Una riflessione su identità e sviluppo della Congregazione in Africa.
Don Flavio Peloso
Il proposito di raccogliere qualche indicazione per il cammino della Piccola Opera della Divina Provvidenza in Africa è sorto in occasione del recente secondo Sinodo per l'Africa convocato dal Santo Padre nell'ottobre scorso a Roma e dall'Assemblea dei Superiori generali (24-27 novembre), cui ho partecipato poco dopo, e durante la quale abbiamo ripreso i temi del Sinodo riflettendo su "Giustizia e culture: percorsi di futuro per la vita consacrata" .
Intendo offrire qualche spunto per invitare ad alzare lo sguardo sul nostro cammino di religiosi orionini ormai presenti in modo abbastanza consistente in un certo numero di Paesi africani: Costa d'Avorio, Togo, Burkina Faso, Kenya, Mozambico e Madagascar.
Mentre presento queste riflessioni soprattutto ai Confratelli della Vice-Provincia “Notre Dame d'Afrique ” riuniti in assemblea capitolare, intendo offrirle a tutti i Confratelli e Consorelle della Piccola Opera in Africa e Madagascar. Non sarà opportuno che anche noi programmiamo un piccolo sinodo orionino africano? Servirà per rendere grazie a Dio, per fare una revisione e per rilanciare l'identità e il cammino futuro della Piccola Opera in Africa.
Nel documento Ecclesia in Africa, l'Esortazione Apostolica seguita alla prima assemblea dei vescovi sull'Africa ( 1995), non si parlava molto della vita religiosa. Era men zionata in sei numeri e soprattutto in riferimento all'epopea missionaria e dei fondatori che hanno seminato il buon grano dell'evangelizzazione in Africa.
E' nel numero 94 che viene affrontato il ruolo degli uomini e delle donne consacrati.[1] Il loro posto nella Chiesa-Famiglia viene sottolineato come «appello alla santità , ma anche per testimo niare la vita fraterna nella comunità». Si insiste sull'importanza della loro collaborazione all' opera missionaria con le Chiese locali e i rispettivi responsabili. La parola carisma non viene utilizzata nel testo e non si parla affatto del contributo specifico della vita consacrata in conseguenza del suo carisma.
Fatto significativo della vita religiosa è l'attività della COSMAM ( Conférence des Supérieurs Majeurs d'Afrique et de Madagascar ). Una proposizione intera è dedicata alla vita consacrata e al suo carisma specifico. Certamente, i religiosi hanno avuto e avranno r uolo essen ziale in Africa nei prossimi anni.
Tra i ricchi contenuti dell'ultimo Sinodo mi limito a raccogliere e a rilanciare alcuni appunti su ciò che concerne lo stile di vita e la missione della vita religiosa, ripresi e condivisi con altri Superiori generali . Lo stile di vita e la nostra missione costituiscono un tutt'uno, perché è in conseguenza della qualità del la nostra vita che noi portiamo la testimonianza migliore nella nostra missione.
“Cari uomini e donne di vita consacrata, vi siamo grati per la testimonianza della vostra vita religiosa nei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, che spesso vi rendono profeti e modelli di riconciliazione, giustizia e pace in circostanze di estrema pressione. Il Sinodo vi esorta a dare la massima efficacia al vostro apostolato attraverso la comunione leale e impegnata con la gerarchia locale. Il Sinodo si congratula specialmente con voi, religiose, per la dedizione e lo zelo nel vostro apostolato nel campo della sanità, dell'educazione e di altri aspetti dello sviluppo umano”.[2]
1. VITA SEMPLICE PER UNA MIGLIORE CREDIBILITÀ
Il Vangelo di Marco, nei versetti 10, 17-30, ci invita al distacco. Gesù vi affer ma: «quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Di o ».[3] E di fronte al lo smarrimento dei suoi discepoli, egli ribadisce: « Figli, quanto è difficile entrare nel Regno di Dio».
Il distacco al quale Gesù invitava quell'uomo, che era già sulla strada del bene, è sempre attuale e necessario. La nostra presenza nei villaggi o nei quartieri delle città africane (Ouagadougou, Nairobi, Maputo, Tananarive), in mezzo a persone che lottano giorno per giorno per raggiungere pochissimi obiettivi essenziali (nutrirsi, educare i propri figli, avere cura della salute, ecc.) interpella il nostro proprio stile di vita.
Noi siamo spesso pronti a criticare le numerose ONG che, talvolta è vero, prosperano sulla mise ria delle popolazioni. In realtà, è shoccante vedere in poveri villaggi o nelle bidonville, come certe ONG, dopo avere distribuito un po' di cibo e molti consigli nutrizionali, ripartono in vetture 4x4 climatizzate sollevando attorno a loro delle nuvole di polvere per rag giungere le loro camere di albergo.
Ma anche a noi non capita forse talvolta di cadere in situazioni analoghe? Siamo capaci di conservare sempre l'attenzione alle persone, quando la gestione di un'opera o le dimensioni di una parrocchia ci obbligano a di ventare dei managers super equipaggiati e, di fatto, separati?
Tale rischio riguarda i “bianchi” venuti da nazioni benestanti ma, con diverse motivazioni, riguarda anche gli “africani” che imitano e talvolta competono per godere di uno status ritenuto gratificante.
Quando uno viaggia in Africa, non può fare a meno di osservare certi progetti, alcuni dei quali addirittura giganteschi, che sono bloccati. Certuni non hanno mai funzionato. Quanti elefanti bianchi o cattedrali nel deserto o nella foresta!
Al riguardo, l'economista zambiana Dambisa Moyo, ha scritto un libro intitolato «L'Aide fatale (L'aiuto fatale)» per analizzare e approfondire questo fenomeno di un aiuto esterno e di un assistenzialismo negativi. Ella afferma per esempio: «La cultura pop ha dato un impulso considerevole alla concezione se condo la quale l'aiuto può porre rimedio alla povertà generalizzata», e fa allusione ai concerti di Bob Geldof, Sharon Stone o Bono in favore dell'Africa.
Questo ci interpella pure sul nostro stile di vita e sulla nostra visione dell'aiuto. Questo ci interpella sulla gestione del nostro denaro e del nostro tempo.
Per esempio, sui rapporti tra benefattori e loro aiuti, tra cassa comune provinciale e singole comunità/religiosi, tra cassa comune generale e cassa provinciale, può bastare il criterio economico “ Yes, we can ”?
Come stanno le cose per la nostra pastorale? La nostra missione e la nostra testimonianza fanno un tutt'uno. Si possono sempre dare belle giustificazioni spirituali, teologiche e persino bibliche ai nostri modi di fa re, alla nostra ricerca di comodità.
La vita consacrata deve impegnarsi a cercare e sviluppare dei modi di presenza che rafforzino la sua credibilità. Dobbiamo mirare più alla qualità che alla quantità. Questa, del resto, è stata la scelta della nostra Congregazione in Africa. Mi è capitato più volte di far notare come tra i Professi perpetui della nostra Vice-Provincia “N.D. d'Afrique ” finora non c'è stata alcuna defezione.
E' d'altronde la qualità di vita e di progetto che rende attraente la nostra Congregazione. La Chiesa in Africa è presente geograficamente un po' dappertutto. Le diocesi e le parrocchie si moltiplicano in alcuni paesi. E' stato osservato che la fase della plantatio e dell'organizzazione della Chiesa locale è quasi completata. Ai religiosi è chiesto di offrire il proprio carisma alle popolazioni africane perché il loro ministero parrocchiale è meno indispensabilmente richiesto.
Nella misura in cui i sacerdoti diocesani possono assicurare tale lavoro pastorale, i religiosi si ritrovano più liberi per poter esercitare il carisma che è loro proprio. La nostra Congregazione in Africa ha sempre manifestato un grande amore al carisma orionino, alle sue espressioni spirituali e apostoliche, al senso di famiglia (appartenenza). Si tratta di continuare in questa linea valorizzando quegli aspetti e atteggiamenti più stimolanti la/e cultura/e africana/e.
2. STILE ORIONINO È STILE POPOLARE DI PROSSIMITÀ
Un secondo elemento che mi sembra importante nel nostro stile di vita e che è legato al primo, è quello della popolarità , cioè vicino alla gente che si vuole servire.
Questo tema è legato al distacco per quello che riguarda i beni materiali. È evidente: più uno tesoreggia, accumula dei beni, delle proprietà, dei mezzi sofisticati e più deve costruire fortezze con mura e ben custodite. E' necessario, però si allarga la distanza dalla gente semplice, dalle sue domande, le sue preoccupazioni e le sue gioie.
Ogni tanto giungono notizie delle popolazioni in Africa che accorrono verso le chiese per rifugiarvisi in caso di qualche grave crisi. Recentemente, è avvenuto nelle Filippine, in occasione dell'inondazione, e ciò ha prodotto una grande simpatia verso la comunità. E' un segno di grande fiducia nella Divina Provvidenza e di chi se ne fa ministro.
E' ancora necessario che le nostre porte rimangano aperte! D'altro lato, c'è un rischio nell'avvicinarsi o lasciarsi avvicinare dagli altri. Noi sappiamo quanto certuni abbiano pagato con la loro stessa vita questa generosità. Alcune nostre case e religiosi sono stati assaltati e derubati. E' fondamentale preservare una certa vita privata e la comunità può giocare un ruolo importante di equilibrio, di condivisione e di discernimento. Vivendo insieme, ci sentiamo più forti e più capaci di far fronte ai problemi delle persone. Noi possiamo aiutarci e aiutare i più deboli, come consiglia l'apostolo Paolo. La comunità può anche aiutare i propri membri di fronte alle pressioni della famiglia e dell'ambiente che nella tradizione africana hanno una rilevanza molto importante.
Una delle missioni importanti che noi religiosi possiamo compiere oggi è quella dell'«aiuto di pronto soccorso». Noi dobbiamo pre vedere e organizzare dei luoghi di accoglienza, di pronto soccorso per i feriti della vita, sprovvisti di altre provvidenze umane. Le comunità orionine devono avere un angolo del cuore e della casa sempre pronti per accogliere, ascoltare, aiutare, accompagnare persone in emergenza.
Dare segni della Divina Provvidenza significa rimettere in cammino di vita chi ha perso ogni riferimento, ogni aiuto, a volte senza padre, senza patria e senza credo. Sono espressioni povere, semplici – se paragonate a quanto viene offerto nelle scuole, nelle istituzioni socio-sanitarie, negli ambulatori specializzati – ma sono importanti per noi Orionini, oggi e per domani, per la formazione personale e per dare il volto della Congregazione.
3. GIUSTIZIA E PACE SONO DIMENSIONI DELLA EVANGELIZZAZIONE
Il tema del Sinodo africano è stato «Riconciliazione, Giustizia e Pace». Sono una priorità per molte Congregazioni religiose e per la nostra. È una priorità inscritta anche nei nostri documenti.[4]
Noi Orionini dobbiamo cogliere questo tema del Sinodo come una bella opportunità per integrare questa dimensione dell'evangelizzazione nella nostra azione pastorale.
Spesso si incontra ancora una notevole resistenza a parlare di giustizia nella nostra pastorale di Congregazione. Forse è dovuto al fatto che alcuni ci vedono una dimensione politica e rivendicativa, estranea alla nostra visione pastorale e al nostro ministero di carità e di comunione. Però poi tutti soffriamo per la corruzione e per il cattivo governo; sono ben note alcune conseguenze della gestione iniqua di talune istituzioni. Però non sappiamo o non osiamo parlare. E tuttavia, se c'è una parola risuonata sovente negli interventi al Sinodo, è proprio questa: dobbiamo parlare, dobbiamo denunciare le ingiustizie, essere “voce di chi non ha voce”.
Probabilmente le nuove generazioni d'Africa sono più sensibili ma anche meglio formate per affrontare questa sfida. Da un lato, essendo essi stessi figli dell'Africa, risentono più vivamente le sofferenze del proprio popolo e non esitano a prendersi le proprie responsabilità per impegnarsi contro l'oppressione.[5] Un buon numero di essi hanno avuto pure la possibilità di formarsi altrove e di avere fatto l'esperienza di altre realtà. Quest'apertura li ha convinti che bisogna uscire dal fatalismo e che sono possibili cammini. La vita religiosa, per la densità della sua presenza e la qualità dei suoi membri, rappresenta una forza straordinaria di azione in questo settore della giustizia e della pace.
I Padri sinodali hanno scritto: “L'Africa non è impotente. Il nostro destino è ancora nelle nostre mani. Tutto ciò che essa chiede è lo spazio per respirare e per prosperare. L'Africa si è già messa in moto e la Chiesa si muove con lei, offrendole la luce del Vangelo. Le acque possono essere burrascose, ma con lo sguardo puntato su Cristo Signore (cfr. Mt 14, 28-32) arriveremo sicuri al porto della riconciliazione, della giustizia e della pace”.[6]
Spesso manca la capacità di lavorare in sinergia tra Congregazioni e con la Chiesa locale. Se non ci si unisce, noi perdiamo molte energie, tempo e mezzi per fare avanzare la causa del Regno di Dio, ossia della riconciliazione, della giustizia e della pace.
La vita religiosa in alcuni luoghi ha tante realtà autonome, senza legami le une con le altre. A volte, noi diamo l'impressione che le diverse appartenenze congregazionali siano un ostacolo alla comunicazione e alla condivisione.
Certamente, la Chiesa ha bisogno di pluralità di carismi e di congregazioni religiose. Questo costituisce la sua ricchezza. Ma questa ricchezza deve essere condivisa, comunicata. Non facciamo da soli ciò che possiamo fare insieme.
Un bell'esempio è il progetto intercongregazionale per il Sud Sudan iniziato da alcune Congregazioni e coordinato dall'USG/UISG: sono 21 persone impegnate a tempo pieno nel Sud Sudan, che vengono da 12 Istituti religiosi diversi .
Per quanto riguarda l'impegno giustizia, pace e riconciliazione, si potrebbe certamente fare qualcosa di più se si riuscisse a lavorare insieme. E' quanto è accaduto a Kabul, con il progetto intercongregazionale “Per i bambini di Kabul ” cui anche la nostra Congregazione sta partecipando.
4. DIALOGO INTERRELIGIOSO: NECESSITÀ E DONO
In Congregazione siamo più abituati a parlare di dialogo ecumenico, ma ormai in Africa e in tutto il mondo si pone con sempre mag giore urgenza e ordinarietà la questione del dialogo interreligioso.
Questo problema è de licato e difficile perché in numerosi Paesi sono gli estremisti e i fondamentalisti a "dare il la". Sono loro che si manifestano e spesso in modo aggressivo e anche violento.[7] È stato segnalato un vero pericolo di provocare un amalgama tra musulmani e terroristi, in particolare nell'Africa sub-sahariana. Il problema si complica perché bisogna rendersi conto che la violenza, prima di essere canonizzata da taluni, è nata da situazioni di gravi ingiustizie, e veniva considerata come l'unico mezzo per libe rarsi da esse. Ma sappiamo anche che numerosi credenti di altre religioni hanno una sincerità e una devozione reali. E' con loro che noi dobbiamo collaborare.
Il dialogo interreligioso si riferisce anche alle religioni tradizionali africane, benché esse non si collochino allo stesso livello. Anche le religioni tradizionali propongono dei mezzi “salvifici” che hanno conseguenze sulla vita morale, sulla vita privata e sulla vita pubblica.
Nel messaggio conclusivo del Sinodo africano, al n. 38, leggiamo: “Desideriamo anche che ci sia più dialogo e cooperazione con i musulmani e gli aderenti alla Religione Tradizionale Africana e persone di altre fedi ”.
La religione e le religioni possono incontrarsi e collaborare per il bene della vita sociale e pubblica. Possono essere dei cammini «di riconciliazione e di perdono contro la violenza, il razzismo e il totalitarismo», come affermava recen temente Sua Santità Benedetto XVI all'Angelus del 6 settembre 2009.
Il dialogo interreligioso, come sappiamo, può prendere diverse forme: dal dia logo della vita all'incontro spirituale. Esige anzitutto una grande confidenza nell'altro. Una confidenza che non è inge nuità ma desiderio di comprendere, di conoscere e di amare. I fonda menti del dialogo interreligioso sono anzitutto degli atteggiamenti spirituali. E in vi sta di ciò occorre una solida formazione.
Oggi il dialogo interreligioso non è più riservato agli specialisti. Esso viene esercitato nella vita quotidiana di numerose famiglie cristiane che vivono sotto il medesimo tetto e hanno la medesima cucina dei loro fratelli e sorelle musulmani. Essi condividono le feste e i dolori. Sono insieme nell'ufficio, nel lavoro, al mercato… Spesso non è una scelta, ma l'incontro un giorno dopo l'altro. E che dire dei numerosi matrimoni misti tra cristiani e membri di altre religioni?
Come religiosi e sacerdoti dobbiamo i mpegnarci ad aiutare questi cristiani, istruirli e invitarli a camminare insieme in fedeltà e dialogo verso un avvenire migliore.
Il dialogo interreligioso ci chiede di essere capaci di andare al di là dei limiti, dei pregiudizi, dei timori . Ogni volta che se ne presenta l'occasione, è bene invitare i nostri fedeli a col laborare con i loro fratelli non cristiani su beni certi e comuni: migliorare l'ambiente, sedersi alla tavola della Parola, ricercare soluzioni comuni ai problemi e conflitti sociali .
I religiosi hanno una responsabilità nell'accompagnamento di questo dia logo di vita vissuto dai cristiani nella vita quotidiana.
Nella nostra Congregazione, che ha per motto l' Instaurare omnia in Christo , siamo stati abituati da Don Orione all' ecumenismo della carità come via di dialogo, a volte silenzioso ma sempre fecondo. Recentemente, nel nostro convegno ecumenico tenuto a Leopoli (Ucraina) nel maggio 2009, abbiamo avuto modo di ravvivare il nostro “ slancio ecumenico ” (Cost. 8) alla luce di esperienze missionarie – tra le quali quella di Don Angelo Girolami dalla Costa d'Avorio – che hanno mostrato quanto sia attuale la strategia della carità anche nel dialogo interreligioso.
Resta un simbolo e uno stimolo per tutti quello che è stato definito lo “spirito di Assisi”, cioè il ritrovarsi, senza confusione, “insieme per pregare”, per visite, scambi, aiuti reciproci, impegno sociale.
I l dialogo interreligioso fa parte del carisma d ella Chiesa, ispirato a quanto troviamo nella Prima lettera di Pietro 3,15-16: «(Siate) pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergo gnati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo».
5. INCULTURAZIONE DELLA VITA RELIGIOSA
Il primo Sinodo sull'Africa aveva consacrato tutto il terzo capitolo all'inculturazione. L a questione dell'inculturazione non si risolve con l'introduzione di danze e di strumenti musicali africani. L'inculturazione non si risolve con il folklore. Dopo circa 150 anni di presenza cristiana in Africa, è stato ri conosciuto che abbastanza spesso vi è una doppia appartenenza per un certo numero di cristiani, divisi tra le esigenze della loro fede cristiana e le sollecitazioni culturali del la loro società. Secondo il contesto, uno reagisce come un cristiano o secondo i riti e la cultura tradizionale.
Evangelizzare la cultura, far sì che questa cultura incontri il Vangelo e vi trovi il suo posto non è una cosa agevole. Il fattore tempo è importante. Alcune comunità religiose internazionali potrebbero diventare dei pionieri in questo campo. Sono stati compiuti dei tentativi per inculturare i voti religiosi, le cerimonie di professione, la Liturgia delle Ore.
E l'inculturazione riguarda anche la vita religiosa, cioè il modo in cui i religiosi vivono il loro impegno. Questo coinvolge in particolare i legami con la famiglia, le relazioni che essi stabiliscono con il denaro e con i mezzi materiali messi a loro disposizione dalla comunità religiosa. Questo concerne anche la posizio ne, le responsabilità verso i fratelli e sorelle più piccoli e verso i nipoti. Ol tre alla famiglia, c'è anche il clan, il villaggio d' origine. Come rispondere alle richie ste e alle pressioni che provengono da questi diversi ambienti? L'interdizione pura e semplice di aiutare i genitori e la famiglia non serve e caccia la discussione nel dominio del tabù.
Da soli è piuttosto difficile rispon dere. Anche in que sto caso, risulta essenziale il ruolo della comunità come luogo di discernimento, di equilibrio, di decisione.
L e comunità religiose dovrebbero divenire dei laboratori viventi in cui viene vissuta questa inculturazione. “La Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale”.[8] Vi sono cer tamente delle piste da battere perché il noviziato divenga una vera iniziazione dei giovani nella loro nuova famiglia religiosa. Una iniziazione che prenda in considerazione le realtà culturali africane positive come per esempio il rispetto per gli anziani, la condivisione comunitaria, la cura dei parenti e il codice di condotta morale affin ché la vita religiosa sia veramente cristiana e veramente africana.[9]
Eric Law, cinese emigrato negli USA, a proposito dell'interculturalità, utilizza l'immagine dell'iceberg, del quale si vede solo la parte emergente e che rappresenta solo il 20% dell'insieme. Secondo lui, non ci si può arrestare semplicemente alle questioni della razza e dell'etnia. Bisogna prendere in esame anche altri aspetti come l'età, la formazione, gli interessi individuali, le esperienze passate. Anche tutto questo fa parte della nostra cultura. Con le comunità intercul turali dei nostri Istituti dobbiamo avere il coraggio di guardare anche la parte som mersa. Non mettiamo la testa sotto la sabbia, c'è un lavoro notevole di riconciliazio ne, di giustizia e di pace da compiere anche all'interno delle nostre comunità e delle nostre Congregazioni.
AFRICA ORIONINA IN CAMMINO!
Termino con la nota espressione resa popolare da Don Riccardo Zagaria, “il futuro della Congregazione è nero”, alludendo allo sviluppo dell'Africa nella Congregazione. Questa fiducia nel futuro dell'Africa è stato ripetuto più volte anche dai Padri sinodali, invitando a cambiare l'immagine negativa dell'Africa che viene offerta dai media occidentali.
Da questo vasto conti nente, e dalla nostra promettente Vice-Provincia, possono venire molte cose buone. Questo lavoro deve essere intrapre so dagli Africani stessi e dai non Africani. Questo passa anzitutto attraverso un cam bio di mentalità e poi attraverso impegni concreti. Dobbiamo passare dall' assistenzialismo a una solidarietà responsabile e dal paternalismo a un partena riato adulto. Il Papa ha utilizzato una bella espressione nella sua omelia di apertura del Sinodo: «L'Africa è il polmone spirituale del mondo di oggi».
La vita religiosa in Africa è oggi portatrice di un grande avvenire. Il suo svi luppo, malgrado le difficoltà e gli ostacoli che si incontrano sulla sua strada, ne è un segno evidente . La vita consacrata riflette bene il volto della comunione e della pace. In numerose comunità vi è uno scambio, una condivisione, che è la più bella testimo nianza evangelica che si possa dare. La cosa importante è che la vi ta consacrata viva il suo carisma specifico e sappia tradurlo concretamente nell'Africa di oggi.
Di fronte alle numerose sfide umane e pastorali dell'A frica oggi, di fronte alle situazioni di sofferenza e di ingiustizia, la vita consacrata mediante la coerenza del suo stile di vita nell'esercizio della missione sarà veramente «sale della terra e luce del mondo». Quello sarà il suo grande contributo nella Chiesa e nelle società africane e nelle loro culture.
Con Benedetto XVI concludo:
"Coraggio, alzati!. Così quest'oggi il Signore della vita e della speranza si rivolge alla Chiesa e alle popolazioni africane.
Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio, perché ti chiama il Padre celeste che i tuoi antenati invocavano come Creatore, prima di conoscerne la vicinanza misericordiosa, rivelatasi nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Intraprendi il cammino di una nuova evangelizzazione con il coraggio che proviene dallo Spirito Santo.
Coraggio! Alzati, Continente africano, accogli con rinnovato entusiasmo l'annuncio del Vangelo perché il volto di Cristo possa illuminare con il suo splendore la molteplicità delle culture e dei linguaggi delle tue popolazioni” .[10]
Africa orionina, in cammino!
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[1]Ecclesia in Africa , n.94: “In una Chiesa Famiglia di Dio, la vita consacrata riveste un ruolo particolare, non solo per indicare a tutti l'appello alla santità, ma anche per testimoniare la vita fraterna nella comunità. Di conseguenza i consacrati sono invitati a rispondere alla loro vocazione in spirito di comunione e di collaborazione con i rispettivi Vescovi, con il clero e i laici .
Nelle presenti condizioni della missione in Africa, è urgente promuovere le vocazioni religiose alla vita contemplativa ed attiva, operando innanzitutto scelte oculate e provvedendo poi ad impartire una solida formazione umana, spirituale e dottrinale, apostolica e missionaria, biblica e teologica. Questa formazione va rinnovata nel corso degli anni, con costanza e regolarità”.
[2]Messaggio conclusivo del Sinodo , n.21.
[3] Alla luce dell'esperienza si può anche constatare: “ quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, facciano entrare nel Regno di Di o ”. E' ben poca l'efficacia apostolica.
[4] Nelle nostre Costituzioni , l'art.119, dedicato al “Servire Cristo nei poveri”, offre linee molto sagge sulla nostra azione di aiuto e promozione: “ Dedicati ai poveri e bisognosi vogliamo: 1) considerare un privilegio servire Cristo nei più abbandonati e reietti, poiché nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio; 2) accompagnare i poveri nella loro ascesa e promozione umana e sociale assumendo anche la loro condizione: la nostra umile Congregazione religiosa è nata per i poveri e vive, piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori e si propone di attuare praticamente le opere della misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri; 3) condurre i deboli e gli indifesi al pieno inserimento nel consorzio umano: ogni catena che toglie la libertà ai figli di Dio si deve spezzare, ogni sfruttamento di un uomo su uomo deve essere soppresso nel nome di Cristo; nostro campo d'azione è la carità, però nulla esclude della verità e della giustizia, ma la verità e la giustizia fa nella carità; 4) fare dei poveri i protagonisti della propria storia, valorizzandone i doni e le capacità, gli usi e i costumi, la religiosità e le devozioni popolari ed ogni possibile prospettiva di vocazione umana, sociale, ecclesiale; 5) trarre dai figli del popolo, specie attraverso la cristiana educazione della gioventù, dei veri rinnovatori della società: un orizzonte nuovo si schiude, una coscienza sociale nuova si va elaborando alla luce di quella civiltà cristiana, progressiva sempre, che è fiore di Vangelo”.
[5] Benedetto XVI, nell'omelia di conclusione del Sinodo, il 25.10.2009, ha ricordato: “ Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate .”.
[6]Messaggio conclusivo del Sinodo , n.42.
[7] Anche al Sinodo, un Vescovo ha richiamato una affermazione molto comune: “Non tutti i mussulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono mussulmani”.
[8] Benedetto XVI alla Messa di conclusione del Sinodo.
[9] Si veda l'articolo di suor Mary Gerard Nwagwu, Les voeux reli gieux dans le contexte africain traditionnel , in African Ecclesial Review del 2008, n.50.
[10] Omelia alla Messa di conclusione del Sinodo, 25.10.2009.