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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso

Una lettera con indicazioni pratiche di Don Orione sul modo di vivere il compito di superiore di comuntà.

SUPERIORI DI COMUNITA':

DON ORIONE LI VOLEVA COSI'       


Don Orione scrive il 10 marzo 1916 a Don Carlo Dondero.[1] Era il superiore della prima missione da poco iniziata a Mar de Espanha, in Brasile. In due precedenti lettere del 19 e 25 gennaio, Don Dondero aveva riversato su Don Orione, insieme alle notizie sulle prime attività iniziate a Mar de Espanha, la sua descrizione un po’ disfattista dei problemi della comunità e della disunione tra confratelli, invocando dal Superiore la soluzione dei problemi. Don Orione risponde prontamente e chiaramente, con valutazione della situazione, motivazione di valori, indicazioni di cammino.


            Mio Caro figliolo in Gesù Cristo crocifisso,

            Ho ricevuto le tue due lettere del 19 gennaio e del 25 gennaio, e te ne ringrazio nel Signore benché, per quella sincerità che deve unirci a Dio, non possa nasconderti tutta la pena che ho sofferto e che soffro nel constatare dolorosamente che codesta povera casa è sempre come un mare in tempesta, e nel sentire dalla tua stessa lettera del 19 gennaio che nessuno va d’accordo con te, e che quindi non c’è tra di voi, o figlioli miei in G. X. quella unione e quella vera concordia degli animi e carità fraterna di G. X. che è il più dolce vincolo della vera vita secondo lo spirito di Gesù X.sto e della vera perfezione religiosa. È questa una delle mie più grandi pene che soffro da oltre un anno e una delle ragioni per le quali ho vivamente desiderato che tu venissi qui per sentirti e parlarti nel Signore. E poiché ora non ti è possibile venire, aspetta pure e verrai alla fine dell’anno scolastico.
            E intanto vedi, o caro figlio mio, di edificare nella umiltà e di edificare ed unire nella carità tutto ciò che fu diviso, tutto ciò che fu distrutto o disperso da uno spirito umano contrario allo spirito di pace e di dolcezza e di carità in Gesù Cristo crocefisso.

            Per la unione e carità, per la concordia e la pace dei miei figli in Gesù Cristo neanche un istante esiterei ad attraversare l’oceano e mille oceani, aiutandomi la grazia del Signore. Ma sono tornato ieri sera dalla Sicilia, e devo correre di qua e di là per sostenere e puntellare in Domino le case d’Italia. La guerra mi porta via tutti i sacerdoti come porta via tutti o quasi tutti i chierici che tu hai conosciuti. E quelli dei sacerdoti e chierici che ancora non sono andati, certo da un momento all’altro possono essere chiamati alle armi.

            Per questo non è possibile a me né ad altri venire ora al Brasile, e lasciare le case d’Italia in momenti di tanta incertezza e bisogno che abbiamo qui con oltre cento tra probandi e chierici, ma tutti dei primi corsi di ginnasio, e con qualche centinaio di orfani dell’Abruzzo. Però mi fa più pena la vostra disunione che le privazioni e sofferenze che portiamo qui per la guerra.

            Io è da più tempo che mi trovo costretto a non leggere e comunicare (per carità di padre) le vostre notizie ai fratelli di qui. Che direbbero i nostri sacerdoti e chierici esposti alla morte nelle trincee o negli ospedali da campo tra i feriti, i mutilati e i malati infetti se conoscessero mai che voi altri che siete in tre o quattro non siete uniti e non andate d’accordo? Qui siamo tutti uniti, tutti un cuor solo e un’anima sola!

            Tutti scrivono ogni settimana dal campo, dagli ospedali, e sono lettere che confortano perché, benché lontani, sentiamo di essere uniti, molto uniti dalla carità forte e dolce del Signore!
            Ormai siamo ridotti a pochi a lavorare negli Istituti nostri; ma ci moltiplichiamo e lavoriamo notte e giorno, e finora non abbiamo chiuso nessuna casa. Quando c’è buono spirito e la carità che è il precetto del Signore, tutto va avanti e tutti i figli sono contenti anche nelle privazioni, e vivono felici!

            La carità è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo: è umile e annega sé stessa: si fa tutto a tutti: compatisce gli altrui difetti, è illuminata e prudente: gode del bene delle persone e desidera accertarsene ella stessa. La carità ha grande stima di tutti i prossimi: interpreta le parole e azioni altrui nel modo più favorevole, e ripone la sua felicità nel poter far ogni bene agli altri.

            Tutto questo già te lo scrissi prima ancora che don De Paoli venisse al Brasile e grandemente addolorato ed ho tenuto questo acuto dolore entro di me sempre, quando vidi che tu lo hai destinato lontano da te, mentre (e ricordo bene, quando egli venne, di avertelo anche scritto e l’ho scritto a Mg.r Arcivescovo) frater qui adiuvatur a fratre quasi civita firma!

             È vero che tu mi dai buone notizie dei prodotti di fagioli, di riso: mi parli di corsi d’acqua e di macchine etc, ma che m’importa, o figliolo mio, di tutto questo, se tra di voi non c’è l’unione e la carità, e chi se n’è andato da una parte e chi vuole andarsene da un’altra?

            Nell’epistola di questa domenica passata non diceva l’Apostolo Paolo: che se uno anche trasporta i monti e non ha la carità, non ha nulla? E se anche parlasse tutte le lingue e desse via tutte le sue sostanze: se manca la carità non fa nulla?

            Vi dico in Gesù Cristo: siete uniti dalla carità del Signore? E il Signore vi benedirà e vi farete santi e siete i figli della Divina Provvidenza. Ma se questo spirito di umile e dolce carità e lavoro per le anime unione nella pace e concordia dei cuori e della santa vocazione, non è tra di voi, cosa pretenderete voi di edificare? Che frutti di vita eterna possono produrre mai le spine della discordia? Come pretendete di essere Apostoli di fede e di pace e di amore di Dio, se la pace neanche è tra di voi, e non tra di voi è la carità di Gesù X.sto?
            Tutto possono i servi di Dio quando portano nel cuore accesa e nelle opere la carità umile benigna e dolce del Signore! La via della carità fraterna è via assai breve per diventare santi! Ah! cari miei figliuoli, che pena, che profonda pena mi fate di vedervi discordi!

             Io penso che questo doloroso stato di cose si debba in gran parte a te, o caro. E perciò ti supplico e ti scongiuro per Gesù X.sto Signor Nostro di modificare il tuo carattere, che ti aliena i cuori, e che fa andare sconfortati e dispersi i tuoi fratelli in Gesù X.sto, e perde le vocazioni dei tuoi fratelli e carissimi figlioli miei che con tanta veemente e dolce raccomandazione di carità e con sacrificio ti avevo posto sulle tue braccia, e ti avevo affidati con piena speranza e fiducia in te, come a figlio mio carissimo.

            Mi pare che tu dovessi anche farti vittima della carità, per la grazia di Gesù X.sto, attaccandoti ogni giorno alla Madonna SS.ma, ma dovevi ad ogni costo mantenere la carità e l’unione dei cuori e alimentare con l’orazione e la vita spirituale, le vocazioni alla Divina Provvidenza. Questo ti dico abbracciandoti in osculo X.sti.


            I tuoi fratelli avevano ed hanno i loro difetti e chi mai è senza difetti quaggiù?
            Essi, i tuoi fratelli in X.sto, avranno i loro torti verso Dio e verso di te, ma vedi in questo frattempo di riparare anche tu ai tuoi verso di essi: perché anche tu, avrai la tua parte di torto. E, come si dice, “chi ha più senno lo usi”, così lascia che in Domino io lo dica a te di usare più carità di essi e di abbandonare ogni punto di vista, ogni questione anche fatta per amore della verità e per zelo della gloria di Dio, se ella dovesse inagrire un pochetto (dico anche solo un pochetto) il nostro cuore, cioè l’unione fraterna della carità. Questo non è, figlio mio, bastonarti; questo è amarti in Gesù Cristo questo è salvarti e santificarti in G. X.sto.

            Ricordati sempre, oh caro don Dondero, che non ti scriverei così se non avessi gran stima di te: grande affetto in X.sto per te e grande fiducia in te per l’ajuto che ti darà il Signore Padre nostro.
            Più coopererai alla perfetta consenzione della volontà di Dio e dei cuori, più sarai in X.sto, più vivrai di X.sto, più opererai in X.sto.

            Ami ognuno di voi, ami tenerissimamente tutti i suoi compagni nelle viscere di Gesù X.sto senza eccezione alcuna e sopporti con piena carità i loro difetti, condonandoli loro per amore di Gesù crocifisso soffrendoli anche con gusto, per propria mortificazione, non pensandoci e, se fosse possibile, non osservandoli; andando all’incontro, considerando perfettamente e osservando continuamente i difetti propri, e avendone dispiacere, anche per quello che in conseguenza fa sopportare agli altri suoi confratelli di pene e di molestie.

            Ognuno dei miei cari figlioli consideri il bene e l’ordine di tutta la casa di Mar de Hespanha come il bene proprio, e faccia tutto quello che può per riparare alla mancanza di vita spirituale e interiore e di vera carità religiosa in X.sto e faccia tutto quello che può per spargere nella famiglia religiosa e all’esterno sempre più la dolcezza di una tenera carità e l’unione più stretta dei cuori.

            Ognuno cerchi di unire fratello con fratello, i fratelli col Superiore e il Superiore col padre. Ognuno cerchi di rimuovere qualunque anche minima cagione che possa diminuire questa unità d’anima e di cuore che dobbiamo avere in X.sto e in Ecclesia X.sti, a imitazione dei primi fedeli «qui erant cor unum et anima una». Siano tutti una corporazione, cioè un corpo mistico in X.sto.

            Ognuno da parte sua studidi fare quello che può per la perfetta concordia e sanità e santità delle membra. Specialmente poi ognuno desideri di vedere i propri compagni andare avanti nelle solide virtù, e a tal fine aiuti i Superiori informandoli di quanto possono credere che sia utile loro a sapere per vantaggio dei singoli.

            Questa carità santa e questo impegno che ognuno prenderà per il bene spirituale e l’ordine e buon andamento della Congregazione al Brasile, vi mostrerà veri seguaci del divin Maestro che ha detto: «Gli uomini conosceranno che voi sarete i miei discepoli, se voi vi amerete l’un l’altro».


             Abbracciandovi tutti in X.sto nostro capo e Maestro, nostra delizia, nostro tutto, mi raccomando alle vostre orazioni, e vi esorto alla orazione e alla penitenza, e vi benedico tutti presenti ed assenti cioè anche don De Paoli e Carlo.
            E prego te, caro don Dondero, di comunicare quella parte di questa mia che non si riferisce direttamente a te, agli altri fratelli, leggendola ai presenti e scrivendola, in parte, agli assenti.
            Intanto il Signore vi benedica e siate tutti suoi ogni giorno più in multitudine pacis. Addio, pregate per me.

            Vostro aff.mo come padre in Gesù Cristo crocefisso e Maria SS.

                                               Sac. Orione  d. Div. Provv.za

 

 

           Compito specifico del superiore è curare il carattere "religioso" e la "vita comune" della comunità.
          Nessuno dubita certo dell’apostolicità e della prossimità al popolo vissuta e trasmessa da Don Orione, eppure nelle scelte pratiche reagiva a uno stile “secolare” e “individuale” di apostolato e inculcava la vita fraterna in comunità come condizione e bene imprescindibile per i religiosi. Guardiamo come affronta la situazione in Albania.
[2]
            Il 20 settembre 1937, da poco rentrato dall’America Latina, e scrive all’abate Emanuele Caronti, visitatore apostolico.

            Rev.mo e venerato padre, [Em. Caronti]

            Mi permetto di sottoporre alla sua saggezza quello che penso circa la missione in Albania.

           Sempreché vostra Eccellenza approvi, non avrei difficoltà di mandarvi il sac.te Vincenzo Bornini, il quale è robusto, di buona età e spirito, e desideroso di andare in Missione. Egli ha anche un titolo all’insegnamento e attitudine, onde penso che potrà far bene.
            Però vorrei non si tardasse ad iniziare a Devoli, o in altro punto adatto, una vera Casa religiosa, sia pur umile e povera quanto si sia, anzi quanto più povera, e meglio sarà. Lasciare i religiosi sempre isolati, uno qua e uno là, no, non è possibile.
            Che, se non ci fosse fondata speranza di poter avere, entro un periodo di tempo non remoto, un rifugio missionario, dove far vita di comunità e rifarsi nello spirito, piuttosto direi di ritirarci.

            Sac. G. Luigi Orione  d. D. Pr.

 

            In Argentina, Don Orione dovette risolvere situazioni concrete, quali capitano anche oggi e a cui dobbiamo reagire. 
            Egli scrive a Don Zanocchi di avere fermezza a riguardo di un confratello benemerito.

            "Don Contardi rientri nelle tende della Congregazione, e si metta con spirito di umiltà alla piena obbedienza e vita religiosa. In coscienza non posso più tollerare che un religioso stia fuori di comunità. Non posso ammettere scuse né protezionismi: tutti siete interessati alla vita religiosa. Sopra tutto desidero vi sia tra di voi grande vincolo di carità: grande spirito di disciplina e di unione e grande osservanza nella vita religiosa

            Fate tutto con carità, ma con decisione. Vegliate, amate in Gesù Cristo Crocifisso, sopportate, perdonate e pascete le anime dei Religiosi a voi affidati con la soave e deliziosa pastura della carità e umiltà.
            Siate aperto nemico dei vizii, ma medico dei viziosi: vigilate e pregate e cercate nel Cuore di Gesù tutti i mezzi per ridonare ai nostri una sanità spirituale e religiosa vigorosa: la vita religiosa.".[3]

 

            Il Capitolo Generale 14° ha lanciato un allarme e un''urgenza a riguardo della perdita di identità e di pratica di vita religiosa dei (molti) confratelli che vivono nelle parrocchie. È molto facile assumere una vita, di fatto, con la dinamica del clero diocesano, molto individuale e svincolata affettivamente e praticamente dai legami della vita comunitaria religiosa.
            L’apostolato in parrocchia, scrisse già Don Orione,
"se i religiosi non sono più che ben formati, allontana e divaga dallo spirito di regolarità religiosa".[4]
            Non era e non è in questione l’apostolato nelle parrocchie: è in questione la vita comune e la modalità “religiosa” di vita dei religiosi e di gestione parrocchiale.

 

[1] Scritti, 29, 19-22.

[2] Lettera del 20.9.1937, Scritti 50, 35-36.

[3] Lettera del 19.7.1929, Scritti 1, 97.

[4] Lettera del 26.1.1934, Scritti 1, 160.

 

          

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