Il volto di don Orione. Lo conosciamo dalle fotografie o grazie alla descrizione dei testimoni: energico e rugoso, occhi vivi e penetranti, protetti da folte sopracciglia, capelli canuti e fitti, mascella robusta, sorriso aperto.
Ma quale era il suo carattere, la sua personalità?
In questo breve viaggio introspettivo dobbiamo rifarci necessariamente a coloro che lo conobbero di persona.
Nel corso delle lunghe deposizioni rilasciate in occasione del processo di beatificazione, quasi tutti i testimoni riferiscono del temperamento di don Orione, definendolo «ardente e sensibilissimo» (Perduca), «pronto e ardente» (Penco), «impulsivo, vivace» (Gallarati Scotti), «vivo e ardente» (Piccinini), «forte, quasi impulsivo» (De Paoli), «ardente e generoso» (Cribellati).
Sorprendentemente, in un suo scritto, lo stesso don Orione confessa di avere «un carattere selvaggio».
Don Orione, dunque. non passava di certo inosservato!
Don Vincenzo Guido che gli fu compagno durante gli anni del seminario attesta: «don Orione ebbe sempre, anche da giovane, un carattere vivace, ardente e pronto: ho però sempre notato in lui uno sforzo costante per dominarsi. Non mi risulta che abbia nelle sue parole, e nei suoi scritti, usato acrimonia».
Un altro sacerdote, don Isola, che per anni gli fu confidente, riferisce: «don Orione riconosceva di avere un carattere impulsivo. Un giorno, nell'invitarmi a restare con lui mi disse: "Guarda che io sono un uomo duro". Se ben ricordo, citò in proposito il carattere di S. Gerolamo».
Questo caratteristico temperamento gli proveniva in parte dalla natura, in parte dall'educazione ricevuta dai genitori. Suo padre aveva combattuto per Garibaldi, ed egli era cresciuto con una naturale ammirazione per i caratteri forti, riconoscendo di essere in fondo al cuore un impulsivo congenito.
Ma fu la madre Carolina, in particolare, a trasmettergli e forgiargli quel carattere di fuoco che i testimoni gli riconoscono. Essa si distingueva per l'energia nelle decisioni e il gran senso pratico. Non sapeva né leggere né scrivere, tanto che firmò l'atto di matrimonio con la caratteristica croce degli analfabeti. Alcune testimonianze ce la presentano come «donna di profondi sentimenti religiosi» ; «di gran fede e di grande animo»; «donna risoluta, molto devota».
Don Orione non fece mai mistero che l'impulsività del suo carattere venne domata dalla madre, la quale non gli risparmiò, in qualche occasione, nemmeno delle buone battute.
Passando un giorno da Pontecurone, suo paese natale, confidò a chi lo accompagnava: «Qui mia madre mi diede un sacco di sante botte... Quando andavo a far legna, io cercavo di non fare i "sanguanei" (una specie di vimini), perché mia madre li adoperava per darmeli sulle gambe, quando facevo i capricci. E mi ricordo che quando mi batteva mi diceva: Io porto la gonna, ma posso anche portare i calzoni... Si domano le bestie feroci e non si domeranno i cristiani? E come mi ha domato! Adesso che ho i capelli bianchi, benedico la severità della mia buona mamma ... ».
Nonostante la vivacità, si potrebbe dire passionale del suo temperamento, don Orione era alieno dal pensare male degli altri e incline a compatire e scusare eventuali mancanze, con un auto-controllo eccezionale. Per la sua indole volitiva ciò gli costava sforzo, ma riusciva sempre a vincersi e a dominarsi, fino al punto da subire vere villanie ed ingiurie.
Una volta un giovane, licenziato per cattiva condotta, lo osò insultare con frasi molto offensive. «Le mani di don Orione - riferisce un testimone - fremevano, come se dalle dita si scaricasse l'ira repressa in cuore». Ma seppe mirabilmente dominarsi, limitandosi ad accennare al giovane che adesso poteva andare.
Conforme al suo temperamento di fuoco, Luigi Orione esercitava un potente fascino sui suoi allievi, i quali spesso parlano della vivacità e dell'entusiasmo del loro direttore: «Aveva uno sguardo vivacissimo: bastava a volte che fissasse qualcuno in volto per farlo intimorire generalmente, però, aveva uno sguardo penetrante e un fare paterno, accompagnato da una bella voce, calda, suadente».
La forza, la schiettezza e la vivacità del suo caratteri voleva distillarla in ognuno dei suoi chierici: «Non voglio dei presuntuosi ma non voglio neanche dei conigli: non voglio sacerdoti, né religiosi pieni di sé e di amor proprio, ma non voglio neanche gente fiacca, piccola di testa e di cuore, priva del necessario coraggio!». E ancora: «Il nostro carattere deve essere ardente, leale, retto, magnanimo, ma tenero insieme e vivificato dalla carità del Signore, e, nella carità, generosissimi sempre. Generosissimi con Dio, senza limiti, e, generosissimi con le anime dei fratelli, per la carità di Cristo».
Nel corso di una "buona notte" egli esortò i chierici con queste parole: «più di una volta ho detto a me stesso questa esortazione: Esto vir et non frasca, sii uomo non una banderuola. E ora lo dico anche a voi: Dobbiamo essere gente di carattere nell'amare Dio sul serio, non a chiacchiere, ma a fatti! Essere forti nella costanza del bene e vincere, con la bontà e con il bene, il male. Esto vir! Essere calmi nelle prove. La vita è un combattimento il cui premio è il cielo!".
In varie circostanze disse ai suoi chierici che, se non fosse stato sacerdote avrebbe fatto strada in altre direzioni: "Se Gesù Cristo non avesse tenuto la sua santa mano sul mio capo, sarei stato un rivoluzionario o un generale!".
Era inoltre risaputo che egli provava una spiccata simpatia per i santi battaglieri. Alludendo a questo suo temperamento una volta confidò ad un suo sacerdote: «Se il Signore non mi avesse dato la vocazione religiosa, sento che sarei diventato un altro Mussolini».
Quando lo scrittore Douglas Hyde chiese ad Ignazio Silone se avesse mai incontrato qualcuno dotato di un temperamento come quello di don Orione, il romanziere rispose senza esitare: «Soltanto un uomo: Lenin. Non ho mai incontrato nessun altro della statura intellettuale di questi due uomini, combinata con la stessa personalità magnetica e indomabile e lo stesso immenso fuoco. Don Orione avrebbe potuto facilmente diventare un Lenin».
Un ultimo episodio rivela magnificamente la tempra d'acciaio, la volontà indomita, la fede e la speranza incrollabile del Beato.
Durante il difficile periodo che don Orione, trascorse come Vicario generale sulle zone del terremoto calabro-messinese, un giorno alcuni del clero, in termini non proprio amichevoli, gli fecero osservare che l'Arcivescovo locale portava nel suo stemma il motto «Frangar, non flectar» («Mi spezzo, ma non mi piego»).
Don Orione ascoltò in silenzio poi rispose prontamente: «Io non sarò mai Vescovo, ma, se un giorno per ipotesi dovessi esserlo, senza che io lo imprima nel mio stemma, tutti si accorgerebbero che io ho per motto «Nec frangar, nec flectar!» («Non mi spezzo e non mi piego»).