Un problema serio e non nuovo, tra storia e attualità, tra politica e carità.
L'ha vissuto anche Don Orione e ne ha parlato, in modo sorprendente.
Negli anni ’60, nella Torino euforica per il boom industriale, quando accorrevano migliaia di giovani immigrati dal Sud Italia attratti da un posto di lavoro alla Fiat, si creò nella città un grave problema di accoglienza, di abitazione e di tensione sociale.
Circolava a quel tempo una storiella riguardante il nostro Don Giuseppe Pollarolo, l’apostolo dei giovani operai per i quali aveva aperto case e alloggi di emergenza.
Si raccontava che durante il rigido inverno, sotto i portici del centro, c'era un giovane accoccolato su dei cartoni, coperto alla bell’e meglio, con una povera valigia al suo fianco. Un giovane immigrato.
Passò di lì un sindacalista, si fermò e disse: “Domani convocherò un Comitato di fabbrica per trattare del problema dei giovani lavoratori senza alloggio”. E proseguì.
Dopo poco, venne avanti un monsignore di curia e, scambiate poche parole, assicurò: “Alla prossima riunione del clero, coscientizzerò tutti alla questione sociale commentando la nuova Lettera pastorale del card. Pellegrino”.
Capitò di lì anche Don Pollarolo, guardò quel giovane con occhio esperto, si interessò un poco; poi con un cenno del capo gli disse: “Vieni con me, in qualche modo faremo. Poi si vedrà”. Il giovane si alzò e lo seguì.
Ben diverso è il contesto dell’arrivo dei profughi e rifugiati nell’Italia e nell'Europa di oggi. Uguale è l’atteggiamento: Che fare di fronte al problema e alle persone nel bisogno?
I rifugiati d’oggi sono persone costrette a lasciare il Paese dove sono nate e vivevano per scappare dalla morte, dalla violenza, dalla fame, dalla persecuzione, dalla discriminazione religiosa o etnica o politica.
Alla fine del 2011, i migranti forzati nel mondo erano più di 42 milioni, mentre i rifugiati in senso stretto erano più di 15 milioni. In Italia i rifugiati sono circa 58.000. Tra questi, poco meno della metà sono minori, bambini.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul tema della protezione internazionale e delle migrazioni forzate in tutti i suoi vari aspetti, il 20 giugno è stata istituita dall'ONU la Giornata Mondiale del Rifugiato, con una risoluzione del 4 dicembre 2000.
Il problema è di grande attualità e complessità e le risposte – al problema – sono multiple, alcune possono essere anche rapide, ma altre hanno bisogno necessariamente di lungo percorso.
Ma di fronte alle persone, che fare? Aspettiamo che sia risolto il problema?
Rifiuto e accoglienza verso i profughi e rifugiati si affrontano nell’intimo del cuore, nelle parole delle conversazioni e negli atteggiamenti privati, pubblici e politici.
La Congregazione di Don Orione ha aperto e sta aprendo le porte di molte sue case per raccogliere l’ondata di profughi che chiedono asilo e rifugio in Italia. Con non poche difficoltà.
A conforto di quanti vi si stanno dedicando all'accoglienza di profughi, giunge una parola di Don Orione, con l’attualità del… 1917. Altro contesto storico: quello degli sfollati a causa delle prima guerra mondiale. Ma i poveri sono sempre “nuovi”.
“Oggi giungeranno a Tortona i malati di Venezia. Venezia si trova già a tiro dei cannoni nemici, e tutti fuggono, come sono fuggiti da Udine e dalla provincia del Friuli, già tutta invasa dai Tedeschi. I nostri hanno dovuto ripiegare prima sul Tagliamento ed ora su di un piccolo fiume e non si sa se si fermeranno lì, perché è un fiumicello come la nostra Scrivia che non presenta nessuna linea di difesa. Ma queste cose a noi non devono importare, se non per pregare e prendere parte al dolore della nostra Patria.
Ma c’è un altro motivo per cui vi dico questo. Noi a Tortona eravamo già molto ristretti, eppure, stringendoci ancor più, abbiamo lasciata la Casa dove stavamo noi preti ed i chierici, dietro il Collegio, e ci siamo ritirati tutti di qua, ingegnandoci alla meglio. Alcuni dormono sui sofà ed anche per terra. La nostra casa l’abbiamo offerta al Governo per i profughi di Venezia. Il Sotto Prefetto l’ha visitata e l’ha trovata adatta. Ieri l’abbiamo preparata si sa alla bell’e meglio. Oggi, dunque, arrivano da Venezia i poveri malati che sono mandati di qua e di là, noi ne prenderemo un venticinque o trenta, ben felici di sacrificarci per i nostri fratelli, non solo perché sono cristiani, ma perché sono ammalati, capirete che se accettavo i vecchi non potevo rifiutare gli ammalati".
Don Orione continuò rivolgendosi alle sue Suore.
"Dovete essere contente, felici di fare qualche cosa anche voi. Se vi sarà bisogno verrete, dunque, quelle che la Superiora crederà bene e dovete pensare che, servendo quei poveretti, servite Gesù medesimo.
Là ci sarà da far da mangiare, lavare i piatti, insomma da fare tutto quello che fa una madre quando ha dei figli ammalati, ma ci vuole energia!
Ognuna si moltiplichi, e, per dir così, lavori per quattro; ma soprattutto devo dirvi di essere serie, serie, serie.
Ieri ho scritto una lettera al Patriarca di Venezia, dicendogli che in questi momenti tanto dolorosi, la Casa della Divina Provvidenza è pronta ad accogliere i suoi poveri profughi, preti, chierici e poveri orfani abbandonati. Noi ce ne andremo sotto il solaio. Io scrissi la lettera alle undici, la impostai all’una e mezza. Mezz’ora appena dopo impostata la lettera, giunse un telegramma dell’Ammiraglio Cito, che a nome del Cardinale pregava la Casa della Divina Provvidenza a ricevere 50 Religiosi. Non potevo certo dire di no. Con un altro telegramma risposi che li mandasse pure.
La religione insegna di fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi.
Due cose sole ci occorrono: molta preghiera e molta carità. Solo con la carità si vince il mondo. Ora dappertutto si va seminando odio e sangue; di odio son pieni i solchi che dividono nazione da nazione, i popoli dai popoli. Tocca a noi colmare quei solchi con l’amore di Dio e con la carità del prossimo. Felici noi se ci fosse dato anzi di divenire vittime di questo amore". (da discorso dell'8 novembre 1917)