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Messaggi Don Orione
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Autore: Cristoforo Bove

Padre C. Bove è stato il Relatore della causa di Don Sterpi presso la Congr. Cause dei Santi. Il testo è tratto da una conferenza tenuta all’Istituto Teologico di Roma.

A me personalmente – e credo segno di benevolenza e amicizia dello stesso B. Luigi Orione, tra i tanti che potrei ricordare – è toccato l’onore di venire a contatto con il successore di Don Orione, Don Carlo Sterpi, quando la S. Congregazione per le Cause dei Santi mi affidava la lettura e il voto sulla Positio super virtutibus, felicemente approdata al Congresso Peculiare dei Consultori Teologi del 13 gennaio 1989.
Se ho accettato di parlare di Don Sterpi, dinanzi a molti di voi che lo hanno avuto Maestro dello spirito, è solo per il ricordato dono di conoscenza, con il quale la Divina Provvidenza ha voluto rinsaldare l’antica amicizia tra i Conventuali e il vostro Fondatore e rendermi maggiormente attento allo spirito e alle profondità del carisma orionino, dato che ogni settimana spezzo, con i vostri giovani, il pane della carità scientifica e dell’ascetica culturale.
Più che ad elementi cronologici, mi preme portare la vostra attenzione all’interiore del Servo di Dio Don Carlo Sterpi, a quella dimensione mistico/unitiva, che bruciò la sua vita in una carità che, napoletanamente, ho definito sfrenata, perché nessuna prudenza umana tratteneva Don Sterpi quando si trattava di portare aiuto a qualcuno; e a chi gli consigliava di non esporsi a pericoli, specialmente in contingenze scabrose, egli soleva ribattere: «Bisognerebbe non essere padri: io sono padre»


Profilo biografico

Don Sterpi nasce a Gavazzana, diocesi di Tortona, il 13 ottobre 1874, primogenito di quattro figli, l’unica sorella morirà adolescente, mentre il fratello Alfonso morì neonato nel 1882, seguendo nel sepolcro la madre, che moriva di parto a soli 30 anni. Giovanni Battista, il padre, passò a seconde nozze con la nipote della moglie, Margherita Rocca, che Don Carlo amò teneramente, e le fu sempre riconoscente.

Ricevuta la Cresima a Gavazzana (1882), quando già frequentava le elementari a Novi Ligure, vi compì il primo anno di ginnasio presso il collegio di S. Giorgio degli Scolopi (1885 – 86) completando l’intero corso nel seminario diocesano, dove viene ammesso nel novembre 1886, conoscendovi il seminarista Luigi Orione, di un anno più avanti di lui. Destinato, come prefetto, al seminario minore di Stazzano, attese al triennio teologico e ricevette gli ordini minori e la tonsura nel 1893.

Nell’autunno del 1895, Don Orione, che ne conosceva bene le qualità e la tenacia in particolare, era riuscito, con il consenso del vescovo, a portarlo al collegio di S. Chiara di Tortona, dove ne diventa umile collaboratore e nel quale il Fondatore ripone una fiducia eccezionale. Qui, nonostante la fatica degli impegni, porta a termine la teologia (1895 – 97), coronata dall’ordinazione sacerdotale il 13 giugno 1897.

Nel 1898 chiese ufficialmente a Don Orione di essere ammesso nell’Opera, della quale con il tempo sposò ogni profondità e difficoltà. Don Giuseppe Zambarbieri, che mi sembra il teste più qualificato, deporrà circa lo spirito dello Sterpi nell’abbracciare l’Opera: «Meravigliava il vederlo così sempre attento anche ai semplici desideri di Don Orione, con un rispetto e una devozione veramente eccezionali, se si pensa che Don Sterpi avrebbe potuto considerarsi alla pari del Fondatore.

Durante tutta la sua vita pareva non avesse altro impegno che intuire quel che Don Orione voleva per realizzarlo nella maniera più perfetta. Questa così affettuosa e devota disposizione nelle mani del Direttore, egli la ispirava e la istillava a tutti i Confratelli.

E Don Orione, pienamente fiducioso in questo sacerdote di appena 25 anni, nel 1899 gli affidava la direzione del collegio S. Romolo in San Remo, dove nel 1900 veniva eretto il noviziato dell’Opera e dove lo stesso Sterpi emetteva i primi voti (8 sett. 1903); quelli perpetui li emetterà a Villa Moffa di Bra, nelle mani del Fondatore, il 15 agosto 1914. Pur onerato dalla dirigenza del collegio e del noviziato, Don Sterpi dovette spesso recarsi a Tortona per casi particolarmente delicati (1903 – 1904), durante una lunga permanenza del Fondatore a Roma, tanto che nel 1908 Don Orione gli affidava il compito di supplirlo durante le sue assenze; queste cominciarono presto, dimostrando, fin dall’inizio, che l’umile sacerdote era “un cuore solo e un’anima sola con Don Orione” o, secondo l’espressione dello stesso Fondatore, «dono fatto dalla Provvidenza alla Piccola Opera».


“Ombra di Don Orione”

Si ricorderà, a proposito, il terremoto di Messina (1908) che portò Don Orione in Sicilia per un triennio come vicario generale dell’arcivescovo di Messina, Mons. Letterio D’Arrigo, per ordine di S. Pio X; il terremoto della Marsica (1915), che vide premuroso Don Orione in quelle terre, ma più ancora le due grandi assenze di Don Orione, partito per l’America del Sud (1921-22, 1934-37).
Lo si comincia a chiamare “Ombra di Don Orione”, e qualche teste non esita ad affermare che il Fondatore «aveva praticamente messo sulle braccia di Don Sterpi quasi tutto il peso del governo della Congregazione».

Dal 1919 al 1928 Don Sterpi è a Venezia per impiantare due orfanotrofi, ma nel 1928 viene chiamato definitivamente a Tortona come educatore degli aspiranti, e per volontà del Fondatore. Di questi momenti della vita dello Sterpi ci rimangono lapidarie ma intense testimonianze.

«In ordine alla formazione dei giovani… si può osservare che il titolo di educatore è il titolo, diciamo, cristianamente e socialmente nobiliare che più si addice a Don Sterpi fin dagli anni primi della sua entrata nell’Opera».
«Egli era un padre per tutti, di tutti si interessava minutamente, anche se le sue cure e le sue preoccupazioni erano rivolte soprattutto alla formazione dei chierici. Il suo comportamento verso i chierici è stato tale che, in conseguenza di esso, tutti chiamavano Don Sterpi «la mamma dei chierici».


Solidi principi quelli di Don Sterpi, orientamenti pratici, ma soprattutto una fondamentale importanza alla preghiera.
«Persuaso come Don Orione», ricorda Don Zambarbieri, «che il prete tanto vale quanto prega, si adoperò nella sua opera di formazione in mezzo agli aspiranti e ai chierici, soprattutto di crescerli con grande amore all’orazione. Si può dire che non c’era una volta che parlasse loro senza raccomandare la preghiera».

Quest’ultima testimonianza, ma ve ne sono di analoghe, ci introduce a quell’intimità mistica di Don Sterpi che, a mio parere, è il tratto più autentico della sua anima religiosa: un uomo sprofondato in un’altissima visione di Dio, in un silenzio di meditazione e raccoglimento, che esplodono nella carità operosa.

Il 12 marzo 1940, a San Remo, si spegneva Don Orione e la direzione della “Piccola Opera” venne affidata provvisoriamente a Don Sterpi, che sarà eletto unanimemente Direttore generale al primo capitolo della Congregazione, celebrato a Montebello della battaglia il 3 agosto 1940. Cominciano qui gli ultimi 10 anni di Don Sterpi, per i quali lascio parlare i testimoni.

«Continuò praticamente quello che faceva da vicario, avendo già in mano tutta la Congregazione, la quale, sotto la direzione di Don Sterpi prese un grande sviluppo» (D. C. Perlo).
«Ebbe come preoccupazione principale di conservare lo spirito istillato dal fondatore».(D. A. Perduca).
«Moltiplicò le case, specialmente di formazione… curando soprattutto una preparazione il più completa possibile dei giovani, nello spirito del Beato Luigi Orione» (D. G. Venturelli).
«Ottenne il decretum laudis della Congregazione religiosa (24.1.1944) che ne assicurava la presenza ecclesiale, la missione e le opere secondo la grazia carismatica, espressa nelle Costituzioni che poté offrire alla Piccola Opera» (id).
«Estese l’Istituto in Albania, dove nell’ottobre del 1940 si recò, dimostrandosi padre degli orfani, ai quali all’inizio del 1941, aprì le sue case in Italia» (D. C. Perlo). «Durante la guerra si dimostrò di una carità paterna ammirevole, con una donazione di sé che raggiungeva – talvolta esponendosi a pericoli gravissimi – istituzioni e persone, che provvedeva del necessario nutrimento, cambiava di residenza perché non fossero esposte a disastri bellici… proteggeva da’ padre’ coloro che Dio gli aveva affidato».



Infaticabile

Nonostante questa incredibile attività, Don Sterpi non smentisce quella matrice mistica, che anima ogni sua azione: era un uomo teso al raccoglimento e alla preghiera. Tutti erano convinti che «quando metteva lui a qualche cosa, l’esito era sicuro» … e «tutti (erano) meravigliati come… potesse arrivare a tanto».
Tanto lavoro naturalmente incise negativamente sul suo fisico e sulla sua psicologia, per cui egli stesso inviava all’abate Caronti le sue dimissioni per il prossimo Capitolo del 7 giugno 1946, con una lettera dettata allo Zambarbieri, e diretta ai Confratelli, perché non pensassero più a lui. La figura del Caronti, per un ventennio Visitatore della “Piccola Opera” è un capitolo che gli Orionini devono ancora studiare coraggiosamente.

A Don Sterpi successe Don Carlo Pensa, al quale rese religiosa obbedienza, ritirandosi, poi a Gavazzana, nella casa paterna, dove aveva raccolto alcuni orfani. Don Pensa lo invitò a Tortona nel 1947 dove, il 13 giugno, celebrò il suo 50° di sacerdozio, raccogliendosi nell’attesa del Signore in umiltà e preghiera continua: «Posso dire», ricorda A. Zambarbieri, «che in questi anni D. Sterpi viveva in intima unione con Dio, passando la giornata in quasi continua preghiera. Ho potuto osservare che molto spesso, lungo la giornata, si recava nella vicina cappella trattenendovisi a lungo in preghiera».

Lo stesso teste Alberto Zambarbieri, che gli fu particolarmente vicino negli ultimi quattro anni, come infermiere, testimonia lapidariamente: «Suo unico conforto erano la preghiera continua e la sua unione con Dio… Si teneva costantemente unito a Dio con l’uso quasi continuo di giaculatorie e di brevi preghiere… specialmente negli ultimi giorni la preghiera era continua in lui. Specialmente nell’ultima settimana della sua vita si poteva notare una «unione continua con Dio… preghiera ininterrotta».

Le sue ultime giornate furono di intensissima preghiera e meditazione e, nonostante tutte le sofferenze, ci assicura lo Zambarbieri, non ebbe mai «un momento solo di scoraggiamento e di impazienza». Pienamente uniformato alla volontà di Dio, con il pensiero fisso al Signore e alla Madonna, tanto amata, ricevuti i Sacramenti, mormorò fino alla fine le consuete preghiere, spegnendosi il 22 novembre 1951 nella Casa madre di Tortona.
«Col giorno 21», ricorda il medesimo Zambarbieri, «le condizioni si fecero sempre più allarmanti e il canonico Perduca gli diede ancora una volta l’assoluzione annunciandogli che avrebbe recato il santo Viatico. All’alba del 22 vennero recitate le preghiere degli agonizzanti; il morente non poteva seguire, ma ogni volta che gli si suggerivano giaculatorie si sforzava di rispondere e baciava il crocifisso quando gli veniva accostato alle labbra. Poco prima delle 11 cominciò l’agonia vera e propria, senza un lamento, senza un tremito. Ai capi del letto venivano accese, come da suo antico desiderio, le quattro candele della Madonna, che Don Sterpi aveva conservato con cura gelosa per la sua ultima ora. Alle preci degli agonizzanti seguì la recita del Rosario, durante il quale il SD lentamente reclinava il capo come per adagiarsi in un sonno profondo. Erano le 11,20».
Ai funerali, tenuti il 24 novembre, partecipò una folla immensa e l’omelia del vescovo, Mons. Melchiori, ne ricordò particolarmente l’umiltà e il silenzioso operare.


Dio al di sopra dei suoi pensieri e dei suoi desideri

Quando nel 1882 la madre di Don Sterpi Carolina stava morendo, volle il piccolo Carlo vicino al suo letto; evidentemente già sapeva della sua intenzione di farsi prete, sebbene avesse appena 8 anni.
«Carlo – gli disse – fatti pure sacerdote, che sono contenta e ti benedico; però voglio che tu sia un prete sul serio e non un prete qualunque».
Dietro questa raccomandazione della madre, Don Sterpi visse bruciato, all’interno, dal desiderio di Dio. Quando, nel 1898, chiese a Don Orione di ammetterlo nell’Opera, firmandosi ‘povero peccatore’, non dubitò di scrivere che il suo desiderio più vivo era farmi santo e presto santo e grande santo.
E perché questo desiderio diventasse realtà, durante gli Esercizi Spirituali dell’anno successivo (1899), scriveva questa preghiera:
«Dammi o Gesù, la volontà di cercarti, cercandoti di trovarti, trovandoti di amarti, amandoti di sacrificarmi e consumarmi proprio per te… Non c’è via di mezzo, o Gesù, voglio farmi santo. È inutile; Tu mi chiami per questa via, ed è necessario che per questa via io cammini. O Gesù, voglio farmi santo, non solo, ma grande santo».

Don Giovanni Venturelli così testimonia di questo bruciore interiore verso la santità: «Insaziabile era il suo desiderio di santità; il progredirvi ogni giorno, superando con la costanza e la grazia di Dio, le immancabili difficoltà dell’ascesi cristiana».

Don Alberto Zambarbieri, che per dieci anni fino alla morte fu suo segretario e infermiere ha stagliato un efficace profilo spirituale, che ci richiama ai ricordati connotati mistico-unitivi.
«La preoccupazione di piacere in tutto al Signore e di conformarsi sempre, in ogni cosa, alla volontà di Dio, era continua ed evidente in Don Sterpi; vivendogli accanto, si capiva subito che questo era il suo pensiero dominante, e come a guidarlo in ogni circostanza fosse un amore a Dio veramente senza esclusioni e senza riserve.
Dio – continua Zambarbieri – era al sommo dei suoi pensieri e dei suoi desideri, sempre presente in tutte le sue azioni cosicché tutto quello che il SD faceva, era sempre e solo per l’amore di Dio e la sua gloria. Tutto questo in una semplicità e naturalezza che rendevano queste sue manifestazioni anche più edificanti ed efficaci… (desiderava) di offrire sempre nuove prove d’amore al Signore».


Luci e ombre nella santità di Don Sterpi

Tutti i testimoni che hanno conosciuto don Sterpi sono concordi nel presentarlo come un uomo di Dio, vero Servo di Dio, santo, sacerdote veramente santo, tanto che uno dei Figli della Divina Provvidenza, Don Giuseppe Fiori esclamava: «Se non è santo Don Sterpi, chi mai può essere santo?».

In un coro testimoniale così entusiasta, fatto soprattutto e non esclusivamente, di confratelli, prelati e laici, dobbiamo soffermare la nostra attenzione su alcuni elementi discutibili, i quali, lungi dall’offuscare il quadro sinora delineato di Don Sterpi, ne evidenziano l’immancabile scarto umano, da cui non è esente neppure l’avventura dello spirito più alta.
Il teste Giovanni Miorin, meccanico industriale, che conobbe il Servo di Dio nel 1918 all’Istituto Berna di Mestre, dichiara che: «Durante la sua vita lo consideravano con grande stima per lui e la sua opera; non l’avevo però sentito chiamare santo, anche se dicevano di lui che era un santo uomo. Invece, dopo la sua morte, lo sentii anche chiamare santo.

La sospensione di Don Sterpi nel 1906. Il Vescovo di Tortona, Mons. Bandi, nel settembre del 1906, sospese “a Divinis” Don Sterpi, per una Messa celebrata, su ordine di Don Orione, a San Ponzo Semola, nella Valle Staffora, in occasione della festa patronale. Il vescovo aveva proibito la messa pubblica, perché nella festa patronale si inscenava un ballo ludico all’interno delle celebrazioni religiose. Eliminato il ballo, Don Sterpi, spinto dal Fondatore, celebrò una Messa senza solennità: il vescovo, male informato, ebbe una reazione inconsulta. Il fatto dimostra la obbedienza ecclesiale di Don Sterpi che, nonostante i tre giorni di sospensione, esprime, nei confronti del vescovo, una sottomissione soprannaturale veramente di sapore mistico.


Le impazienze e gli scatti di Don Sterpi

Nei processi Don Sterpi, è definito “uomo volontà” (teste Don Balestrero), mentre Don Angelo Bartoli ne rileva il “temperamento caldo e pronto a risentirsi”. Talvolta era anche duro e impaziente, come dichiara Don Gino Rizzi.
«…Per quanto da temperamento fosse portato a compatire ed essere paterno con tutti, tuttavia vi furono momenti in cui si mostrò impaziente e forte; questo specialmente avveniva quando era informato o si accorgeva lui stesso, di qualche disordine e mancanza grave».

Altri testi notano la sua dolcezza e pazienza. Resta, tuttavia, fra tante la testimonianza di don Mario Tosetti che dice: «I contrasti interni non sempre erano perfettamente dissimulati: qualche contrazione del volto manifestava la lotta che avveniva in lui. Ma alla fine era la vittoria della serenità».
Un carattere indubbiamente forte, temperamento volitivo, esigente come superiore: sono connotati che vanno ad onore di un uomo che agiva guardando a Dio e cercando in tutto, non la popolarità, ma il compimento della volontà di Dio.


Atteggiamento forte con Don Orione?

La stima e la venerazione che Don Sterpi ebbe per Don Orione è altamente testimoniata da tutti i convenuti al processo: dallo stesso Fondatore era chiamato ‘fedelissimo’ e impiegato in delicati uffici di amministrazione e formazione, nei quali il Nostro si comportò in modo esemplare, tanto che lo stesso Don Orione lo definì «iumentum Divinae Providentiae» (giumento della Divina Provvidenza). Ma tutto ciò era un atteggiamento di grande portata interiore, se un testimone autorevole come lo Zambarbieri può dire:
«L’umile servizio reso sempre in sott’ordine al Fondatore, con una collaborazione così fedele e docile, non era per natura sua condiscendenza, ma frutto di grande virtù».

E questa interpretazione della sua fedeltà al Fondatore, è comune a molti testi i quali, però non nascondono qualche momento di “resistenza”, nei quali lo Sterpi esprimeva solo le sue vedute, senza mai scadere in litigi veri e propri. È sempre lo Zambarbieri che ci aiuta a completare questo quadro di fedeltà:
«Qualche volta lo fece (espresse le sue vedute) anche con fortezza cristiana, parendogli che fosse suo dovere. Sempre pronto, però, ad inchinarsi alle decisioni del superiore, pure nei casi che non collimassero con le vedute da lui manifestate».

Don Arturo Perduca, vicino allo Sterpi fin dagli anni di Seminario, parlando della obbedienza di lui a Don Orione, afferma:
«Posso affermare, per diretta conoscenza, che Don Sterpi ha sempre osservato l’ubbidienza in maniera esemplare… Nei suoi rapporti con Don Orione, non lasciava, se la necessità lo richiedeva, di esporre il suo modo di vedere; trattavano insieme le varie questioni che si presentavano, avendo sempre però molta remissività verso il Superiore, di cui finiva per accettare, di buon animo, ogni decisione qualunque essa fosse».

In questa sua incondizionata fedeltà, colpisce un aspetto mistico, o di abbandono direi, con il quale lo stesso Sterpi ci introduce nelle più profonde movenze del suo spirito. Scrivendo a Don Orione dice: «Non dovete dirmi, ch’io faccia se posso; ditemi senz’altro che io devo fare, ed io ubbidirò».


La malattia di Don Sterpi

Nella ricchissima testimonianza dello Zambarbieri si legge:
«Dopo l’attacco di paresi che lo colpì nel maggio 1944 con grave contraccolpo anche nel settore psichico, Don Sterpi, per qualche tempo, parve aver perduto l’equilibrio di cui era stato così efficace maestro a tutti. Ci furono periodi di facile eccitabilità e momenti in cui Don Sterpi non riusciva a valutare reali difficoltà, perdeva le nozioni esatte del tempo e delle distanze. Erano i tempi più duri della guerra, quando mancava tutto, le persone erano sconvolte… Chi aveva per anni ammirato la sua discrezione e saggezza non poteva non rendersi conto che un comportamento così diverso, nel corso della malattia non dipendeva da minore virtù, ma solo dalla condizione psico- fisica, di cui Don Sterpi era la prima vittima… Posso testimoniare che non mi ha lasciato alcun turbamento qualche gesto eccitato di Don Sterpi o qualche disposizione da lui data in momenti nei quali la malattia gli aveva tolto la possibilità di conforto».

In questa descrizione convengono tutti i testi, che hanno conosciuto direttamente don Sterpi; qui, tuttavia, vorrei correggere o raddrizzare queste testimonianze che, impropriamente, lasciano intravedere, nella malattia di Don Sterpi, qualcosa che riguarda lo stato psichico della sua persona.

Secondo la diagnosi del prof. Domenico Isola, neurologo, egli «ebbe manifestazioni parestetiche all’emilateralità destra»; l’emiplegia fu causata, comunque, da superlavoro, da quella carità sfrenata che contrassegna gli anni della guerra nell’opera di Don Sterpi, ansioso di arrivare a tutto e a tutti. Tanto che Zambarbieri può affermare:
« In seguito a infiniti strapazzi e ansie continue, crollava improvvisamente nel maggio 1944».

E il Venturelli sottolinea come il crollo avvenne proprio mentre lavorava «durante un allarme forte», e, anche se si riprese, il colpo fu duro per un uomo che in quegli anni di guerra si era mostrato di incredibile vitalità, interrotta tutta improvvisamente.
Testimonia a proposito, Don Gino Bressan: «Non assistetti alle prime crisi di salute di Don Sterpi, lo vidi già provato nel 1945… sentii più volte parlare dopo il 1945, della incredibile attività di Don Sterpi, durante gli anni della guerra, per portare aiuto a centinaia di poveri ricoverati nelle nostre case. Era capace di partire, a piedi magari per andare a Genova o a Milano, non cedendo neppure di fronte alla constatata impossibilità. Si ammalò per l’eccessiva carità, e la malattia, a sua volta, lo spingeva a maggior eroismo».
Questa testimonianza, che ho letto attentamente anche per la conoscenza personale del teste, mi ha suggerito il titolo a questa conferenza: la carità sfrenata.

Concludendo, penso che ci troviamo di fronte ad una prova molto dura che, senza turbare la sfera psico-intellettiva, colpì tutto l’uomo della carità, paralizzato dalla guerra nel dono di sé e nel servizio ai poveri; questa prova lo allenava all’ultima malattia quando divenne, in certo modo, «preghiera vivente».


Rilievi conclusivi

Ci troviamo di fronte ad un mistico, che esplode nella carità fino al crollo fisico e, sebbene nella sua vita è stato sottolineato il poetico “in punta di piedi”, Don Sterpi non fu un’anima silenziosa e nascosta, bensì raccolto e meditativo, come ha rilevato recentemente don Andrea Gemma: il suo silenzio è un luogo mistico più che una parvenza esteriore, il suo nascondimento fu la fucina donde esplose la carità sfrenata.

Santo delle cose piccole, è stato definito ordinariamente straordinario, costante nella ricerca della perfezione. Qui vorrei, a conclusione, sottolineare alcuni momenti, che mi sono sembrati propri dello Sterpi:
a) lo spirito di fede: che, mentre lo rendeva l’uomo della preghiera o della corona in mano, lo unì costantemente a Dio, in tratti che non esiterei a definire mistico-unitivi, specialmente durante la frenetica attività durante la guerra.
b) L’abbandono assoluto alla Divina Provvidenza: fonte di fiducia e di serenità anche nelle ore difficili e gravide di preoccupazioni per le migliaia di persone che dipendevano dalla sua paternità.
c) La carità verso tutti, tesa particolarmente verso le membra “più piccole” del corpo del Signore; una carità sfrenata, perché, come ha sottolineato il Bressan, si ammalò per l’eccessiva carità.
d) L’umiltà: che i testi chiamano la base della sua spiritualità, egli stesso viene definito l’umiltà personificata.
e) Un messaggio per voi, che siete i suoi figli e confratelli lascio alle stesse parole di Don Sterpi: «Santi, santi, santi, dobbiamo essere… se non siamo santi che cosa stiamo a fare in Congregazione? Lavorare si poteva anche fuori; farci notare e considerare per qualche nostra dote, potevamo farlo anche fuori… ma qui ci siamo, prima di tutto, per farci santi, ma santi sul serio…».

Don Sterpi lascia a noi lo stesso messaggio che sua madre, morendo a 30 anni, aveva lasciato a lui: «Voglio che tu sia un prete sul serio e non un prete qualunque».

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