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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Padre Semeria a Courmayeur
Pubblicato in: Antonio Lanza, Don Orione e Padre Semeria. Una lunga e fraterna amicizia, “Messaggi di Don Orione” 20 (1991), n. 78, p. 93-114.

La terribile crisi nervosa e psichica del 1915-1916. La visita di Don Orione in Svizzera. La lenta ripresa.

DON LUIGI ORIONE IN AIUTO DI PADRE GIOVANNI SEMERIA [1]

Antonio Lanza

 

Padre Semeria cappellano militare al Comando Supremo

Siamo nel 1915. Con l’entrata dell’Italia in guerra (24 maggio), la S. Sede aveva dato ordine a tutti i missionari degli italiani emigrati all’estero di tornare in patria per prestare il servizio militare. Il Padre, data l’età (49 anni), era esonerato da tale servizio[2], ma il 2 giugno fece lo stesso domanda per essere accettato come cappellano militare, mettendone al corrente il Preposito Generale. Questi non rispose negativamente, pensando che la domanda non sarebbe stata accettata. “I sacerdoti richiamati – scriveva – sono talmente numerosi che sono impiegati in sanità come facchini”. Invece, per i buoni uffici della figlia Carla, molto legata a Padre Semeria, il generale Cadorna lo chiamò (10 giugno) come cappellano al Comando Supremo[3].

La decisione del Padre non fu approvata da Benedetto XV, che il 16 giugno se ne lamentava col Preposito Generale. Il Padre, dal canto suo, a togliere ogni motivo di critica per eventuali sue interferenze di carattere politico o militare, arrivato ad Udine – dove risiedeva il Comando Supremo, - celebrava la Messa la domenica in città, poi partiva per l’apostolato diretto fra i combattenti al fronte o per la visita ai feriti negli ospedali[4].

Però, da “pacifista per temperamento”, il Padre un po’ alla volta entrò “nell’idea della necessità politica della guerra” e si convinse che “l’Italia con la guerra passava da ‘espressione geografica’ a ‘realtà viva’ per la quale si era ‘fieri di combattere’ “. Preso dalla “retorica di guerra” giunse perfino “a presentare la Messa da campo come ‘degno preludio divino al dramma umano della forza e del sacrificio”[5]. Benedetto XV trovò “cattivo ed eccitante all’odio” un documentario alla cui compilazione aveva collaborato anche Padre Semeria.

Benedetto XV, mostrava di non concedere fiducia a Padre Semeria [6]. Questi, il 17 tornava in Svizzera[7], e il 20 andava a Berna “per consultare il Prof. Dubois, specialista di grande fama per le malattie nervose”[8], e con la diagnosi di “gravissima crisi di psicastenia” viene ricoverato nella clinica “Mons. Repos” a Vevey, presso Ginevra[9].

Il 5 gennaio 1916, l’Uditore della Nunziatura in Baviera[10], scrivendo al Segretario di Stato card. Pietro Gasparri, suggeriva di far riscrivere al Padre il memoriale e di farlo arrivare al Pontefice eventualmente tramite la Nunziatura stessa.[11] Il suggerimento fu recepito. Qualcosa cominciò a muoversi e ricompare sulla scena Don Orione.

 

Don Orione visita Padre Semeria in Svizzera

Non conosciamo contatti diretti fra Don Orione e Padre Semeria durante il 1915. Il terremoto del 13 gennaio di quell’anno aveva fatto accorrere ad Avezzano Don Orione, ancora in veste di Delegato del Patronato Regina Elena, mentre il Padre, dal suo esilio in Svizzera, alla fine della primavera era partito per il fronte. La lontananza e le attività svolte – assai diverse – non avevano favorito scambi di corrispondenza. Le relazioni vengono riallacciate all’inizio del 1916.

Il primo documento che incontriamo è una lettera con la quale Giuliana Anzillotti fa sapere a Don Orione che la contessina Carla Cadorna sarebbe felice se lui potesse incontrare il Padre: “Accennai appena all’idea che Lei potesse vedere il nostro venerato amico Semeria – scrive – ed essa (la Cadorna) se ne mostrò molto lieta. Purtroppo le recenti notizie sono sconfortanti, e le crisi si succedono con un carattere insistente e veramente pietoso. Io mi ricordo certe care, indimenticabili parole che il buon Padre mi disse di Lei, e perciò capisco quanta consolazione sarebbe per lui il rivederla!”[12].

Don Orione era assente da Tortona da oltre due mesi e divideva le sue giornate tra Avezzano (luoghi del terremoto) e Roma. Ricevuta la segnalazione sulla salute di Padre Semeria, decide di andarlo a trovare. Il 4 febbraio 1916, Don Orione informa Don Sterpi: “Ho ottenuto, subito che lo richiesi, stamattina dal Ministro Sonnino il Passaporto per la Svizzera, senza bisogno di fedina penale, né di altra formalità. (…) Avrei urgenza di ripartire per Erba e poi per la Svizzera, dove mi fu offerto di aprire un Istituto a pace fatta. Ora vado per vedere Padre Semeria”.[13]

Ancora telegrafa a Don Sterpi: “Tenetemi preparato passaporto Svizzera. Sono chiamato presso Padre Semeria malato Villeneuve”[14]. Intanto, data la delicatezza della situazione, mette al corrente della sua visita il Vaticano.

Il 6 febbraio Don Orione è a Tortona per conferire con Don Sterpi, che non vedeva da due mesi[15], e il 9 febbraio era a Vevey.

Don Orione fu accolto dal Padre come “un messo della Provvidenza”[16]. Le lettere scritte il 9 e 10 febbraio, durante la visita, potrebbero sembrare monotone, se le espressioni che si ripetono in esse non vibrassero come un inno di riconoscenza e un tenue segno di speranza.

“Ottima Carla, - scrive alla figlia del Gen. Cadorna – Don Orione ha avuto il caritatevole pensiero di venirmi a trovare (…). Egli mi ha visto, ha parlato con me, io ho potuto parlare con lui; ha parlato col medico; potrà dirti il mio stato meglio che non possa fare io (…). Io mi sono messo nelle mani di Don Orione come in quelle del medico e, più, mi metto nelle mani di Dio. (…) In questo momento che ti scrivo, affidando la lettera a Don Orione, prendo la mia croce dalle mani di Dio: fiat con quello che mi resta di volontà.[17]

“Rev.mo Padre, - al Preposito Generale – L’ottimo Don Orione, che ha voluto usarmi la carità di una visita, Le porterà le mie notizie (…). Preghi molto per me, Padre; è la cosa che Le chiedo, e mi abbia una grande compassione; sono molto infelice. Sono nelle mani di Dio e nelle sue”[18].

“Eccellenza, - a Mons. Bartolomasi, Vescovo castrense – L’ottimo Don Orione, che ha voluto usarmi la carità insigne d’una visita, Le porterà queste poche righe, (segno) sensibile della riconoscenza che ha per Lei, Monsignore, un pover’uomo ridotto dalle sue malattie nervose a non riconoscere più se medesimo”[19].

“Carissimo Pierino, - al nipote – Affido al caro Don Orione che so tuo amico – per fortuna – un saluto affettuoso che tu dividerai con la Mamma, la Nonna e tutti di casa (…). Dì alla Nonna che Don Orione potrà darle mie notizie più precise”[20].

Interessante e toccante la lettera indirizzata a Don Orione lo stesso giorno che questi era partito dalla clinica di Vevey:

“Carissimo Don Orione. Mi affretto a farvi seguire da un ringraziamento il più sincero e profondo che io possa; - siete arrivato davvero come un messo della Provvidenza.
Ora mi affido tutto a Voi… Quando qui la vera e propria cura, che si può fare solamente qui, sia finita, avrò tanto più bisogno di un posto dove poter unire un lavoro fisico ad un lavoro spirituale. Ciò, purtroppo, non è possibile nelle nostre Case… Abbiate dunque Voi la bontà di pensare a me. Parlate al mio P. Generale, parlate al S. Padre… Io mi metto nelle vostre mani… L’idea di Avezzano mi sorride molto.
Io ho bisogno di essere occupato, altrimenti faccio qualche sproposito… morale o fisico. Avete cominciato l’opera del mio salvataggio… Il Signore vi aiuti a compierla. Una vostra parola, quando avrete buone notizie da darmi, mi consolerà.
Vostro riconoscentissimo in Dio P. Semeria B.

Ho riparlato col medico, il quale trova che finita qui la mia vera e propria cura – il che potrà essere fra una ventina di giorni – è di suprema importanza mi si trovi un ambiente e un genere di occupazione quale appunto tu mi prospettavi ad Avezzano: vita semplice e un peso parte fisicamente, parte moralmente. Vedi di far sapere questo al mio P. Generale e, se occorre, al Papa.
Dì pure al Papa che io desidero essere nelle tue mani… che per un tempo almeno mi lasci lavorare nel tuo campo più libero e più vasto. Il Papa lo capirà, se non lo capisce il P. Generale.
Dio ti aiuti e ti guidi perché tu possa alla tua volta aiutare me. Credi, si tratta di tutto il mio avvenire. Manovra bene, con prudenza e fermezza, facendoti forte della autorità del medico.
Di nuovo, riconoscentissimo P. Semeria B.
Importa che tu agisca con una certa sollecitudine, mettendoti d’accordo, se occorre, con Mgr.  Bartolomasi… Ti raccomando, in modo specialissimo, di occuparti del buon P. Ghignoni[21]. Memento mei”.[22]

Il Padre raccomandava “una certa sollecitudine” per la soluzione del suo caso e Don Orione, che pure era preso da cento problemi per tamponare nei vari Istituti i vuoti creati dai religiosi chiamati sotto le armi, il 19 febbraio è a Roma[23] a perorarne la causa. Gli effetti del suo intervento sono testimoniati dall’interessamento che mostrano i Superiori ecclesiastici, religiosi e militari a favore di Padre Semeria.

Due giorni dopo (21 febbraio) il card. Gasparri – pensiamo in seguito alla relazione fatta da Don Orione – scrive a Mons. Marchetti Selvaggiani che il Papa aveva ricevuto la lettera del Padre e s’era “degnato di confermare la sua paterna benevolenza” al religioso in esilio.[24]

Il 23 febbraio è Carla Cadorna che ci fa conoscere i passi fatti da Don Orione in relazione alla “posizione futura di P. Semeria” presso l’esercito, assicurandolo che tale posizione “è stata definita col Ministero; poiché egli (Semeria) non è, e non sarà, sostituito al Comando; così egli figurerà ‘a disposizione del Comando’, continuando così a percepire i suoi assegni come se fosse in servizio”[25]. Il giorno dopo (24 febbraio) è il Preposito Generale dei Barnabiti che desidera conferire con don Orione “in ordine – scrive – del nostro Padre Semeria”.[26]

Tutto dunque stava muovendosi perché fosse restituita al Padre la serenità di spirito. Purtroppo, proprio quando stava passando la “ventina di giorni” da lui preventivata per il completo ristabilimento psichico, lo coglie uno stato di depressione così profonda da fargli vivere il mese più tristemente drammatico della sua esistenza.

 

La “terribile tentazione” di Padre Semeria

Un’ora particolarmente buia e di sconforto per il padre è segnata in un suo autografo datato 1 marzo 1916:

“Sentendomi talora provocato al suicidio, in momenti di grande tristezza, - si legge – voglio qui protestare che, se cedessi all’orribile tentazione, chiedo perdono a Dio e agli uomini.
Prego Don Dosio a chiamare subito un medico nostro, cattolico, e a veder se per mezzo suo si può evitare lo scandalo, facendo passare la mia morte come casuale per una fuga di gas nella mia camera o nella cucina dove ero andato ad attingere acqua”.[27]

Le tristi previsioni non ebbero fortunatamente seguito. Il giorno dopo il Padre invia a Don Orione espressioni preoccupate e accorate, ma non disperate:

“Caro D. Orione,
Dal P. Generale ricevo una lettera che mi pare accenni ad accordo più concreto in via di realizzarsi tra Lui e Voi. Di nuovo mi affido alla vostra carità. Ho bisogno ora, come del pane, d’una occupazione che mi prenda per davvero, dove ci sia un aspetto religioso e anche sociale, dove senta di spendere utilmente me stesso.
Credetelo, soffro della mancanza di questo in modo orribile – ho passato giornate d’inferno e notti peggiori delle giornate. Adiuva me e anche, se potete, con una certa sollecitudine.
Dio vi assista e vi ispiri carità e prudenza quante ne occorrono. Sono molto molto nelle vostre mani.
Aff.mo Semeria B.
Scrivetemi le novità dei vostri progetti e delle vostre speranze.[28].

All’urgente appello Don Orione risponde immediatamente (5 marzo) tramite la contessina Cadorna che, quale figlia del Generale in capo dell’esercito italiano, poteva usare per la corrispondenza canali non soggetti alla censura allora vigente per lo stato di guerra. La contessina assicura di trasmettere “come un sacro dovere le sue parole”, ma siccome anche lei aveva ricevuto una “letterina” con la quale il Padre le “confessava di avere ancora le notti cattive e di non poter vincere quella cupa tristezza che da tanto lo tormenta”, pensa sia più proficuo un intervento diretto di Don Orione e pertanto gli offre la possibilità di servirsi per la corrispondenza col Padre di “un mezzo discretamente rapido, sicuro, extra censura”.[29]

Non sappiamo quale mezzo abbia poi usato Don Orione per mantenersi in relazione, ma comunicazioni certamente ce ne furono, come deduciamo da una lettera del Padre in data 17 marzo:

“Caro D. Orione,
Sento che avete conferito di nuovo col mio G.le e aspetto una vostra lettera… Mi dirai che sono impaziente. Ma credi, caro amico, è lo stato in cui mi trovo. Raccomandami a Dio e pensa a me, pensa a me che ne ho bisogno infinito.
Va meglio, ma non ancora bene e forse per il momento mi ci vorrebbe un lavoro distraente, anche manuale, in un ambiente lieto…
Dio ti ispiri e vedi un poco, vedi. Addio, addio.
Aff.mo P. Semeria B.[30].

L’interessamento di Don Orione è costante. Il Padre, scrivendo il 26 marzo alla Cadorna, gliene dà atto: “Don Orione è una tempra di santo autentico; - afferma – se potrai conoscerlo meglio, te ne convincerai”. Per il suo stato di salute riconosce: “Non sono ancora uscito davvero fuori del pelago alla riva, perché giornate di profonda malinconia si alternano ancora a giornate relativamente serene”; in quanto ad andare cappellano in un “convalescenziario”, come suggeriva il Vescovo castrense, deve confessare: “Per il momento non posso ancora impegnarmi neanche per tale posto, perché nelle giornate di malinconia farei prepotenze”[31].

Qualche giorno dopo (30 marzo) la contessina riceve un telegramma ed una lettera da Don Orione che, confermando le preoccupanti notizie sulle condizioni di salute del Padre, comunica l’impossibilità, per il momento, di fare un salto in Svizzera, come forse era stato invitato[32]. La Cadorna risponde “subito, nonostante l’ora tarda”, rammaricandosi che Don Orione non potesse portarsi “al fianco” del Padre, giacché non era del tutto convinta che questi non fosse proprio in grado di accettare l’ufficio propostogli nel convalescenziario. Le risultava che il Padre a Ginevra predicava e scriveva articoli e siccome “gli ammalati di tal genere” devono essere spinti da altri a vedere la realtà delle cose, bisognava – sentito il parere del medico -  persuaderlo a prendere una decisione; e concludeva: “Per persuaderlo, poi, se conviene, credo che Lei soltanto può farlo per la doppia autorità di amico e di sacerdote”[33].

Negli stessi giorni in cui gli veniva offerta la possibilità di riprendere un’attività in Italia, il Padre si sentì spinto ad un tristissimo epilogo della sua vicenda.

La “terribile tentazione” si presentò fortissima il 1° di aprile. Con tale data ci sono giunte “certe sue paginette intrise di pianto – eppure sublimi – per Don Dosio e per la Mamma, nelle quali si congeda dalla vita e da tutti”[34]. Fortunatamente i due custodi bonomelliani[35]scoprirono nel cassetto del suo comodino la rivoltella carica, e fu evitato l’irreparabile[36].

La fase più acuta della crisi nervosa fu così superata.

 

La lenta tormentata ripresa

Le ultime drammatiche ore della “terribile tentazione” furono tenute nel più rigoroso segreto[37], però la penosa situazione, che non accennava a sbloccarsi, convinceva sempre più della necessità di un aiuto dall’esterno per liberare il Padre da quello stato di abulia e di indecisione.

Il 5 aprile, Antonio Alfieri scriveva a Don Orione: “Sento da P. Genocchi che Semeria s’è aggravato; questo, dopo quattro mesi di cura, mi pare un fatto sì triste che non so darmi pace. Mi pare che gli amici devono fare qualunque cosa per evitare danni peggiori ad un uomo che ha fatto come nessun altro forse per il bene degli altri, e che più potrebbe fare in avvenire”[38].

Il 9 aprile, la Cadorna trasmette a Don Orione “la risposta avuta dal Comando Supremo circa il Convalescenziario a cui sarebbe destinato P. Semeria” e aggiunge: “Non so se Lei ha visto sul Messaggero di ieri mattina un articoletto in cui si parlava della guarigione di P(adre) S(emeria), del suo ritorno al Comando e della prossima venuta a Roma per conferire col Santo Padre ‘con cui non era in tutto d’accordo’[39].

Alla probabile obiezione di Don Orione che il Padre avrebbe avuto bisogno di continuare le sue cure, la contessina riscrive il giorno 13 assicurando che “in quel Convalescenziario vi è un medico ottimo per ammalati psichici” e lì il Padre avrebbe potuto continuare la cura[40].

Don Orione in quei giorni è a Roma[41] e, in seguito anche a questo interessamento degli amici del Padre, decide di intervenire personalmente. Chiede pertanto all’Ordinariato militare quale sia in realtà la posizione del Padre. Il 17 aprile il Vicario del Vescovo Castrense gli conferma “a volta di corriere” che il Padre è già stato nominato cappellano del Convalescenziario e che a Gorgo “potrà continuare le cure necessarie”, concludendo: “Anzi al riguardo io sarei d’avviso che il P. Semeria dovesse venire al più presto; veda Lei, che ne è amico, di persuaderlo; sarà un servigio per la buona causa, e forse sarà anche un vantaggio per la salute dell’illustre Barnabita”[42].

A Roma c’era anche l’Alfieri, interessatissimo alle sorti del Padre. Il 21 Don Orione gli telefona per concertare qualcosa in merito ma non riescono ad incontrarsi[43] e il giorno dopo Don Orione è già a Firenze[44].

Alfieri parte per suo conto e il 24 telegrafa a Tortona da Ginevra: “Arriviamo Domodossola domani, martedì, ore quattordici. Occorre sua presenza”[45]. Don Orione per accertarsi che in quel “arriviamo” fosse compreso anche il Padre, telegrafa a Don Dosio: “Pregola telegrafarmi se Semeria disposto anche subito venire con me Gorgo, sentito medico curante, essendovi atteso”[46]. La risposta – 26 aprile – è negativa: “Semeria migliora. Impossibile venire subito”[47]. Don Orione allora non si muove, come risulta non si sia mosso Padre Semeria, il quale tuttavia desidera ardentemente un abboccamento e lo stesso giorno (26 aprile) scrive a Don Orione:

“Car.mo D. Orione,
Alf(ieri) m’aveva fatto sperare una vostra visita, che sarebbe stata per me di gran conforto, anzi persino una vostra eventuale assistenza… per le decisioni da prendere e per dopo la decisione presa.
Mi trovo, infatti, in una grande incertezza, determinata dal mio stato fisico e psichico – e viceversa vedo io pure che una decisione s’impone, presto o tardi. Bisogna proprio che io vi veda, vi parli, e voi mi aiutiate con l’amore.
Io sono disposto a scendere a Domo o a Iselle[48], dove voi potreste arrivare senza bisogno di carte.
So bene che così vi domando cosa non facile, per voi che avete tante occupazioni, ma so la carità vostra e la vostra prudenza. Fissate dunque il convegno e io sarò pronto a recarmivi.
Dio ispiri voi, caro, e aiutatemi. Vi sono immensamente grato di tutta la vostra bontà.
Aff.mo P. Semeria B.”[49].

Rispondendo al pressante invito, Don Orione fissa il “convegno” ad Iselle, dove qualche giorno dopo ha un abboccamento con il Padre[50], al quale forse consegnò un secondo elenco di “proposizioni” da chiarire[51], senza concludere nulla in concreto per l’andata a Gorgo, a causa di un “impedimento” posto o dai due custodi bonomelliani o dallo stesso Padre.

L’impedimento frapposto, se era da parte del Padre, è da individuarsi nella sua avversione nel ritornare a contatto diretto con gli orrori provocati dalla guerra sul corpo dei soldati feriti. Tommaso Gallarati Scotti, che fu a trovare il Padre a Vevey, riportò l’impressione che la stessa “terribile tentazione” fosse stata provocata dal credersi lui “colpevole della morte di giovani padri di famiglia che alcuni suoi incitamenti potevano forse aver spinti alla guerra”[52]. Se l’impedimento invece era posto dai Padri Bonomelliani – che soli erano allora al corrente del gravissimo pericolo corso dal Padre -  esso nasceva dal timore che un ritorno sulle zone di guerra – Gorgo, in provincia di Treviso, non era lontano dal fronte – potesse provocare una ricaduta ancor più temibile.

Chi non era al corrente del bruttissimo momento passato dal Padre era portato a credere che la resistenza incontrata per il suo rientro in Italia fosse dettata dalla eccessiva prudenza dei suoi due custodi. Di questo parere erano forse lo stesso Don Orione e la contessina Cadorna, se dobbiamo intendere in tal senso quanto questa gli comunicava il 18 maggio: “Scrissi l’altro giorno a P(adre ) S(emeria) per spingerlo a ritornare. Dello stesso impedimento che mi disse Lei, al ritorno, parlò ieri a mia madre il Vescovo Castrense! È un bel fatto!”.[53]

Questa sembra essere anche l’interpretazione di padre Colciago circa la nuova visita che fa Don Orione al Padre, in Svizzera, verso la fine di maggio. Egli scrive: “Fine maggio. Don Orione è tornato a Ginevra per riportare il Padre al Comando, ma i Bonomelliani si oppongono”, mentre “egli (Semeria) lavora così intensamente che nessuno può crederlo ammalato”.[54]

Oltre a vari studi, comparsi con lo pseudonimo di Mario Brusadelli, su prestigiose riviste[55], il Padre aveva steso in quei giorni anche le risposte alle 88 proposizioni sospettate di modernismo, riempendo “un centinaio di cartelle dattiloscritte”[56]. Don Orione forse le presentò a Benedetto XV di ritorno da questa visita. Il 31 maggio infatti scrive a Don Sterpi da Roma: “Ieri ebbi udienza privata dal S. Padre [57]“.

 

            Il ritorno di Padre Semeria in Italia e alla normalità

Don Orione rimase il punto di riferimento per quanti desideravano notizie del Padre[58]. Questi, invitato dai conti Raggio, era andato ospite in un loro chalet a Courmayeur, dove può riprendere l’esercizio del ministero sacerdotale. Essendo infatti morto il parroco di quella località, il Vescovo di Aosta, il 12 luglio, chiedeva al card. Gasparri quali facoltà poteva concedere al Padre. Praticamente gli furono concesse tutte, tranne la predicazione[59]. Qui, alla fine di agosto, fu a visitarlo Don Orione[60], ma il Padre non si sentiva ancora in grado di riprendere il suo ufficio di cappellano militare. Da Courmayeur, ai primi di settembre, passa, sempre ospite dei conti Raggio, a Chamonix. Con lui c’è anche la mamma, e qui, oltre a celebrare “predica tutte le sere” ci fa sapere una informazione del Fondo Benigni. È dunque tornato alla normalità; però – continua l’informazione - : “Parla, conversa di tutto purché non si accenni alla guerra”[61]; ed alle “pressioni” delle “autorità militari ed ecclesiastiche” perché riprenda “il suo posto di cappellano d’esercito (…) egli ricusa”[62].

Fu forse Don Orione, risalito verso fine settembre a Courmayeur, dove il Padre era tornato[63], che lo convinse a riprendere il suo apostolato. Infatti, alla fine del mese, Padre Semeria è nuovamente ad Udine fra i soldati, “conferenziere inesauribile e saggio per gli ufficiali”, confratello e amico “nelle adunanze dei cappellani e dei preti soldati che accorrono ad ascoltare le sue meditazioni[64].

 

 

 


[1] Estratto da Antonio Lanza, Don Orione e Padre Semeria. Una lunga e fraterna amicizia, “Messaggi di Don Orione” 20 (1991), n. 78, p. 93-114.

[2] Gentili, pag. 40.

[3] Pagano, pag. 54.

[4] Colciago, pag. 386. Le continue assenze dalla sede del Comando Supremo gli meritarono l’appellativo scherzoso di “Padre Semprevia” (ivi).

[5] Gentili, pag. 40.

[6] Padre Semeria aveva collaborato con Mons. Giacomo Della Chiesa (Benedetto XV) nel lontano 1902 per dar vita alla  Società di San Girolamo per la diffusione dei Vangeli (Colciago, pag. 386).

[7] Di Giacomo, pag. 42.

[8] Lettera di Mons. Francesco Marchetti Selvaggiani al card. Pietro Gasparri, 21 dic. 1915 (Pagano, pag. 58s).

[9] Di Giacomo, pag. 42.

[10] Era Mons. Marchetti Selvaggiani.

[11] Pagano,pag. 61s.

13b  Comune amica di Padre Semeria e della famiglia del gen. Cadorna. Di lei il Padre scriveva: “È una buona creatura, ma complessa” (Fasc. Semeria, II,3).

[12] Lettera del 28 gennaio 1916 (Fasc. Semeria, 5).

[13] Scritti 12, 203.

[14] Scritti 60, 315. Un’andata in Svizzera avrebbe interessato Don Orione anche per il motivo che, in quei giorni, gli era giunta l’offerta di aprire ivi un Istituto, “a pace fatta”. Però “ora vado per vedere Padre Semeria” precisa a Don Sterpi (cfr. Scritti 12, 203).

[15] Don Orione era a Roma dal 24 dicembre 1915 (cfr. Scritti 12, 176).

[16] Cfr. Sem, I,25. Nelle sue “Memorie di guerra” (5a Ediz. Milano, 1927, pag. 179) il Padre nomina per primo Don Orione fra coloro che lo visitarono in quel triste periodo: “Dall’Italia vennero confratelli e amici – che carità visitare gli infermi! – venne Don Orione, venne Padre Gemelli…”.

[17] Lett. Del 2.9.1916 (Fasc. Semeria,II,2).

[18] Lett. Del 9.2.1916 (Fasc. Semeria II,3).

[19] Lett. del 10.2.1916 (Fasc. Semeria, II,4).

[20] Lett. del 9.2.1916 (Fasc. Semeria, II,5).

[21] Pur nelle sue precarie condizioni di salute, il Padre si preoccupa per  padre Ghignoni, che in quel momento si trovava in una situazione assai critica: non intendeva rientrare in Comunità e, d’altro canto, si prevedeva quasi impossibile la sua incardinazione in qualche diocesi (cfr.Scritti 49,93ss).

[22] Fasc. Semeria, I,25.

[23] Scritti 12,204.

[24] Pagano, pag. 63. Don Orione era stato pregato di intervenire presso il Pontefice solo oralmente; la lettera, cui qui si accenna, deve essere il memoriale che il Padre aveva scritto perché fosse inoltrato al Pontefice e che il Preposito Generale aveva invece trattenuto. Dopo la segnalazione di Mons. Marchetti Selvaggiani forse fu la S. Sede stessa che lo richiese al Preposito Generale, senza che il Padre ne dovesse compilare un secondo. Si legge infatti che la lettera è giunta “per via gerarchica”, non tramite la Nunziatura.

[25] Fasc. Semeria, 6.

[26] Fasc. Semeria, 7.

[27] Di Giacomo, pag. 43.

[28] Fasc. Semeria, I,26.

[29] Fasc. Semeria, 8.

[30] Fasc. Semeria,I, 27.

[31] Fasc. Semeria, II,3.

[32] In quei giorni Don Orione era fuori Tortona, sempre indaffarato per i problemi posti dall’assenza dei religiosi chiamati sotto le armi. Il 28 marzo è a Sanremo, proveniente da Bra, e scrive a Don Sterpi: “Tutto domani mi fermerò qui. Poi vado a Torino e forse a Cuneo. (…) Andrò a Ventimiglia…” (Scritti 12, 222).

[33] Fasc. Semeria, 11.

[34] Colciago, pag. 387.

[35] Don Adolfo Dosio e Don Druetti.

[36] Di Giacomo, pag. 43.

[37] Solo nel 1937 padre Colciago poté avere “da un alto dirigente della Biblioteca Vaticana” delle carte, “rimaste sconosciute fino allora”, che documentavano la dolorosa vicenda (cfr. Di Giacomo, pag. 43).

[38] Fasc. Semeria, 12.

[39] Fasc. Semeria, 13. L’accenno alla notizia comparsa sul Messaggero “ieri”, oltre a permetterci di datare la lettera della Cadorna, ci mostra come fosse nota pubblicamente la divergenza di opinione, "su alcune questioni" tra la S. Sede e Padre Semeria

[40] Fasc. Semeria, 14.

[41] Scritti 12, 229.

[42] Fasc. Semeria, 15.

[43] Fasc. Semeria, 16. Però doveva esserci stata una precedente intesa di massima, giacché Alfieri ricorda: “Mi ricordo di una precedente sua (di Don Orione) lettera poco prima della Pasqua del 1916; mi diceva: - padre Semeria mi vuole e io non posso muovermi; vada Lei al mio posto - . Andai, stetti con Padre Semeria tre giorni; lo confortai come potei, malgrado avessi dieci anni meno del Padre” (Fasc. Semeria, 16b).

[44] Scritti 12, 230.

[45] Fasc. Semeria, 17.

[46] Scritti 107, 74.

[47] Fasc. Semeria, 18.

[48] Iselle e Domo (=Domodossola), trovandosi ambedue nella provincia di Novara, erano facilmente raggiungibili senza pratiche di passaporto.

[49] Fasc. Semeria I, 28.

[50] Accennano a questo incontro una lettera di Don Cribellati che il 26 aprile scrive a Don Sterpi: “Scrivo a Lei perché penso che forse il Direttore non sarà ancora tornato dalla Svizzera” (Fasc. Semeria, 18b) ed una lettera di Alfieri del 2 maggio a Don Orione: “Ricevo in questo momento la sua cartolina da Iselle – impostata a Domodossola - : e non capisco come è andata la cosa” (Fasc. Semeria, 19).

[51] Cfr. Colciago, pag. 386.

[52] Di Giacomo, pag. 43.

[53] Fasc. Semeria, 20.

[54] Colciago, pag. 387.

[55] G. Semeria: Saggi… clandestini, II vol. pag.444s.

[56] Colciago, pag.386. Antonio M. Gentili pone nell’aprile 1916 l’invio delle 88 proposizioni da parte del Vaticano (cfr. Gentili pag.41), mentre p. Colciago scrive di “un primo e secondo elenco” che noi riteniamo consegnati da Don Orione al Padre rispettivamente il 9 febbraio e ora, a fine aprile.

[57] Circa le risposte di Padre Semeria mons. Franco Costa testimoniò avergli detto Don Orione che “Benedetto XV le trovò esaurienti”. Non altrettanto soddisfatto rimase il Cardinale del  S. Ufficio che fece “nuove insistenze per la condanna, portando anzi al Papa un decreto già preparato. Il Papa ritirò il decreto e disse che la pratica era chiusa”. Tornato Don Orione in udienza “dopo qualche mese” Benedetto XV, accennando al decreto di condanna, gli disse: “Stia certo che il Cardinale non ne parlerà più” (Sum., pag. 653). In realtà le cose non filarono così lisce con la Concistoriale, il cui Segretario era il Card. De Lai (qui erroneamente citato come “Cardinale del S. Ufficio” e lo stesso Benedetto XV continuerà a mantenere delle riserve sul pensiero semeriano (cfr. Pagano, pag. 13).

[58] Antonio Alfieri, ad esempio, scrive il 10 settembre a Don Orione: “Ora ho un grande desiderio di vederLa per sapere da Lei anche più precise notizie di Sem.” (Fasc. Semeria, 22).

[59] Lettera del Card. Gasparri del 16 luglio 1916 (Pagano, pag. 63).

[60] Il 26 agosto Don Orione spediva da Courmayeur una cartolina firmata anche da Padre Semeria e da don Brizio (cfr. Fasc. Semeria, 22b).

[61] Pagano, pag. 168s.

[62] Angelo Gambaro a Houtin in Pagano, pag. 61, nota 73.

[63] Lo deduciamo da una lettera di Giuliana Anzillotti a Don Orione, in data 26 settembre: “Fui tanto lieta del caro saluto da Courmayeur” (Fasc. Semeria, 23).

[64] Colciago, pag. 387s.

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