Viene qui riportata la parte finale della relazione generale di fine sessennio 2010-2016, presentata al 14° CG, Montebello (PV) 17 maggio 2016. Getta uno sguardo sul futuro della Famiglia Orionina.
Parte IV della Relazione generale di Don Flavio Peloso al 14° Capitolo Generale.
Guardando al futuro è importante l’obiettivo scelto per il CG14 di concentrarsi sulla persona del religioso e di concepire il cammino del prossimo sessennio 2016-2022 cercando di promuoverne il bene umano, spirituale, apostolico, carismatico in dialogo di fedeltà e profezia con le periferie della povertà e della nuova evangelizzazione.
Il Signore ci illumini a giungere a orientamenti e a scelte incisive e durature.
In questa prospettiva unificante del Capitolo, senza entrare nel merito specifico, mi pare utile indicare alcuni ambiti di intervento particolarmente influenti sul nostro cammino futuro.
Tutti siamo consapevoli del bene fondamentale della comunità per il bene della persona. Eppure, un po’ tutti e un po’ in tutte le nazioni, avvertiamo la fragilità delle nostre comunità.
I precedenti Capitoli 12 e 13 hanno chiesto di intervenire per porre le condizioni e strutture per rendere possibile la vita fraterna in comunità: numero sufficiente di religiosi, casa di comunità, tendere a comunità consistenti, nuovo modello di relazione comunità-opere, distinzione dei ruoli nelle opere, ecc. Come rilevato dall’assemblea di verifica, dall’esperienza dei Provinciali e dalla nostra conoscenza di Consiglio, ancora oggi troppe comunità non sono nelle condizioni elementari per vivere quanto richiesto dalle Costituzioni.
Riusciremo nel CG14, particolarmente concentrato sulla persona del religioso, a discernere e a indicare scelte strategiche per la costituzione di comunità effettivamente tali e modalità per sostenere le relazioni comunitarie? La grande varietà di situazioni, di ritmi di vita, di attività, di mentalità, ecc., hanno portato necessariamente a lasciare alcune tradizioni comunitarie non sufficientemente sostituite da altre nuove. Si rischia di instaurare un fai-da-te religioso piuttosto autarchico, limite e non valore della cultura attuale.
Per conservare e alimentare l’esperienza di Dio nella fraternità, le nostre comunità non possono essere né un Tabor e né una piazza, ma come la casa di Betania,[1] ove si condivide l’accoglienza, uno stile, delle regole, un progetto di vita comune fraterna, centrata in Gesù, aperta al servizio dei fratelli più bisognosi. Occorre discernere ed elaborare alcune dinamiche proprie, comuni e irrinunciabili per le nostre comunità nelle condizioni di vita d’oggi.
Per il bene dei religiosi e delle comunità abbiamo tutti consapevolezza del fondamentale ruolo del superiore locale. Riusciremo a individuare scelte e percorsi per qualificare e sostenere i duperiori locali, a partire dalla loro scelta, nella loro formazione specifica, nell’accompagnamento e verifica periodica?
“L'autorità del superiore si adopera perché la casa religiosa non sia semplicemente un luogo di residenza, un agglomerato di soggetti ciascuno dei quali conduce una storia individuale, ma una comunità fraterna in Cristo".[2] Anche a molti superiori di oggi Don Orione direbbe: “Sei troppo timido, troppo debole, e finisce che in casa tutti comandano e fanno il loro capriccio. Questo non va bene. Usa carità, ma abbi forza morale e prendi a governare”.[3] Governare con forza morale è somma carità e non significa autoritarismo.
Nel messaggio al Capitolo provinciale di Buenos Aires del novembre 2009, il card. Bergoglio ci disse. “Nei Cottolengo... sta la frontiera esistenziale più concreta del vostro carisma. Ciò significa perdere tempo - dal momento che non ti può retribuire niente - per il ritardato mentale, per l'infermo, ed il terminale; perdere il tempo, consumare il tempo con loro, perché sono la carne di Gesù. La frontiera esistenziale di Dio è il Verbo venuto nella carne, è la carne del Verbo. È questo che ci salva da ogni eresia, dalla gnosi, dalle ideologie, ecc. Cercate la carne di Cristo lì. Andate alle frontiere esistenziali con coraggio e lì vi perderete”.
Nell’ultima Assemblea generale di verifica (2013) è stato condiviso che “C’è una nostalgia e un desiderio di recupero di relazioni più dirette tra religiosi e con le persone cui siamo destinati, tra religiosi e opere, reagendo all’inflazione delle relazioni istituzionali e virtuali”.
La deriva verso relazioni sempre più burocratiche, di ruolo, e meno dirette/personali nelle nostre opere, incluse le parrocchie, ha molte cause, soggettive e strutturali, proprie della cultura e dell’organizzazione civile moderna. A dare un’ulteriore accellerazione ha contribuito la comunicazione informatica, il suo uso consumistico ed esibizionistico e a volte poco relazionale. Papa Francesco continua a parlarci di “toccare la carne” di Cristo nei poveri, di “guardare negli occhi”, di sentire e avere “l’odore delle pecore” come qualcosa di pastoralmente efficace ma anche di umanamente terapeutico, arricchente, fonte di benessere della persona.
Riusciremo a imprimere una reazione alla pervadente burocrazia, al sistema delle relazioni mediate, recuperando stima e pratica delle relazioni dirette con le persone? Sarebbe bello arrivare a criteri e a scelte anche organizzative per renderle possibili ordinariamente.
Certamente non vanno né opposti né idealizzati gli orionini lavoratori, sempre più pochi, che esercitano un servizio più immediato e personale, e gli orionini organizzatori che esercitano un servizio più mediato e istituzionale. Però ciascun religioso deve trovare un equilibrio sapendo che sia il facchino e sia l’organizzatore vale qualcosa solo se è testimone, “testimone della carità, cioè testimone di Dio… della Divina Provvidenza. “Questa è la nostra prima professionalità”.[4] Il testimone non è un maestro che insegna, né un portaparola, né un venditore di prodotti... È l’esperienza personale di Dio e della fraternità che ci costituisce testimoni.
Che bello se nel pensare al bene della persona del religioso, “servo di Cristo e dei poveri”, il Capitolo potrà concentrarsi quanto più possibile nel promuovere l’esperienza e il dono di testimoni di Dio e della carità su cui ci giochiamo la santità, la comunità, l’apostolato, le vocazioni e il futuro.
Siccome il nostro carisma si esprime “mediante le opere di carità”,[5] guardando al futuro è essenziale che continuiamo a curarne la qualità e il significato apostolico. Ci sono inquietudini e domande che possono fare maturare qualche buon orientamento pratico.
Nei paesi con sistema educativo e assistenza statale sviluppati, può bastare ai Figli della Divina Provvidenza essere buoni gestori della previdenza statale? Le opere dei religiosi si giustificano solo se sono una alternativa/proposta per qualità di servizio e di testimonianza evangelica. Anche nelle nazioni in cui c’è la previdenza statale (welfare), stanno diminuendo i finanziamenti e crescono gli sprovvisti (desamparados). Stiamo destinando sufficiente tempo religiosi e denaro per quelli che non hanno umane provvidenze e hanno bisogno della divina Provvidenza?
Nei paesi poveri o con sistema educativo e assistenza statale insufficienti, c’è ancora grande necessità di beni primari (cibo, casa, salute, educazione, ecc.). Come conviene essere presenti: con opere di servizio qualificato per pochi o con un aiuto anche povero ma per molti? E ancora: ci presentiamo con grandi opere, da benefattori privilegiati, o da fratelli che aiutano condividendo?
C’è un’altra questione comune dalla cui risposta dipende la frustrazione o la soddisfazione vocazionale di noi religiosi: le nostre scuole, le nostre istituzioni socio-assistenziali sono e sono percepite come opere di carità cristiana?
In tutte le nazioni in cui siamo presenti, fino a qualche decennio fa, bastava aprire un’opera assistenziale ed essa era immediatamente un’opera caritativa, un bel segno della carità della Chiesa e del carisma della Congregazione. Oggi, dopo l’evoluzione avvenuta, non è più automatico che un’opera assistenziale o sociale o educativa sia ipso facto un’opera caritativa-apostolica. Di fatto, ci sono opere assistenziali o educative “come tutte le altre” e per varie ragioni quasi prive di qualità e di significato apostolico. Ci sono opere con un’alta customers satisfaction, però, per noi religiosi sono fonte di frustrazione vocazionale e istituzionale.
Andiamo avanti, dunque, in modo deciso e incisivo nel “rilancio apostolico”, “riappropriazione carismatica”, “conversione apostolica” delle opere.[6] E se dopo qualche tempo la qualità apostolica e carismatica, per varie ragioni, non cambia, che fare? In alcuni casi, si tratterà di lasciare certe opere non convertite o non convertibili in strumenti di apostolato.
C’è da aggiungere che non solo si deve curare la qualità apostolica delle opere, ma anche la qualità apostolica dei religiosi che vi operano. L’ultimo Capitolo generale ha parlato di identità e ruolo dei religiosi chiamati ad essere nelle opere soprattutto “testimoni”, “garanti del carisma”, “pastori”, “formatori”, “profeti”,[7] con dinamiche di relazione nuove. Che non si infiltri il concetto e la pratica che i religiosi più apostolici vanno nelle parrocchie e quelli... meno nelle opere di carità.
La Congregazione è da tempo in movimento verso la conversione apostolica delle opere. Abbiamo interessanti esperienze e innovazioni nelle modalità di gestione a cui anche altre Congregazioni guardano. Avanti, cari Confratelli, nell cambio della qualità di gestione delle opere e nel cambio di nuove opere verso gli sprovvisti, i desamparados. Non dobbiamo essere né catastrofici (“Basta, è finita l’epoca delle opere”) né illusi (“Le opere parlano da sole”). La riflessione e le linee di orientamento del Capitolo Generale saranno preziose.
All’inizio, Don Orione aveva un certo progetto della Congregazione. Poi, di fatto, ne accompagnò lo sviluppo secondo le possibilità, i limiti e le novità concrete. Anche oggi la Congregazione e la “pianta unica con molti rami”, cioè la Famiglia carismatica, continuano a svilupparsi con nuovi limiti e nuove possibilità, espresse soprattutto nel cambio delle nuove vocazioni e dei nuovi membri. Sono un fattore in evoluzione cui guardare e rispondere perché tocca molto il presente e riguarda il futuro.
Mi pare che ci siano tre fattori di cambiamento vocazionale.
E aggiungo un quarto sviluppo vocazionale del carisma orionino.
Termino cari Confratelli con l’augurio che possiamo realizzare questo 14° Capitolo Generale con l’atteggiamento fiducioso e intraprendente di Figli della Divina Provvidenza, per rispondere alla “urgente necessità e dovere di gettarci nel fuoco dei tempi nuovi, per l’amore di Gesù Cristo e del popolo, poiché l’umanità ha oggi supremamente bisogno di ristorarsi nella fede, e di rivivere nella carità del cuore di Gesù Cristo” (Scritti 64, 161).
Quanto a me, al termine del mio secondo mandato e di questa relazione, è il momento di dire “ho terminato la mia corsa” dei 12 anni. Ma anche: “Rendo grazie a Colui che mi ha dato forza” (1Tim 1, 12-17) e poi “Ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” (Fil 1, 3-11); e infine “Dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea” (Fil 3, 7-16).
Deo gratias.
Don Flavio Peloso FDP (superiore generale)
[1] La sola cosa necessaria. Identità e ruolo della nostra vita religiosa oggi: Atti e comunicazioni 2007, n.234, p.187-209.
[2] Vita fraterna in comunità 50.
[3] Scritti 30, 180.
[4] Nel documento Vita Consecrata ricorrono 104 volte le parole testimoni, testimonianza, testimoniare. “La nostra professione e professionalità, attualissima e indispensabile consiste nell’essere testimoni di Gesù e della carità della Chiesa. Le opere sociali e assistenziali le possono fare tanti, ma le nostre devono essere “apostoliche”, cioè permeate dai valori immessi dal nostro essere religiosi, discepoli e testimoni del Vangelo, facchini o organizzatori che siano”; CG12 p.88.
[5] Per “opere di carità” intendiamo tutta la vasta gamma di opere indicate da Don Orione nel famoso Capo I delle Costituzioni del 1936 e le altre che “secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla santa sede di indicarci, come più atte” sono sorte nelle varie nazioni.
[6] Sono espressioni che circolano in Congregazione da decenni, e negli ultimi due Capitoli Generali sono diventate progetto e azione di governo. Vedi Allegato su Opere di carità.
[7] Sono qualifiche molto ricorrenti. Si veda in particolare le Decisioni 16 e 17 e la Linea operativa 20.
[8] Cfr Allegati 39.
[9] Vedi sopra.
[10] Si intendono qui le vocazioni orionine laicali e non semplicemente i laici devoti o collaboratori per quanto orioninamente ben formati. Un laico è di vocazione orionina quando assume il carisma orionino come propria spiritualità e modo d’essere, espresso in testimonianza e appartenenza. La crescita delle vocazioni orionine laicali non è ben definibile in quantità e qualità, ma certo è fenomeno nuovo, confortante e globale della nostra congregazione.
[11] Sono riconosciuti come Associazione internazionale di fedeli, entità canonicamente autonoma. Cfr Allegati 24-25.