L'articolo presenta una serie di Santi amici di Don Orione attraverso le testimonianze di alcuni recenti biografie e studi.
San Pio da Pietrelcina, il Beato Bartolo Longo, Suor Benedetta Frey,
Padre Clemente Rebora, la Beata Madre Teresa Michel, Don Umberto Terenzi
di Giovanni Marchi
1. Il segreto di Padre Pio
Il libro di Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio (Rizzoli, Milano 2007), a differenza del libro di Sergio Luzzatto, Padre Pio – Miracoli e politica nell'Italia del Novecento (Einaudi, Torino 2007), in cui l'autore aveva scelto di presentare e analizzare la vita e l'azione del cappuccino di San Giovanni Rotondo, tutto immerso nell'ambito sociale e politico del suo tempo, propone alla nostra attenzione l'aspetto religioso e mistico di tutta la sua esistenza, che è stata una continua battaglia di preghiera e di sacrificio per contrastare la progressiva assenza di fede e di spiritualità della comunità cristiana nel Novecento.
Padre Pio si lamentava spesso: «Non esistono più i Novissimi!» I suoi fedeli furono attratti prima di tutto dalla sofferenza che vedevano incarnata in lui, attraverso le stigmate, che lo colpirono fin dai primi tempi della sua consacrazione religiosa e sacerdotale, e che tutti potevano verificare durante il sacrificio della Messa ogni giorno e poi dai vari miracoli che l'accompagnarono in vita, e che convinsero le folle che accorreranno a lui in un continuo pellegrinaggio da tutto il mondo.
I più umili fedeli come i personaggi di successo ricevevano da lui l'invito a fuggire il peccato e ad affidarsi alla preghiera, ripartendo da San Giovanni Rotondo, se non guariti, almeno sereni e più forti nell'anima, come capitò a Titina De Filippo. All'amico Carlo Campanini, che alla sua morte vorrà essere sepolto nel cimitero di San Giovanni, il padre si lamentò: «Vedi, tutti mi chiedono di essere liberati dalla croce, nessuno di essere aiutato a portarla.»
Altro invito rivolto a tutti era di affidarsi all'Angelo custode, non prima di avere aumentata in sé la fede e volta al bene la propria vita. Molte furono le bilocazioni attribuite a Padre Pio, ma non tutte sicure, come quelle ricordate con l'avallo di San Luigi Orione, in due episodi riferentisi a San Pio X e a Santa Teresa del Bambin Gesù, che saranno decisamente smentiti a voce e per iscritto dallo stesso Fondatore della Piccola Opera, come ha documentato Don Flavio Peloso nel suo libro Don Luigi Orione e Padre Pio da Pietrelcina nel decennio della tormenta 1923-1933 (Jaka Book, Milano 1999, p. 120-121.) «Ma questi santi si conoscevano tutti!» esclama a un certo punto Don Flavio, accennando all'amicizia con i vari Don Bosco, Don Guanella, Padre Annibale di Francia, Don Calabria, Padre Pio, ecc., a cui Don Orione fu legato da un'amicizia di qualità superiore. Si conoscevano e si stimavano/A>, perché, dediti alla carità verso i poveri e i piccoli, erano sorretti dall'amore più grande per Cristo e per la Chiesa. Il primo era stato Don Bosco a promettergli: «Noi saremo sempre amici.»
L'autore si sofferma in particolare sulla mistica esperienza di Cristina Montella, poi suor Rita, che ricevé anche lei le stimmate, prima visibili e poi nascoste: la suora sarà misteriosamente presente in bilocazione in piazza San Pietro il 13 maggio 1981 per deviare il terzo colpo di Alì Agca, come affermerà al processo l'attentatore stesso.
Con il dono della profezia che molti testimoniarono per padre Pio, ci fu anche quello del profumo che tante persone avvertirono, stando a lui vicine, ma anche da lontano, quando il padre voleva avvertire di essere presente ai suoi figli a distanza. Proverbiale fu poi la capacità di padre Pio di leggere nei cuori, come risulta dalle tante conversioni da lui ottenute e che furono tra i suoi miracoli più continui e più grandi.
2. Il Beato Bartolo Longo, apostolo della Madonna del Rosario
Il libro di Antonella Bianchi e Claudio Spina rivela una duplicità d'interessi e d'ispirazione, nell'illustrare l'opera del Beato da due punti di vista, in evidenza fin dal titolo, Bartolo Longo – Un manager tra organizzazione e santità (Edizioni Santuario di Pompei, 2007) per concludere che il Beato, da uomo economico, ha speso la sua vita per la civiltà dell'Amore.
Gli autori citano autori di economia e, nello stesso tempo, riprendono da alcuni santi Fondatori delle suggestioni che svelano i mezzi impiegati per dar vita alle loro opere e farle durare. Tra questi risalta San Luigi Orione, citato più di venti volte, anche se in vita i due non si sono mai incontrati. Essi furono però innalzati insieme all'onore degli altari, in occasione della loro beatificazione, avvenuta domenica 26 ottobre 1980 in piazza San Pietro da parte di Papa Giovanni Paolo II.
Già nel gennaio 1902 Don Orione si felicitava col card. Capecelatro per la bella biografia che aveva scritto sul «suo carissimo amico padre Lodovico da Casoria». Ricordava Don Orione di quando Bartolo Longo, amareggiato per le difficoltà incontrate per innalzare il santuario a Pompei, confidò le sue pene al Padre Lodovico, incontrato a Napoli in via Toledo, e che il Padre gli disse abbracciandolo: «Bartolo, coraggio! Ave Maria e avanti!», un'espressione che riprenderà e che ripeterà lui spesso da allora. Il 16 marzo 1912 Don Orione scriverà a Don Sterpi: «Il 20 spero di dire la Messa di ringraziamento alla Madonna del Rosario di Pompei» e in quel giorno, dopo aver celebrato all'altare della Madonna con indicibile consolazione, manderà saluti e benedizioni dal santuario.
Qualche tempo prima aveva ricordato: «Io ho dovuto piangere di tenerissima gioia, quando molti anni fa (ottobre 1898), visitando la prima volta il Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, vidi che l'anima pia di Bartolo Longo aveva tappezzati i muri e le colonne della basilica di Evviva Maria SS., Regina della Pace .» Ancora l'11 giugno 1924 Don Orione celebrerà all'altare della Madonna, scrivendo poi cartoline a varie persone, come farà di nuovo il 27 giugno 1933, inviando cartoline a Mons. Albera, alla signora Castiglioni di Magreta e a Don Sterpi.
Dopo il secondo viaggio in America Latina, iniziato il 24 settembre 1934, Don Orione tornerà il 24 agosto 1937, sbarcando a Napoli, dove lo aspettavano alcuni confratelli, amici e benefattori con Don Umberto Terenzi, che lo accompagnerà in macchina al Santuario della Madonna del Rosario di Pompei. Celebra la santa messa con particolare fervore, forse prevedendo che alcuni anni dopo i suoi figli sarebbero stati chiamati al santuario per il ministero delle confessioni. Don Terenzi ricorda: «Dunque l'accompagnai a Pompei, assistei alla sua Messa, poi ritornammo in treno, perché l'automobile si sfasciò»
I due ebbero in comune un'appassionata devozione alla Madonna e un gran sentimento di fedeltà al Papa, con Bartolo Longo, particolarmente devoto a Leone XIII e che seguirà l'invito di Pio X a fare dono alla Santa Sede del Santuario e di tutte le opere sorte a Pompei.
Il culto del Santo Rosario, tradizionale nella Chiesa da tanti secoli per mezzo di santi straordinari, come San Domenico e Santa Caterina da Siena, e per la vittoria contro la flotta turca, ottenuta a Lepanto per sua intercessione, sotto la spinta di San Pio V, ebbe ulteriore diffusione dopo le apparizioni di Lourdes del 1858, quando la Vergine raccomandò a Santa Bernardetta la pratica di questa devozione per impetrare le grazie.
Bartolo Longo, nato a Latiano (Brindisi) il 10 febbraio 1841, da giovane, dedito al ballo, alla scherma e alla musica, quando s'iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nell'Università di Napoli, si lasciò attrarre dall'anticlericalismo e dallo spiritismo, fino a celebrarne i riti. L'amicizia col prof. Vincenzo Pepe e col padre Radente domenicano lo ricondusse alla fede e alla pratica religiosa. Il padre Emanuele Ribera redentorista gli rivelò: «Il Signore vuole da te grandi cose»; poi padre Lodovico da Casoria e la beata Caterina Volpicelli lo spinsero a una santa amicizia con la contessa Marianna De Fusco, rimasta vedova, divenendo prima istitutore dei suoi figli e amministratore dei suoi vasti terreni, finché presero la decisione di sposarsi nell'aprile 1885. Bartolo Longo, recandosi spesso per lavoro nella Valle di Pompei, si accorse dell'ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini e si mise a insegnar loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare insieme il rosario.
Quando una vecchia tela restaurata, raffigurante la Madonna del Rosario, esposta nella chiesetta di Pompei, cominciò a compiere tante grazie e miracoli, una folla sempre crescente di devoti prese ad affluire da ogni parte, da rendere necessaria la costruzione di una chiesa più grande. Bartolo Longo inizierà il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio, che terminerà nel 1887, sistemando il quadro della Madonna su uno splendido trono, con l'immagine incoronata da un diadema d'oro e pietre preziose, che sarà benedetta da papa Leone XIII. Fu Longo a comporre la Supplica alla Madonna del Rosario, che si recita ogni anno, con gran concorso di fedeli l'8 maggio e la prima domenica di ottobre in tante chiese del mondo. Quando morirà il 5 ottobre 1926, assistito dal suo amico dottore, San Giuseppe Moscati, sarà sepolto nella cripta del Santuario da lui eretto alla Vergine.
3. Suor Benedetta Frey (1836-1913)
Gianluca Scrimieri presenta in Lo specchiet to p e r vedere il cielo , Piemme, Casale Monferrato 2005, con un agile e appassionato profilo della sua vita, una scelta delle sue lettere e dedica un capitolo alla profonda amicizia tra lei e Don Orione. Lo specchiet to p e r vedere il cielo è quello che impiegava la Serva di Dio Suor Benedetta Frey (1836-1913) per poter vedere il cielo dal suo letto di dolore, dove fu condannata dalla malattia a trascorrere 52 anni e mezzo della sua vita. Entrata nel monastero cistercense della Visitazione, detta della Duchessa, e consacratasi ventiduenne al Signore il 2 luglio 1858, dopo solo tre anni fu condannata da una paralisi a rimanere immobile a letto, ma sarà in grado da quel luogo di dolore di fare del bene non solo a sé ma a tutti quelli che si rivolgevano a lei, mettendo il pratica ciò che le aveva preannunciato San Giovanni Bosco con le parole: «Porti con pazienza la sua malattia perché sarà un gran bene per l'anima sua e un gran vantaggio per la comunità e per le anime». Fu stimata dai papi Pio IX, Leone XIII e Pio X, che le concessero alcuni privilegi, come la dispensa dal digiuno eucaristico e il permesso che si potesse celebrare la Messa nella sua cameretta. San Luigi Orione si rivolse a lei, quando aveva in animo di fondare la Congregazione delle Piccole Suore della Carità, ricevendone l'approvazione e il consiglio della più grande umiltà nel servizio e nell'ubbidienza da parte delle sue Suore, espresso con la metafora dello straccio, da allora sempre da lui usata e ripetuta nella frase: «Io non sono nulla. Io sono uno straccio, un povero straccio nelle mani di Dio!». Il 20 aprile 1913 ricevette dalla Madre Benedetta, che morrà poco dopo, un quadretto di Gesù Buon Pastore per prestarlo alle persone che avevano bisogno di ricevere una grazia. Don Orione da allora lo fece girare per tutta l'Italia, chiamandolo come già prima lo chiamava la Madre, il «Bambino Girandolone» per il suo continuo peregrinare per distribuire grazie. Dal suo letto di dolore attirò tante persone a farle visita e a rivolgersi a lei per iscritto, dalle più umili a personaggi illustri come alcuni cardinali, il beato Nascimbeni, il beato Bartolo Longo, distribuendo a tutti i doni della preveggenza, della guarigione e del discernimento.
4. Padre Clemente Rebora, il poeta religioso più importante del Novecento
Clemente Rebora, nato a Milano il 6 gennaio 1885 e morto al Collegio rosminiano di Stresa il 1° novembre 1957, è stato, secondo Montale, il più importante poeta religioso del Novecento. Già nelle prime lettere, come si può osservare nell' Epistolario Clemente Rebora , a cura di Carmelo GiovanninI (Vol. I. 1893-1928. L'anima del poeta , Edizioni Dehoniane, Bologna, 2004), ci sono tracce della sua delicata coscienza con richieste di scusa e perdono ai genitori per alcune sue mancanze, ricordate anche nel frammento autobiografico «Clemente, non fare così» , come gli ripeteva la mamma dopo ogni marachella. Molto belle si rivelano le espressioni di affetto verso gli amici dei primi anni, Angelo Monteverdi, Antonio Banfi, Daria Malaguzzi, Lavinia Mazzucchetti, a cui si aggiungerà il gruppo dei collaboratori del Rinnovamento, con i conti Casati e Jacini, il marchese Soragna, Gustavo Botta, Gallavresi e soprattutto Tommaso Gallarati Scotti.
Rebora esprimerà continuamente il concetto di vita come dono, che si ritroverà nel percorso poetico della maturità, collocandosi tra gli scrittori che hanno posto nel cuore la fonte spirituale dell'uomo, come Pascal, Leopardi, Proust e Rilke. Scriverà in Frammenti lirici, XIII : «Quando s'eleva il cuore / all'amoroso dono / Non più s'inventan gli uomini, ma sono.» Dedicandosi dopo la laurea all'insegnamento, lo farà con assoluta dedizione, concependolo come missione e compito sacro, parlando di una fede che lo porta a ritrovare il divino nel quotidiano. Entrerà presto in contatto con Prezzolini e con «La Voce», pubblicando su questa alcuni articoli sull'educazione dei ragazzi dei ceti più umili, e altri rivolti agli amici letterati.
Nelle lettere del 1909 si precisano, con il grande tema dell'amore, come unica giustificazione della vita e forma di conoscenza, il fascino per la musica e per l'opera e la passione per le escursioni in montagna. Dopo alcune esperienze religiose, come quella del buddismo, abbraccerà infine la vita religiosa e il sacerdozio, entrando nel 1931 nell'Istituto della Carità dei Padri rosminiani a Domodossola e nel ‘36 venendo ordinato sacerdote. Allora «la Parola zittì chiacchiere mie», come lo stesso poeta scriverà nel Curriculum vitae .
Rebora mostrerà grande amicizia per gli amici e in particolare per l'educatrice Adelaide Coari, in lettere in cui parla di esperienze e progetti condivisi, confidandole la propria vicinanza «nel lavoro invisibile» di crescita spirituale. Una volta le chiederà da dove attingeva vigore e ispirazione per la sua vita quotidiana, sentendosi rispondere: «Dalla Messa e dal Rosario».
Nel II Volume dell'Epistolario Clemente Rebora –1929-1944. La svolta rosminiana , A cura di Carmelo Giovannini, Edizioni Devoniane, Bologna, 2007, in una cartolina illustrata, raffigurante il fondatore Rosmini nel ritratto di Hayez, spedita da Domodossola il 21 gennaio 1938, Don Clemente scrive a Adelaide Coari: «Esulto nel sentirla proprio sorella e figlia in Gesù e Maria nel segno di quella Carità, che già nelle parole (e le serbo preziose) del santo Don Orione mi aveva preannunciato.» Ancora la Carità spinge padre Rebora a rivolgersi alla Coari nel 1939 per far accogliere in un istituto di Don Orione «un buono e intelligente orfanello». E sempre la Carità è proposta nella lettera del 14 novembre 1939 nel ricordare l'epistola di San Clemente, papa e martire, ai cristiani di Corinto, su cui annota: «Forse piacerebbe questo passo, se non lo conosce, a Don Orione, a lui che palesa, in opere et veritate et sanctitate , questa Charitas Christi .» Don Orione nella Strenna Natalizia 1934 dall'Argentina, e nel messaggio radiofonico del marzo 1936, da Buenos Aires, inviato ai suoi Benefattori e Amici d'Italia, di cui è conservata la registrazione con la sua stessa voce, quando dice di elevare il più bell'inno alla Carità, che si possa innalzare sulla terra, aveva già citato direttamente la Prima Lettera ai Corinzi, 13 , a cui si richiamava San Clemente.
Dopo la morte di Don Orione, padre Rebora, scrive in una lettera del 30 ottobre 1940 a Adelaide Coari: «Serbo l'immagine di Don Orione che ci guarda intercedendo dalle profondità della Divina Bontà.» Si contano trentatre citazioni di lui nel volume, da cui trascriviamo ancora quella del 20 giugno 1941, in cui precisa: «Dal 18 al 27 agosto devo dettare i SS. Esercizi ai Sacerdoti di Don Orione, a Montebello. […] Quindi ragione di più perché Don Orione dal Cielo dovrà provvedere, affinché, per Maria, lo Spirito di Gesù operi; e le preghiere delle anime amiche».
In una lettera alla sorella Marcella durante la novena di Natale del 1941 padre Rebora l'avverte: «Dio volendo, verrei a Milano per predicare il giorno dell'Epifania al gruppo degli Amici di Don Orione, presieduto dal Sen. Cavazzoni, presso il Piccolo Cottolengo Milanese.» Ripete la sua presenza l'anno seguente, per l'8 gennaio del 1942, come scrive alla Coari: «Al Cottolengo di Don Orione, con il mio e nostro Don Zambarbieri, ne ho avuto tanto bene.» Negli ultimi scritti parla di Don Sterpi, commosso «per l'estrema benevolenza del mite e umile Don Sterpi» e dispiaciuto quando sa che è stato colpito da paralisi, all'inizio dell'estate 1944.
Una Predica alle Suore Cieche orionine a Tortona (1942) è stata pubblicata in Clemente Rebora, Scritti spirituali, a cura di Carmelo Giovannini, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2000, che costituiscono una raccolta di testi di prediche, di esercizi spirituali, di temi di vita contemplativa, di preghiere e aspirazioni, con commento ai Vangeli per un anno e il Piccolo dizionario: note secondo il Regno dei cieli, rimasto incompiuto.
Nella sua prima raccolta, costituita dai 72 brani dei Frammenti lirici , con descrizioni di paesaggi, ricordi di famiglia, figure femminili, tra cui la madre, il poeta si interrogava sull'umana esistenza: ma i Frammenti risultano tutt'altro che frammentari, come ha osservato Gianfranco Contini, dato che ambiscono all'unità della sua poesia e filosofia per offrire una propria visione del mondo. I Canti anonimi costituiranno una denuncia degli orrori della guerra, in opposizione a tutti i futuristi e guerrafondai, un ritorno alla poesia della rimembranza di Al tempo che la vita era inesplosa e al sentimento nostalgico della campagna. I Canti dell'infermità , del periodo della malattia, mostreranno Clemente che osserva il suo corpo che «si disfa vivo», o che ci dà l'immagine di sé come di un'ape: «La poesia è un miele che il poeta, / in casta cera e cella di rinuncia, / per sé si fa e pei fratelli in via; / e senza tregua l'armonia annuncia. » Curriculum vitae sarà infine figlia della memoria, nascendo dalla riflessione su tutta un'esistenza. «Quando morir mi parve unico scampo, / varco d'aria al respiro a me fu il canto». «Dal letto della sua infermità », come sono indicate le ultime poesie, egli scrive: «Non potendo celebrare il sacrificio della Messa, Dio mi concede di celebrare ogni giorno il sacrificio della Croce».
Ricordo di aver partecipato anch'io alla fine dell'estate del 1943, durante gli anni di Liceo, a un corso di esercizi spirituali svoltisi a Villa Moffa presso Bra, predicati da padre Rebora, che già negli anni precedenti aveva scoperto l'anagramma trinitario del suo nome, avendolo scandito in Ens, Dio Padre, Mens, il Figlio, e Clemens, lo Spirito Santo. Anche il vescovo rosminiano mons. Riva sarà solito ricordare questa bella interpretazione del proprio nome.
Mi impressionarono allora fortemente le parole di Rebora, miste di profonda interiorità e nello stesso tempo di partecipazione alla vita del tempo. Una frase in particolare mi rimase impressa riguardo ai bombardamenti, che allora colpivano le città d'Italia e d'Europa, facendo innumeri vittime e distruggendo oltre alle case, molte chiese e monumenti d'arte: «Quando una chiesa perde la sua ragion d'essere, quando non è più considerata dai fedeli un luogo di culto, in cui si va a pregare e a celebrare l'Eucarestia, ma si tende a trasformarla in semplice museo, Dio se ne disfa.» Ci fece conoscere il neologismo coventrizzare , derivato dal nome della città inglese di Coventry, nelle Midlands occidentali, ripetutamente bombardata dall'aviazione tedesca e rasa al suolo nel novembre del 1940.
Gianfranco Contini scrisse di lui: «Autore irrimediabilmente originale, tra le personalità più potenti dell'espressionismo europeo, non solo un testimone, ma un interprete poetico adeguato del suo momento». Il periodo, in cui si sentì torchiato da Dio, cominciò con la prima grande guerra, dovendo fare i conti con l'orrore dei giorni al fronte, tra morte di commilitoni e distruzione immensa. Stordito dallo scoppio di un obice a lui vicino e sepolto sotto le macerie, soffrirà a lungo di turbe nervose e uno psichiatra di Reggio Emilia, che lo visiterà, esonerandolo per sempre dall'obbligo militare, definirà la sua incessante ricerca di assoluto, come «mania dell'Eterno», dando la più vera diagnosi del suo male.
L' Epistolario Clemente Rebora ci presenta l'attività d'insegnamento, di cultura e di amicizia che riempie la sua vita intorno agli anni Venti, con conoscenze di scrittori, come Prezzolini e Sibilla Aleramo, Enzo Ferrieri e Giuseppe Raimondi, Giovanni Boine e Piero Jahier e di pittori, come Michele Cascella e Bruno Furlotti. Per capire i dubbi fra cui si dibatteva, ricordiamo i versi tratti dai Frammenti lirici , che porrà come premessa ai Canti anonimi : «Urge la scelta tremenda: / Dire sì, dire no / A qualcosa che non so».
Prima Mazzini era stato il suo grande ispiratore e guida principale negli anni, in cui aveva assunto la direzione della collana «Libri di vita» dell'editore Paravia. Come suo motto aveva scelto la frase di Goffredo Mameli, ispirata dal fondatore della Giovane Italia: «L'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore.» Sibilla Aleramo gli scriverà nel settembre 1928: «Sempre mi è venuto del bene da voi, da codesta vostra appassionata e pura anima in cerca di luce».
Aiutato da Lydia Natus, la cui reciproca storia d'amore conoscerà una progressiva sublimazione, traduce Lazzaro e altre novelle di L. Andrèev, Il Cappotto e Italia di Gogol' e La felicità domestica di L. N. Tolstoi. Le donne saranno, oltre a quelle citate, potendosi ancora aggiungere Olga Resnevic Signorelli e Bice Jahn Rusconi, le persone che lo aiuteranno di più ad avvicinarsi alla fede e a trovare il suo definitivo porto di arrivo e di salvezza nella spiritualità di Antonio Rosmini. Come questi aveva guidato Manzoni al concetto di «invenzione», ora determinerà in Rebora quello dei «richiami» che non sono più da cercare tra le cose, come le «corrispondenze» dei poeti del Decadentismo, bensì tra l'umano e il divino , con la poesia che s'innalza al cielo quando riesce a esprimere la sofferenza fisica e l'esaltazione mistica, attraverso la confessione, l'invocazione, la preghiera, l'inno.
Anche padre Pio ebbe sempre grande stima per padre Rebora, tanto da dire a un fedele, venuto da lui, dal Trentino al Gargano: «Come mai viene da me? Non c'è a Rovereto padre Clemente Rebora che è un santo?» e rivolgendosi poi ad altri con queste parole: «Non venite da me, voi di lassù: andate a Stresa da padre Rebora».
5. La Beata Madre Teresa Michel
Il giovane San Luigi Orione fu guida spirituale di Madre Michel dal 1895, anno della sua ordinazione sacerdotale, quando aveva aperto, ancora chierico, a Tortona un collegio per ragazzi poveri. La sua direzione si rivelerà di grande impulso per l'avvio della congregazione, anche se si concluse in breve tempo, nel giugno 1900, pur rimanendo Don Orione, nella considerazione di Madre Michel, il direttore più stimato per rigore morale e profonda pietà, oltre che prezioso amico per tutta la vita, all'insegna del binomio programmatico in comune: Poveri e Preghiera.
Marco Impagliazzo traccia nell'Introduzione il profilo biografico dell'avv. Carlo Torriani, che da laico impegnato nell'Azione Cattolica, nella San Vincenzo, nel giornalismo cattolico, nell'attività politica, si avvicinò all'Opera delle Piccole Suore fondate da Madre Michel, da divenirne prima uno dei più stretti collaboratori e poi cappellano e assistente spirituale, quando, da adulto, sarà ordinato sacerdote il 23 maggio 1937 nella cappella del Piccolo Ricovero di Alessandria. (Cfr CARLO TORRIANI, La Beata Madre Teresa Michel – Fondatrice delle Piccole Suore della Divina Provvidenza , V Edizione, Introduzione di Marco Impagliazzo, Roma, 2007.)
Si mette in risalto il fatto che quando Don Orione morì il 12 marzo 1940 a San Remo, nel trasporto a Tortona, i suoi figli vollero con pensiero affettuoso che la salma sostasse davanti al Piccolo Ricovero, con la Madre Michel e le sue figlie uscite a salutare il loro grande amico e a pregare per lui.
6. Don Umberto Terenzi, apostolo del Santuario della Madonna del Divino Amore
È uscita una raccolta di espressioni scherzose, di cui molte in dialetto, usate da Don Terenzi, vissuto nella Roma del Novecento, quando il romanesco era ancora molto usato, non solo dai semplici sacerdoti e parroci romani, ma anche da prelati e cardinali di Santa Madre Chiesa. È un libro presentato in ordine alfabetico, che comincia con un'espressione tipica del tempo, Addavenì… per finire con Viaggi , autore Don Umberto Terenzi, dal titolo “Gnocco de mamma…” Aneddoti e battute di spirito del primo Parroco del Santuario del Divino Amore , A cura di P. Tiziano Repetto S.I., Edizioni Divino Amore, Roma, 1977. Tra i sacerdoti più famosi che si esprimevano in dialetto romanesco si ricorda con Don Terenzi anche Don Giuseppe De Luca, ambedue criticati per l'eccessiva libertà di parola nel suo uso.
Don Terenzi era nato a Roma il 30 ottobre 1900, undicesimo figlio di una famiglia autenticamente cristiana, originaria di Guarcino, un paese tra i monti Ernici, che entrò nel seminario romano il 10 dicembre 1913. Ordinato sacerdote il 31 marzo 1923, fu prima prefetto dei giovani seminaristi. Su quel periodo l'Arcivescovo di Taranto, Mons. Motolese ricordava quanto fosse stimato quel «sacerdote che amava i ragazzi, che sapeva giocare con loro, che sapeva istradarli sulla via del bene».
Da viceparroco a Sant'Eusebio, comincerà a interessarsi del Divin Amore, come racconterà in una predica del 30 ottobre 1969: «Ci andai la prima volta dopo che ignoti ladri avevano rubato nel 1929 tutto l'oro della Madonna. Non sapevo nemmeno dove stava, benché la mia povera mamma mi raccontasse che mio fratello Armando era stato miracolato dalla Madonna.» Nel 1930 fu scelto da Mons. Migliorelli per accompagnarlo in visita ufficiale al Divin Amore, di cui il 20 dicembre 1930 sarà istituita la Rettoria , che gli sarà affidata. Trasferendovisi il 31 marzo 1931, nacque in lui un sentimento di fedeltà e di affetto verso Don Orione dai primi tempi in cui s'impegnò a far rinascere la devozione alla Madonna del Divino Amore.
Al Santuario, si trovò subito tra topi in casa e ladri intorno, che gliene fecero passare di tutti i colori, come ricorderà il 6 febbraio 1966: «Mi attentarono alla vita due volte. Il 14 aprile tornavo a Roma. Avevo una gran paura. Volevo andare dal cardinale Marchetti Selvaggiani e dirgli: "Eminenza, ci vada lei al Divin Amore. Oppure: Venga lei con me". Un giorno, trovandomi presso l'edicoletta a un chilometro dal santuario, la mia macchina andò fuori strada e si capovolse, ma nessuno riportò un graffio, anche se l'auto si era ridotta a un rottame.
Quel giorno andai subito da mons. Pascucci, segretario del Vicariato, e da Don Scavizzi, che mi consigliarono di abbandonare tutto. Alla sera passo pure da Don Orione, che mi dice: “Siete vivo, sì? E mi venite a domandare che cosa dovete fare? Domattina, tornate subito al Divino Amore. V'impongo che vi ritiriate lì per due o tre giorni, quello che vi pare, per scrivere subito una Storia della Madonna del Divino Amore. Se non sapete cosa metterci, scrivete quello che vi è capitato. E guai a voi se pensate di allontanarvi un'altra volta dal Divin Amore. Vi succederà sul serio la disgrazia da cui la Madonna vi ha salvato”».
Il Santuario s'identificherà da allora con Don Umberto, fino alla sua morte che avverrà il 3 gennaio 1974. Ai solenni funerali, celebrati Il 7 gennaio dal Card. Poletti, parteciparono, oltre a Cardinali e Vescovi, molti Parroci di Roma, insieme col Sindaco e tante personalità del mondo politico. Tutta l'Opera della Madonna del Divino Amore era presente al completo con le Orfanelle e i Piccoli Figli, con innumerevole folla di devoti, pellegrini e familiari, piangenti per la perdita, ma rincuorati dalla profetica promessa di Don Orione che aveva predetto a Don Terenzi: «Il Santuario e le opere della Madonna cresceranno sulla tua tomba!»
Ricordava Don Umberto: «Don Orione mi fece due profezie quasi venti anni fa: - Vedete questi chierici (c'erano molti polacchi e la guerra era molto lontana), sono carne da macello, perché verrà una guerra e saranno travolti anche loro.» Poi riprendendosi da quel triste pensiero continuò: «Beh! un giorno anche voi avrete tanti chierici. La Madonna del Divino Amore avrà i suoi sacerdoti!... E dovranno andare per tutto il mondo a portare l'amore della Madonna e a far trionfare il Divino Amore a servizio della Santa Chiesa, per la salvezza delle anime!».
«Fin dai primissimi anni, dal 1932 - aggiungeva Don Terenzi - la prima opera che si stabilì nel nuovo fiorire di attività mariane intorno al Santuario, fu il piccolo Asilo del Divino Amore, inaugurato l'11 febbraio, alla presenza di quel sant'uomo di Don Orione, che venne apposta al Divino Amore per inaugurare questa prima opera della Madonna, preannunciandone tante altre».
Il 5 agosto 1932 ci fu un incontro fra i due a Tortona, nel cortile del Paterno, e Don Orione gli ricordò: «Lei una volta mi disse che aveva un certo numero di anime buone e pie, incamminate alla vita religiosa: ne faccia le Figlie della Madonna del Divino Amore, che santifichino un po' quel nome tanto equivocato e profanato, e siano come le zelatrici e le propagandiste del Santuario», aggiungendo: «Stia tranquillo che le cose del Divino Amore avranno un avvenire straordinario. E anche lei avrà i suoi preti!».
Il 18 giugno 1970, nell'anno delle prime fondazioni missionarie, Don Terenzi ribadirà: «Don Orione mi disse che le Suore e i Sacerdoti della Madonna del Divino Amore dovevano espandersi molto anche fuori d'Italia. Sono passati quasi quarant'anni da quella promessa e oggi si comincia a verificare. Oggi andiamo a trapiantare le prime tende dell'Opera femminile delle nostre suore, ma io sono sicuro che non tarderà molto che tra gli indios della Colombia ci saranno anche i nostri Sacerdoti Missionari». Il 17 febbraio 1977 partiranno pure i primi Figli della Madonna del Divino Amore, di cui gli aveva parlato Don Orione nella casa di via delle Sette Sale a Roma, prima della guerra d'Africa: «Un giorno anche voi ne avrete tanti! La Madonna del Divino Amore avrà i suoi sacerdoti. E dovranno andare per tutto il mondo a portare l'amore della Madonna, a far trionfare il Divino Amore, a servizio della Santa Chiesa, per la salvezza delle anime!»
Si darà man mano il via ad altre iniziative: nel 1934 la Stazione sanitaria, poi quella ferroviaria e la Scuola elementare. Nel 1937 le suore accoglieranno nella casa colonica le orfanelle dell'Agro Romano. La Pia Associazione avrà il 25 marzo 1942 la prima approvazione dal Vicariato, il riconoscimento di Congregazione di Diritto Diocesano nel 1959 e di Diritto Pontificio nel 1961, subito impegnata al servizio della Chiesa, sia in Italia che all'estero, nelle missioni di Colombia, Brasile, Perù, Filippine e India.
Quando Don Orione tornerà il 24 agosto 1937, dal secondo viaggio in America Latina, sbarcando a Napoli, lo aspettava con alcuni confratelli, amici e benefattori anche Don Terenzi, che lo accompagnerà in macchina al Santuario di Pompei, dove celebrerà la Messa. Don Terenzi ricorda: «L'accompagnai a Pompei, assistei alla sua Messa, poi ritornammo in treno, perché l'automobile si sfasciò. E quando fummo verso Campoleone, anzi prima a Cisterna, Don Orione già si mise al finestrino dicendo: “Voglio vedere il Divino Amore”».
Don Terenzi sarà pure a San Remo il giorno prima che Don Orione morisse, sollecitato da Padre Pio che l'aveva invitato ad andare da lui se voleva vederlo ancora in vita. Giunto l'11 marzo 1940, lo trovò bene e si fermò un altro giorno. Ripartito per Roma alle 20 del 12 marzo, Don Orione morirà due ore dopo, non prima di avergli scritto su una cartolina di San Remo: «12 marzo 1940 – Ave Maria e avanti! Alle Figlie della Madonna del Divino Amore. Don Orione. – Una benedizione grande e preghino per me!»
Dopo la guerra dovranno passare alcuni anni prima che cominciassero i lavori del Nuovo Santuario. Ma finalmente l'11 febbraio 1992 avranno inizio i lavori. E il 4 luglio 1999 il Papa Giovanni Paolo II lo potrà solennemente consacrare. Con il grande Giubileo del 2000, il Santuario sarà associato alle Basiliche romane per l'acquisto delle indulgenze. Esso ha per copertura un gran prato verde, con alle pareti immense vetrate colorate che inondano di luce mistica tutto lo spazio circolare interno. Si è cercato di mantenere intatto l'incanto del primo Santuario in mezzo al verde, con la torre di Castel di Leva, fortezza degli Orsini e poi dei Savelli, edificata nel XII secolo su cui era dipinta la Madonna, alla quale i pellegrini rivolgevano le preghiere. Nel 1744 era stato edificato, su disegno, sembra, di Filippo Raguzzini, il piccolo santuario per custodire l'immagine della Madonna. L'affresco allora era stato rimosso dalla torre e solennemente trasferito sull'altare maggiore. A un periodo di grande devozione, nei primi anni del Novecento, il santuario alternerà una progressiva decadenza.
Don Terenzi ne propizierà la rinascita e Pio XII penserà di far costruire un santuario più grande, per assolvere al voto fatto per la salvezza di Roma in occasione della seconda grande guerra. Ne benedirà la prima pietra e ne affiderà l'incarico a uno dei maggiori architetti del tempo. Ma dovranno passare altri anni prima che il nuovo Rettore Don Pasquale Silla e altri architetti riprendessero il progetto, costruendo un santuario più ampio, ma salvaguardando il primo edificio settecentesco, con l'antico paesaggio col poggio e le vecchie mura .