La migliore apologia della fede cattolica
di Don Antonio Lanza
Pubbicato su "Don Orione oggi, 1995, n.7, p.17
Il 16 ottobre 1889 Luigi Orione, indossando l’abito clericale, riassumeva il programma per il suo futuro apostolato nel motto: “Anime! Anime!” (Scr. 57,88). Il progressivo allontanamento dalla pratica cristiana da parte della classe operaia, vittima di una subdola propaganda che, predicando la soluzione dei problemi sociali, scardinava nello stesso tempo le basi della fede, lo spingeva a quella scelta: votarsi tutto per il bene dei fratelli, al fine di riportare all’ovile di Cristo quanti l‘avevano abbandonato per preconcetti contro la Chiesa e il suo Supremo Pastore.
Studente ancora di seconda liceo, già metteva mano all’esecuzione del suo generoso progetto, servendosi dell’unico mezzo che allora, tra le austere mura del seminario, gli era offerto: l’apologetica. Figurava questa disciplina tra le materie di studio e rappresentava l’arma tradizionale per difendere le verità cristiane dagli attacchi degli avversari. Con una minuziosa esposizione di fatti storici e di appropriate argomentazioni, compose un trattatello di una cinquantina di pagine manoscritte, dal titolo: “Chiesa e Sacerdozio: apologia” (Scr. 57,257ss). Lo dedicò all’arciprete di Pontecurone in occasione del suo giubileo sacerdotale, e se ne servì per i primi approcci con i giovani che, incontrati per le vie di Tortona, avrebbe tra poco raccolti nell’Oratorio festivo, prima sua esperienza nell’apostolato giovanile.
Ma non servivano le argomentazioni più o meno erudite per attirare l’attenzione della grande massa dei lontani, specialmente in un periodo nel quale il tasso di analfabetismo era ancora altissimo. Per rendere visibile l’azione della Chiesa a favore del popolo, occorrevano delle dimostrazioni pratiche. Luigi ne era ben convinto e, per questo, aveva profuso tutto il suo entusiasmo nell’organizzazione del primo Oratorio diocesano. Si affidò ancor più a quel genere di apologetica. appena poté dar vita ad un’opera propria, aprendo un modesto collegio per giovinetti poveri che, pur essendo dotati per lo studio, non avevano mezzi per frequentare la scuola dopo le elementari.
Impegnatosi in quel campo della carità, dovette muoversi gradatamente, secondo l’apporto che gli fornivano i primi collaboratori. Pertanto, all’inizio, si dedicò ad opere che potevano essere portate avanti con un ristretto numero di personale, e tali erano gli istituti di istruzione, strumenti d’altronde assai atti per elevare la condizione culturale, e quindi sociale, della classe operaia. Aprì in tal modo, per primi, istituti di istruzione a Tortona (1893), Noto (1898) e Sanremo (1899); poi vennero le colonie agricole, a Noto, Roma e Bagnoregio, e l’istituto per artigianelli a Torino.
Aumentando il numero dei religiosi entrati nell’Opera della Divina Provvidenza e presentandosi nuove necessità, l’attività caritativa di Don Orione si adeguò ai bisogni del momento e vennero aperte istituzioni per l’assistenza agli orfani del terremoto calabro-siculo a Cassano Jonio (1909), Reggio Calabria (1910) e Messina (1911) e, più tardi (gennaio 1915), per gli orfani del terremoto di Avezzano ai quali si aggiunsero, nello stesso anno, gli orfani di guerra.
Attuando il suo detto: “Solo con la carità di Gesù Cristo si salverà il mondo” (Lett. I,282), potenziò le possibilità d’intervento nel campo dell’assistenza con la fondazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità. Con l’Asilo per anziani di Ameno (giugno 1915), affidato alla loro cura, diede all’attività caritativa orionina l’aspetto suo più noto con le Case di assistenza per i fratelli più necessitati.
Dedicate alla cura “dei poveri e dei piccoli e degli afflitti dai diversi mali e dolori” (Scr. 90,433), queste Case di Carità - cui il popolo stesso diede la denominazione di Piccoli Cottolengo - ebbero la loro più vistosa espressione nei grandi complessi di Genova (1933), Claypole-Buenos Aires (1935) e Milano (1938), mentre una bella fioritura di altre sedi più modeste, ma lo stesso efficienti e accoglienti, sorgevano in quasi tutte le località nelle quali si svolgevano già altre opere della Congregazione.
Non ci fu classe di bisognosi esclusa dalla carità di Don Orione. “La porta del Piccolo Cottolengo non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma soltanto se abbia un dolore (...), di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione” scrisse per l’apertura del Piccolo Cottolengo Argentino (Lett. II, 223s). Nella visione di “fare del bene a tutti, fare del bene sempre” (Lett. II,331) non limitò il suo interesse solo per chi fosse nato e cresciuto nella povertà o nella sofferenza, ma aprì il suo cuore a chiunque avesse avuto bisogno di un soccorso.
L’ultima sua realizzazione (26 maggio 1939) fu l’apertura a Genova della Villa Santa Caterina per nobili signore, vissute nell’agiatezza e cadute poi in stato di necessità. E volle che in quella Casa le ospiti trovassero, “non solo un comune benestare, ma un vero senso di agiatezza, di dignità, e una grande, alta luce di conforto sotto tutti i riguardi” (POdDP, giugno 1939).
Fu il delicato coronamento del messaggio confermato da un’intera vita: solo la carità verso i fratelli potrà portare tutti a Cristo e alla sua Chiesa.
CARITÀ TRAINANTE
di Don Elio Ferronato
Pubblicato su “Don Orione Oggi”, N° 7/1995, p. 18
NESSUNO DI NOI ovviamente si è meravigliato quando le Poste vaticane incisero un francobollo dedicato a Don Orione, in occasione del centenario della sua nascita, con la parola CARITAS che campeggiava nel centro di un ricamo con l' effigie del nostro Beato.
Così pure le Suore orionine avranno senz'altro gioito quando, solo alcuni decenni fa, in un suo manoscritto ritrovato, dov'erano vergati i primi articoli delle future costituzioni, scoprirono che il Fondatore aveva incluso, pensato per loro, l'emissione di un IV voto detto di carità.
Carità intesa nel senso pieno di corrente divina, che dalla Trinità si riversa su tutte le creature, e in particolar modo sugli uomini, destinati ad essere figli di Dio; e fra questi, con uno sguardo tutto speciale, i meno favoriti, i soli, gli andicappati psichici e fisici, gli emarginati (come i drogati e gli ammalati di AIDS di oggi), e i lontani da Dio, proprio perché affetti dalla maggiore di tutte le povertà.
A ragione, quindi, il Papa Pio XII aveva definito Don Orione "padre dei poveri e benefattore dell'umanità dolorante ed abbandonata".
Si è tentati di garantire che Don Orione non abbia avuto intenzione ne occasioni di preoccuparsi degli indigenti della società prima dell'anno 1915, quando, assieme alla neonata congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità, incominciò a fondare ospizi e Piccoli Cottolengo. Così non è.
Nel Decreto di approvazione vescovile (21.3.1903) già appariva questo scopo ben determinato, di occuparsi cioè delle opere di misericordia. Una attenzione costante per gli ultimi, finalizzata a un ulteriore e più segreto traguardo: aprire il loro cuore alla Chiesa e al Papa. Se vogliamo, questo coincide con la dichiarazione di Don Sterpi al Processo apostolico: Don Orione aveva voluto l'Opera per guadagnare e stringere alla Chiesa le anime, per mezzo delle opere della misericordia».
Confessava che per lui i poveri erano come una melodia, che gli risuonava dentro, tanto da rimanerne suggestionato e quasi in contemplazione. Gli portavano Gesù in casa! Ma tutto in Don Orione era carisma di carità vissuta. Quante volte avrà dormito sul duro pavimento o perfino sulla predella dell' altare, per dare il suo letto ad un ammalato grave da assistere o ad un ultimo arrivato. Anzi si vantava con i suoi religiosi, assicurando che il suo letto aveva proprietà terapeutiche eccezionali: «lì tutti guariscono!» diceva.
Un atto squisito di carità era scrivere lettere fino a notte fonda, per poter arrivare a consolare figli e figlie lontani. Come pure, negli ultimi anni e già sofferente, saper ascoltare e consigliare per giornate intere una persona dopo l' altra, e tutte dopo aver atteso ore ed ore il loro turno, sia a Milano che a Genova. Era l'amore fatto persona.
Ed infine, radice di tutto, il confidenziale colloquio e la prolungata meditazione davanti a Gesù eucaristico prima di concludere le sue giornate. lì riceveva la forza e lo gioia per scoprirlo nella fraternità con i suoi religiosi e nella sofferenza di tanti "Gesù", che avrebbe incontrato il giorno dopo.
UNA CARITÀ ECCLESIALE
di Don Ignazio Terzi
“Don Orione Oggi”, N° 5/1995, p. 18.
A giudizio comune, il nostro secolo XX, ormai al termine, è stato caratterizzato, in chiave religiosa, da un approfondimento del concetto di Chiesa. In campo cattolico ciò ha portato alla dottrina mirabile del Vaticano II e noi amiamo aggiungere che in questa evoluzione un ruolo tutt’altro che secondario ha avuto il nostro Padre Fondatore con la sua singolare testimonianza di amore alla Chiesa, la sua azione caritativa, i suoi scritti eloquentissimi.
Parallelamente rileviamo la riscoperta del ruolo del laicato, primo interlocutore con i non credenti, cui si accompagna la cosiddetta teologia "delle realtà terrestri", preludio della stessa "consecratio mundi", di cui oggi tanto si parla. In tutto questo movimento di convergenza, varie quanto mai sono state le ottiche e le forme di approccio alla realtà ecclesiale. Ognuna ha una sua originalità. In Don Orione subito emerge una mirabile originalità. Egli impressiona tutti per il suo eccezionale amore alla Chiesa, la quale si impernia essenzialmente nella figura del Papa, anche se è frequente il richiamo ai Vescovi, ai sacerdoti. E un intuito che ha del carismatico. Don Orione, pur essendo anche un addottrinato in materia, non si arresta per così dire sul piano speculativo. Il suo amore diviene subito azione come è ben espresso nel suo programma: "Dobbiamo palpitare e far palpitare migliaia e milioni di cuori attorno al cuore del Papa. Dobbiamo specialmente portare a Lui i piccoli e le classi degli umili lavoratori tanto insidiati; portare al Papa i Poveri, gli afflitti, i reietti che sono i più cari a Cristo e i veri tesori della Chiesa di Gesù Cristo!".
Ecco dunque subito chiaro l'abbinamento Papa e Poveri, unificati nella realtà Chiesa, quale asse portante di un carisma che, nella sua indubbia polivalenza, resta sostanzialmente quanto mai unitario. E qui diviene virtù dominante la Carità che tanto distingue Don Orione. Ma Carità che vorremmo ribadire come "ecclesiale", in quanto agisce con il fine di ricostituire la Chiesa, che sta perdendo le masse e inoltre intende presentarsi come azione della Chiesa stessa. Don Orione viene così ad inserirsi in quel tipico "filone" di santi "ecclesiali", che appaiono chiaramente suscitati da Dio per reagire alle numerose provocazioni storiche contro la Chiesa. Spontaneo pensare anzitutto a una Caterina da Siena, dalla quale il nostro Padre mutua spesso espressioni, che ripete con la stessa intensità di amore.
Teresa d'Avila, pur rigorosamente contemplativa, rappresenta la tutela della vera Fede nella sua terra di fronte al pericolo protestante. Così Ignazio di Loyola, così Vincenzo de Paoli nei riguardi del Giansenismo, Antida Thouret verso il Gallicanesimo e - dulcis in fundo - Don Orione di fronte allo sfaldamento delle masse già cristiane e poi deviate da teorie sociali atee.
Piace particolarmente accostare il nostro Padre ad Antonio Rosmini per cui ebbe sempre grande ammirazione. Rosmini, di natura sua filosofo, analizza con calma riflessiva il valore della Carità. "La Carità - scrive - e solo la Carità è il fondamento della Chiesa. La sua Costituzione giuridica non potrebbe reggere agli eventi, se non fosse sostenuta dal Mistero della Carità che il Padre ha verso il Figlio e il Figlio verso i fedeli e i fratelli fra loro e il mondo. Il vero ordinamento della Chiesa è un ordinamento spirituale, quello della Carità" ("Le cinque piaghe della Chiesa", cap. III).
Il nostro Fondatore più immediato e come ansioso di non rallentare, con la speculazione, la pronta azione di soccorso, che lo interpella prima di qualunque riflessione, si limita a lanciare uno slogan quanto mai efficace: "La Carità e solo la Carità salverà il mondo!".
Non definisce la Chiesa, ma la fa sentire viva e operante.
Sempre attuale la geniale osservazione di Domenico Mondrone S.J.: "Don Orione, invece di teologizzare Dio, Cristo, i dogmi del Cristianesimo, li proponeva come realtà vive nella realtà della vita" ("Osservatore romano" del 24 ottobre 1974).
E Don Orione visse così in modo speciale il Mistero della Chiesa.
1 - Sperimentando l'evento di salvezza in comunione con Dio.
2 - Sperimentando simultaneamente la comunione fraterna dei membri.
3 - Facendosi, con la Chiesa, sacramento di salvezza per tutta l'umanità.
Questo suo straordinario amore intensamente vissuto è in realtà un arricchimento per il popolo di Dio, così come l'azione e le lettere di S. Caterina da Siena influenzarono la vita cristiana e forse la Teologia stessa più di tanti trattati. La generosa donazione di se a Dio e ai fratelli rappresenta il miglior "retaggio" di Don Orione per il popolo di Dio, poiché non può non santamente impressionare chiunque.
DON ORIONE L’UOMO DELLA CARITÀ SOCIALE
di Don Ignazio Terzi
“Don Orione Oggi”, N° 3/1995, p. 18.
Nella storia della Chiesa è frequente il caso di fondazioni, il cui spirito è assai simile ad altre, specie contemporanee; e a una visione superficiale, può presentarsi immediatamente la domanda: perché non hanno unito le forze? In realtà certe accentuazioni che paiono sulle prime quasi sfumate, poi ben centrate a fondo nel loro significato fanno comprendere e giustificare appieno la santa ostinazione dei fondatori nel voler rimanere autonomi e individuali.
Quante sono state, ad esempio, specie nell'800, le fondazioni caritative: dal Cottolengo a Don Bosco, al Murialdo, a Don Orione, a Don Guanella, a Don Calabria..., eppure essi tutti hanno sentito irrinunciabile il principio di originalità, la Chiesa ha approvato, lo Spirito Santo ha confermato.
Ma resta interessante cogliere allora quell' aspetto che ha così chiaramente individuato e distinto un carisma dall'altro. Certo Don Orione ha visto Dio nel povero, come S. Vincenzo e il Cottolengo, ha sofferto il problema della gioventù abbandonata, non meno di Don Bosco, quello della gioventù lavoratrice in sintonia con il Murialdo e il Kolping, l'amore alla Chiesa in crisi, come Don Guanella, e potremmo continuare.
Ma in Don Orione impressiona subito una visione sociale, un senso storico del popolo, di democrazia che avanza, di carità che reclama anzitutto giustizia. E questo assai più che negli altri surricordati fondatori.
Ben comprensibile allora la denominazione che egli amava dare ai suoi religiosi di "Gesuiti del popolo", ricalcando l'azione di Ignazio nel secolo XVI con metodi e ottiche intonati alla nuova problematica. Don Orione intuisce che nel mondo si sta formando una nuova coscienza sociale. Non è un sociologo, uno studioso, ma un sacerdote appassionato di anime e si getta coraggiosamente fra il popolo, che sfugge in massa alla Chiesa, nella certezza profetica che “il trionfo non si dovrà alla prepotenza della forza e dell'empietà, ma alla fede, {1903)”.
L'aspetto sociale forse trova la sua prima e palese espressione nella sua scelta sud-americana. Avrebbe detto nel 1921 , nel suo primo viaggio: “Dobbiamo camminare con questa massa di popolo italiano e giammai abbandonarlo”. Don Orione inconsciamente confermava il pensiero di Dostojewski: “Chi perde il contatto con il popolo, perde la Fede dei propri Padri in Dio” (Gli ossessi).
Il nostro Fondatore, che nasce e riceve la sua educazione ancora nell'800, vive però la sua missione e la sua esperienza storica nella prima metà del '900. Ciò che stacca Don Orione da altri Fondatori, che pur avviarono opere caritative, è forse il suo senso sociale del popolo.
Scrive nel 1938: “II padrone del mondo è, dopo Dio, il popolo. E se avvenisse che questo popolo dovesse distaccarsi dalla Chiesa? Noi dobbiamo portare il popolo alla Chiesa... Il popolo è di chi lo illumina e di chi lo ama”. Don Orione individua nelle opere della carità la strada più breve per “dare Cristo al popolo e il popolo alla Chiesa di Cristo”. E la percorre eroicamente.
LA CARITA' IN ALCUNI SCRITTI DI DON ORIONE.
LE OPERE DELLA CARITÀ APRONO GLI OCCHI ALLA FEDE
Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo Cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera, e creare opere di carità! Vedi, caro Don Adaglio mio, che cosa si può fare e suggeriscilo. (…)
Certo che gli Istituti di carità fanno sempre un grande bene, e non suscitano gelosie. Vedi dunque di farmi sapere qualche cosa, e che ha deciso Sua Eccellenza Rev.ma il Patriarca, e se te ne ha parlato, e se ritieni che - finalmente - si possa addivenire a qualche situazione e soluzione possibile, pratica e tale da darci un piede fermo in Palestina, e modo di lavorare per gli orfani e per i ciechi e per qualche altra istituzione di carità.
Stare lì unicamente per fare gli amministratori del Patriarcato o per impedire che gli arabi rubino etc. non è il fine della nostra Congregazione.
Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di Cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio. Gesù è venuto nella carità, e non colla eloquenza, non colla forza, non colla potenza, non col genio, ma col cuore! Con la carità.
Scritti di Don Orione 4, 279-280
CARITA’ PER RISVEGLIARE L’AMORE AL PAPA E ALLA CHIESA
«Questi tempi, scrisse già l'Em. Card. Parrocchi, comprendono della carità soltanto il mezzo e non il fine ed il principio. Dite agli uomini di questi tempi: bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i princìpi della religione, è d'uopo fare elemosina per amore di Dio... e gli uomini non capiscono». Ma oggetto primo della carità sono le anime, e le anime non possono in alcun modo vivere in se stesse questa carità se non si tengono unite alla Chiesa e al Papa. Mai come ai tempi nostri il popolo fu così staccato dalla Chiesa e dal Papa, ed ecco quanto è provvidenziale che questo amore si è risvegliato con tutti i mezzi possibili perché ritorni a vivere nelle anime l'amore di Gesù Cristo.
L'uomo è quale è l'idea che pensa ed in se stesso matura, e le sue azioni sono sempre conformi all'idea stessa da cui è guidata. E perciò quanto maggiormente sarà sentito l'amore al Papa e alla Chiesa, in coloro che per ragioni di ministero sono maestri dei popoli, di altrettanto sarà più ardente la fiamma che li agita nel comunicare alle anime questo sentimento, senza del quale nessuna partecipazione di vita soprannaturale può avvenire; in tal modo l'esercizio della carità raggiungerà perfettamente il suo scopo corrispondente ai bisogni dei tempi nostri, che è precisamente quello: di ricondurre la società a Dio riunendola al Papa e alla Chiesa.
E non si direbbe che nei disegni di Dio questa riunione trova una prossima preparazione nello stesso fenomeno sociale dei nostri giorni che tende all'universale affratellamento? Noi vediamo sorgere dappertutto opere di beneficenza ed istituzioni di soccorsi di ogni genere nonostante l'odio di classe che sembra voler sconvolgere ogni ordinamento politico, sociale e familiare; ma tuttavia si sente più forte che mai il bisogno che ogni odio si spenga e l'amore ritorni a rasserenare i cuori. Ebbene, quando il Papa sarà riconosciuto con sentimento di fede quale padre universale dei popoli, e la Chiesa sarà nuovamente la Maestra illuminatrice delle menti con la sua dottrina infallibile e ritornerà a far ripulsare nei cuori la vita soprannaturale che Lei emana, la pace serena e sicura regnerà negli individui e nella società.
Quella carità pertanto che viene esercitata nella società nostra prendendo le mosse dall'amore al Papa e alla Chiesa, e mirando al raggiungimento di questo amore in tutti, è precisamente quella che meglio risponde al bisogno dei tempi. E tale è lo spirito da cui è informata l'Opera della Divina Provvidenza, tale è la sua fisionomia, il suo carattere tipico: Instaurare omnia in Christo!
(Nella prima giubilare ricorrenza della fondazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza e del 25° di Messa del Direttore Don Luigi Orione Tortona, 13 Aprile 1920, p. 10)
L'ESERCITO DELLA CARITÀ
Formiamo un esercito di vittime che vincano la forza: un esercito di seminatori di Dio, che seminano la loro stessa vita, per seminare e arare, nel cuore dei fratelli e nel popolo, Gesù, il Signore; formiamo un esercito grande invincibile: l'esercito della carità, guidato da Cristo, dalla Madonna, dal Papa, dai Vescovi! L'esercito della carità riporterà nelle masse umane disseccate una tale forte e soavissima vita e luce di Dio che tutto il mondo ne sarà ristorato, e ogni cosa sarà restaura fatta in Cristo, come disse già San Paolo.
Da lettera del 16.12.1921, Lettere I, 313
MEDIANTE LA CARITÀ
Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenza. Capo I, n. 3. Il fine particolare e speciale è diffondere la dottrina e l'amore di Gesù Cristo, del Papa e della Chiesa, specialmente nel popolo; trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede Apostolica, nella quale, secondo la parola del Crisologo, «Il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda» (Epist. ad Eut. 2). E ciò con l'apostolato della carità tra i piccoli e i poveri, mediante quelle Istituzioni ed Opere di misericordia più atte alla educazione e formazione cristiana dei figli del popolo e a condurre le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
(Testo dattiloscritto con autografo di Don Orione del 22.7.1936 Scritti 59,21c)