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Messaggi Don Orione
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Nella foto: L'icona dei Martiri polacchi nei Lager nazisti
Autore: Flavio Peloso

Riflessioni ricordando i “martiri” della Famiglia di Don Orione.

E’ molto interessante e nuova l’attenzione che la Chiesa sta dando in questi ultimi tempi alla testimonianza di fede e di carità dei martiri che, molto numerosi, nelle diverse nazioni hanno segnato il cammino evangelico delle rispettive Chiese durante le intemperie sociali, politiche e morali delle loro nazioni.
Nell’euforia del “secolo del progresso” appena concluso, va ricordato che il secolo XX “ha prodotto il doppio delle vittime cristiane, rispetto a quanti sono stati uccisi nei diciannove secoli precedenti” (Michel Hrynchyshyn, presidente della Commissione per i “nuovi martiri”). Il martirio nel ‘900 è una realtà di massa e di popolo. Abbraccia decine di migliaia di cristiani, cattolici, ortodossi e evangelici.

Padre Bartolomeo Sorge ha affermato che “in una società ritornata pagana, occorrerà tornare ai metodi apostolici della testimonianza eroica, fino al martirio”.
Tale osservazione fa eco alle parole di Giovanni Paolo II, il quale nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente, n.37, afferma: “La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri: Sanguis martyrum, semen christianorum. Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze”.
Per questo motivo, il Papa ha invitato le Chiese locali a coltivare la memoria dei martiri e ad “aggiornare i martirologi per la Chiesa universale”.


ANCHE LA PICCOLA OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA HA AVUTO I SUOI MARTIRI

Questo invito del Papa motiva anche le presenti note che intendono coltivare la memoria e “aggiornare il martirologio” della Famiglia orionina. Come il Vangelo, così il carisma di una congregazione, si fa strada con i ‘martiri’ . “L’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri – ha ricordato Giovanni Paolo II -, più all’esperienza che alla dottrina. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione alle persone e della carità verso i poveri, verso chi soffre”(Redemptoris Missio 42).

E’ noto come nella formazione e nel vocabolario di Don Orione fossero usuali espressioni come martirio, olocausto, pieno sacrificio di sé, farsi vittime della carità, ecc. Visse e spinse a vivere una carità eroica. Egli stesso fu definito “martire della carità”. Quella scuola di carità ha fatto maturare nel tempo splendidi esempi di santità e di eroismo. Don Orione, in uno slancio profetico, ebbe a dire: "... E chissà che qualche giorno non abbiamo ad accogliere qualche nostro Martire! Il cuore veramente ce lo dice. Allora sull'Altare della nostra SS.ma Madre della Divina Provvidenza, invece delle usuali palme di fiori, alzeremo commossi i santi reliquiari; saranno palme veramente imporporate del sangue versato per Gesù Cristo e per le anime dai Missionari della Provvidenza: saranno le palme gloriose dei nostri eroi, dei nostri martiri!" (Scritti 71, 176).
Senza pretese di ‘canonizzazioni’ e di completezza, ecco alcuni appunti per aggiornare il “martirologio orionino”.

Ricordiamo innanzitutto i due martiri della persecuzione spagnola. Quando, nel luglio 1936, la bufera anarchica e comunista squassò la Spagna portandovi desolazione e morte, Padre Ricardo Gil Barcelón fu rispettato fino all’ultimo perché si occupava dei poveracci che accoglieva in un ostello di carità. Due volte, i miliziani andarono alla sua casa per eliminarlo come tanti altri. Due volte si interpose la gente del vicinato, dicendo: “E’ buono, aiuta i poveri, i nostri figli mangiano perché c’è lui!”. La terza volta, il 3 agosto, chiusero l’argomento: “Sono proprio quelli buoni che cerchiamo noi!”. Il giovane postulante Antonio Arrué Peiró, che viveva con Padre Ricardo, ritornando in casa vide il camion su cui stavano facendo salire il Padre. Non esitò un attimo, gli corse incontro e volle rimanere con lui. Furono portati insieme al Saler di Valencia. Fucilarono il Padre Gil, il quale alla proposta blasfema di gridare “Viva l’Anarchia” preferì professare “Viva Cristo Re”. Antonio – secondo il racconto di una guardia – al vedere cadere il Padre, gli balzò accanto per sorreggerlo. Le guardie comuniste gli fracassarono il cranio con il calcio del fucile.

Il beato Don Franciszek Drzewiecki, quando nel 1939 si scatenò la persecuzione nazista in Polonia non si rifugiò nella più sicura zona del “Protettorato”. Restò tra la povera gente della parrocchia e tra i malati del Piccolo Cottolengo di Wloclavek. Fu arrestato e portato nel lager di Dachau. Con lui c’era anche un altro orionino, il chierico Joseph Kubicki, che ricorda: “Al campo di concentramento, io lavoravo come falegname e don Drzewiecki era stato destinato alle piantagioni. Doveva fare lunghe ed estenuanti marce di trasferimento a piedi, lavora sotto sole, pioggia, vento. Al Lager era strettamente vietato farsi vedere pregare. Ma pregavamo ugualmente. Nelle piantagioni mentre erano piegati sul campo di lavoro, tenevano davanti, a turno, la scatoletta dell'Eucarestia e facevano adorazione”. Indebolitosi, decisero di eliminare Don Francesco. Mentre veniva portato alla camera a gas, disse al confratello chierico, Joseph Kubicki: “Io vado, ma offro la mia vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria”. Era il 12.9.1942. Anche un altro confratello, Don Robert Szulczewcki, fu eliminato il 14.5.1942, sempre a Dachau.

La Serva di Dio Suor Maria Plautilla, si era offerta come “lampada vivente” in olocausto di carità a Gesù e alle Anime. Nel 1947 – aveva 34 anni - un eroico gesto di carità venne a coronare la sua offerta e a tingere di martirio della carità la sua vita. Suor Plautilla era gravemente inferma al Piccolo Cottolengo di Genova, malata di tisi. Accadde che una delle malate mentali raggiunse, non si sa come, il balcone esterno della finestra, con grave rischio di precipitare. Suor M. Plautilla, accortasene, dominando la forte emozione, raccolse le sue poche forze e raggiunse con prontezza la sventurata riuscendo a trarla in salvo. Subito dopo però, subì un debilitante collasso. Fu costretta a letto e non si riprese più. Spesso aveva degli sbocchi di sangue, e con l'infermiera preoccupata minimizzava dicendo "Fosse almeno sangue di martire!". Ma la battuta aveva la sua verità nel desiderio autentico e nella donazione spirituale. Il suo letto di inferma divenne cattedra e altare per la variopinta comunità del Piccolo Cottolengo. Sacerdoti, suore, medici, dipendenti e, soprattutto, le sue care malate andavano per una visita, per avere una parola, un sorriso, per dire una preghiera o anche solo per farsi il segno della croce. Morì il 5 settembre 1947. Accanto a queste figure più note, perché fatte oggetto del processo di canonizzazione, è utile mettere in rilievo altre figure di discepoli di Don Orione che rifulsero per il carattere martiriale della loro vita e della loro morte.

Don Orione considerava martire del dovere sacerdotale Don Angelo Bariani, caduto mentre portava il Viatico. Fece infezione, gli tagliarono una gamba, ma morì dopo poco, il 18.5.1920.
La carità sacerdotale spinse Don Biagio Marabotto ad assistere i malati di tisi, sul finire della guerra mondiale in Polonia. Ne rimase infetto e morì il 5.5.1945, vicino a Varsavia.
Impressionò la morte tragica del chierico Teofilo Tezze, l’8.2.1944, a 21 anni. Un bombardamento fece strage del gruppo di 23 ragazzi che egli stava accompagnando a Colonnata di Firenze. Fu trovato riverso a terra, sopra uno dei ragazzi più piccoli. In un ultimo gesto di generosità, protesse sotto il suo corpo quel bambino.
A Genova, sempre durante la guerra mondiale, il 12.4.1945, il bombardamento stroncò la vita di fratel Luigi Carminati mentre al mattino presto, sulla via del suo dovere di carità, trascinava rapido la carretta con il pane da portare alle centinaia di malati del Piccolo Cottolengo di Genova.
In Brasile, sono considerati martiri, i primi missionari Don Egidio Adobati e il fratello Giuseppe Serra, annegati nel Tocantins, il 25 gennaio 1952, dopo pochi mesi dall’apertura della missione nel Goiàs (Brasile).
Merita di ricordare anche il martirio di carità del Dott. Domenico Isola. Per trent’anni servì e si consumò presso il Piccolo Cottolengo genovese. Un ictus mortale lo colse proprio mentre stendeva la cartella clinica dell’ultima ricoverata, accolta poche ore prima. Morì il 18.5.1962.
Sono tanti i confratelli che sono ricordati come “martiri”, qualifica non inflazionata ma reale compendio di una vita e di gesti autenticamente eroici e solo mossi dal desiderio di “testimoniare Cristo e Cristo crocifisso”, come ripeteva il fondatore, Don Orione. Ad esempio, io ricordo l’amico Don Antonio Rizzo. Il giorno della sua prima Messa disse nell’omelia: “La mia vocazione è prendere il posto di Gesù crocifisso”. A tre mesi dall’ordinazione, una malattia lo accompagnò per otto anni di Calvario. La assunse come una vocazione e come un apostolato. Fece “il quarto voto di fedeltà al Papa e di olocausto”. Morì il 28.5.1988, a 40 anni.
La lista sarebbe lunga.


MARTIRIO, UN IDEALE PROPONIBILE OGGI?

Cosa si è proposto il Papa nel volere tenacemente “celebrare” e “mettere sul moggio” i martiri? Cosa si propone la Chiesa nel dare nuovo impulso e centralità a questi testimoni? Una denuncia contro gli imperialismi? Un grido di allarme sulle conseguenze del paganesimo idolatrico? Una autocelebrazione dell’eroismo della Chiesa?
La celebrazione dei martiri è diretta – dopo che a Dio e ai martiri stessi – alla Chiesa e ai cristiani. Costituisce un invito ai cristiani d’oggi, che vivono in una società ritornata pagana, a riprendere il coraggio della testimonianza eroica della fede, fino al martirio? Se da una parte Giovanni Paolo II grida “Mai più martiri!”, dall’altra, nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente, n.37, afferma: “La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri: Sanguis martyrum, semen christianorum. Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze”.

Il martirio, da noi cristiani, non va pensato come un gesto unico ed isolato, ma come una attitudine permanente della vita: ciò differenzia e caratterizza la visione cristiana del martirio da quella dell’etica laica dell’eroe. Lo specifico del martirio cristiano va visto quindi come un atteggiamento che deve caratterizzare la vita ordinaria del credente, il cui dono della vita per Cristo non è che l’espressione di una appartenenza vissuta quotidianamente.
Un tema difficile, quello del martirio. Quasi non se ne parla più. C’è quasi pudore ad additarlo come ideale di vita. Come faceva Gesù. Come fa il Papa che lo propone con disarmante verità spirituale e storica.
Anche i mezzi di comunicazione o i dibattiti, che contribuiscono alla diffusione della cultura e alla formazione dell’opinione pubblica, relegano le notizie di martirio cruento o “quotidiano” nell’ambito della “tragica morte” o del “quadretto di bontà”.
Proporre il tema del martirio all’opinione pubblica significa indicare qualcosa che sia di più e oltre i valori di questo mondo e oltre il valore della vita terrena stessa. In questo senso, martirio ed evangelizzazione, cioè testimonianza della carità e della fede, coincidono. Ed è per questo che Papa Giovanni Paolo II, il Papa della nuova evangelizzazione e dello slancio missionario, propone tenacemente il tema del martirio. Afferma: “Come sempre nella storia cristiana i ‘martiri’, cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori ed i testimoni per eccellenza” (Redemptoris Missio 45).

Il martirio è per tutti. E’ un dinamismo insito nella vita cristiana. Non è il frutto della fortezza naturale, o della vanità del “We are the Champion”. Non risulta dall’eccessiva emotività, cioè dallo slancio del momento, o dall’eccessiva razionalità, che corrisponde ad un lucido calcolo delle conseguenze del proprio atto. «Mentre il masochista cerca la morte nella vita - ha affermato Leonardo Ancona, docente di psichiatria all’Università Cattolica - il martire cerca la vita nella morte».
“In essi – negli oltre 2000 beatificati da Giovanni Paolo II, nei 12.692 celebrati al Colosseo il 7 maggio 2000 e nei tanti altri “militi ignoti della fede” – l’amore alla dolce vita è stato vinto dall’amore ad una Vita ancora più dolce” (Sant’Agostino).

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