CAUSE DEI SANTI: Perché e come "si fanno" i santi?
José Saraiva Martins è nato a Guarda, in Portogallo, nel 1932. Entrò giovane tra i Claretiani ed è stato ordinato sacerdote clarettiano nel 1957. Fu presto inviato a Roma per dedicarsi agli studi e all’insegnamento. Fu prima professore e poi Rettore magnifico della Pontificia Università Urbaniana. Consacrato vescovo nel 1988, ha ricoperto il ruolo di Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica e poi è stato nominato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il 21 febbraio 2001, Giovanni Paolo II lo ha proclamato Cardinale. E’ persona di grande cordialità e “di famiglia” con l’Opera Don Orione essendo intervenuto a varie celebrazioni, come la celebrazione a Tortona del nuovo beato Francesco Drzewiecki, la solenne ostensione del Cuore di Don Orione a Roma-Ognissanti, la festa del Piccolo Cottolengo, ancora a Tortona. Al cardinale José Saraiva Martins, abbiamo rivolto alcune domande.
SANTI, PER GRAZIA DI DIO
Intervista al Card. José Saraiva Martins,
Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi
A cura di Concetta Giallongo
Eminenza, ma i santi non sono tutti uguali quando sono in Paradiso?
Sì, in Paradiso sono tutti felici e beati nel godere e contemplare Dio. La Chiesa, qui in terra, distingue la santità comune dalla santità canonica (riconosciuta) o canonizzata. Alla santità comune, o universale, sono chiamati tutti i cristiani in virtù della loro vocazione battesimale che li inserisce vitalmente e irrevocabilmente in "Colui che è il Santo di Dio". Il " siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt.5, 48) è rivolto indistintamente a tutti i discepoli di Cristo. Lo ricorda anche il Concilio Vaticano II, quando rileva che "Tutti nella Chiesa sono chiamati alla santità" (LG 59; cf N.M.I. 30-31).
E i santi con la aureola?
Oltre alla santità comune, esiste la santità chiamata canonica, che consiste nella pratica eroica delle virtù cristiane, riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa e da essa proposta come modello all'intero Popolo di Dio. "Non a tutti è dato, come insegna il Magistero pontificio, di raggiungere i gradi della santità canonica e canonizzata" (Pio XI, Discorsi, I, p.364).
Perché la Chiesa propone al culto alcuni santi e altri no?
Innanzitutto, il santo canonizzato, benché si sia santificato come ogni altro nell'adempimento del proprio dovere, nel proprio stato e nella propria condizione, è stato scelto e portato da Dio ad una "perfezione singolare", diversa dalla "vita comune".
In secondo luogo, un santo, per essere canonizzabile deve essere portatore di un carisma di santità: deve cioè essere portatore di un messaggio da parte di Dio all'umanità; deve essere maestro e collaudatore di una 'via certissima, per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e le condizioni d'ognuno' (LG 50).
Comunque, come ha scritto Giovanni Paolo II nella Bolla "Incarnationis mysterium", la santità "si manifesta nelle vicende di tanti santi e beati riconosciuti dalla Chiesa, come anche in quelle di un'immensa moltitudine di uomini e donne sconosciuti, il cui numero è impossibile calcolare" (n.11).
E la Congregazione delle Cause dei Santi, della quale Vostra Eminenza è il Prefetto, di che cosa si occupa?
Scopo della Congregazione è quello di studiare, in particolare, la santità canonizzabile, quella cioè di coloro che sono presentati alla Santa Sede come candidati agli onori degli altari.
Che differenza c’è tra beati e santi?
La beatificazione, è stata introdotta in forma definitiva e stabile dal Sommo Pontefice Alessandro VII (1599-1667). E’ l'atto pontificio (Breve Apostolico) con cui il Papa riconosce il culto nell'ambito della Chiesa locale. La canonizzazione ha un carattere dogmatico e giuridico con cui prescrive il culto nell’intera Chiesa universale. Il termine fu adoperato per la prima volta da Alessandro III nel 1161. Le Bolle di canonizzazione esprimono un "solenne giudizio" del Vicario di Cristo, in forza di una particolare assistenza di Dio, quindi è esente da errore, cioè infallibile.
E come si arriva alla proclamazione di un beato o santo?
L'iter di una Causa di beatificazione e di canonizzazione prevede due fasi successive: quella diocesana e quella romana. La fase diocesana si svolge come un’inchiesta. Lo scopo è quello di riunire tutte le prove riguardanti una vita cristiana eroicamente vissuta, l'esistenza e consistenza di una vera fama di santità, le circostanze del martirio, il fatto di un presunto miracolo, o l'esistenza di un culto antico reso al Servo di Dio.
Terminata l'istruttoria, è elaborato il cosiddetto Transunto (copia autentica) , che contiene tutto il materiale raccolto nel corso delle interrogazioni ai vari testimoni. Il Transunto viene inviato alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale, una volta accertata la "validità giuridica" del Processo diocesano, dà avvio alla fase "romana" del Processo di beatificazione o canonizzazione.
E’ un processo lungo e meticoloso. E una volta arrivato a Roma, cosa succede?
La fase romana comprende tutto un insieme di studi approfonditi, coordinati dal Relatore della Causa, che porteranno a compilare la "Positio" sulla santità della vita o sul martirio dei candidati agli onori degli altari. Interviene la Consulta storica che è chiamata a pronunciarsi sull'aspetto scientifico dei documenti e dei loro contenuti.
La Causa passa, in seguito, al Congresso peculiare dei Consultori Teologi, che devono rispondere ai seguenti quesiti fondamentali: a) se è provata l'esistenza di una vera fama di santità o del martirio, senza la quale sarebbe assurdo parlare di beatificazione o canonizzazione; b) se alla base della suddetta fama di santità o di martirio sta, effettivamente, una vera santità di vita che ha raggiunto il grado eroico, o un vero martirio ('in odium fidei').
Non è finita. Il tutto passa poi all'esame dell'Assemblea Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi. Se l'Assemblea Ordinaria si esprime positivamente, approvando così il lungo e complesso lavoro dei consultori storici e teologi, il Prefetto del Dicastero porta tale risultato alla considerazione del Santo Padre, che pronuncia l'ultimo e definitivo giudizio in merito, e decide se procedere o no alla beatificazione o canonizzazione del Servo di Dio.
Dopo tutto questo esame, alla fine ci vuole ancora un miracolo?
Secondo l'attuale Normativa giuridica, per procedere alla beatificazione di un Servo di Dio, non martire, si richiede un miracolo fatto da Dio per sua intercessione; non si richiede invece, se si tratta di un Servo di Dio martire. Per quanto riguarda poi la canonizzazione di un Beato, si richiede un miracolo sia egli martire o meno.
Ma cos'è un miracolo?
E’ un fatto straordinario che supera le leggi della natura, che suppone un intervento speciale e gratuito di Dio e che è, allo stesso tempo, un segno e manifestazione di un messaggio di Dio all'uomo.
I miracoli possono essere fisici o morali. Il miracolo richiesto per la canonizzazione deve essere fisico; e, se consiste in una guarigione, questa deve essere istantanea, completa e duratura, oltre che inspiegabile secondo le leggi della natura, alla luce delle attuali conoscenze mediche.
La Chiesa esige dei miracoli per la beatificazione e canonizzazione, perché esso è una specie di timbro che Dio appone sul Servo di Dio, con cui garantisce la sua santità.
L'esame delle presunte guarigioni miracolose è compiuto prima sotto il profilo scientifico, cioè studiato dai medici. Poi si pronunciano i Consultori teologi, ai quali spetta dire se la guarigione, naturalmente inspiegabile secondo i medici, è o no un vero miracolo, avvenuto per l'intervento di Dio invocato per intercessione del Servo di Dio o del Beato. Anche nell’esame del miracolo l’ultima parola spetta all'Assemblea Ordinaria dei Cardinali e Vescovi e, infine, al Santo Padre.
Vale la pena mettere in moto tutto questo lavoro e tutte queste persone per proclamare beati e santi?
La Chiesa ritiene di sì. I beati e santi manifestano la vivacità delle Chiese locali, “sono il più grande omaggio che tutte le Chiese rendono a Cristo, sono la dimostrazione dell'Onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità (ossia di santità) in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme di vocazione cristiana" (Tertio Mill. Adv., 37). E poi le canonizzazioni e beatificazioni hanno una grande importanza pastorale, molto sottolineata dall'attuale Pontefice. Non va dimenticato che una delle linee portanti del suo ministero petrino è stata, sin dall'inizio, la valorizzazione della santità, convinto che " la storia della Chiesa è storia di santità" (Inc .Myst. 11).
Quale ruolo ha la santità nella pastorale della Chiesa?
La santità ha un ruolo centrale nella programmazione della pastorale della Chiesa. Lo ribadisce, con vigore, ancora una volta il Santo Padre Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte, quando afferma che “la prospettiva in cui deve farsi tutto il camino pastorale è quella della santità” (n. 30), aggiungendo che “fare programmazione pastorale è una scelta gravida di conseguenze” (n. 31).