Riflessione e descrizione di elementi che determinano il bene della Congregazione.
30 aprile 2012
Cari Confratelli
Scrivo questa lettera subito dopo il ritorno dalla lunga permanenza nelle Province di America Latina. È stata una full immersion di due mesi, in marzo e aprile. Con tutti i Consiglieri siamo passati casa per casa, in ogni comunità per la visita canonica. Abbiamo avuto importanti incontri con tutti i Consigli provinciali insieme, a Marianela (Asunción - Paraguay), dal 5 all'8 marzo, e poi separatamente in ciascuna nazione.
Il programma è stato intenso, ma il Signore, la salute e la buona accoglienza ricevuta ovunque - e di cui ringrazio - ci hanno sostenuto nell'impegno. Il compito di questa lunga visita è stato quello di animare la comunione fraterna e aiutarci nella fedeltà creativa a Don Orione per vivere un presente che abbia futuro mediante l'inculturazione del nostro carisma nei tempi e luoghi nuovi.
Quanto bene e quanta grazia di Dio viene dalle nostre povere persone e attività! Visitando la Congregazione, con il realismo dello sguardo fraterno, mi viene da concludere con Don Orione: E' il Signore che fa! E la Divina Provvidenza per mano di Maria che conduce le nostre opere. Noi non siamo che poveri servi e stracci di cui Dio benignamente si serve.
Con gli occhi e il cuore ancora pieno di immagini e di ricordi di questa lunga visita in America Latina riprendo alcuni temi ricorrenti per indirizzare e incoraggiare il rinnovamento della nostra vita religiosa e apostolica.
COME VA LA CONGREGAZIONE?
È la domanda che mi sento spesso rivolgere dai confratelli nelle più diverse circostanze e luoghi. Non contenti della mia prima risposta un po’ generica, alcuni passano a chiedermi notizie delle vocazioni, altri delle nuove aperture missionarie, chi dello spirito di famiglia, chi delle opere, chi della formazione o altro. Ritengono, cioè, che ci siano alcuni indicatori dai quali si deduce “come va la Congregazione”.
In questa mia Circolare intendo presentare e riflettere su alcuni indicatori di vitalità della nostra Congregazione, validi sia a livello personale, che di comunità e di Provincia.
La riflessione sugli indicatori di vitalità già suggerisce anche quali siano i percorsi di vitalità su cui impegnarci per la buona salute personale, delle Province e della Congregazione. Curare la buona salute è la più saggia decisione per affrontare le sfide per il futuro della Congregazione nel momento storico attuale.
"Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire!" (VC 110), ci scrisse Giovanni Paolo II nel Messaggio per il centenario della Congregazione. “La Chiesa attende da voi che ravviviate il dono che è in voi (cfr 2 Tm 1,6), rinnovando i vostri propositi, e in un mondo che cambia promuoviate una fedeltà creativa alla vostra vocazione”.[1]
Cari Confratelli, sapete quanto io sia un cultore di Don Orione e del suo carisma, della storia sua e delle memorie di Congregazione. Eppure, oggi, sento la necessità di attualizzare quanto il Profeta disse al suo popolo in esilio: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Isaia 43, 18-19). Mi pare che anche noi, come il popolo di Israele in tempo di difficoltà, siamo chiamati a riconoscere nel presente i segni di futuro della Provvidenza di Dio. Per fare questo dobbiamo evitare sia l’attaccamento idolatrico al passato e sia l’ossessione per il futuro, atteggiamenti ugualmente contrari alla speranza.
È nel presente che dobbiamo cercare la perla preziosa: la speranza. È qui che Dio parla e provvede. Con questa Circolare dedicata agli indicatori di vitalità intendo continuare la riflessione iniziata nella precedente Per un presente che abbia futuro.
1. IL SENSO DI APPARTENENZA
Quanto è vivo e forte il senso di appartenenza e di identificazione dei confratelli con la propria Provincia? È forte in noi il senso di differenza e di eccellenza della nostra vocazione rispetto alle altre? Come si esprime?
Il senso di appartenenza dei confratelli nella Provincia e nella Congregazione è uno degli indicatori più sicuri di vitalità. Noi lo chiamiamo più comunemente senso di famiglia o spirito di famiglia.
A mia impressione generale, è piuttosto accentuato e costituisce un punto di fiducia nella nostra attuale situazione di cambio. A volte prende anche i toni umani della fierezza. L’appartenenza spesso appare più legata a Don Orione, come santo e ispiratore, che alla Congregazione o alla Provincia. Vanno strettamente congiunte.
In Polonia, dopo la libertà riavuta nel 1989, c’è stato un nuovo entusiasmo di appartenenza; c’è stata la volontà di identificarsi con opere di carità che prima, durante il regime comunista, erano impossibili. In Africa, c’è fame di conoscere il Don Orione storico, la sua umanità e le sue vicende, la sua personalità, perché sono stimolanti in quel contesto tanto giovane e diverso. In molte nazioni, continua a costituire sorpresa e impulso per i religiosi il senso di appartenenza espresso dai laici orionini. Studi orionini e itinerari carismatici sui luoghi di Don Orione (Italia, Argentina, Brasile, Uruguay) suscitano sempre vivo interesse.
Apprezziamo sufficientemente il tesoro di cui siamo depositari?
Con il CG13 dobbiamo anche riconoscere “il rischio di vivere una tradizione senza creatività” (CG13, 81).
E abbiamo chiara e grata coscienza della specificità, della differenza ed eccellenza della vita consacrata rispetto alle altre vocazioni? Il concetto di “eccellenza” della vita consacrata, come sequela radicale e visibile della forma di vita assunta da Gesù stesso, sta riemergendo alla luce dei documenti del Magistero nel quadro della Chiesa comunione.[2] La coscienza dell’eccellenza della vita consacrata va coltivata non perché costituisca un vanto o una etichetta di qualità, ma perché è una grazia e una responsabilità.
2. LA QUALITÀ DELLA VITA SPIRITUALE
Quanto è forte la vita di Dio in noi? Qual è la qualità comunitaria della spiritualità nella Provincia? Quanto è coltivata la relazione con Dio nella vita comune e nell’apostolato?
Evidentemente, la vitalità di una Provincia è strettamente collegata alla vitalità della vita spirituale dei suoi religiosi. “E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla” (Gv 6, 63).
Rimando alla lettura della precedente circolare “La sola cosa necessaria”[3] che si apriva con l’appello di Papa Benedetto XVI ai religiosi: “I consacrati e le consacrate, pur svolgendo molti servizi nel campo della formazione umana e della cura dei poveri, nell'insegnamento o nell'assistenza dei malati, sanno che lo scopo principale della loro vita è «la contemplazione delle verità divine e la costante unione con Dio» (can. 663, § 1). Il contributo essenziale che la Chiesa si aspetta dalla vita consacrata è molto più in ordine all'essere che al fare”.[4]
Nelle assemblee semestrali dei Superiori generali, in più occasioni è stato osservato che, nella generale crisi vocazionale, sono in ripresa quelle singole Province che hanno avuto una crescita di vita spirituale al loro interno, nei singoli e nell’insieme, nella dimensione comunitaria e nella dimensione apostolica.
Ogni Provincia deve fare la propria diagnosi. Come è la frequenza e la connessione alle “fonti” della nostra spiritualità?[5]
Non pochi religiosi cadono nella sindrome del “funzionario del sacro”: amministrano parola, sacramenti, preghiera, opere di carità… in funzione degli altri.[6] Ma non se ne alimentano personalmente. Quando vediamo un Confratello con i sintomi della sindrome del funzionario (niente meditazione al mattino, raramente 10 minuti a tu per tu col Signore in chiesa, raramente la preghiera delle Ore, persino niente Messa se non è in funzione della gente, e altri) avvertiamolo “fortiter et suaviter” come Don Orione avvertiva: “Vae tibi si fons devotionis in te siccatus fuerit! Non c’è olio nella lampada, non c’è spirito, tutto in fretta e furia senza un briciolo di divozione, apatici, freddi, indifferenti, svogliatamente”.[7]
Come si vede immediatamente la differenza tra un religioso funzionario e un religioso discepolo (o consacrato, o uomo di Dio)! Si manifesta nella gioia della propria vita, nella passione apostolica, nell’”attività che sa di eterno e di divino”,[8] nella perseveranza vocazionale.
La nostra spiritualità, come la Chiesa ci chiede, deve essere orionina.[9] È un fattore di vitalità a noi specifico. Incontro ovunque una vera “devozione” a Don Orione e una grande stima della sua forma di incarnare il Vangelo e di vivere Cristo (spiritualità). Questa devozione e anche l’attaccamento ad alcune pratiche spirituali tipiche della tradizione della congregazione possono molto aiutarci nella crescita spirituale. In questo, i giovani religiosi sono trainanti più che trainati. Nei giovani confratelli si nota un interesse crescente per studiare, approfondire, vivere la spiritualità carismatica e anche offrirla ad altri nelle iniziative giovanili e vocazionali.
Indubbiamente la nostra spiritualità orionina è evoluta nelle forme. Per l’impulso degli orientamenti e del clima del Concilio Vaticano II ha assunto un maggiore carattere cristocentrico, biblico, liturgico. Avanti con fiducia! Curiamo bene la Parola di Dio e la Liturgia nella nostra vita quotidiana per edificare in noi l’uomo di Dio. Spesso la vita spirituale assume anche i pii esercizi e le devozioni legate a persone e luoghi particolari. Ovviamente ci vuole equilibrio e va evitato il rischio di un nuovo formalismo.
3. LA QUALITÀ DELLA TESTIMONIANZA
È visibile, è leggibile, è significativa la nostra consacrazione?
Persone, comunità, opere comunicano che siamo consacrati e orionini?
Oggi, i valori della vita religiosa vengono presentati e assunti in chiave positiva e organica fin dall’inizio della formazione. Si guarda a Cristo come alla relazione cardine della propria esistenza e per questo si presenta la vita religiosa come la scelta di un amore più grande e di un progetto umanizzante, come un’alternativa al mondo.
I voti sono considerati un’opzione d’amore, di testimonianza di vita, di libertà per un servizio migliore, una maggiore disponibilità, una qualità evangelica della vita, una risposta all’edonismo e consumismo del mondo moderno, una maggiore vicinanza ai poveri, specialmente accogliendo la gente più umile e i giovani che cercano Cristo.
Tutto ciò è vero ed è assunto. “Generalmente siamo stimati, sia in ambiente laicale che ecclesiale. Le nostre opere sono una buona risposta ai problemi sociali e a volte anche alle nuove sfide. Tanti confratelli operano bene…” (CG13, 97).
Non ci sono in Congregazione, mi pare, problemi di concezione della vita religiosa, quanto piuttosto problemi di realizzazione, dovuti anche a una particolare incidenza dei limiti, delle incoerenze personali, dei “doppi messaggi”.[10] Si parla di “io debole” e di “comunità debole”. Occorre ricordare che questa debolezza è data non solo e non tanto dai limiti dell’età, delle capacità, delle malattie, ma soprattutto dalle infedeltà e incoerenze, dalla dissociazione tra vocazione e vita.[11]
La qualità della testimonianza è un importante indice della credibilità perché essa non dipende tanto da operazioni di marketing o di visibilità congregazionale, ma principalmente dalla qualità della vivencia della vita religiosa. Se non c’è la vivencia, nessuna propaganda può supplire il vuoto di credibilità: “Padre, quando voi credevate di più in Dio, noi credevamo di più in voi”.
“In un continente (America Latina) nel quale si manifestano tendenze di secolarizzazione, anche nella vita consacrata, i religiosi sono chiamati a testimoniare l’assoluto primato di Dio e del suo Regno”.[12]
Il nostro Capitolo generale ha indicato ripetutamente che Il ruolo del religioso oggi è innanzitutto quello di “testimone”, di “uomo di Dio”, e si esprime come “pastore, profeta, animatore e formatore, garante del carisma”.[13]
La nostra identità si rende visibile soprattutto mediante la vita autentica ed esemplare, l’impegno pastorale, la vicinanza al popolo di Dio e ai poveri, lo stile di vita caratterizzato dalla preghiera, le attività svolte come comunità, la fiducia nella Divina Provvidenza, una speciale passione per il Papa e i Vescovi e per tutto quello che riguarda l’unità della Chiesa.[14] Hanno la loro importanza anche altri aspetti concreti della visibilità della nostra vocazione, come lo stile della casa, la distinzione religiosa del nostro abito, i modi semplici e poveri del nostro tenore di vita (auto, vestiti, uso del tempo, fuga dalle mondanità, ecc.).
La trasparenza della testimonianza dipende molto anche dalle nostre opere e attività apostoliche. Siamo particolarmente sfidati a far sì che le opere – soprattutto le grandi istituzioni soggette alle stesse leggi di altre istituzioni laiche – manifestino e non nascondano che siamo religiosi orionini. Gli ultimi due Capitoli generali hanno parlato di “conversione apostolica delle opere”, di “riappropriazione carismatica delle opere”.[15]
Negli ultimi 30 anni, in quasi tutte le nazioni in cui siamo presenti, le istituzioni caritative sono molto cambiate nella loro organizzazione, nella gestione, nella qualità carismatica. Le leggi civili sono intervenute nei settori educativo e assistenziale con logiche laiche (talvolta laiciste) di efficienza e di economia. Molte nostre opere dipendono in tutto o in parte dal finanziamento pubblico e, necessariamente, perdono un poco la dinamica e il significato di opere di provvidenza e di carità. Continuano ad essercene altre – soprattutto piccole e in ambienti di grande povertà – che si reggono esclusivamente di provvidenza,[16] cioè gratuitamente ricevono e gratuitamente danno.[17]
Il significato apostolico delle opere dipende anche dal con-senso dei collaboratori con il fine dell’opera. Capita che molti dipendenti sono poco e per nulla partecipi delle motivazioni religiose e apostoliche; questo influisce sulla qualità e sul significato dell’opera stessa. Per tale motivo la formazione dei dipendenti è diventata una priorità nella gestione delle nostre istituzioni (cfr CG13, 59 e 64).
4. LA RELAZIONE CON LA CHIESA
Quale è il nostro senso di appartenenza alla Chiesa, alla “Santa Madre Chiesa”? Come viviamo la relazione con la Chiesa a livello locale e con la Chiesa universale? La nostra vitalità di consacrati e di orionini dipende dalla vitalità del nostro rapporto con la Chiesa nella quale siamo inseriti.
Dobbiamo verificare bene questo aspetto: personalmente, come comunità e come Provincia. Non è solo un tema ideale. Infatti, la Chiesa e i Poveri sono il nostro habitat vitale. Cresciamo se vi siamo bene inseriti.[18]
In generale, mi pare si possa dire che ovunque abbiamo buoni rapporti con la Chiesa e con le Diocesi. Possiamo ancora dire oggi, con Don Orione, che “il nostro amore al Papa e ai Vescovi è filiale, devoto, affocato”.
Da molti religiosi nostri - e da Vescovi e sacerdoti secolari – ho ascoltato dire con compiacimento che “gli orionini sono un fattore di comunione nella diocesi”. Anche in occasione di eventi o di temi di conflitto continua a scattare il nostro istinto carismatico: “noi siamo con la Chiesa, noi siamo con il Papa, con il Vescovo!”.
La comunione con la Chiesa si esprime in “sintonia e obbedienza”, in “conoscenza e diffusione dei documenti del Papa e dei Vescovi”, in “fattiva collaborazione” nel campo della pastorale e delle nostre attività caritative.
C’è generosità e varietà di forme di collaborazione da parte dei religiosi singoli: cura diretta e aiuto delle parrocchie, cappellanie di altre istituzioni, di ospedali, carceri, organismi diocesani, ecc. Ma la nostra prima e principale collaborazione nella Chiesa locale avviene con la “vita fraterna”[19] e con le nostre “opere carismatiche”.[20] Queste sono il nostro contributo specifico. E, come ci disse Giovanni Paolo II: “Quanto è necessario oggi il vostro apporto specifico alla vita delle Comunità ecclesiali e all'intera società!”. [21] Perciò, evitando ogni protagonismo egocentrico, sia personale che congregazionale, siamo vitali in quanto agiamo come “come strumento della Provvidenza di Dio per i poveri e presentandoci al popolo come segno concreto della maternità della Chiesa” (CG13, 13). Va ricercato l’inserimento di comunità e opere nel tessuto diocesano e nei suoi organismi pastorali.[22]
Succede anche - bisogna tenerne conto - che qualche Vescovo o Parroco non comprende o non rispetta la diversità e complementarietà della vita religiosa inserita nella parrocchia e nella diocesi.[23] Il criterio del “veritatem facientes in caritate” ha evitato finora veri e propri conflitti.
5. IL RAPPORTO CON LA CULTURA ODIERNA
Qual è il rapporto personale e di Provincia con la società e con la cultura odierna? La nostra vita di religiosi si alimenta nel contesto sociale e culturale in cui siamo inseriti. Quali sono gli atteggiamenti dominanti?
Viviamo immersi nei fenomeni sociali, localmente o globalmente, con gli atteggiamenti i più diversi: di informazione, interesse, dialogo, inserimento, ma anche di rifiuto, paura, aggressività, frustrazione, disinteresse, isolamento.
È piuttosto condivisa la consapevolezza dell’ambiguità della cultura e dei costumi della società moderna. Ed è anche condiviso l’atteggiamento fondamentale di inserimento critico e, per dirla con Don Orione e Don Bosco, si tratta di “entrare con la loro per uscire con la nostra”.
Nonostante l’imperativo categorico orionino “fuori di sacrestia”, mi pare che anche noi, come tutta la Chiesa oggi, siamo piuttosto in difficoltà nel dialogo con l’ambiente umano che ci circonda. Però ci salva alquanto l’approccio carismatico semplice, popolare, accogliente, soprattutto verso le persone povere e nel bisogno, specialmente come singoli. Attraverso i poveri ci sentiamo più in sintonia anche con il resto della società, che in parte ci sfugge alla comprensione e al rapporto. Il Capitolo ha invitato a “promuovere un’accurata formazione alla lettura della realtà” (n. 115) e ad esprimerci “anche nella carità politica, seguendo le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa” (n. 116).
Il disagio culturale è ulteriormente accentuato in relazione ai giovani, ritenuti indecifrabili, inavvicinabili, indocìbili. Ricordiamo che l’ultimo Capitolo generale ha indicato proprio nel ripartire dalla Patagonia (tema 13) e ripartire dal cortile (tema 14) le due grandi sfide per sviluppare la vitalità della nostra vita religiosa.
È importante che non ci fermiamo a una visione sociologica o psicologica o giornalistica del “mondo” attuale. Per noi, Figli della Divina Provvidenza, il mondo è innanzitutto “Anime e Anime che anelano a Cristo!”, da avvicinare “da buoni samaritani” (CG13, 113) e con “pionierismo missionario” (CG13, 114).
Nel rapporto con il mondo d’oggi, sperimentiamo non poca frustrazione per gli scarsi risultati, per i pochi frutti apostolici di parole e di attività.[24] Costa molto anche a noi, figli del nostro tempo e figli del tutto e subito, percorrere l’umile e lunga via del lievito e del sale nella massa. Ciò comporta aprirsi alla cultura, avvicinarsi alle persone, ascoltare con simpatia, interessarsi della vita e dei problemi quotidiani per metterli in contatto con il sale e il lievito che è in noi e, orioninamente, con la carità che sola salverà il mondo.
Tutti, anche nei paesi di antica cultura cristiana, senza pretese e senza fretta, dobbiamo apprendere le modalità dell’inculturazione, né più né meno di come fecero San Paolo e le prime comunità cristiane nel mondo greco-romano o anche i nostri missionari nella cultura africana, araba, indiana, albanese, ucraina, ecc. Essere in una società postmoderna, materialista, laicista è la nostra condizione attuale in cui evangelizzare Cristo.
Nell’opera di inculturazione del carisma, assieme alla modalità del lievito e del sale nascosti nella massa, risulta apostolicamente efficace anche il dinamismo della luce sul lucerniere, della città sul monte.[25] Ciò comporta presentare esperienze alternative e ben visibili di educazione, di assistenza, di promozione umana. La nostra Congregazione è tradizionalmente più portata a questo, ma occorre fare attenzione che le opere siano veramente luminose e che non si trasformino in “sacrestie”, in nicchie. Sono realmente un’alternativa cristiana e “fari di fede e di civiltà”?
Con dinamiche di lievito o di luce sul candeliere, occorrerà avere sempre la fiducia e la pazienza del contadino evangelico: “il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa” (Mc 4, 26) ed effettua la trasformazione della cultura dal di dentro.[26] È quanto avvenuto ai tempi di Don Orione nelle periferie di Milano (Restocco), di Roma (Ognissanti), di Buenos Aires (Victoria, Lanùs e Claypole) e in tempi più recenti a Payatas (Manila), a Nezaualcoyotl (Città del Messico), Anatihazo (Tananarive), Bonoua (Costa d’Avorio), Bagamoyo (Maputo), Itapoà (Brasilia), Ananindeua (Belém), solo per citare alcuni luoghi per noi emblematici.
6. LA RELAZIONE CON I PIÙ POVERI
Siamo in relazione reale con i più poveri e il popolo umile? Che tipo di presenza e quali forme di servizio stiamo realizzando nella nostra vita e missione?
Papa Benedetto XVI, nel discorso ai Vescovi riuniti ad Aparecida, ha detto che “Nella fede cristologica è implicita l’opzione per i poveri”,[27] una affermazione di grande importanza dottrinale che Don Orione espresse nelle sue note espressioni del tipo “Vedere, amare e servire Cristo nei poveri”.
Il Fondatore ci ha dato la consegna “Resti ben determinato che la Piccola Opera è per i poveri” e, considerandola determinante per il futuro della Congregazione, ha voluto sostenerla per il futuro con uno speciale giuramento al momento della professione perpetua.[28] I poveri hanno determinato la nascita e lo sviluppo della nostra Congregazione. Da essi verrà anche il nostro futuro.
Quanto siamo fedeli, e dunque vitali, alla consegna di essere “poveri” e “per i poveri”?
“Poveri”. Rispondere non è facile e non può essere superficiale. Don Orione chiese ai suoi discepoli di “incarnare” la povertà, di “sposare” la povertà ad imitazione di Gesù Cristo.[29] Il Capitolo ci ha chiesto di “ripartire con il sacco”,[30] cioè con stile e mezzi poveri.
La comodità e la rilassatezza, come insegna la storia della vita religiosa, prima si infiltrano nelle persone, poi fanno maggioranza e infine arrivano a diventare costume e persino regola. Don Orione avvertì che “Il giorno in cui diverremo ricchi scriveremo: finis!”.[31]
La pratica della povertà è un sicuro indicatore della vitalità di un religioso, di una Provincia e della Congregazione. “Là dove essa è coltivata, là fiorisce lo spirito di Dio; là dove è dimenticata, entra la dissoluzione, e cadono i cenobi più celebri. Sono cadute o furono soppresse Congregazioni illustri… caddero perché avevano lasciato l'osservanza della povertà”.[32]
Il Capitolo ha indicato alcune scelte per “ripartire con il sacco”: netta distinzione fra lo stile sobrio della comunità e lo stile moderno ed efficace del servizio ai poveri (n. 134), periodiche revisioni comunitarie (n.136), formulare il bilancio preventivo della comunità sullo standard popolare-povero di casa, auto, abbigliamento, vitto, tempo libero, ecc. (n.137), attuazione precisa della cassa unica nella comunità e della cassa comune nella Provincia (n.138).
“Per i poveri”. Si può dire che il servizio ai poveri è caratteristica anche attuale della nostra Congregazione in tutte le Province. Però dobbiamo anche riconoscere che siamo in difficoltà ideale e pratica nel realizzare questa missio ad pauperibus per alcune ragioni di contesto, oltre che personali.[33]
Una prima difficoltà viene dal fatto che oggi le categorie e l’ambiente dei poveri, che sono il nostro habitat nel quale cresce la pianta unica con diversi rami della Divina Provvidenza, sono cambiati e sono in evoluzione. La minore omogeneità geografica e sociologica dei poveri, nostri destinatari, ci sta portando a “fare un po’ di tutto”, genericamente, “perché tanto tutti sono poveri”. Don Orione stesso ci ha dato il criterio per superare questa difficoltà.
Certamente la sua azione caritativa è stata voluta e diretta a “tutti i poveri”,[34] però poi precisò tante volte che “Noi siamo per i poveri, anzi per i più poveri e più abbandonati”.[35] “Quelli che hanno protezione da altra parte, per loro v’è già la provvidenza degli uomini, noi siamo della Provvidenza Divina, cioè non siamo che per sopperire a chi manca ed ha esaurito ogni provvidenza umana”.[36]
Ricordo ancora una volta che “i più poveri” per Don Orione sono “i più abbandonati”, i “desamparados”, i più sprovvisti di altre provvidenze. Questo è il criterio di discernimento e di progetto carismatico che deve guidarci ancora oggi.
Un secondo problema ricorrente riguarda il tipo di opere: carità di pronto soccorso, con opere semplici e dirette, oppure carità di promozione umana, con opere solide, bene organizzate, “alla testa dei tempi”?
Don Orione ci ha insegnato e ha realizzato entrambe. Entrambe le forme hanno un grande valore spirituale e apostolico. Anche nei tempi attuali, la Congregazione deve tenere contemporaneamente presenti e in relazione entrambe. È un equilibrio da coltivare. Da una parte deve promuovere di più forme di carità di pronto soccorso (“ripartire dalla Patagonia”)[37] e dall’altra è impegnata a qualificare carismaticamente le grandi istituzioni di carità reagendo alla loro laicizzazione. E c’è una terza azione altrettanto indispensabile: lasciare istituzioni anche affermate ma con poco valore carismatico e apostolico.[38]
La nostra fedeltà carismatica “mediante le opere di carità” ha anche altre direttrici di attività: la pastorale giovanile,[39] la promozione delle vocazioni, la qualifica religiosa e carismatica nella conduzione delle parrocchie, l’impegno nelle missioni “ad gentes”, lo sviluppo di “opere di carità spirituale” che spesso hanno per base i santuari e le case di spiritualità, la promozione del Movimento Laicale Orionino, la valorizzazione apostolica dei mezzi di comunicazione sociale.
7. LA CAPACITÀ DI RINNOVAMENTO
Abbiamo tensione al futuro e buona attitudine al cambiamento? Come funzionano i dinamismi di rinnovamento? Quali sono i segni concreti di sviluppo della Congregazione?
Un organismo vivo, come è una Congregazione religiosa, si sviluppa in relazione al tempo e al luogo ove si trova. Di fronte alle inevitabili e comprensibili difficoltà del presente non si può semplicemente tentare di prolungare il passato. Occorre investire nel presente perché abbia futuro.
Nella nostra Congregazione, la perdurante crisi vocazionale fa diminuire il numero dei giovani religiosi che sono i normali propulsori e attuatori della simpatia per il futuro e del rinnovamento. Il rischio che in alcune nostre Province si inceppi la tensione al futuro e al rinnovamento è molto presente. Per quanto giustificato da situazioni contingenti e costringenti, non può bastare un atteggiamento sostanzialmente conservativo. Verrebbe meno la vitalità della Congregazione in tempi brevi e ancor più nel futuro. Sempre deve essere curato lo sviluppo della Congregazione, soprattutto nelle sue unità nazionali più in difficoltà.
I fattori di rinnovamento e sviluppo sono vari. Vorrei accennare solo a tre dinamismi.
La promozione vocazionale avviene mediante la nostra qualità di vita che attrae (vocazionabilità) e mediante le iniziative vocazionali specifiche.[41] È stata fortemente rilanciata dall’ultimo Capitolo generale. Tutte le Province, nelle rispettive assemblee di programmazione, hanno assunto la promozione vocazionale come priorità di impegno che viene attuato su tre direttrici: “preghiera per le vocazioni”, promozione di “cultura vocazionale” e azione del “centro provinciale vocazioni”.[42]
Ai seminari minori sono subentrate le comunità di promozione e prima accoglienza vocazionale. Vanno curate bene perché è in queste che i ragazzi/giovani maturano il passo dall’orientamento al cammino vocazionale.
Detto e fatto questo con intelligenza e passione per la promozione delle vocazioni, certamente alla Congregazione è richiesta una seria purificazione e conversione per essere più vocazionabile: singoli religiosi più “religiosi”, comunità più “comunità fraterne”, attività più “apostoliche e carismatiche”.[43]
“Chi vuol farsi davvero religioso non entra nelle Congregazioni rilassate, ma nelle Congregazioni osservanti delle regole e dei voti” [44] già ammoniva Don Orione. Di fatto, i giovani che guardano o si avvicinano alla vita consacrata sono spinti da tre desideri vitali: la profonda sete di spiritualità; la ricerca di vita di comunione fraterna in Cristo, e infine l’impegno a favore dei più poveri e bisognosi. I giovani trovano nella nostra vita la risposta a queste domande vocazionali?
Le aperture sono avvenute prevalentemente in nuove nazioni. C’è stata una espansione notevole e coraggiosa che dagli anni ’70 ha portato la Congregazione in ben 18 nuove nazioni.[45]
Le chiusure invece hanno riguardato principalmente le nazioni di più antica presenza. In queste nazioni (Italia soprattutto), le aperture sono state limitatissime,[46] sia perché hanno sostenuto lo sforzo missionario “ad gentes” e sia perché è intervenuta contemporaneamente una crisi vocazionale senza precedenti.
In alcune Province si ritiene che nuovi sviluppi siano praticamente impensabili. “Curiamo bene quello che facciamo”, “le comunità sono già al minimo”, “stiamo diminuendo ogni anno”: sono le evidenze che bloccano la risposta a nuovi appelli apostolici e gli slanci di nuove iniziative di sviluppo. Eppure, occorrerà intraprendere anche nelle nazioni di più antica presenza e in crisi numerica la via dello sviluppo che preveda oltre alle necessarie chiusure anche una strategia di nuove aperture. In questa prospettiva, saranno da trovare anche nuove forme di corresponsabilità congregazionale[47] verso queste Province.
Certamente, oggi c’è una fatica culturale e spirituale nuova nella collaborazione. Mentre qualche decade fa, nell’Europa del “sessantotto” o nell’America Latina e nell’Africa della “coscientizzazione”, si cantava “libertà è partecipazione”,[48] oggi si proclama che “libertà è autonomia”. “Il problema della nostra epoca - osservava Wiston Churcill - è che gli uomini non vogliono essere utili, ma importanti”. Vale anche per noi.
Quanto siamo uniti e utili agli orientamenti e ai movimenti promossi in Congregazione, a livello generale (capitolo generale), provinciale e nelle singole comunità?[49]
La vitalità nel rinnovamento della Congregazione dipende dalla comunione-collaborazione personale offerta con libertà e amore.[50] Ogni confratello isolato o assente dalle relazioni – tanto più se fosse superiore - porta conseguenze per tutti, rende difficile il cammino comune.
La collaborazione personale non basta, deve essere anche strutturata a livello di Comunità, Provincia e Congregazione, secondo le nostre Costituzioni che offrono una metodologia di relazioni e di rinnovamento organica, diversificata e stabile.[51] Solo la sinergia di partecipazione di tutti produce il movimento, il rinnovamento. Per animare questa sinergia fraterna molto contribuisce il servizio dell’autorità.[52]
CONCLUDENDO
Cari Confratelli, l’ultimo pensiero è per richiamare me e voi alla fiducia nella Divina Provvidenza. La fede (“ma di quella!”) nella Divina Provvidenza fonda la fiducia che i nostri cinque pani e due pesci sono utili perché messi nelle mani di Colui che è la fonte inesauribile del bene. Apriamo la nostra vita a quella fonte da cui sgorga l’acqua e il pane della vita! Ricordiamoci con umiltà e fiducia del “né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (1Cor 3, 7).
E’ una constatazione: oggi, i più attivi sono quelli che hanno più speranza; e hanno più speranza quelli hanno più Dio al centro della loro vita. Ieri come oggi, i profeti più credibili e gli imprenditori più costanti sono i mistici. Don Orione ne è illustre modello. Nel nostro nome – Figli della Divina Provvidenza – è scritta la nostra natura di mistici, di profeti e di imprenditori del bene. Aut sint ut sunt… aut non erunt.[53]
Ave Maria e avanti!
Dal momento che le notizie di Congregazione sono sinteticamente richiamate nel Panorama orionino, mi resta solo il doveroso e gradito compito finale di invitare a pregare per alcune intenzioni di Congregazione.
Innanzitutto, preghiamo per i nostri Confratelli defunti dei quali troverete maggiori notizie nel Necrologio di questi stessi Atti. Nei soli primi 4 mesi dell’anno sono stati 8: Pietro Invernizzi, per tanti anni nella missione brasiliana del Goiàs; P. Alvio Eraclio Mattioli missionario in Chile, Don Carlo Luigi Puppin, religioso fedele e di lavoro; Don Antonio Pilotto, per tanti anni in Francia; Don Domenico Sanguin, missionario in Argentina, P. Lorenzo Bernardo Marchi, argentino; Don Salvatore Prosperi Porta e Don Sergio Mura, chiamati rapidamente al Cielo mentre erano ancora al lavoro.
Non dimentichiamo di pregare per le Piccole Suore Missionarie della Carità, molte delle quali hanno lavorato per tanti anni nelle nostre opere: Sr. Maria Gioconda, Sr. Maria Celestina, Sr. Maria Belén, Sr. Maria Daniela, Sr. Maria Fedeltà, Sr. Maria Cassiana, sorella di Don Erasmo Magarotto e Sr. Maria della Neve, brasiliana che per 30 anni ha avuto l’alto privilegio di servire Cristo nei poveri in Italia.
Tra i familiari defunti di cui è giunta notizia, ricordiamo il papà di Don Domenico Napoli e Don Carlo Marin; la mamma di Pe. Jarbas Assunçâo Serpa e di Pe, Joâo Batista de Freitas; il fratello di Don Antonio Pilotto; la sorella di Fr. Renzo Zoccarato, di Don Serafino Tosatto, di Fr. Lorenzo Podavini, di Don Lucio Felici, di Don Vincenzo Alesiani e di D. Valdastico Pattarello (premorto).
Affidiamo alla divina misericordia tutti i nostri Amici, Benefattori, Ex Allievi defunti che contribuirono al bene della Piccola Opera. Questa volta ricordo in particolare l’on.le Oscar Luigi Scalfaro (ex Presidente della Repubblica), la Sig.a Stanislava (cofondatrice della casa di Leopoli), Zeno e Onesta Buratto, benefattori della missione di Bonoua. A loro e a tutti il Signore doni il suo eterno Amore.
Ricordiamo con la preghiera e aiutiamo con la carità fraterna i nostri malati. Sono numerosi. Il Signore conceda loro di accettare ed offrire la sofferenza e i loro problemi a Gesù Risorto, per poi con Lui partecipare alla gioia pasquale.
Preghiamo per le vocazioni, per i giovani che sono in discernimento vocazionale o in cammino di formazione nelle nostre case, e preghiamo per i loro formatori. La vocazione è grazia di Dio e va chiesta insistentemente.
Preghiamo per la Congregazione in Italia che, il 29 giugno, sarà organizzata in Provincia unica “Madre della Divina Provvidenza”. Per quanto la scelta sia stata fatta con un discernimento ampio e prolungato, tutti abbiamo coscienza delle difficoltà future, acuite per la diminuzione delle vocazioni.
Infine, oremus ad invicem; abbiamo tutti bisogno del sostegno fraterno della preghiera che tanto piace al Signore.
Vi ricordo tutti al Signore e auguro che su tutti si posi il sorriso benedicente di San Luigi Orione e della Santa Madonna.
Don Flavio Peloso FDP
superiore generale
[1] Messaggio di Giovanni Paolo II alla Piccola Opera della Divina Provvidenza, 8 marzo 2003.
[2] “Nutriamo grande stima del nostro stato” ci dicono le Costituzioni (art.12), che poi danno i fondamenti di questa stima. L’eccellenza della vita consacrata fa parte della dottrina della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha parlato esplicitamente del "superiore valore della vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici" (Perfectae caritatis, n.1). Vita consecrata n.18 insiste sulla ragione cristologica dell’eccellenza della vita consacrata che “appare il modo più radicale di vivere il Vangelo su questa terra, un modo - si può dire - divino, perché abbracciato da Lui, Uomo-Dio, quale espressione della sua relazione di Figlio unigenito col Padre e con lo Spirito Santo. Già il Concilio di Trento aveva affermato la superiorità dello stato di verginità su quello del matrimonio e implicitamente dello stato religioso su quello laicale (Sessio XXIV, Canones de sacramento matrimonii, can.10, DS 1810). Evidentemente, l’eccellenza della vita consacrata è oggettiva, come via di sequela di Cristo, mentre l’eccellenza soggettiva dipende dalla perfezione della carità dei singoli membri, a qualunque stato appartengano.
[3] Cfr Circolare La sola cosa necessaria. Identità e ruolo della nostra vita religiosa oggi: Atti e comunicazioni 2007, n.234, p.187-209.
[4] Sacramentum caritatis 81.
[5] Dio, Chiesa, Poveri costituiscono i primi tre temi del nostro CG13.
[6] Benedetto XVI richiama spesso questa verità di consacrati e non solo di funzionari: “Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso”; Omelia alla Messa del Crisma, 5 aprile 2012.
[7] Scritti 55, 196. Ci sono decine di citazioni e di commenti di Don Orione a questa espressione latina detta da San Bernardo a Papa Eugenio III. Abbiamo avuto negli ultimi anni un numero di defezioni a cui non eravamo abituati. Avendole seguite prima come Procuratore e poi come Generale ho notato che la maggior parte non hanno la loro causa nella seduzione di una donna o nelle difficoltà con i superiori ma sono avvenute per afflosciamento vocazionale: “non ho più interesse, la vita sacerdotale non dice niente, non me la sento più”.
[8] Scritti 100, 189.
[9] Per alcune linee essenziali della nostra Pedagogia della santità rimando alla Circolare in Atti e comunicazioni 2008, n.225, p.3-21.
[10] Nel documento del recente Capitolo abbiamo riconosciuto che “La nostra testimonianza non è sempre trasparente e talvolta confonde (doppi messaggi: siamo poveri ma abbiamo tutto, siamo obbedienti ma facciamo ciò che vogliamo, siamo casti ma facciamo preferenze, siamo confratelli ma sparliamo gli uni degli altri…)”; CG13, 97.
[11] Vale anche per la nostra Congregazione quanto Benedetto XVI ha detto della Chiesa in generale: “Il danno maggiore, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto” (Omelia del 29 giugno 2010).
[12] Questa è l’aspettativa e il compito primario indicato dai Vescovi della V Assemblea delle Conferenza Episcopale Latino Americana nel Documento di Aparecida, n.219. Durante la riunione dei nostri Consigli provinciali di America Latina del marzo scorso, abbiamo avuto un incontro con Mons. Claudio Jimenez, presidente della Conferenza Episcopale Paraguaya, su “Le attese della Chiesa in America Latina rispetto alla vita religiosa” e con nostra grande sorpresa, il Vescovo incentrò il suo intervento sulla conformazione a Cristo in cui i religiosi devono eccellere, alla luce del n. 219 sopra riportato.
[13] Si veda n. 62-65.
[14] Il Capitolo indica come strumenti indispensabili per questo percorso di vitalizzazione il progetto personale (n.100), il progetto comunitario (n.101-102).
[15] Il Capitolo segnala che “Non vi è ancora uno sforzo deciso ed efficace per improntare la gestione di ciascuna opera al carisma e alla missione. (…) Talvolta nelle nostre opere, manca una adeguata programmazione pastorale e gestionale”; CG13, 56. Come mezzi per la conversione apostolica delle opere indica la conoscenza e attuazione del Progetto orionino per le opere di carità e del Progetto educativo orionino che offrono linee chiare per rispondere alle esigenze di una moderna gestione e di salvaguardia della loro qualità carismatica” (n.57) e l’indispensabile funzionamento del Consiglio d’opera (n. 58), come soggetto di mediazione tra comunità e collaboratori, tra finalità apostoliche e finalità di servizio, tra gestione pastorale e gestione tecnica.
[16] Oggi le entrate “di provvidenza” provengono anche mediante le varie forme di fund raising (ENRis), parola inglese che ha il senso di far crescere, coltivare, ossia di sviluppare i fondi necessari ai progetti.
[17] Evidentemente, la forma di finanziamento è molto influente sulla gestione e sul significato apostolico dell’opera. Un’opera può vivere solo amministrando i fondi pubblici o privati, oppure parzialmente o totalmente in regime di gratuità. Quando amministriamo solo fondi pubblici non possiamo parlare di opere di carità. La gente accede a queste opere e le vede come un servizio di cui ha diritto da parte dello Stato. La carità possiamo metterla solo nello stile personale di gestirle.
[18] CG13, 9: “È molto importante per noi vivere la comunione con la Chiesa da cui proviene e a cui va la nostra carità apostolica (Cost. 15, 47)”.
[19] “Realizzare comunità fraterne non è soltanto preparazione alla missione, ma parte integrante di essa, dal momento che «la comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato»”; La vita fraterna in comunità, 54; Istruzione sul Servizio dell’autorità, 22.
[20] Cfr Circolare Quale amore al Papa?: Atti e comunicazioni 2005, n.216, p.3-15.
[21] In altra occasione, a Roma – Monte Mario (8 Giugno 1986), il Papa osservò : “mi è gradito notare che questo carisma oggi viene esercitato attraverso le molteplici attività e iniziative di promozione umana e di assistenza ai giovani, ai malati, agli anziani, ai portatori di handicap e a tutti gli ospiti delle vostre istituzioni in Italia e all'estero”.
[22] “Le comunità, nel fare il proprio progetto comunitario, tengano conto anche della programmazione pastorale diocesana, impegnandosi a partecipare attivamente, in comunione con gli altri istituti religiosi ed il clero diocesano (cfr Norme 94)”; CG13, 14.
[23] Cfr la Circolare L’orionino Sacerdote. Unità di vocazione e specificità di ministero: Atti e comunicazioni 2009, n.230, p.227-241. Succede anche che il senso carismatico e la pratica dell’appartenenza si affievolisce nei confratelli impegnati nel ministero parrocchiale.
[24] Talvolta il rifiuto è la conseguenza del “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo” (Gv 15, 18-19).
[25] Cfr Mt 5, 13-15; Mc 4, 21; Lc 13, 18-21. “Il Vangelo e l'evangelizzazione non sono incompatibili con le culture, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna”; Evangelii Nuntiandi 20.
[26] “Lavoriamo senza sconforti e guardando il cielo! Quella mano di Dio che ha sempre dolcemente e fortemente guidato i nostri padri e li ha opportunamente soccorsi nei pericoli della fede, non si abbrevierà sulle nostre teste. Che anzi la destra di Dio medesimo vincerà sopra di noi e nessuno di quanti avrà lavorato per il suo Signore sarà confuso in eterno”; Scritti 64, 243; 73, 222.
[27] CELAM, Documento di Aparecida, n.393.
[28] Circolare “Resti ben determinato che la Piccola opera è per i poveri”, “Atti e comunicazioni” 2010, n.231, p. 3-11; cfr Spirito di Don Orione V, 73-75.
[29] Spirito di Don Orione V, 79-80 e tutto vol.V dedicato a “La povertà”; inoltre il capitolo “Poveri, piccoli, umili, semplici” in Sui passi di Don Orione , p.103-112.
[30] CG13, n.130-138.
[31] Parola VI, 218.
[32] Spirito di Don Orione V, 73-75.
[33] Il dinamismo di “poveri che servono i poveri” ha diminuito la sua forza, come rileva il Capitolo: “Il nostro stile di vita non sempre manifesta il nostro essere poveri tra i poveri, indebolendo la nostra credibilità e incisività apostolica tra i poveri” (n.18).
[34] “Omnibus, omnia, ad omnia instauranda in Christo”; Scritti 80, 278. La carità è destinata a “chiunque abbia un dolore”, “la carità non ha confini”.[34] Basta ricordare la famosa pagina dell’”Anime, Anime!” oppure l’elenco infinito di opere scritto da Don Orione con il Capo I delle Costituzioni nel 1936. Anche l’attuale art. 120 delle Costituzioni termina con le l’espressione di Don Orione: “e quelle Opere di fede e di carità, che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla santa sede di indicarci, come più atte a rinnovare in Gesù Cr. la società”.
[35] Spirito di Don Orione II, 71.
[36] “I Figli della Divina Provvidenza vivono della mercede di Dio, della vita di lavoro e di povertà, solo, dobbiamo essere per i poveri, per i più poveri, per i rifiuti, per los desamparados (per gli abbandonati) della società”; Spirito di Don Orione V, 107.
[37] Il Capitolo generale indica alcune scelte: “Aprire le nostre opere alle nuove povertà” (n.117); discernere e porre “segni di accoglienza alle povertà dei desamparados (abbandonati)” (n.119); “Ogni provincia, entro il prossimo sessennio, costituisce una nuova comunità (o realizza almeno una esperienza significativa) che parta poveramente tra i poveri” (n.120).
[38] Cfr Circolare Quali opere di carità?: Atti e comunicazioni 2005, n.217, p.126.
[39] Anche nell’apostolato con i giovani, da una parte dobbiamo “ripartire dal cortile” con iniziative semplici di pronto soccorso, di primo contatto, di prima evangelizzazione per i giovani “i più abbandonati”, i lontani; dall’altra dobbiamo qualificare carismaticamente le forme di educazione scolastica e di pastorale giovanile istituzionalizzate e specializzate. Entrambe.
[40] Sono in crescita di nuovi membri soprattutto la Vice-provincia dell’Africa francofona (Costa d’Avorio, Togo, Burkina Faso), Madagascar, India, Romania, Kenya, Filippine. In altre nazioni, i nuovi professi perpetui sono poche unità all’anno, anche in nazioni come Italia, Polonia, Brasile (Nord e Sud), Argentina… In alcuni paesi, non ci sono nuovi membri da molto tempo: Spagna, Ucraina, UK, USA, Uruguay, Mexico…
[41] Cfr Vocazione e vocazioni. La pastorale giovanile-vocazionale: Atti e comunicazioni 2007, n.222-223, p.3-22.
[42] Il CPV previsto dalla Norma 61 e voluto dal 13CG n.110 è stato programmato in tutte le Province. Generalmente comprende un incaricato assistito da un’équipe, il cui ruolo principale è quello di sensibilizzare i confratelli e le comunità e di coordinare le attività: si offrono ai giovani incontri sistematici, settimane vocazionali, weekend mensili, esperienze in luoghi significativi, sia in esercizi spirituali e campi vocazionali estivi; si offre la possibilità di convivenza in una comunità; esistono comunità di accoglienza e accompagnamento vocazionale...
[43] “Testimonianza come prima proposta vocazionale” è il titolo del tema 11 del recente Capitolo.
[44] Parola VI, 218.
[45] Costa d’Avorio (1971), Madagascar (1976), Paraguay (1976), Togo (1981), Giordania (1982), Venezuela (1985), Cabo Verde (1988-2009), Romania (1991), Filippine (1991), Albania (1992), Bielorussia (1993), Mexico (1994), Kenya (1996), Burkina Faso (1999), Ucraina (2001), India (2001), Mozambico (2003), Korea (2010-2011).
[46] La Polonia ha avuto un buon sviluppo nella decade dopo la caduta del comunismo (Warszawa-Barska, Czarna, Henryków, Braszczyk, Hospicjum di Wolomin); Brasile (Caucaia, Buritis, Poxoreu, Vila Velha, Itapoã, Campo Grande, Dourados,), Argentina (comunità inserta di Mar del Plata), Chile (Iquique poi lasciata), Spagna (Santa Beatriz a Madrid e Sevilla ora lasciata), Uruguay (Tacuarembò poi lasciata), in Italia (le ultime nuove comunità sono degli anni ’80: Bergamo, Pavia, Trebaseleghe, Floridia ora lasciata).
[47] Cfr. CG13, n.143: “Il governo generale promuova la corresponsabilità delle Province negli sviluppi della Congregazione, programmando sia il progetto missionario del sessennio e sia progetti regionali per l’Asia, per l’America Latina, per l’Europa e per l’Africa concordando sia la scelta del personale, sia le modalità di sostentamento economico”.
[48] In Italia, Giorgio Gaber cantava: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
[49] Mi vengono in mente certi richiami e immagini insistenti di Don Orione: “Funiculus triplex difficile rumpitur” (Scritti 56, 187), forti come la fune intrecciata di tre funi; “Frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma” (decine e decine di citazioni); e poi “Tutti uniti in un cuor solo e in un’anima sola”, “La forza dei Religiosi sta nell’unione, il cui vincolo è Cristo, uniti come esercito ben ordinato - siamo una sola famiglia, cor unum et anima una” (Scritti 56, 188); “Tutti per uno e uno per tutti… Quelli che cooperano alla perfetta concordia della volontà e dei cuori sono in Cristo e dei nostri” (Scritti 52, 100); “Meglio pochi uniti, che molti slegati, disuniti” (Parola IX, 360).
[50] “Dobbiamo fare della Congregazione un esercito, una legione, una forza, la falange della carità… Accettare le regole e osservarle col cuore perché, dove manca il cuore, manca tutto. Ci vuole cuore, cuore e giudizio!”; Parola VI, 219.
[51] Pensiamo, per esempio, al movimento promosso dal Capitolo generale per il sessennio: il documento viene recepito e programmato dalle assemblee provinciali di programmazione, viene interpretato e animato dai vari segretariati, viene verificato e rilanciato nell’assemblea di verifica di metà sessennio, viene realizzato nelle comunità, confrontato nelle riunioni annuali dei direttori, ripreso nelle visite canoniche provinciali e generale. Varie Province elaborano un progetto provinciale all’inizio del triennio.
[52] Sul ruolo dei superiori si veda la Circolare Colui che obbedisce per primo. Il servizio dell’autorità: Atti e comunicazioni 2006, n.220, p.107-122.
[53] Cioè, “o sono come devono essere… o non saranno”.