Una famosa foto di Don Orione a cavallo di un asino, scendendo dal Monte Soratte, a Roma.
Quanti sono gli asinelli presenti nella fotografia? La domanda non sembri irrispettosa, poiché è lo stesso protagonista a darci la risposta: “Io e lui siamo in due!”. È l’anno 1934. Don Orione è alla vigilia del suo secondo viaggio per l’America del Sud. Prima di partire, compie una tournée carismatica per salutare i confratelli sparsi in Italia. Si reca anche sul monte Soratte, nei pressi di Roma, e su quelle strade ripide e scoscese gli viene offerta una improvvisata fuoriserie: un asino. La foto piace così tanto a don Orione che egli, nonostante la sua notoria antipatia per le fotografie e i ritratti, se richiesto, la autografa scrivendoci sopra: “Io e lui siamo in due!”. Non è l’unica del genere: nell’archivio della Congregazione si conservano molte foto–cartoline che ritraggono un sorridente don Orione in groppa a un asinello. Sotto l’immagine o nel retro del cartoncino, compare lo stesso singolare autografo: “Lui ed io siamo in due! Don Orione”.
Quella dell’asino è una delle più originali e significative autodefinizione di don Orione. Si tratta di una immagine cara che egli impiegò fin dai suoi primi anni, restandole fedele anche nel periodo della piena maturità. Una conferma esplicita di questa auto–reputazione si ritrova nel suo ricco epistolario. Qui, in alcune lettere, dopo la firma, don Orione è solito aggiungere Asellus Christi o Asellus Domini, ossia Asinello di Cristo, Asinello del Signore. Esibizionismo? Retorica? Falsa umiltà? Concetti, questi, ignorati in don Orione. Del resto, non mancano altre conferme. In un foglio senza data egli scrive: “Bisogna fare da asino... respirare una boccata d’aria, una fontana d’acqua, un pezzo di pane, e basta”. Nel 1937 don Orione è in Argentina. Accogliendo l’invito ad aprire una istituzione nella inospitale terra del Chaco, scrive all’abate Emanuele Caronti, allora Visitatore apostolico della nascente Opera: “Nessuno voleva andare... Ho pensato a tutte quelle anime e a Gesù Cristo e a mia madre che mi diceva che, in mancanza di cavalli, trottano gli asini; e noi siamo proprio gli asinelli della Divina Provvidenza o, almeno, desideriamo esserlo”. Analoghe parole rivolge alla contessa Dolores Cobo de Marchi: “Al Chaco nessuno voleva andarci, onde, in mancanza di cavalli, trottano gli asini. Ah, sì! Noi vogliamo essere gli asinelli della Divina Provvidenza... Sì, sì: oh noi beati, se saremo gli asinelli di Gesù, del Papa, dei Vescovi e delle anime!”.
Commovente, infine, è quanto testimoniò lo scrittore Ignazio Silone in occasione del processo di canonizzazione. Era stato raccolto, fanciullo, dalle macerie del terremoto della Marsica e poco dopo don Orione lo accompagnò di persona fino a Sanremo. Durante il viaggio in treno, tra i due si instaurò, dopo un’iniziale diffidenza da parte del ragazzo, un rapporto di fiducia e amicizia. Don Orione lesse nel cuore del giovane il dramma che questi stava passando e lo aiutò in tutti i modi, confortandolo, risollevandolo moralmente, prestandosi addirittura a portargli le valigie. Davanti a quel gesto, Silone non nascose la sua meravigliata reazione. Ed ecco cosa avvenne: “Egli sorrise e mi confidò la sua felicità di poter talvolta portare le valigie. Adoperò anzi un’immagine che mi piacque enormemente e mi commosse: Portare le valigie come un asinello! E mi confessò: La mia vocazione – è un segreto che voglio rivelarti – sarebbe poter vivere come un autentico asino di Dio, come un autentico asino della Divina Provvidenza”.
Questo credeva don Orione di sé stesso, questo insegnò ai suoi figli spirituali. “Gli asinelli di Dio, come don Orione, si caricano: si caricano di tutti i nostri peccati, di tutti i nostri vizi, di tutti i nostri dolori, di tutti i nostri bisogni, perché soltanto loro sono disposti e capaci di redimere il mondo mediante l’amore di Dio e l’amore del prossimo” (Piero Bargellini).