San Filippo Neri, inaugurato nel 1938.

A distanza di pochi giorni, il 16 aprile successivo, il conte De Vecchi indirizza a Don Orione una breve lettera di augurio pasquale, sempre densa di alti sentimenti: “Caro Don Orione, ho ricevuto anche quest’anno il Bollettino Pasquale che gentilmente ha voluto inviarmi. Seguo con molto interesse la Sua cristiana e amorosa opera patriottica da Lei svolta lontano dalla Patria, ch’è sempre così vicina al Suo spirito. Voglia, caro Don Orione, gradire con i miei più affettuosi saluti il contraccambio dei migliori auguri di Buona Pasqua. Di Val Cismon”.[19]

In una corrispondenza del 28 aprile 1936, abbiamo la testimonianza di un ulteriore scambio di attenzioni tra Don Orione e De Vecchi: “Caro don Sterpi, … Domenica 26 aprile, festa di Don Bosco, ho telegrafato a Sua Eccellenza De Vecchi Ministero Educazione: «Oggi festività Don Bosco che Vostra Eccellenza ha celebrato in Campidoglio auspice Duce esprimole profonda gratitudine per Sua benevolenza verso mia Istituzione che ispirarsi alla fede e italianità del Santo Educatore piemontese» Don Orione .

Oggi ho ricevuto questo cablogramma di 51 parole partito da Roma oggi.

   Reverendissimo Don Luigi Orione Obra de la Divina Providencia - Carlos Pellegrini 1441 - Buenos  Aires. La ringrazio per il ricordo e il saluto affettuoso augurando di cuore ogni fortuna alla opera di cristiana carità che Ella svolge nel Santo nome del grande educatore italiano. Ministro Educazione Nazionale De Vecchi di Val Cismon.       

Si vede che il telegramma gli ha fatto piacere, e Deo gratias!”.[20]

Dalla corrispondenza con il De Vecchi veniamo a conoscere di una significativa iniziativa di Don Orione. Il Santo fondatore, venne a sapere in Argentina dell’apertura di un lebbrosario ad Adua, in Etiopia, allora colonia italiana. Subito, il 26 giugno 1936, telegrafò al ministro De Vecchi in questi termini: “Destinatario Eccellenza De Vecchi - Ministro Educazione – Roma / Fidato divino aiuto et debita approvazione Santa Sede offromi con mio personale religiosi maschile et femminile tutti italiani pel lebbrosario Africa Orientale fortunati potessimo dare vita servendo Cristo nei fratelli infelici / Telegrafo per ottenere precedenza Vostra Eccellenza usimi carità suo valido interessamento prego niente pubblicità benedica Iddio l’Italia Ossequio Don Orione / Domicilio C. Pellegrini, 1441 - telefono 41 – 1691”.[21]

Il De Vecchi rispose prontamente a tale offerta con due successive lettere.

1 Luglio 1936-XIV. Caro Don Orione, ho avuto il Suo telegramma ed esprimo il mio vivo compiacimento per la cristiana e santa opera di bene che Ella si propone. La questione non è di mia competenza, ma non ho mancato però di segnalare il Suo desiderio a S. E. il Ministro delle Colonie. Mi riservo di darLe, appena possibile, ulteriori notizie ed intanto voglia gradire, caro Don Orione, e i miei migliori saluti ed auguri. Di Val Cismon”.[22]

15 Luglio 1936-XIV. Caro Don Orione, il Ministro delle Colonie, al quale avevo segnalato il Suo desiderio, La ringrazia vivamente pel Suo nobile proponimento. Mi ha fatto però presente che non ha modo di corrispondere alla Sua aspirazione, poiché ormai ha già provveduto alla sistemazione dei lebbrosari in Etiopia. Le rinnovo, caro Don Orione, i miei auguri e Le invio cordiali saluti. Di Val Cismon”.[23]

L’iniziativa non ebbe dunque seguito, però manifesta l’intraprendenza di Don Orione e la sua fiducia nell’interessamento del Ministro.

Il De Vecchi ebbe modo di conoscere la Congregazione orionina più da vicino e nella vita ordinaria durante il periodo del suo governatorato nell’isola di Rodi, dove i religiosi di Don Orione erano presenti dal 1925.[24] Don Orione si rallegrò con Don Sterpi quando ebbe la notizia “che S. E. De Vecchi va Governatore a Rodi”.[25]

Il conte De Vecchi, a Rodi “si propose il compito di ‘avvicinare’ il possedimento all'Italia e di ‘metropolizzare’ gli usi e costumi delle popolazioni del posto… Nelle scuole estese la penetrazione della lingua italiana e rafforzò i poteri di controllo”.[26] Nel 1937, statalizzò tutte le istituzioni scolastiche di Rodi e del Dodecanneso, comprese le scuole gestite da congregazioni religiose cattoliche i cui membri poterono restare al loro posto di insegnanti ma alle dipendenze del Governo. La stessa misura toccò all’Ospizio orionino di Acandia. Ciò nonostante i rapporti continuarono buoni. 

Don Orione seguiva le vicende di Rodi e poté incontrare il De Vecchi a Roma nell’ottobre 1937: “A Roma ho veduto S. E. De Vecchi; si mostrò molto soddisfatto di quei nostri di Rodi”.[27] Lo conferma scrivendo anche a Don Masci, il 5 Novembre 1937: “Io ebbi, ultimamente, una lunga cordiale conferenza in Roma con S. Ecc. De Vecchi, e, facilmente, tra non molto, farò una visita a Rodi e in Albania”.

Il conte Cesare Maria De Vecchi, che tante volte manifestò sentimenti di sincera ammirazione e sostegno alle opere di Don Orione, quando seppe della sua morte – avvenuta il 12 marzo 1940 - subito fece giungere da Rodi il suo attestato di stima e di venerazione.

Ho conosciuto Don Orione al culmine della sua miracolosa opera di carità.

L'ho seguito nella sua fatica altrettanto serena e sorridente quanto prodigiosa nelle sue pos­sibilità e nella sua realtà costruttiva.

L'ho apprezzato nelle solide virtù italiane e più strettamente piemontesi, nell'ardente amor di Patria, nella totale adesione al Regime fascista, nella devozione alla gloriosa dinastia di Savoia.

Ne ho ammirato la fede illuminata, la purezza del costume, l'apostolato cattolico, l'umiltà nella grandezza dello spirito, il cristiano sacrificale amore del prossimo.

Dopo la sua dipartita, venerandone la memoria, lo sento assurto alla gloria dei cieli, presso i grandi fratelli già santificati Don Bosco e Cottolengo e lo rivedo umilmente orante in San Pietro nel rito della loro santificazione e già allora col capo circonfuso da un nimbo di luce”.[28]

La relazione del conte De Vecchi con la Congregazione continuò anche dopo la morte del Fondatore mediante Don Gaetano Piccinini, già da tempo conosciuto. Sono conservati alcuni biglietti augurali e una comunicazione da Revigliasco Torinese del 1 Febbraio 1943: “Reverendo Padre, facendo seguito alla mia lettera del 25 gennaio u.s., sono lieto di trasmettere in copia la favorevole risposta, pervenutami dall’Ecc. il Ministro delle Finanze, al quale mi ero rivolto per farvi cosa gradita. Con molti cordiali saluti. De Vecchi di Val Cismon”.[29]

Nel dicembre del 1940 al suo rientro in Italia, il conte De Vecchi non ebbe più alcun incarico ufficiale; rimase solo membro del Gran Consiglio del Fascismo come era dalla sua fondazione. Il 24 luglio del 1943 fu convocato per la seduta del Gran Consiglio e votò in favore dell'ordine del giorno Grandi che esautorava Mussolini dal suo ruolo di comandante delle Forze Armate. Seguirono per il De Vecchi tempi burrascosi e drammatici: fu  ricostituita la Repubblica Sociale Italiana, l’Italia fu divisa in due. Nel gennaio del 1944 il tribunale straordinario speciale di Verona lo condannò a morte in contumacia, come firmatario dell'ordine del giorno Grandi.

Già alla fine di settembre 1943, dovette entrare in clandestinità e si salvò grazie alla protezione dei salesiani che, memori del bene ricevuto quando il De Vecchi era ambasciatore in Vaticano, lo nascosero, difendendolo dalle perquisizioni dei tedeschi e dei fascisti di Salò, in diversi case  tra Piemonte e Valle d’Aosta e, dopo la guerra, a Roma.[30]

In seguito fu rinviato a giudizio anche dal Regno d’Italia diventato poi Repubblica Italiana, per cui fu aiutato a trovare asilo in Argentina, sempre nelle case salesiane.[31](30) Nei suoi vari spostamenti in Argentina trovò per qualche tempo accoglienza anche dagli orionini nel Chaco, come risulta da un appunto di archivio: “De Vecchi di Val Cismon, nel Chaco Argentino, quando fu ospitato dai nostri a Saenz Peña, portava il nome di Guemes”.[32]

In una lettera al figlio Giorgio, l’anziano triunviro informa del suo soggiorno nel Chaco argentino:  (…) Tu ricordi che sono stato tempo addietro al Chaco, visitando la città di Resistencia e di Roque Saenz Peña, dove, e maggiormente in Saenz Peña, mi sono creata una base di operazioni intorno alla Parrocchia che è tenuta dalla Congregazione di Don Orione e personalmente da gente molto ma molto simpatica. Con nazionali ugualmente simpatici mi si sono stretti intorno a far capo ad un Signor Scanferlato che era uno dei miei segretari alla Presidenza della Combattenti in Torino nel 1920 e che fra parentesi mi ricordo in funzione di netta dissidenza con Mussolini, lui sinistro e socialisteggiante, io destrissimo e monarchico ad oltranza. (…) Destra non vuol dire né dittatura né totalitarismo che sono comunismo dove sarebbe finito Mussolini fatalmente se Iddio l’avesse concesso.

Ritorniamo dunque a Scanferlato che mi ricorda, dice lui, più nazionalista che fascista. A Saenz Peña egli ha fatto fortuna. Egli ha impiantata una grande fabbrica di paste alimentari con largo successo e domina quel mercato anche  per un largo raggio intorno e il fratello ha una modernissima e potente panetteria. La sua influenza morale e anche politica locale nonché negli affari è assai notevole  che presiede quella Camera di Commercio. E’ anche presidente degli uomini cattolici e quindi legatissimo alla Parrocchia e alla Congregazione di Don Orione il cui superiore e mio amico è un polacco educato in Italia e che parla l’italiano come noi”.[33]

 

Solo nel giugno 1949, la Cassazione emise  la sentenza definitiva che lo assolveva per tutti i capi d’accusa e solo lo condannava a 5 anni (con applicazione dell’amnistia) per la parte avuta nella marcia su Roma, perché – come affermò durante il processo l'ammiraglio P. Thaon de Revel -, “durante la marcia su Roma si era mostrato più italiano che fascista".

            Il conte Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon ritornò in Italia il 22 giugno 1949, nella sua casa di Roma, in Via Mercati 2a.  Un’emorragia cerebrale, sopravvenuta il 31 dicembre di quel medesimo anno, gli tolse la parola e lo paralizzò a letto. L’andava a visitare, di tanto in tanto, Don Gaetano Piccinini, orionino.

La moglie Onorina, con lettera del 1° agosto 1952, informando Don Piccinini delle precarie condizioni del marito, scrive: “Sapevo della benevolenza del compianto Don Orione per mio Marito: certo il grande scomparso ha interceduto per lui e ancora pregherà. Quante volte ne invoco io stessa l’aiuto!”.[34]

Don Piccinini assistette Cesare Maria De Vecchi anche nel momento della morte,  avvenuta il 23 giugno 1959.[35]

 


[1] Il titolo di conte di Val Cismon gli fu conferito dal re Vittorio Emanuele III, il 3 luglio 1925, in ricordo del combattimento da lui sostenuto, insieme a quattro suoi bombardieri, al Ponte di Corlo nella Val Cismon, nell'ottobre del 1918.

[2] Per una conoscenza di San Luigi Orione: Papasogli Giorgio, Vita di Don Orione, Gribaudi, Milano 2004, pp. 565 (V ed.); Le lettere, Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1969, vol. I pp. 636, vol. II pp.628; Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 207, (III ed.) 1995; San Luigi Orione. Meditazioni sul Vangelo, a cura di Flavio Peloso, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, pp.272; Aa. Vv. La figura e l'opera di Don Luigi Orione (1872-1940), Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 240.  Atti del convegno di studi tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990; Busi Michele, De Mattei Roberto, Lanza Antonio, Peloso Flavio, Don Orione negli anni del Modernismo, Jaka Book, Milano 2002, pp.373; Aa.Vv., Don Orione e il Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003. Atti del Convegno alla Pontificia Università Lateranense (1-3- marzo 2002), pp.358; Aa., Vv. San Luigi Orione. Da Tortona al mondo, Atti del Convegno di Tortona, 14-16 marzo 2003, Ed. Vita e Pensiero, Milano 2004, pp.272.

[3] Archivio storico Don Orione, Via Etruria 6, Roma; sarà citato ADO.

[4] Hanno studiato il tema Giovanni Marchi, Don Orione, politica e politici in Aa.Vv., Don Orione e il Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p.277-311. Atti del Convegno alla Pontificia Università Lateranense (1-3- marzo 2002), pp.277311; Giorgio Vecchio, Don Orione e la politica del suo tempo in Aa.Vv. San Luigi Orione.Da Tortona al mondo, Atti del Convegno di Tortona, 14-16 marzo 2003, Ed. Vita e Pensiero, Milano 2004, p.170-211.

[5] Alla riunione dei sacerdoti del 27.8.1931, Riunioni 108. In altra occasione: “Don Bosco diceva: “Dobbiamo entrare con la loro, per uscire con la nostra”. Cercare che le relazioni siano sempre cordiali: non essere di quelli che strisciano. Non fare del fascismo fuori di luogo, no. La prima volta che mi sono presentato all’onorevole Parini, ho detto franco che io sono papista dalle unghie dei piedi fino alla punta dei capelli, ma che, nello stesso tempo, sentivo di avere il sangue italiano al cento per cento, e dissi: “Son figlio di un padre che fu volontario e che si batté per otto anni nelle guerre dell’Indipendenza e che non sono diventato patriota dopo che Mussolini è al potere, ma che lo ero prima che lui nascesse”; Riunioni 148.

[6] Parola 6, 87. Scrive: “Ieri mattina ho potuto assistere alla canonizzazione del Cottolengo in un posto bellissimo, nella stessa tribuna dei suoi parenti”; Scritti 64, 53.

[7] Scritti 72, 96. Don Orione, lo stesso 4 aprile, scrive al Vescovo di Tortona: “Pure per la Canonizzazione di Don Bosco ho avuto posto bellissimo, anche ora mi hanno messo tra i parenti, così che sarei diventato parente e del Cottolengo e di Don Bosco. Sono stato anche in Campidoglio alla Commemorazione civile, tenuta da Sua Eccellenza De Vecchi, presente il Duce. E ieri all’udienza di tutti i Salesiani, data in San Pietro, oggi poi dai Salesiani sono anche a pranzo”; Scritti 72, 96.

[8] Scritti 60, 221.

[9] Scritti 60, 221.

[10] Scritti 18, 15.

[11] Don Carlo Sterpi fu compagno e collaboratore fraterno di Don Orione; nel 1989 è stato dichiarato “Venerabile”. Per una conoscenza biografica, si veda: «In morte di Don Carlo Sterpi», “La Piccola Opera della Divina Provvidenza, dicembre 1951 (numero monografico); Il Servo di Dio Don Carlo Sterpi, “fedelissimo di Don Orione” e suo primo successore, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1961; Giovanni Barra, In punta di piedi. Don Carlo Sterpi, successore di Don Orione, Borla, Torino, 1963; Alessandro Filippi – Giovanni Venturelli, I fioretti del Venerabile Don Carlo Sterpi, collaboratore e primo successore del Beato Don Orione, Scuola Litografica Don Orione, Borgonovo Val Tidone, 1997.

[12] Don Orione tocca un tema cui De Vecchi era sensibile. Poteva dire questo perché, dopo la “Questua delle vocazioni”, una Lettera circolare inviata a tutti i parroci d’Italia nel 1927, aveva nelle sue case molti aspiranti provenienti da quelle regione; in verità dal Trentino (Valsugana, Val di Fassa, Val di Non) più che dall’Alto Adige. Il clero di lingua tedesca (Tirolo, Bolzano) e di lingua slava (Gorizia)  era accusato genericamente di anti-italianità per il fatto che non adottavano l’esclusivo uso della lingua tedesca nella liturgia e nella vita della Chiesa. In quanto ambasciatore presso la Santa Sede, nel 1930, Cesare De Vecchi chiese l’allontanamento di 6 sacerdoti dell’Alto Adige, accusati di essere antinazionalisti e propugnatori del pangermanesimo. In realtà, dalle informazioni dei Vescovi Mons. Celestino Endrici di Trento, e di Mons. Giovanni Raffl, di Bressanone, alla Segreteria di Stato Vaticana, il problema vero era ristretto all’uso del tedesco e dello slavo nella liturgia e nel catechismo, per rispetto alla gente, soprattutto incolta, che non parlava per nulla l’italiano.  L’imposizione della lingua italiana tema creò molte tensioni che sfociarono anche in disordini fuori delle chiese. Cfr. Piero Pennacchini, L’Azione Cattolica Italiana nel conflitto tra Santa Sede e regime fascista (1931), Tesi ad doctoratum in S. Theologiae, Roma 20 10, p.132-135.

[13] Scritti 18, 55. Don Orione sapeva di toccare corde sensibili della personalità del De Vecchi: il patriottismo, l’educazione alle tradizioni italiane, l’orientamento anti tedesco. In altra lettera del pomeriggio dello stesso giorno, Don Orione aggiunge: “Oggi ho scritto per avion una buona lettera di felicitazioni a sua Eccell. Cesare Maria De Vecchi, nuovo ministro dell'educazione nazionale. Come vi ho scritto, egli era al corrente di tutto che cosa voglio fare su quel terreno: un grande istituto pro missioni italiane e scuole all'estero, e un seminario per educare alla chiesa e alla italianità i fanciulli di vocazione ecclesiastica dei paesi conquistati (Gorizia, Bolzano etc) perché in quei paesi ci sia un clero non più tedescofilo, ma italiano. In parte rientra nella competenza del ministro dell'educazione nazionale. Sua Eccell.za aveva approvato pienamente. Occorrendo difficoltà pel terreno,  andate con Piccinini da De Vecchi. Piccinini vi presenti come mio vicario”; Scritti 18, 57

[14] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[15] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[16] Lettera tutta scritta a mano; ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[17] Lettera a Don Sterpi del 16.2.1936; Scritti 19, 162.

[18] Scritti 19, 44.

[19] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[20] Scritti 19, 56. Il telegramma del Ministro è conservato in ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[21] Scritti 60, 221. Dell’iniziativa informa subito Don Sterpi, 27 giugno 1936: “Caro don Sterpi, … avendo jeri letto che ad Adua si aprirà prossimamente, un lebbrosario, jeri stesso ho mandato in Italia il telegramma di cui vi do copia” e trascrive il testo del telegramma sopra riportato. Scritti 19, 83.

[22] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[23] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[24] Si veda lo studio di Luca Pignataro, La presenza orionina a Rodi (1925-1948), “Messaggi di Don Orione” 42 (2010), n.133,  p.79-93.

[25] Lettera del 17.11.36; Scritti 19, 146.

[26] E. Santarelli, “De Vecchi Cesare Maria” in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma.

[27] Lettera all’abate Caronti del 31.8.1937; Scritti 50, 40.

[28] Il testo autografo è intestato “Governo delle Isole Italiane dell’Egeo” e  datato “Rodi,   11  aprile 1940-XVIII”; si trova in ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon; fu pubblicato in Don Luigi Orione, Scuola Tipografica Emiliana, Venezia 1940, p.29.

[29] I biglietti sono del 13.1.1941 e del 28.12.1942. In un’altra breve lettera intestata Senato della Repubblica”, ma datata “Revigliasco Torinese 19 marzo 1943-XXI”, leggiamo: “Caro Don Piccinini, ho avuta la vostra lettera del 4 corrente. Vi ringrazio molto per il cortese invito, al quale per altro sono spiacente di non intervenire non potendo per ora muovermi di qui. Con i migliori saluti. De Vecchi di Val Cismon”. ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[30] Francesco Motto, Dal Piemonte alla Valle d’Aosta, da Roma a Buenos Aires. La clandestinità del quadrumviro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon in una memoria di don Francesco Làconi, “Ricerche Storiche Salesiane” 39 (2001) 307-347. Si interessò della protezione del De Vecchi il Rettore Maggiore dei Salesiani, Don Pietro Ricaldone, memore dei grandi meriti del Conte sia in occasione delle celebrazioni della canonizzazione di Don Bosco e sia durante il periodo in cui fu ministro dell’Educazione Nazionale. Principale protagonista della protezione del conte De Vecchi fu don Francesco Làconi (1912-1983) che ha lasciato della vicenda una memoria scritta di 26 pagine.

[31] La partenza avvenne a Roma-Ciampino, con un passaporto intestato ad un certo Valeriano Bueno, commerciante paraguayano. Giunse in Argentina il martedì 17 giugno e fu accolto fraternamente nella casa salesiana “Pio IX” di Buenos Aires. Di lì si spostò in varie località dell’Argentina.

[32] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[33] Ho conosciuto personalmente i nipoti Paolo e Cesare, figli del figlio di Giorgio De Vecchi di Val Cismon, i quali mi hanno parlato del buon ricordo che il nonno Cesare aveva di Don Orione e degli Orionini. Sono stati loro e reperire nell’archivio di famiglia la lettera da cui è tratta la lunga citazione sopra riportata.

[34] ADO, cart. De Vecchi di Val Cismon.

[35] Ciò risulta da una nota dell’Archivio Don Orione, cart. De Vecchi di Val Cismon e mi fu confermato dal nipote Paolo De Vecchi di Val Cismon che mi chiamò al suo letto consapevole di essere prossimo a morire.

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